"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

155 | aprile 2018

9788894840339

Diritto allo studio come diritto alla città?

Daniele Lazzarini

English Abstract

Ritorno in Piazza, l’acqua e le pietre, fotografia di Anna Zemella, 2016.

Premessa. Il Diritto allo Studio

Il diritto allo studio universitario deve considerarsi un diritto sociale e soggettivo, che trova il fondamento nell’art. 34 della Costituzione dove viene affermato il diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, di raggiungere i gradi più alti degli studi e il dovere della Repubblica di eliminare le diseguaglianze economiche che ostacolano tale compimento. Proprio dall’esigenza di assicurare il rispetto dei principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), nasce la previsione della selettività nell’attribuzione delle provvidenze, sia per individuare, sulla base di criteri di merito e di reddito, i destinatari “capaci e meritevoli, privi di mezzi”, sia perché deve essere bilanciato con altri diritti o interessi costituzionalmente tutelati. Deve considerarsi, tuttavia, che la competenza dello Stato italiano nel settore dell’istruzione e del diritto allo studio è relativamente recente, avendo poco più di un secolo di vita.

Il nostro Paese, infatti, tardò a raggiungere le conclusioni introdotte dalla Costituzione francese del 1791, che fu la prima a riconoscere all’accesso alla conoscenza un valore di diritto per tutti i cittadini, da tutelare attraverso lo Stato. I Regi Decreti del 1848, pur rappresentando storicamente il nucleo fondante del futuro sistema scolastico italiano, lasciavano ancora molta autonomia nella gestione scolastica. Solamente nella fase successiva, compresa tra il 1861 e il 1923, vi fu un intervento statale diretto, fortemente centralistico, teso alla riorganizzazione didattica e organizzativa dei sistemi scolastico e universitario.

Sebbene durante gli anni ’20 e ’30 risultava evidente un impegno, quantomeno formale, del legislatore nei confronti delle problematiche studentesche, mancava ancora una concezione di Stato livellatore delle disuguaglianze sociali capace di promuovere, anche attraverso l’istruzione, il progresso sociale e la manifestazione completa delle capacità individuali. È solo a seguito dell’approvazione della Carta costituzionale che venne formalmente assegnato alla Repubblica il compito di fornire ai cittadini gli strumenti per consentire questo sviluppo, a prescindere dalle possibilità economiche. Il processo di attuazione di tale principio fu tuttavia estremamente lento. Con il Dpr. 616/1977 le competenze furono trasferite alle Regioni, mentre l’attuazione degli interventi a favore degli studenti entrò nel vivo solo in seguito alla riforma introdotta dalla L. 390/1991 “Norme sul diritto agli studi universitari”, che obbligò il legislatore a intervenire a fronte delle troppe differenze tra i diversi sistemi locali di assistenza universitaria.

Tale norma, nonostante la Riforma del Titolo V della Costituzione ne abbia indebolito in parte i dettati, è ancora oggi la legge che regola il settore, assegnando le specifiche responsabilità alle istituzioni coinvolte, in un quadro di reciproca collaborazione. Allo Stato spetta l’indirizzo, il coordinamento e la programmazione degli interventi, alle università l’organizzazione dei propri servizi, compresi quelli di orientamento e di tutorato, mentre alle Regioni compete l’attivazione degli interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per la sua concreta realizzazione, in particolare: l’erogazione di servizi collettivi, tra cui mense, alloggi, l’assegnazione di borse di studio, l’orientamento al lavoro e l’assistenza sanitaria. Al fine di garantire l’uniformità di trattamento sul territorio nazionale, la norma ha inoltre previsto l’emanazione, ogni tre anni, di un decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.).

La Regione Veneto ha provveduto a dare attuazione a tale norma-quadro attraverso la legge regionale n. 8 del 7 aprile 1998 che, da un punto di vista organizzativo, ha istituito tre Aziende, una per ogni città sede di ateneo, alle quali sono state affidate le scelte sulle tipologie, la qualificazione e lo sviluppo dei servizi per il diritto allo studio DSU, nel rispetto degli indirizzi regionali, in un rapporto di stretta relazione con i Comuni e le università e di concertazione (accordi, intese e convenzioni) con soggetti pubblici e privati in un ottica di ampliamento dell’offerta e del numero degli studenti coinvolti.

