Epifanie del 'Satiro danzante': dal Rinascimento all'antico (e ritorni)
Marianna Gelussi
La recente scoperta del Satiro di Mazara del Vallo, probabile copia in bronzo romana di un originale greco, e il dibattito sorto tra gli archeologi nella ricerca dei suoi ipotetici modelli (vedi, in questo stesso numero della rivista, il contributo di Salvatore Settis) rilanciano la spinosa questione dei meccanismi di tradizione e in particolare della validità metodologica della relazione modello/copia. Si tratta di una questione centrale, e non solo sul piano degli studi archeologici, ai fini della datazione e dell’attribuzione delle opere antiche, ma anche e soprattutto sul piano teorico, per lo studio dei procedimenti che veicolano la trasmissione dell’eredità figurativa antica.
L’emergenza in diverse epoche di esemplari riconducibili al tipo del 'Satiro danzante' costituisce un esempio paradigmatico della complessità dei meccanismi della trasmissione. Nel ricostruire la trama intricata della tradizione del 'Satiro danzante' è illuminante partire da un esito paradossale, cronologicamente molto distante dall’ipotetico archetipo, che parrebbe suggerire un cortocircuito creatosi nel meccanismo di perpetuazione di questa figura, provocando la sua riemersione all’interno di una pittura rinascimentale: la Danza di nudi, dipinta da Antonio del Pollaiolo a Villa la Gallina ad Arcetri, nei pressi di Firenze, tra il 1460 e il 1475.
La composizione di Arcetri costituisce un esempio eclatante di assimilazione rinascimentale di Pathosformeln dedotte dalla scultura e dall’eredità figurativa antica. È stato notato come ogni danzatore raffiguri una figura tipologica tratta dalle rappresentazioni a carattere dionisiaco scolpite sui sarcofagi (così Borsook 1980, pp. 112-113). La serialità e pertanto la frequenza con cui compaiono le cinque ‘figure-tipo’ di baccanti sui sarcofagi antichi, la comprovata visibilità e accessibilità di queste fonti scultoree per gli artisti del Quattrocento e in particolare il vivo interesse dimostrato da Antonio del Pollaiolo verso il linguaggio tramandato dalla scultura antica rendono più che convincente l’ipotesi di derivazione della Danza dalla scultura antica attraverso i sarcofagi ellenistico-romani.
Antonio del Pollaiolo dunque, nella pittura murale, nella restituzione dei moti corporei dei suoi danzatori, assimila completamente il linguaggio della scultura antica, ma i baccanti sulla parete di Arcetri non appaiono più nel loro aspetto ‘originale’, segnatamente ‘antico’. Essi sono completamente nudi, deprivati degli attributi che nella versione antica scultorea li connotavano come seguaci di Dioniso: l’artista opera una sorta di de-semantizzazione delle figure antiche colte nella scultura e le risemantizza, attualizzando la danza in una novella “ronda dionisiaca”, come la definì Aby Warburg (sulle figure A, B, C, D, E della Danza di nudi e i loro modelli archeologici rimando al mio saggio per immagini, Engramma, n. 21).
Antonio del Pollaiolo, dovendo rappresentare ad Arcetri una danza ‘all’antica’ entusiastico-dionisiaca, ricorre dunque al linguaggio corporeo della classicità, alle movenze di una danza antica.
Chiude la “ronda” un danzatore estatico che rappresenta inequivocabilmente la versione pittorica rinascimentale del tipo 'Satiro danzante', analogo all’esemplare ripescato solo recentemente a Mazara del Vallo.
L’artista fiorentino, che, per ovvi motivi cronologici, non poteva conoscere il bronzo di Mazara, è senza dubbio entrato in contatto con un altro esemplare, un’altra ‘scheggia’ della serie alla quale va ascritto anche il Satiro in bronzo.
Il pittore rinascimentale subisce la fascinazione di quella formula patetica, la fa propria e la assorbe, riutilizzandola per comporre una rappresentazione alla maniera moderna rinascimentale. Attratto dalla forza espressiva della figura entusiastica antica, egli perpetua la sua immagine ma non la congela in una copia archeologica, la rivitalizza e la reinterpreta secondo il proprio gusto, attualizzandola, e mantenendo ferma però la formula del movimento. Il 'Satiro danzante' assume a Villa la Gallina l’aspetto di un uomo del Quattrocento, nudo però, e che si muove alla maniera antica. La pittura quattrocentesca tramanda dunque un’immagine già ‘digerita’ del modello antico.
Esiste di questa figura, come per le altre della “ronda”, una comprovata tradizione iconografica che poteva essere accessibile all’artista quattrocentesco, scolpita a decorare molti sarcofagi dionisiaci ellenistico-romani.
