Roma. Palle metalliche, palle motorizzate, palle a mano, palle aggrovigliate, palle elettriche, palle cangianti: Giorgio Soavi è là in mezzo che spiega, manovra, preme bottoncini, pulsanti e manovelle. E le palle si muovono, rimbalzano, saltano. Siamo alla mostra dell’Arte Programmata, aperta la settimana scorsa al Negozio Olivetti in via del Tritone (s.n., Soavi alla Olivetti dimentica la figlia-cane, “L’Espresso”, 14 ottobre 1962).
Vorrei fare alcune precisazioni sull’articolo Soavi alla Olivetti dimentica la figlia-cane pubblicato nel numero scorso dell’Espresso a proposito dell’Arte Programmata. Voi dite: palle metalliche (non ce ne sono); palle a mano (non ce ne sono); palle aggrovigliate (è impossibile); palle cangianti (niente); palle a manovella (non ce ne sono); palle che rimbalzano e saltano (non ce ne sono); baldacchini (dove?); quadri azionati a motore (quadri?); palle di cellofan (non ne esistono). È possibile che abbiate visto solo palle? Forse perché molti oggetti, a causa del vetro, riflettevano l’immagine dello spettatore? (Bruno Munari, s.t., “L’Espresso”, 21 ottobre 1962).
In questo piccato botta e risposta sulle pagine de “L’Espresso” tra Bruno Munari e il giornale risuona vivida l’eco carica di polemiche e di percezioni dissonanti seguita all’inaugurazione della mostra Arte Programmata (sottotitolo Arte cinetica. Opera aperta. Opere moltiplicate) al negozio Olivetti di Roma nell’ottobre del 1962. La prima tappa si era aperta il 15 maggio dello stesso anno a Milano, nel negozio della galleria Vittorio Emanuele. Da Milano le opere, imballate in casse arancione-Olivetti, erano partite poi per una tournée di quasi tre anni in Italia e all’estero: a luglio a Venezia nel negozio di Piazza San Marco disegnato da Carlo Scarpa; in ottobre a Roma, poi a Trieste e in seguito a Düsseldorf, a Londra e in diverse tappe americane.
Il progetto nasce da una proposta di Bruno Munari a Giorgio Soavi, consulente artistico dell’Ufficio Pubblicità della Olivetti, e presenta le opere in movimento di una nuova generazione di artisti italiani: il Gruppo T, formatosi a Milano nel 1960, con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi e Grazia Varisco, e il Gruppo N, fondato nello stesso periodo a Padova da Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi e Manfredo Massironi. Completano la mostra le opere dei già affermati Bruno Munari ed Enzo Mari e, a partire dalla tappa veneziana, quelle di Getulio Alviani e del Groupe de Recherche d’Art Visuel di Parigi, ovvero Julio Le Parc, François Morellet, Horacio Garcia Rossi, Yvaral, Joël Stein e Francisco Sobrino.
In mostra gli spettatori possono osservare l’incanto di oggetti artistici di un nuovo tipo, cinetici, mossi da motori e meccanismi vari o che sono mossi dall’azione positiva manuale dello spettatore o dal suo spostamento (lo spettatore trasformatosi così nel motore dell’opera). I Percorsi fluidi orizzontali di Anceschi, colorati, scorrono lungo dei tubi trasparenti paralleli; in Superficie magnetica di Boriani delle calamite azionate da motori si muovono sotto la superficie trascinando della polvere metallica che compone così forme in continua variazione; in Strutturazione fluida di Colombo una striscia sinuosa di plastica si muove contenuta tra due cristalli e in U.R.M.N.T 1961 di Devecchi una superficie forata ondula lentamente sotto la spinta di un motore, creando un effetto moiré. Le Nove sfere in colonna di Munari ruotano grazie a un motore collocato sotto la prima sfera di plastica in basso mentre le opere di Mari, Opera n. 649, e Varisco, 9 x 9 x X, presentano degli schermi a variazioni colorate. Le opere del Gruppo N richiedono invece la partecipazione attiva dello spettatore: Rilievo ottico-dinamico è composto da segmenti metallici movibili manualmente; le sfere di due diversi colori di Bispazio instabile passano attraverso un foro centrale tra due spazi comunicanti secondo lo spostamento dell’oggetto e Interferenza geometrica è costituita di motivi geometrici tracciati su lastre di vetro scorrevoli che si sovrappongono creando motivi sempre nuovi. Visione dinamica, invece, formata da strisce di plastica bianca in torsione sopra una superficie nera, muta seguendo il movimento dello spettatore.