La successiva legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” ha modificato considerevolmente il quadro dei rapporti tra Stato e Regioni, imponendo al legislatore regionale dei particolari limiti derivanti dalla natura del diritto allo studio universitario quale diritto sociale, da garantirsi ad un determinato livello (LEP livelli essenziali delle prestazioni) su tutto il territorio nazionale. Il rischio, come espresso dalla dottrina (Belletti 2006), è che l’ambito di operatività delle competenze statali c.d. trasversali possa espandersi a tal punto da espropriare lo spazio di autonomia legislativa delle Regioni.

Risultano infatti ancora vincolanti sia la legge-quadro sia il D.P.C.M. di attuazione, nelle parti in cui garantiscono il rispetto dei livelli essenziali su tutto il territorio nazionale. Ad oggi le Regioni possono autonomamente disciplinare degli ulteriori strumenti d’intervento a favore del diritto allo studio, integrandoli con altre politiche settoriali, su cui godono di una competenza propria (servizi sociali, istruzione professionale, istruzione scolastica, orientamento al lavoro). In questo quadro, uno degli strumenti di attuazione delle politiche per il diritto allo studio a maggior impatto per il territorio è rappresentato dalla gestione della residenzialità universitaria.

Il contesto della città di Venezia

La presenza degli atenei a Venezia costituisce un elemento qualificante della città, la quale ospita, oltre alle due prestigiose Università Ca’ Foscari e Iuav, gli istituti parte del comparto universitario dell'alta formazione artistica: musicale e coreutica (AFAM) dell’Accademia di Belle Arti e del Conservatorio di Musica Benedetto Marcello. Sebbene negli ultimi anni si registri a livello nazionale un calo delle iscrizioni, le due principali università cittadine dimostrano una sostanziale tenuta complessiva, che consolida un periodo di forte crescita, superiore al 60% da inizio secolo, e che permette il mantenimento costante della soglia dei 26 mila iscritti complessivi (Ministero Istruzione Universitaria Ricerca – Miur).

L’offerta formativa cittadina è ulteriormente arricchita dai corsi di specializzazione post laurea, quali master e dottorati, nonché dai corsi di scambio culturale promossi nell’ambito dei programmi di mobilità internazionale, che possono valutarsi in oltre 2.500 unità/anno. Complessivamente, quindi, possiamo stimare in quasi 30.000 unità il bacino di frequentazione annua delle università veneziane, considerando anche docenti e ricercatori, visiting professor, professori in mobilità, a fronte di una popolazione residente nell’intero comune di circa 261.000 abitanti (incidenza superiore alla media delle grandi metropoli europee e delle maggiori città italiane) e di un centro storico, sede principale degli atenei, che registra una continua emorragia di residenti, scivolati sotto le 54.000 unità, con un trend in riduzione costante. La popolazione universitaria costituisce quindi una vera e propria “città nella città”, in un quadro urbano contraddistinto da una dimensione demografica in declino, e caratterizzato da fenomeni d’invecchiamento più accentuati che nel resto del territorio provinciale. Rappresenta il quarto raggruppamento per ordine d’importanza nella composizione della popolazione dopo i residenti anagrafici, i turisti (pernottanti ed escursionisti) e i pendolari per lavoro. Il soddisfacimento del fabbisogno abitativo connesso a tale tipologia di utenti e un adeguato livello di offerta ad essa dedicata, assumono una valenza più ampia legata al ruolo che la componente studentesca può svolgere a Venezia per il “rinnovamento” della popolazione e per il mantenimento della vitalità cittadina.

