Dall'ira di Achille alla morte di Ettore: l'Iliade per figure
Recensione alla mostra: "Iliade", a cura di Angelo Bottini e Mario Torelli, Roma, Colosseo, 9 settembre 2006-18 febbraio 2007; catalogo a cura di Angelo Bottini e Mario Torelli, Mondadori Electa, Milano 2006
Margherita Guerrieri
"Abbi coraggio in cuore, Dardanide Priamo, non spaventarti!
Io non vengo davvero per annunciarti un dolore,
ma volendoti bene: ti son messaggera di Zeus,
che pur lontano, ha molta cura e compassione di te.
Comanda l'Olimpio che tu riscatti Ettore luminoso".
Omero, Iliade XXIV, vv. 171-175
Con questi versi inizia la mostra romana sull'Iliade omerica. Con un episodio centrale del poema, le cui parole furono incise sul muro di un edificio annesso alla dimora imperiale degli Horti Sallustiani, con tutta probabilità da un ragazzo che si esercitava nella scrittura agli inizi del III secolo d.C.
Il frammento di intonaco che reca questi versi è stato volutamente posto come incipit del percorso espositivo, a significare la fama imperitura e universale che da sempre circonda il più famoso poema dell'antichità, e il suo valore formativo, capace da solo di delineare un'identità culturale: il primo verso del poema "Cantami, o diva, del Pelide Achille l'ira funesta" nella versione montiana, è ancor oggi la formula, l'icona verbale dell'apprendimento del 'classico', che evoca, per automatismo mnemonico e per incantamento poetico, un mondo di dei, eroi e miti che costituiscono contemporaneamente il punto di inizio e il patrimonio di base della cultura occidentale.
La mostra del Colosseo ha come chiaro intento quello di tradurre in immagini i versi omerici, accompagnando il visitatore lungo un percorso, prettamente iconografico, che si snoda sinuoso attraverso gli ambulacri del monumento alla scoperta dei protagonisti del poema e dei più famosi episodi, libro dopo libro, in cui sono coinvolti.
Se la mostra ha scelto un taglio iconografico, che alludesse e fosse di stimolo alla conoscenza dei problemi storici e letterari che stanno dietro i versi del poema, il catalogo dell'esposizione cerca, con i suoi saggi redatti da storici, archeologi e filologi, di rispondere a quei problemi o, comunque, di porli in modo più esaustivo: la questione 'omerica' in tutti i suoi aspetti è infatti tanto vasta quanto la fama stessa dei suoi poemi.
Prima di tutto infatti, anche nel percorso espositivo a testimoniare la fama dell'Iliade è proprio il suo creatore, Omero, raffigurato in opere molto diverse tra loro ma nelle quali emergono tutti i tratti tramandatici dalla tradizione sul primo poeta della civiltà occidentale: innanzitutto la cecità e l'anzianità, simboli entrambi di sapienza e ispirazione divina. Del "cieco di Chio" in realtà non sappiamo niente di storicamente provato, nemmeno se la sua esistenza fu reale o leggendaria, e dunque il suo è un ritratto tutto 'letterario', quanto le sue stesse creature poetiche. Ma quel che importa qui è il suo ruolo di iniziatore e di riferimento costante: con i suoi versi Omero ha infatti dato voce a un mondo di valori eroici e religiosi in cui i Greci – e i Romani, seppur in modo diverso – si riconobbero per secoli, e che anche per noi, oggi, rappresentano la più 'nobile' grecità.
Il kleos, la gloria postuma – l'unica cosa che resta dei mortali, una volta divenuti inconsistenti spettri, eidola nell'Ade – è ciò che auspica Achille: e sono esattamente ta klea andron, le gesta degli eroi, che Omero ci consegna nei suoi versi. I protagonisti del poema sono infatti gli eroi greci e troiani con le loro virtù e i loro difetti, accanto ai quali combattono, litigano, amano gli dèi, anch'essi in forma pienamente antropomorfa: gli uni e gli altri hanno ricevuto la loro prima e più duratura fisionomia proprio dai versi di Omero.
Più di tutti proprio Achille, il più perfetto tra gli eroi, è presente in mostra in una delle opere più famose che lo ritrae, l'anfora del Pittore di Achille dei Musei Vaticani, e anche, stando alle ipotesi critiche più recenti, nel Doriforo di Policleto, rappresentato dalla testa del Museo Barracco. Come si sa, la sua figura è il cardine attorno a cui ruotano tutte le storie del poema, e la mostra rende conto di questa centralità presentando, tra le altre, l'immagine della madre Teti nella statua della Stazione Termini, simbolo dell'amore materno ma anche allusione alla tragica e ineluttabile fine del figlio, l'addio alla schiava Briseide e l'inizio della menis "che infiniti addusse lutti agli Achei", la morte del prediletto Patroclo e lo scatenarsi della vendetta contro Ettore, fino alla sua brutale uccisione che conduce, con i riti funebri per l'eroe, alla chiusa del poema.
Nonostante la sua fama, stranamente, l'Iliade non ha però prodotto la quantità di immagini che ci saremmo aspettati, e dunque non facile è stato il reperimento – nella prospettiva dell'oraziano ut pictura poesis che informa la mostra – delle raffigurazioni di tutti gli episodi ritenuti poeticamente più importanti. In età antica infatti gli episodi che ricorrono nelle figurazioni vascolari e di altro genere sono quasi sempre gli stessi, topoi iconografici caricati poi di diversi valori e interpretazioni, a seconda dell'epoca cui queste si riferiscono.
La forza evocativa e fantastica dell'Iliade, comunque, non ha mai cessato di influenzare la cultura occidentale, forse proprio perché nel poema di Omero, a ben vedere, si possono trovare le più vive rappresentazioni di quei valori che continuano a parlare anche al cuore dell'uomo moderno: non solo l'esaltazione della virtù eroica, la vicinanza di mondo umano e mondo divino, l'ineluttabilità del fato e della morte, ma anche tutta la potenza delle passioni umane, dall'ira, all'amicizia, alla pietà.