Questi oggetti sperimentali radicalmente nuovi, tra arte e design, incarnano una nuova vitalità, la temporalità accelerata del boom economico, facendosi al tempo stesso portatori dell’ansia di progresso e del desiderio di rinnovamento che accompagna e sommuove quegli anni. Sono oggetti che, nel loro impulso cinetico e nei materiali scelti, abbracciano la nuova realtà e, lasciando ogni dogmatismo, si spingono oltre i confini stabiliti: non sono più né pittura né scultura, liberi al godimento di tutti, anche di un pubblico di non-connaisseurs. Gli artisti si distinguono per la loro visione estetica ma anche etica, per il loro impegno in chiave anti-individualista, come testimonia la scelta di operare all’interno di collettivi, un impegno che, nel caso del Gruppo N o di Julio Le Parc, si tradurrà anche in attivismo politico durante i sollevamenti del Sessantotto.
Arte Programmata, collaborazione d’eccezione tra arte e industria, segna l’incontro tra due avanguardie entrambe mosse da una idea di futuro e dalla volontà creativa di modellarlo, con un occhio attento rivolto all’interesse della collettività.
Come sottolineato nel catalogo della mostra, per Olivetti il progetto rientra nella tradizione aziendale “di ricerca di nuovi mezzi e nuove forme di comunicazione visiva e nell’intento di promuovere la conoscenza delle più recenti esperienze svolte in questo campo da gruppi di giovani artisti in ogni parte del mondo” (Munari, Soavi 1962, s.p.). Il dinamismo di Olivetti si manifesta in questi anni in un’apertura, in un pensare aldilà degli schemi (altra assonanza con ‘i programmati’), che si traduce anche nella capacità di attrarre ed integrare talenti e personalità provenienti da campi diversi, come Ettore Sottsass, designer di prodotti ormai iconici, come nel caso dell’Arte Programmata o ancora come Luciano Berio, la cui musica accompagna le sequenze del film prodotto sulla mostra.
Così racconta vividamente l’incontro con le opere e gli artisti del Gruppo T, Riccardo Musatti, storico dell’arte e direttore della Pubblicità e della Stampa di Olivetti, nella presentazione della mostra negli Stati Uniti, realizzata in collaborazione con la Smithsonian Institution nel 1964 (la cronologia è probabilmente inesatta, la mostra essendo stata inaugurata nel maggio del 1962, il primo contatto doveva essere avvenuto ben prima, come testimoniano anche diverse lettere di Munari):
In April 1962, Giorgio Soavi, art consultant to Olivetti’s Advertising Department, and I went to a workshop in Milan to see some objects made by a group of young artists, known as Group T. It was Bruno Munari, the designer that unfastened us from the office and took us there. Had we asked him to produce an example of vitality we couldn’t be more satisfied. Munari is not a temperamentally introspective artist; that morning he was on the move, like the objects of Group T he was showing us. Each of the young artists extracted, from a mountain of wires and little boxes, the presentable piece, the one in best shape. It was a delicate confusion, befitting the youth of the artists. I seem to remember that at a certain point one of them said, “There, you see, this object is mine… No, excuse me, that one’s mine, your’s down there”. An immense wall of expanded-plastic cubes moved like an excited sinusoid; then, an instant later, the crisis: burnt out tubes, pilers, switches, screwdrivers, limping motors, iron dust, magnets. All objects for our amusement. The first impression was joyous and positive. It was then we decided to hold a small exhibit of Arte Programmata. We invited Group T to perfect the objects, not so much in concept as in detail, as frequently a motor would burn out or the box containing a given mechanism would be crude. Together with the Group T we invited the artists belonging to Group Enne from Padua and, with them, naturally, Munari and designer Enzo Mari. (Saibene 2012, 42-43)
Il tema della programmazione è particolarmente rilevante per Olivetti all’inizio degli anni ’60, periodo in cui l’azienda sviluppa l’ambizioso programma di ricerca sull’elettronica lanciato da Adriano Olivetti nel 1955, che porterà alla realizzazione del computer Elea 9000 disegnato da Ettore Sottsass nel 1958 e, l’anno seguente, alla sua nuova versione, l’Elea 9003, il primo calcolatore mainframe al mondo. Nel presentarlo al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Adriano Olivetti mette in luce le enormi ripercussioni scientifiche e sociali dell’impiego dell’elettronica che “sta avviando l’uomo verso una nuova condizione di libertà e di conquiste”, obiettivo verso il quale deve tendere l’industria, secondo l’imprenditore di Ivrea, il cui fine più alto è “il progresso comune dell’intera collettività” (Saibene 2012, 40-41). Nonostante l’eccellenza del programma e i suoi risultati, la stagione elettronica sarà presto conclusa. Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti muore improvvisamente. Il lavoro della divisione elettronica prosegue allora sotto la guida del figlio Roberto e nel 1961 produce l'Elea 6001, di dimensioni considerabilmente minori per un pubblico più vasto. Nel 1962, dopo aver visitato il convento de La Tourette di Le Corbusier, Roberto Olivetti scrive all’architetto per affidargli la costruzione del nuovo laboratorio a Rho. Le Corbusier presenta il progetto nel giugno del 1964 ma non verrà mai realizzato: il programma di ricerca viene interrotto in seguito alla morte del direttore del laboratorio, l’ingegnere Mario Tchou, e nel 1965 l’intera divisione elettronica è ceduta a General Electric (Saibene 2012, 41).