La capacità attrattiva legata al mondo universitario (studenti, ricercatori o personale accademico, anche provenienti da altri Paesi) è, infatti, in grado di attivare un circolo virtuoso sia per le università che per il territorio che le ospita. Risulta quindi utile approfondire l’analisi sulla provenienza degli studenti iscritti alle università cittadine. È utile ricordare che viene definito “fuori sede”, lo studente residente in un comune o località distante dalla sede universitaria più di 80 Km o che richiede un viaggio con tempo di percorrenza maggiore agli 80 minuti, e che per questo motivo alloggia a titolo oneroso presso la sede universitaria per un periodo non inferiore a 10 mesi. Vengono inece definiti “pendolari” coloro che risiedono in comuni dai quali sia possibile il trasferimento quotidiano verso la sede universitaria, entro distanze comprese tra i 40 e 80 km e/o tempi di percorrenza compresi tra i 40 gli 80 minuti dal luogo di residenza.

I dati evidenziano come le università veneziane esprimono una capacità di attrazione sul territorio prevalentemente di breve-medio raggio; infatti, fra studenti in sede (24%) e pendolari (36%), sono 4 studenti su 10 ad essere fuori sede. Di quest’ultimi il 30% risiede comunque in Veneto, ma oltre gli 80 km dalla sede universitaria o impiega più di 80 minuti per raggiungerla, il 59% risiede in altre Regioni, e l’11% è di nazionalità straniera (Ministero Istruzione Universitaria Ricerca – Miur). Si evidenzia un trend in costante crescita degli studenti fuori sede iscritti nelle università cittadine che, in dodici anni, risultano aumentati di oltre il 135%, quindi in misura più che doppia all’aumento degli iscritti, registrati nello stesso periodo.

Si arriva a concludere che i potenziali studenti interessati a un servizio residenziale a Venezia, supera le 10.000 unità, oltrepassando il 40% degli iscritti, e la capacità di fornire una risposta efficace a tale esigenza costituisce un indubbio fattore di competitività degli atenei in campo nazionale ed internazionale. Di questi si stima che oltre 6.000 studenti (più del 60%), attualmente già risiedano nel centro storico di Venezia. Giovani dai 19 ai 25 anni, anonimi per le statistiche demografiche, ma che rappresentano oltre un decimo degli abitanti della città antica e che corrispondono al doppio dei 3.000 giovani residenti (oltre il 5% del totale anagrafico) con la stessa fascia d’età.

L’impatto economico sull’economia cittadina

Per misurare l’impatto della realtà universitaria sul sistema economico, si quantificano le risorse che gli atenei attirano nell’area svolgendo un’analisi controfattuale, evitando cioè di contare più volte le stesse risorse, come pure di includere risorse che sarebbero comunque state investite nell’area anche in assenza degli atenei. Andranno quindi considerate le risorse provenienti dal sistema pubblico (ad esempio stipendi pagati, borse di studio, investimenti in infrastrutture quali edifici, biblioteche, laboratori); attraverso i consumi effettuati nell’area; le spese effettuate e tasse locali pagate dal personale e dagli studenti che si stabiliscono nell’area per lavorare o studiare; gli stipendi pagati e consumi effettuati dalle imprese nate come diretta conseguenza delle attività universitarie; ed altro. Una volta operata tale quantificazione (effetti diretti) vengono poi calcolati gli effetti indiretti e gli effetti indotti della presenza di queste risorse, dove:

– effetti indiretti: si riferiscono al fatto che un aumento delle spese realizzate in una certa area geografica porta a un aumento negli acquisti di beni e servizi intermedi necessari per soddisfare l’accresciuta domanda, il che aumenta il livello di attività economica in questi settori; a loro volta, i fornitori di beni e servizi intermedi, aumentano la loro domanda di beni prodotti da altri settori, con un effetto a cascata;

– effetti indotti: si riferiscono al fatto che un aumento delle spese in una certa area geografica porta a un aumento dei redditi percepiti in quell’area, il che genera ulteriori consumi, i quali a loro volta si traducono in maggiori redditi, e così via.