Nonostante l’esistenza di diversi sarcofagi che tramandano la figura del 'Satiro danzante', è decisamente verosimile che Antonio del Pollaiolo deducesse il suo 'danzatore' da un cammeo del primo secolo a.C., allora parte delle collezioni medicee e oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (così propone Wright 1998, p. 59).
La possibilità di poter indicare con una certa sicurezza nel Satiro della gemma di Napoli il modello preciso dal quale l’artista fiorentino ricavò la postura per il suo ‘nuovo baccante’ non esime però dalla necessità di ribadire la serialità di questa figura. Antonio del Pollaiolo nel suo danzatore di Arcetri perpetua la memoria di una figura tipologica ‘all’antica’, riutilizzata come Pathosformel della danza estatica già nel passato: una figura di repertorio, tramandata in più varianti e disponibile, già nel Quattrocento, in vari materiali. L’artista avrebbe avuto la possibilità di vedere, della figura del Satiro, esemplari diversi, su diversi supporti (la gemma, un sarcofago).
Mai come in questo caso la ricerca di un modello unico si rivela insufficiente: il modello potrebbe, verosimilmente, essere plurimo; o meglio seriale.
Il danzatore di Villa la Gallina è in sé un caso prezioso, sotto il profilo metodologico, rappresenta una prova pratica dell’insufficienza del procedimento che tenta di stabilire relazioni di derivazione univoca tra un’opera e un’altra, tra un ‘modello’ e una ‘copia’ (o una deduzione diretta).
Anche il Satiro di Mazara del Vallo va inserito all’interno di questa stessa trama complessa, di tradizione ‘traditrice’. Così come per il danzatore-satiro dipinto da Antonio del Pollaiolo, anche per il bronzo recentemente ritrovato si deve riconoscere la medesima complessità di derivazione. Anzi il Satiro di Mazara e il danzatore rinascimentale si possono considerare due esemplari di una stessa serie, che risalgono, per vie non lineari, allo stesso archetipo. L’ ’originale’ da cui dipendono è unico, l’archetipo è condiviso: ma ad esso ‘originale’-‘archetipo’ i due ‘baccanti’ sono legati attraverso strade complicate e distinte.
Nella ricerca dei modelli da cui deriverebbe il Satiro ritrovato a Mazara ci si imbatte pertanto negli stessi problemi di metodo, nella stessa complessità di situazione che emerge nell’esempio, a noi più vicino, della figura di danzatore di Antonio del Pollaiolo: l’impellenza di inseguire le tracce di un originale unico deve cedere il campo, anche in questo caso, all’urgenza di riconoscere l’esistenza dell’archetipo, di un tipo ideale che riappare all’interno di una serie.
Immagini satiresche cronologicamente anteriori al bronzo ritrovato ricorrono all’interno dei cortei dionisiaci in pitture vascolari (vedi in questo numero Salvatore Settis), o nelle decorazioni di gemme – una su tutte quella molto probabilmente vista da Antonio del Pollaiolo – e in sculture di fregi e sarcofagi ellenistico-romani, più o meno cronologicamente vicine alla scultura bronzea (sui sarcofagi dionisiaci vedi Matz 1968).
Il 'Satiro danzante', nella forma antica, integra e non mutilata, appare sempre con il capo reclinato verso destra, le braccia allargate, mentre impugna nella mano destra un tirso, il braccio sinistro è avvolto da un drappo, la gamba destra tesa, in equilibrio sulla punta del piede, in appoggio al movimento di balzo e torsione, la sinistra piegata, sollevata all’indietro.
Nonostante il bronzo sia stato ritrovato privo delle braccia e della gamba destra, la sua frammentarietà non impedisce di rilevare, con le figure della serie, una perfetta corrispondenza della postura; una Pathosformel che disegna la linea di un movimento inconfondibile, la fissazione di un’istantanea di una mossa di danza antica nel suo momento di acme. Immagine intensa, intrisa di temperamento, espressiva di uno stato dell’anima, essa diventa già nell’antichità ‘figura-tipo’ di un momento dell’estasi patetico-dionisiaca, più volte reiterata e ricontestualizzata.
A questo punto si può tentare di disegnare, in una sorta di ‘galleria’ (senza alcuna pretesa di completezza e di esaustività), un percorso cronologico attraverso alcune opere che possono costituire una serie di exempla del tipo ‘Satiro danzante’, germinati evidentemente da un unico archetipo.
Disporre gli esemplari secondo una sequenza cronologica costituisce però di fatto un’operazione artificiosa che schematizza una situazione di ordine consequenziale verosimilmente affatto illusoria rispetto ai rapporti realmente intercorsi tra le opere.
Nella serie delle riemersioni qui proposte, un esempio lampante di queste relazioni non lineari è il rapporto tra il danzatore di Arcetri e il bronzo di Mazara del Vallo: due episodi senza alcun legame diretto l’uno con l’altro, attraverso i quali la linearità apparente, cronologica, dei meccanismi di influenza tra i vari esemplari che emergerebbe da una lettura facilior, ‘genealogica’, della ‘galleria’ proposta, viene definitivamente sconvolta.