Arte programmata cade nel 1962, in questo momento particolare, nello slancio di un incontro che pone gli artisti nell’inusuale e privilegiata posizione di poter realizzare, giovanissimi, i propri esperimenti sostenuti da uno sponsor straordinario. Tramite l’organizzazione di Bruno Munari, l’azienda finanzia la mostra, si impegna ad acquistare le opere, pubblica il catalogo, mette a disposizione i propri locali, assicura la presentazione impeccabile e la massima visibilità del progetto, che culminerà nel tour internazionale della mostra. Gli artisti si impegnano dal canto loro a fornire degli oggetti dal funzionamento stabile e dalle finiture impeccabili. L’unicità di questa esperienza si misura in quanto scrive Bruno Munari in una lettera del maggio 1962 al Gruppo N:
Mai / Abbiamo avuto una tale mostra / Così preparata / Catalogata / Allestita / Illuminata / Pagata / Propagandata / Fotografata (Munari [1962] 2012, 18).
La mostra proietta gli artisti nello scenario internazionale, li eleva a protagonisti dell’arte cinetica, e in seguito saranno presenti nelle principali manifestazioni internazionali e alla Biennale di Venezia del 1964.
Un precedente importante della programmata avventura olivettiana è l’Almanacco Letterario Bompiani del 1962, pubblicato nel 1961. Dedicato a Le applicazioni dei calcolatori elettronici alle scienze morali e alla letteratura, l’Almanacco propone per la prima volta in Italia una riflessione sul rapporto tra cultura e informatica, esplorando le possibilità e i tentativi in corso di utilizzo della tecnica e del sistema computazionale nella sfera letteraria, così come i suoi risvolti estetici. Tra i collaboratori figurano Bruno Munari, autore del disegno della copertina che utilizza come sfondo un ingrandimento di una fotografia dei circuiti dell’Elea 9000, e Muzio Mazzocchi Alemanni, vicedirettore della direzione Pubblicità e Stampa della Olivetti, che cura una ricerca sulle “due culture” e sull’uso del calcolatore nella ricerca scientifica, soprattutto filologica.
L’Almanacco contiene anche il saggio La forma del disordine di Umberto Eco, nel quale si introduce la formula “arte programmata” per definire l’approccio razionalizzante della nuova generazione di artisti (o “programmatori”, come suggerisce Eco) che nel proprio processo creativo non lasciano più libero corso al caso, come accadeva per gli espressionisti ed informali, ma al contrario lo prevedono e lo programmano dando vita ad oggetti in cui “il massimo di casualità coincide con il massimo di prevedibilità”, oggetti fondati sulla variabilità o, più precisamente, sulla “compresenza delle varianti”.