Considerando i dati emersi dallo studio L’impatto dei cafoscarini su Venezia, realizzato nel 2014 da ricercatori del Dipartimento di Economia dell’Università di Ca’ Foscari, attualizzando e proporzionando le risultanze all’intera comunità universitaria, si evidenzia che l’intera comunità universitaria, costituita dagli studenti, ricercatori, docenti e dipendenti degli atenei cittadini, spende annualmente nel contesto cittadino più di 15.000.000,00 di euro all’anno (con la componente studentesca che contribuisce per quasi l’80%). La destinazione della spesa evidenzia che il 68,7%, viene impiegato in generi alimentari, il 19,7% per la soluzione abitativa, il 6,7% in trasporti ed il restante 5% per cultura e tempo libero. Dall’elaborazione, i ricercatori hanno trovato conferma del fatto che gli studenti che abitano a Venezia hanno un impatto maggiore sull’economia cittadina rispetto ai pendolari, poco inclini ad acquisti in città. Inoltre, tra chi abita a Venezia, l’83% si è trasferito in città e solo il restante 17% è veneziano da sempre, dimostrando quanto gli atenei attraggano residenti in centro storico e risultino fondamentali nello sviluppo della residenzialità cittadina.

L’offerta residenziale a Venezia

Sul fronte della disponibilità di alloggi destinati ad alloggi universitari, Venezia non dispone di un’offerta adeguata alla domanda. Il problema, com’è ovvio, non è solo veneziano ma interessa in maniera generalizzata il sistema universitario italiano, chiamato ad attivarsi per dotarsi di servizi di ospitalità in grado di allineare l’offerta formativa a quella di altri Paesi europei. Sono le strutture di diritto allo studio, gestite dalle aziende regionali, a detenere, in genere, la quota prevalente di posti letto espressamente diretti alla domanda studentesca. Una situazione che si conferma anche a Venezia, dove l’offerta dei 720 posti letto, attualmente gestiti dall’Esu di Venezia, copre oltre il 7% degli studenti fuori sede: in sostanza, un posto letto ogni 14 studenti fuori sede – rispetto alla media nazionale di un posto ogni 15 studenti (con una copertura superiore al 6%) con un incremento di oltre il 47% dell’offerta negli ultimi 12 anni, superiore all’incremento medio nazionale attestatosi al +34%. Significativa è anche la quota di posti letto immessa sul mercato da strutture e collegi di carattere religioso o affine, con oltre 500 posti letto disponibili.

In totale, quindi, poco più di 1.200 risorse abitative sono reperibili attraverso i canali istituzionali, pubblico (12%) o religioso (8%), a fronte di una popolazione studentesca di oltre 26 mila unità, e di un fabbisogno abitativo stimato, come detto, di almeno 10.000 posti letto (elaborazioni Esu Venezia). Tutto il resto dell’offerta attiene al mercato abitativo privato (80%), che continua a rappresentare il principale ambito di riferimento della domanda studentesca. Tuttavia le crescenti trasformazioni d’uso del patrimonio residenziale locale, da abitativo a ricettivo extra-alberghiero, che hanno trovato ampia diffusione in particolar modo nella città antica1, accompagnate a un’inadeguatezza economica delle proposte rimaste per un’utenza con scarsi mezzi, non permette la soddisfazione della crescente domanda da parte dell’utenza studentesca.

Le residenze universitarie dell’Esu di Venezia

Il posto alloggio in residenza non costituisce soltanto un aiuto economico, un importante elemento di leva nella fase decisionale della sede di studio, ma rappresenta anche un elemento di crescita, di scambio, di supporto negli studi, un lievito delle conoscenze ed esperienze. I fattori che infatti guidano la scelta degli studenti sono molteplici: alcuni endogeni, fra i quali certamente la varietà e la qualità dell’offerta formativa e il prestigio degli atenei; altri esogeni, legati al contesto in cui sono insediati come le condizioni del mercato del lavoro, la rete di trasporti, i servizi offerti agli studenti. L’ambiente delle residenze universitarie è caratterizzato dalla convivenza aperta e amichevole tra persone delle più diverse provenienze geografiche, culturali e sociali, dalla concreta valorizzazione della libertà personale e della corrispondente responsabilità. La particolarità di Venezia ha favorito progetti di residenzialità che hanno visto la riconversione di importanti complessi architettonici, recuperati, restaurati e trasformati in alloggi per studenti, permettendo agli occupanti di vivere un’esperienza nella storia della città.