Gli esemplari del 'Satiro danzante' non discendono consequenzialmente l’uno dall’altro, ma con ogni probabilità in diversi snodi di questa storia sono avvenuti ripetuti intrighi e cortocircuiti. Ciò che resiste è il ‘tessuto seriale’: il continuum della trasmissione. Non solo attraverso il confronto con gli esempi antichi, ma anche grazie alla pittura rinascimentale, il bronzo a noi restituito solo oggi sotto forma di frammento trova la sua ricomposizione, riacquistando braccia e gambe.
In una sorta di cortocircuito cronologico, una pittura fiorentina della seconda metà del Quattrocento ci aiuta a ricostruire una scultura antica che verrà scoperta quasi sei secoli più tardi: nei giochi intricati che si consumano all’interno della ‘serie esemplare’, paradossalmente, lo stato di mutilazione di un bronzo ellenistico viene sanato, in un restauro ‘virtuale’, anche grazie al soccorso di un pittore rinascimentale.
La pittura di Villa la Gallina presenta affinità con il Satiro di Mazara del Vallo anche nelle vicissitudini, accomunata al bronzo dall’analoga sorte di un oblio secolare riscattato solo di recente. La Danza di nudi del Pollaiolo, ben presto perduta e non testimoniata da alcuna fonte, rimase infatti latente per secoli, celata sotto uno strato di intonaco, e fu restituita alla luce solo alla fine dell’Ottocento.
Come è avvenuto recentemente prima per la scoperta e poi per l’esposizione al pubblico del Satiro di Mazara (vedi il catalogo della mostra 2003, a cura di Roberto Petriaggi), anche la pulitura della pittura rinascimentale dallo scialbo provocò all’epoca un forte impatto emozionale tra gli storici dell’arte, un’emozione a cui Aby Warburg fu tra i primi a corrispondere:
“Antonio del Pollaiolo era per così dire il maestro delle belle maniere per il moderno comportamento espressivo nell’ambiente delle persone formate classicamente; ai suoi personaggi egli insegnava, seguendo il modello mitologico della scultura antica, lo stile giusto di come ci si debba muovere classicamente entro tutto l’ambito della vita umana. Non soltanto insegnava come si combatte virilmente e si piange tragicamente, insegnava anche a danzare ‘all’antica’: uomini ignudi danzano una ronda dionisiaca sugli affreschi di Arcetri” (Warburg [1932] 1966, p. 297).
Con la recente riemersione dell’esemplare bronzeo dalle acque del Mediterraneo è avvenuto l’ennesimo ritorno del 'Satiro danzante', il cui grado di pateticità inalterato continua a esercitare dopo secoli la medesima, intensa comunicazione emotiva. E in questo ennesimo ritorno assistiamo a una nuova ondata di fascinazione verso la figura dionisiaca antica.
Il Satiro riemerge nuovamente oggi ma con un suo esemplare ‘eccellente’, una versione più segnatamente ‘autentica’ e pertanto ‘antica’: un bronzo che rompe il regime di bidimensionalità degli esemplari a noi noti che tramandano la sua immagine – gemme, bassorilievi, la pittura quattrocentesca – e offre la possibilità di godere della sua fisicità tridimensionale, in una visione circolare che restituisce la pienezza della movenza estatica delle membra scosse, nella danza, dal pathos di Dioniso.
Riferimenti bibliografici
- Borsook 1980
E. Borsook, Antonio del Pollaiuolo. Frieze of Nude Dancers, in The Mural Painters of Tuscany from Cimabue to Andrea del Sarto, Oxford 1980, pp. 111-113. - Matz 1968
F. Matz, Die dionysischen Sarkophage, Berlin 1968. - Il Satiro danzante, catalogo della mostra, Roma Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, 1 aprile-2 giugno 2003, a cura di Roberto Petriaggi, Milano 2003.
- Warburg [1932] 1966
A. Warburg, L’ingresso dello stile ideale anticheggiante nella pittura del primo Rinascimento, in La rinascita del paganesimo antico, [Leipzig-Berlin 1932] tr. it. Firenze 1966, pp. 283-307. - Wright 1998
A. Wright, Dancing Nudes in the Lanfredini Villa at Arcetri, in With and Without the Medici. Studies in Tuscan Art and Patronage, 1434-1530, a cura di Eckart Marchand, Alison Wright, London 1998, pp.47-77.
Per citare questo articolo/ To cite this article: M. Gelussi, Epifanie del ‘Satiro danzante’: dal Rinascimento all’antico (e ritorni), ”La Rivista di Engramma” n. 28, novembre 2003, pp. 235-333 | PDF