"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Narciso: storie di acque e ninfe, di lacrime e specchi

Recensione: Maurizio Bettini, Ezio Pellizer, Il mito di Narciso. Immagini e racconti dalla Grecia ad oggi, Torino 2003

Federico Boschetti

La verità del mito consiste nella totalità delle sue varianti o, in termini più formali, il valore di verità del discorso mitico è dato dalla somma logica delle sue negazioni. Ciò significa che nella dimensione del mito non sono in vigore il principio del terzo escluso, il principio di non contraddizione e il principio di identità. E fra tutti i racconti degli antichi ce n’è uno giocato interamente sui paradossi generati dal rifiuto di quest’ultimo principio, dunque un mito che, parlando d’altro (storie di acque e ninfe, di lacrime e specchi), in realtà parla dell’essenza stessa del discorso mitico: il mito di Narciso, appunto.

Alle sue metamorfosi nella letteratura e nell’arte è dedicato il libro pubblicato recentemente da Einaudi nella serie “Mythologica” dal titolo Il mito di Narciso. Immagini e racconti dalla Grecia ad oggi, diviso in due parti costituite da un racconto di Maurizio Bettini e da un saggio di Ezio Pellizer.

Il saggio, destinato a un pubblico non specialistico, si rende godibile alla lettura, rimandando in nota gli approfondimenti. Pellizer, indagando le fonti letterarie e iconografiche, afferma che in Grecia la storia di Narciso esisteva in una forma alquanto semplice, mentre il mito di Eco costituiva un tema del tutto indipendente. Si può supporre quindi, in mancanza di prove contrarie, che sia Ovidio il primo a far confluire nel medesimo racconto la follia del fanciullo che s’innamora della propria immagine riflessa nell’acqua e le pene della ninfa che rimanda gli ultimi suoni della voce altrui.

In questo modo il gioco di specchi si moltiplica, offrendo al tema della riflessione ottica una controparte acustica. Dopo Ovidio, il mito conosce una fortuna straordinaria, come si può dedurre dall’onomastica e dalla ripresa del tema nella letteratura e nell’arte. Uno dei pregi di questo saggio è proprio l’attenzione al patrimonio iconografico sulla figura di Narciso: attraverso i dipinti e le sculture è possibile scoprire nuove varianti, studiare la diffusione di una particolare versione, seguire il gioco di rimandi fra letteratura e arti visive, nelle ekphraseis, le descrizioni di opere d’arte. Ma chi ha visto Narciso nella fonte? A questa domanda, che il pubblico non specialistico cui è destinato il saggio potrebbe liquidare con un affrettato “se stesso”, l’indagine di Pellizer offre le risposte più stimolanti. Intrecciando metodo filologico, semantica strutturale e psicanalisi, l’autore scopre nella fonte una vera e propria lanterna magica capace di proiettare, attraverso i secoli, sempre nuove immagini: quell’enigmatico e profondissimo “se stesso” contenuto nella profezia di Tiresia: “vivrà a lungo, se non conoscerà se stesso” si è frantumato infatti in un gioco caleidoscopico di varianti che hanno mostrato nella fonte, di volta in volta, l’ombra della madre, del padre, di una sorella gemella, di Eco, della ninfa della fonte o addirittura della fonte stessa, che nella versione di Oscar Wilde confessa di avere amato Narciso perché poteva specchiarsi e ammirare se stessa nel riflesso degli occhi del fanciullo.

Le varianti di un mito non sono propriamente assimilabili a varianti testuali (per le quali accogliere la più vicina all’archetipo nel testo è relegare tutte le altre in apparato) quanto piuttosto a variazioni musicali, dove il tema si trasforma pur mantenendo la propria identità e dove ciascuna mutazione non è negazione delle altre ma anzi acquista valore solo in rapporto ad esse. Ecco allora che l’analisi narratologica offre strumenti adeguati per seguire queste variazioni disponendo su diversi righi, come su una partitura musicale, le interazioni sincroniche fra personaggi, oggetti o entità astratte sulla scena (gli attanti), gli sviluppi diacronici della vicenda narrata, nello spazio di poche battute o di più ampi fraseggi, e le trasformazioni diatopiche e diacroniche del mito stesso dalla Grecia a Roma, all’intero Occidente, dall’Antichità al Medioevo, ai giorni nostri. Il racconto di Bettini è posto all’inizio del libro per essere letto due volte, prima e dopo il saggio, come lettore ingenuo capace di raccogliere le emozioni di una storia inaudita, la prima volta, e come lettore critico in cerca delle fonti, la seconda volta. Il Narciso di Bettini infatti vive ai nostri giorni, ha attraversato tutte le epoche, ha viaggiato dalla Grecia fino all’America e tutte le varianti fanno parte della sua biografia.

Tuttavia, a questo Narciso non è destinata l’Ewigkeit, l’Eternità dei Romantici, ma una vita lunga quanto quella delle ninfe, quanto quella di Eco dunque, da lui calcolata in novemila settecento venti anni, il tempo quindi della memoria storica, il tempo sufficiente a seppellire nell’oblio nomi e cose, per lasciare rifiorire, rinnovate, solo le strutture profonde del mito. Bettini riconosce che la nostra sensibilità moderna è l’erede di Narciso, così, se per Pausania “è una storia completamente idiota” che qualcuno si innamori della propria immagine, e, possiamo dedurre, di se stesso (si veda p. 89, nella sezione Testi), nel racconto moderno il rimprovero viene rivolto, invertito di segno, ad Eco:

Come si può essere così stupidi da morire per amore? [...] Come si può pensare di amare un’altra persona più di se stessi?