La residenza universitaria Ai Crociferi

L’insediamento e la costruzione del Convento dei Crociferi (ordine legato alle crociate in Terrasanta) con chiesa e oratorio, risale alla metà del XII secolo; incendiato nel 1514, l’edificio venne ricostruito e notevolmente ampliato, con la soppressione dell’Ordine dei Crociferi (1656) il convento venne acquistato dai Gesuiti che si insediarono nell’area. Dopo il 1807, con l’avvento di Napoleone e la demanializzazione delle strutture ecclesiastiche, la costruzione venne destinata ad ospitare il distretto militare e una caserma (dedicata alla famiglia Manin), funzione che conservò fino al secondo dopoguerra quando progressivamente venne svuotato restando abbandonato per oltre cinquant’anni. La realizzazione della residenza universitaria Ai Crociferi, con 255 posti letto, è stata possibile con il concorso di numerosi enti e istituzioni: il Comune di Venezia (quale proprietario del complesso del quale ha garantito la concessione in diritto di superficie quarantennale a titolo gratuito); il MIUR e la Regione del Veneto (attraverso l’Esu di Venezia) che hanno cofinanziato l’intervento di recupero; la Fondazione di Venezia (che ha sostenuto le spese tecniche e di progettazione); l’Università Iuav, che ha curato il progetto di recupero e adeguamento alla nuova destinazione del complesso conventuale.

La residenza universitaria Maria Ausiliatrice

Il complesso degli edifici che ospitava la “Casa Maria Ausiliatrice”, ha un’origine antichissima. Una chiesa e un ospedale erano stati eretti già nel 1171 o 1181 da una Confraternita, dapprima per ospitare i pellegrini diretti in Terra santa, per poi assistere malati e feriti. Nel XIV secolo, l’ospedale divenne di rilevante importanza nell’ambito dell’organizzazione sanitaria veneziana, tanto che venne ampliato nel 1341 e 1350 con l’acquisizione di alcuni edifici confinanti. Contemporaneamente venne ricostruita la chiesa che nel frattempo era stata demolita. La destinazione ospedaliera permane fino ad inizio 1800, quando l’attività sanitaria venne trasferita all’Ospedale Civile e la proprietà cominciò a frazionarsi. Nel 1861 la gran parte degli edifici vennero acquistati dalle Figlie di Maria Ausiliatrice di San Giovanni Bosco, che vi fondarono la Casa Maria Ausiliatrice con asilo, scuole elementari, scuola di lavoro e collegio. Ora una parte del complesso è adibita a residenza universitaria e ospita 62 studenti.

La residenza universitaria Ex Junghans

Il complesso industriale degli stabilimenti Junghans, che fabbricavano orologi e congegni di precisione, venne fondato nel 1878 dai Fratelli Herion, agenti generali per l’Italia dell’azienda tedesca Gebrüder Junghans di Schramberg nel Württemberg. La collocazione dello stabilimento fu individuata nella parte centrale dell’isola della Giudecca, che dalla fine dell’Ottocento era diventata l’area industriale cittadina dove avevano trovato de­stinazione molte fabbriche e stabilimenti (tra gli altri il Molino Stucky, distillerie e birrerie, indu­strie tessili e manifatturiere, cantieri navali). Nel 1943, per rispondere alle esigenze di produzione bellica, lo stabilimento venne debitamente ampliato, estendendosi su una superficie di 20.000 mq ed arrivando ad impiegare circa 4.000 addetti. Anche l’immobile Junghans – che ancora alla fine degli anni Settanta contava oltre 650 addetti, rappresentando il più importante nucleo di produzione industriale privato di Venezia – iniziò a registrare una crisi produttiva e occupazionale, che determinò la graduale chiusura dello stabilimento, avvenuta definitivamente nel 1993 con l’abbandono dell’area occupata per oltre cent’anni. Dal 2003 l’intero complesso, ristrutturato, è adibito a residenza universitaria e ospita 243 studenti.

