"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Tradurre l’oro

Le pagine incipitarie greca e latina dell'Iliade in un codice miniato rinascimentale (Vat. gr. 1626)

Monica Centanni

English abstract


 

Nella Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato un codice membranaceo miniato, contenente un’Iliade bilingue, testo greco (sempre sul verso dei fogli) e testo latino a fronte (sempre sul recto). Il codice, siglato Vat. gr. 1626, risulta incompleto per quanto concerne la decorazione miniata, prevista per le doppie pagine incipitarie di ciascuno dei ventiquattro canti; è datato, alle cc. 404v e 444v, 30-31 maggio 1477 e sottoscritto, negli stessi fogli, con il nome dell'umanista greco Giovanni Rhosos.

L'indagine paleografica ha identificato lo scriba della versione latina, evidentemente eseguita in un momento successivo, nel copista padovano Bartolomeo Sanvito. Per quanto riguarda l'esecuzione della decorazione, dopo diverse ipotesi, la critica ha recentemente proposto l'identificazione del miniatore in Gaspare da Padova, sulla base di due lettere, datate 1484, in cui l'artista reclama presso il marchese Federico Gonzaga il pagamento del lavoro eseguito per il fratello, il cardinale Francesco Gonzaga, su un manoscritto di Omero all'epoca non ancora completato (e che incompleto, forse proprio per il mancato saldo delle competenze, resterà).

Le pagine miniate alle cc. 1v e 2r costituiscono un testo straordinario, utile a illustrare le modalità dell'innesco del greco nella cultura rinascimentale e insieme chiara denuncia del tasso di consapevolezza culturale dell'artista che, in cooperazione con il dotto copista, lavora alla decorazione.

A sinistra, intorno al testo greco, corre un fregio che poggia su un basamento; sotto il margine superiore un'illustrazione a tre scomparti, interrotti e scanditi da quattro colonnine rosso porpora con capitello e una sovrastruttura dorata. La cornice corre a stretto nastro lungo il margine laterale destro (interno), nelle stesse proporzioni lungo il margine superiore e, raddoppiata di misura e molto più elaborata, lungo il margine sinistro (esterno): il motivo ripetuto, in variazione cromatica e dimensionale, è un tondo, composto a catena, che porta iscritto un rosone.

Sul margine sinistro la decorazione si articola e si movimenta in fasce diverse: a risalto, al centro, cinque tondi più grandi contenenti il primo e il quinto due motivi emblematici (le imprese gonzaghesche della tortorina e della piramide con lince, quest'ultima presente anche sulla medaglia del committente, il Cardinale Francesco Gonzaga); i tre centrali il motivo-guida del rosone, ampliato e ancora variato.

L'effetto complessivo della cornice-nastro è l'assimilazione della campitura del foglio a un tappeto orientale. Lo stato bidimensionale del campo-tappeto sta sospeso sul basamento che simula invece la tridimensionalità: si ripete il motivo di una panoplia, variata solo dalla rotazione e dal cromatismo (giallo e verde), al centro campeggia lo stemma dei Gonzaga, sormontato dal cappello cardinalizio (con chiara allusione al committente).

Nelle vignette della sezione illustrativa sono rappresentate tre scene, pertinenti al primo canto del poema omerico: nella prima tende dell'accampamento acheo e sullo sfondo Crise, il sacerdote di Apollo, in piedi di fronte ad Agamennone seduto, con in mano arco e frecce; nella seconda sullo sfondo il mare, la prua di una nave, l'accampamento sul lido, in cielo due figure alate scoccano frecce e in primo piano tre soldati, di cui già uno è a terra, colpito dalla peste di Apollo; nella terza il fondale è ancora il campo acheo, Agamennone sta seduto e i soldati stanno conducendo via Briseide, la schiava sottratta ad Achille. L'iniziale miniata "M" (Menin aeide thea) richiama lo stile delle capitali miniate bizantine.

 

A destra, il testo latino è iscritto in una sorta di edicola costruita secondo modelli di architettura romana: sui lati, paraste coronate da ghirlande, decorate in oro su fondo blu, con capitello multicolore, un timpano con architrave sorretta da altre quattro paraste, che partiscono le tre scene parallele a quelle del testo greco. L'edicola poggia su un piano erboso: due panoplie di diverso colore si affrontano ai lati, fiancheggiando due putti che, iscritti in una doppia cornucopia, sorreggono, al centro, lo stemma gonzaghesco, tenendolo per i fiocchi e per il cappello. Putti e panoplie appese ornano anche le fiancate superiori del timpano. Le tre scene quanto a soggetto sono sovrapponibili alle scene 'greche' a fronte; da sinistra a destra: Crise stante con arco e frecce e Agamennone; la peste che si abbatte sui soldati dal cielo; Briseide condotta via al cospetto di Agamennone in trono. Il fondale raffigura il lido di Troia con l'accampamento acheo: nell'illustrazione di centro vediamo, capovolta, la stessa prua di nave che compare al centro nel trittico a fronte. Nel testo lo stile dell'iniziale miniata "I" (Iram cane dea) ricalca modelli latini, con classico motivo a racemi verdi e blu su fondo rosso.

Nell'operazione di passaggio dal latino al greco vengono trascinate e coinvolte anche le cornici, i motivi decorativi e il trittico di immagini illustrative. Quello che nel testo greco è una sorta di 'tappeto' orientale sospeso inverosimilmente su un basamento marmoreo, diventa una struttura architettonica romana, abbellita da putti, panoplie variegate appese al timpano, ghirlande decorative delle paraste (ma anche sulla lettera miniata): una sorta di monumento all'aperto (come pare suggerire il terreno erboso su cui poggiano le paraste di sostegno). La decorazione della capitale miniata "M" in stile bizantino viene tradotta nella capitale "I" ‘alla latina’ (Iram cane dea).