Le prospettive a medio termine

Lo scenario della residenzialità universitaria veneziana che andrà a realizzarsi nei prossimi anni sarà radicalmente diverso da quello attuale. Infatti, grazie alle opportunità fornite dalla legge 338/2000, nei prossimi anni prenderanno avvio degli importanti progetti che consentiranno di quasi triplicare l’offerta pubblica di posti alloggi. Il primo intervento riguarda l’area di Santa Marta, dove è già stata avviata la realizzazione di una residenza studentesca di 640 posti letto, mentre nell’Area di San Giobbe è previsto un secondo progetto per uno studentato da 230 posti letto. La terza struttura si posiziona invece all’interno del campus scientifico di via Torino a Mestre e comprenderà complessivamente altri 300 posti letto. Questi tre interventi, promossi direttamente dall’Università Ca’ Foscari, sono stati ammessi e finanziati con il III bando della L.338/2000. Partecipando al successivo IV bando della L.338/2000, è stato invece Esu di Venezia a presentare il progetto per la completa ristrutturazione di una residenza universitaria a Marghera (chiusa dal 2006 per l’assenza di messa a norma antincendio), prevedendo così una completa riqualificazione architettonica ed energetica dell’immobile, con aumento finale di volumetria grazie al Piano Casa, con l’ottenimento di una capacità ricettiva di 90 posti letto.

Questi ulteriori 1.250 posti letto, disponibili in ambito istituzionale, permetteranno di aumentare, al 20%, l’incidenza della risposta pubblica alla domanda residenziale complessiva, proveniente dagli studenti fuori sede, triplicando la media nazionale. Con la realizzazione dei progetti in centro storico si andranno, probabilmente, a ridurre notevolmente le possibilità di riconversione di grandi contenitori da adibire a residenzialità collettiva; è per questo che Esu ha intrapreso da anni una proficua collaborazione con l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale di Venezia, per la gestione di soluzioni abitative alternative in appartamenti, non destinati alla residenzialità pubblica. Ad oggi, questa sinergia ha permesso il recupero di una parte di patrimonio pubblico, garantendo un alloggio a quasi 100 studenti.

Lo sviluppo della conoscenza

Negli ultimi decenni il tema della conoscenza/cultura è diventato fondamentale e prioritario per lo sviluppo dei territori. Sono numerosi gli studi e gli approfondimenti sui rapporti tra città e cultura, tra città e innovazione, e sul ruolo che la cultura, la ricerca e la conoscenza hanno nello sviluppo o nella trasformazione di un territorio. Considerato il ruolo fondamentale che l’università svolge nella produzione della conoscenza, è inevitabile che sia coinvolta attivamente nel processo di sviluppo economico. L’università sta acquisendo, infatti, un ruolo sempre più importante per la crescita dei sistemi regionali e locali e per la definizione di strategie di sviluppo e priorità di intervento a livello territoriale.

Per definire questa nuova fase Etzkowitz fa riferimento al modello della cosiddetta ‘Tripla elica’, che si basa sulle relazioni tra impresa, istituzioni di governo e università, partendo dal presupposto che i movimenti generati dai tre sistemi non si basino sulla casualità, ma sul ruolo attivo che ognuno di essi svolge nel contesto di riferimento (Etzkowitz, Leydesdorff 2000). È importante, quindi, che ogni sistema si attivi per mettere in moto ‘l’elica’ e avviare processi virtuosi nei differenti contesti territoriali in cui opera. Il modello della ‘Tripla elica’ risulta collegato al tema, attualmente molto dibattuto, della terza missione dell’università. Proprio per le ricadute socio-economiche e territoriali, si è andata infatti definendo una terza missione dell’università, che va ad affiancarsi a quelle tradizionali di ricerca scientifica e formazione, come complesso di funzioni e attività connesse alla diffusione della conoscenza e al trasferimento tecnologico che sono state potenziate negli ultimi anni in tutti i paesi europei.

Alcuni tipi di apporto che l’università può generare all’interno di un territorio e/o di una città derivano da: “la qualità elevata della ricerca e la sua internazionalizzazione”, come fattore che genera sviluppo sul territorio in termini di ricadute economiche indirette, di riconoscibilità dall’esterno, di attrattività nei confronti dei talenti sia docenti che studenti; “gli investimenti nella ricerca, nella diffusione della conoscenza e del trasferimento tecnologico”, attraverso la promozione dei contatti università e industria, la valorizzazione commerciale dei risultati della ricerca, l’impulso a nuove iniziative imprenditoriali, la realizzazione di nuove infrastrutture; il ruolo “nella definizione dell’identità culturale” di una città e di un territorio e il processo di identificazione nelle componenti materiali e immateriali universitarie, considerate come simboli della città e come assi prioritari su cui impostare le strategie di sviluppo e di promozione all’esterno; “la partecipazione dell’università alla vita della città”, alla realizzazione di progetti immobiliari e culturali specifici (Lazzeroni 2014).

Un circolo virtuoso da sostenere

Il sostegno e lo sviluppo di un’economia della conoscenza deve considerarsi come una delle strategie maggiormente efficaci, a livello urbano, per innescare un circolo virtuoso che si autoalimenta con l’attrazione del migliore capitale umano, lo sviluppo delle sue competenze professionali, la valorizzazione nel contesto lavorativo locale, anche attraverso l’offerta di una sistemazione abitativa adeguata. Puntare su questo modello significa riconoscere al mondo universitario la funzione di possibile, e forse unico, serbatoio di nuovi cittadini da opporre allo spopolamento e l’impoverimento del tessuto sociale.

Il settore culturale e creativo è infatti un settore in forte crescita, con un tasso di sviluppo più alto rispetto al resto dell’economia. Anche nella dimensione occupazionale mostra la migliore performance rispetto a tutti gli altri settori economici, spingendo la crescita di altri settori dell’economia europea e, in particolare, dei settori dell’innovazione e delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La ricerca Economia della cultura in Europa (Ministero Istruzione Universitaria Ricerca – Miur), ha dimostrato che la cultura e la creatività rappresentano il vantaggio competitivo per eccellenza del Vecchio Continente rispetto alle economie di altre grandi aree (KEA 2006). I benefici apportati dalla cultura alle economie nazionali sono infatti di portata maggiore del mero utilizzo di beni culturali: la cultura è usata indirettamente da molti settori economici non culturali come fonte d’innovazione (KEA 2006, 33). In altre parole, ogni manifestazione inerente l’ambito artistico e culturale è potenzialmente in grado di generare un effetto a cascata, coinvolgendo i settori produttivi collegati: ne conseguono circuiti virtuosi in grado di alimentare ricchezza e benessere per la città.

In questa nuova economia digitale, il valore immateriale determina sempre più il valore materiale, perché i consumatori cercano esperienze nuove e arricchenti; le industrie culturali e creative sono anche importanti forze motrici dell'innovazione economica e sociale in numerosi altri settori. Nel 2016 il Sistema Produttivo Culturale e Creativo ha prodotto un valore aggiunto pari a 89,9 miliardi di euro (rapporto Io Sono Cultura 2017. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi elaborato da Fondazione Symbola e Unioncame, 2017), ossia un valore superiore al comparto della finanza o al comparto della meccanica, o a quello della sanità privata pari al 6% del valore aggiunto nazionale, ed impiega quasi 1,5 milioni di lavoratori e attiva altri settori dell’economia, arrivando a costituire una filiera culturale, intesa in senso lato, di 250 miliardi di euro.