 

Ma l'effetto più sorprendente è dato dal confronto tra i due trittici illustrativi: stesse scene, stesso fondale, stessi personaggi, da una parte l'inquadratura è ritmata dalle colonnine bizantine, dall'altra dalle solide paraste quadrangolari romane.

Nella pagina ‘greca’ l'artista cerca di rendere lo stile orientale avvalendosi di una certa rigidità posturale dei personaggi, raffigurati come se fossero 'in posa', e di un uso molto sfumato del colore, che dà risalto alla prevalenza dell'oro scuro del fondo e dell'oro pallido del terreno sabbioso, a cui si accompagna, senza scarti violenti di intensità cromatica, il blu delle tende, della carena della nave, del mare che sfuma nel cielo, di gran parte delle vesti.

    

    

Nella pagina 'latina' le stesse scene sono animate da tutt'altro spirito e illuminate da un'altra luce; il fondale (che 'a fronte' era chiuso, sigillato dalla campitura dorata, o appena accennato nel riquadro centrale dal blu mare-cielo) ora è un vero paesaggio, animato e mosso da forme e colori: mare blu a contrasto con un cielo variegato, alberi, montagne sullo sfondo, terreno argilloso cosparso di vegetazione. Le tende degli Achei possono essere biancastre perché le scene sono colorate dalle vesti dei personaggi, dalle tinte forti e vivide: rosso, giallo, azzurro, viola. Attori delle stesse scene rappresentate sulla pagina a fronte, ora i personaggi si muovono con una libertà che rompe qualsiasi icasticità: nella prima scena Crise, ‘in greco’ rappresentato con un gesto eloquente di supplica, ora sta composto, con in mano le armi tremende del suo dio, ad ascoltare un Agamennone che, se ‘in greco’, rappresentato frontalmente, alzava la mano destra in gesto di congedo, ‘in latino’, di profilo, è rappresentato mentre con la mano destra compie un gesto eloquente che esprime il suo tentativo di convincere il sacerdote.

La composizione della scena centrale – la peste e la nave sullo sfondo – nella versione latina è speculare rispetto alla versione greca: 'in greco' la morte era icasticamente rappresentata dal soldato steso a terra in primo piano; 'in latino' davanti a tre soldati in piedi sta un terzo, seduto e già con l'armatura slacciata, mentre il busto di un quarto, già steso dal male, si intravede dietro. Fasi progressive dell'inevitabile morte.

Il confronto più interessante riguarda però la terza scena: la consegna di Briseide. In questo caso il miniatore, nello scarto ribadito di colori e di stile, pare abbia voluto concedersi anche il gioco ulteriore della costruzione di una sequenza progressiva, 'cinematografica': ‘in greco’ la schiava è chiaramente appena uscita dalla tenda, ancora scostata, e Agamennone, con un gesto molto controllato, le prende un polso per consegnarla ai soldati. ‘In latino’ vediamo il fotogramma immediatamente successivo: Agamennone sta ritirando la sua mano mentre il braccio e la mano di Briseide sono già stati afferrati dai soldati che la condurranno via. Il braccio teso della fanciulla e i gesti di Agamennone e dei soldati, che convergono tutti verso il braccio della schiava, conferiscono alla scena un movimento assente nella precedente 'istantanea' greca.

Nella visione d'insieme e nei singoli dettagli delle due pagine a fronte, l'artista compie, per quanto sa e può conoscere, una vera e propria operazione di traduzione: l'ipotesi, che lo stesso Giovanni Rhosos o qualsiasi altro umanista quattrocentesco avrebbe confermato, è che lo stile greco-bizantino sta per 'antichità' (e per 'testo originale'), mentre lo stile romano-rinascimentale sta per 'contemporaneità' (e per 'testo tradotto'): un'ipotesi abbastanza fedele alla realtà linguistica ma paradossale dal punto di vista storico.

Perché quella Bisanzio che presta immagini e luci dorate alla rappresentazione dell' "antichità greca" era ancora, fino a pochi decenni prima, la capitale di un impero grande e potente; mentre quella Roma che presta forme e colori alla "contemporaneità latina" è percepita come vicina e moderna in quanto thesaurus formale di una classicità ritrovata, richiamata a rinascere e riproposta come attualissima.

Nota bibliografica

Il Vat. gr. 1626 è stato, in anni recenti, esposto in occasione di due mostre: la prima presso i Musei Vaticani tra il 1996 e il 1997, la seconda a Padova nel 1999. I contributi critici più aggiornati sul codice, e in particolare sulle pagine miniate alle cc. 1v-2r, sono le due schede contenute nei cataloghi di quelle esposizioni: Marco D'Agostino, scheda 140, in Vedere i classici. L'illustrazione libraria dei testi antichi dall'età romana al tardo medioevo, a cura di M. Buonocore, Fratelli Palombi Editori, Roma 1996, pp. 481-486; Gennaro Toscano, scheda 122, in La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento, a cura di G. Baldissin Molli, G. Mariani Canova, F. Toniolo, Panini, Modena 1999, pp. 308-309.

English abstract

This essay aims to describe the Renaissance illustrated transcription of the Iliad preserved in Padua. The text analyze affinities and contrasts between the greek and the latin version.

 

keywords | Renaissance; Padua; Manuscript; Iliad; Greek; Latin.

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2004.30.0003