Conclusioni

L’evoluzione storica ci conferma che lo sviluppo dell’università e del mondo ad essa correlato (di cui Esu di Venezia è parte integrante), è stato effetto, e al tempo stesso causa, dello sviluppo della città, non solo sul piano culturale e scientifico ma anche in relazione alle economie prodotte e alle stesse vicende sociali. La localizzazione di un insediamento universitario comporta, infatti, la creazione di servizi e di diversi indotti economici nel territorio, implementando il consumo di risorse e beni necessari ad alimentare e fornire il servizio universitario, da un lato, e dall’altro, la produzione di capitale umano, know-how, reddito, sviluppo economico ed opportunità per lo sviluppo sia nel breve che nel lungo periodo. È inevitabile quindi che università e città continuino a condividere una le sorti dell’altra, in un continuo scambio di saperi, risorse e capitale umano. Ospitare un importante polo universitario e culturale costituisce, in particolare per la città di Venezia, un sicuro vantaggio competitivo e rappresenta un’opportunità fondamentale sia in termini di diversificazione dell’economia urbana, che di apporto demografico, in grado di incidere sui trend evolutivi degli abitanti. Il ruolo della comunità studentesca, quale importante ‘agente delle trasformazioni urbane’ è, nel caso di Venezia, ampiamente riconosciuto.

Il presupposto necessario è che si creino le condizioni per garantire adeguate opportunità di lavoro e che vengano poste in atto politiche di offerta abitativa, espressamente destinate alla domanda studentesca, primo passo verso una prospettiva di residenza stabile. Rispondere alla richiesta di residenzialità (espressa o potenziale) proveniente dal mondo universitario, non riguarda quindi solo una delle forme con cui concretizzare il principio del diritto allo studio, ma costituisce un asset strategico per la città; un modo per chiudere quel circolo virtuoso, del cui sviluppo si sente sempre più il bisogno.

1 La seconda ricerca dell’Osservatorio sugli affitti a breve termine in Italia, realizzata da Halldis Spa, e presentata il 28 febbraio 2018, evidenzia come a Venezia gli affitti turistici siano in vertiginoso aumento e a prezzi di molto superiori a quelli di città ben più grandi, come Roma, Milano, ma anche di Firenze e Bologna, confermando la ‘turisticizzazione’ del mercato, che vede molti gruppi immobiliari impegnati in pressanti campagne di marketing porta a porta per aggiudicarsi clienti e appartamenti, lasciando sempre meno spazio ai residenti e agli studenti.

Bibliografia
  • Belletti 2006
    M. Belletti, I criteri seguiti dalla Consulta nella definizione delle competenze di Stato e Regioni ed il superamento del riparto per materie, “Le Regioni” 5 (2006), 903-932.
  • Etzkowitz, Leydesdorff 2000
    H. Etzkowitz, L. Leydesdorff, The Dynamics of Innovation: From National Systems and ’Mode 2’ to a Triple Helix of University-Industry-Government Relations, “Research Policy” 29 (2000), 109-123.
  • Lazzeroni 2013
    M. Lazzeroni, L’interazione tra Università e contesto territoriale: prospettive di analisi ed esperienze europee, “Annali del Dipartimento di Metodo e Modelli per l’Economia e il Territorio e la Finanza” 1 (2013), 193-214.
  • KEA European Affairs 2006
    KEA European Affairs,The economy of culture in Europe. Study Prepared for the European Commission, 2006.
  • Fondazione Riu 2015
    Fondazione Riu, Le condizioni di vita e di studio degli studenti universitari 2012-2015, Roma 2015.
English abstract

The present contribution aims to address a wider view of the right to study and University housing, showing the potential impact that specific housing policies might assume in shrinkage cities. To this aim, the essay illustrates the specific situation of the city of Venice in order to try to understand the evolution of the relationship between the University world and regional/urban development; it stresses the bringing out of new missions of the University, not only concerning the dissemination of knowledge and technology transfer, but also on the capacity to become a strategic actor for the overall development (economic, social, cultural and territorial) of the city.

keywords | right to study, University housing, Venice. 

Per citare questo articolo  / To cite this article: D. Lazzarini, Diritto allo studio come diritto alla città?  ”La rivista di Engramma” n.155, aprile 2018, pp.  201-214 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2018.155.0016