Questi adottano per lo più “una conformazione geometrica di base e la sottopongono a rotazioni e permutazioni (così come avviene per certe serie musicali) programmandone tutte le variazioni necessarie e allineandole tutte senza discriminazione. Risultato: non una forma, ma la pellicola di una forma in movimento, o la scelta complementare tra varie forme” (Eco 1961, 175). In questo modo Eco, ricorrendo alla teoria estetica dell’informazione, illumina l’interstizio vitale in cui si muovono le opere, in equilibrio tra ordine e disordine. La maggior parte degli artisti i cui esempi illustrano il testo saranno poi presenti in Arte Programmata: Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Enzo Mari, Bruno Munari. Il saggio si conclude, partendo dall’osservazione della “perturbazione cibernetica” di Munari, con la descrizione di forte impatto dell’effetto di queste nuove opere inquiete che, come un universo in espansione, avvolgono lo spettatore e lo obbligano a rivoluzionare il modo di guardare alle cose:
Entrate dunque in questo spazio curvo finito e illimitato. E ora cercate di distogliere lo sguardo, di riposarlo su di un solo particolare. Non vi riuscirete più, sarete trascinati nella danza del provvisorio e del relativo, accumulerete un’informazione che non si identifica con un solo significato ma con la totalità dei significati possibili, non riceverete un messaggio, ma la possibilità di tanti messaggi compresenti. E non troverete più le coordinate tranquillizzanti che vi indichino il sopra e il sotto, la destra e la sinistra. Il cosmo esplode, si espande, dove andrà a finire? L’osservatore della prospettiva rinascimentale era un buon ciclope che appoggiava il suo unico occhio alla fessura di una scatola magica nella quale vedeva il mondo dall’unico punto di vista possibile. L’uomo di Munari è costretto ad avere mille occhi, sul naso, sulla nuca, sulle spalle, sulle dita, sul sedere. E si rivolta inquieto in un mondo che lo tempesta di stimoli che lo assalgono da tutte le parti. Attraverso la saggezza programmatica delle scienze esatte si scopre abitatore inquieto di un expanding universe. Non dico che sia una bella storia. È la storia (Eco 1961, 186-187).
Proprio questa interpretazione del fare artistico sotto il segno della programmazione ispira il titolo del nuovo progetto di Bruno Munari, Arte Programmata: Munari inviterà difatti Umberto Eco a scrivere l’introduzione del catalogo.
Le opere programmate abbandonano quindi la forma tradizionale unica e definita, rifiutano il punto di vista unico per abbracciare una nuova, caleidoscopica, multifocalità. Per riprendere le parole di Eco, esse sviluppano una
[...] singolare dialettica tra caso e programma, tra matematica e azzardo, tra concezione pianificata e fiera accettazione di quel che avverrà, comunque avvenga, dato che in fondo avverrà purtuttavia secondo precise linee formative predisposte, che non negano la spontaneità, ma le pongono degli argini e delle direzioni possibili (Eco [1962] 2012).
Sembrano in definitiva adottare il motto di Paul Valéry che campeggia in apertura del catalogo: “La più grande libertà nasce dal più grande rigore”.
Queste nuove opere nascono a contatto con la realtà e ne offrono una chiave di lettura, assumendo così quella che per Eco è la funzione propria dell’arte la quale “attentissima, le antenne tese, coglie confusamente la forma del nuovo mondo in cui l’uomo va abitando e cerca di esprimerlo come può e come deve, per figure” (Eco 1961, 175).
“Realtà” è la parola che più ricorre nel descrivere questo tipo d’arte, una realtà intesa come un continuum in perenne trasformazione che sfugge oramai ad ogni rappresentazione chiusa all’interno di una forma finita ed eterna, frutto di una concezione rigida, monocentrica e ordinata dello spazio. È l’apertura, al contrario, secondo Eco, che caratterizza ormai ogni forma di arte: l’opera programmata è una “opera aperta”, come indica anche il sottotitolo della mostra, un’opera finita e tuttavia volutamente ambigua ed indeterminata, un “campo di accadimenti” che si costituisce nella compresenza di infinite varianti (il celebre volume di Umberto Eco Opera aperta esce proprio nel 1962).
In questa realtà in mutazione pianta saldamente ed esplicitamente le proprie radici il Gruppo T, nel “continuo divenire di fenomeni che noi percepiamo nella variazione”, come si legge nel manifesto della prima mostra del gruppo, Miriorama, alla galleria Pater a Milano nel 1960, che prosegue: “considerando l’opera come una realtà fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella realtà che ci circonda è necessario che l’opera stessa sia in continua variazione” (Gruppo T 1960). Continuo divenire, variazione, movimento, e quindi, tempo: è la T di tempo a marcare l’identità del gruppo.
La realtà entra nell’opera attraverso il movimento (il tempo) ma anche attraverso l’integrazione di tecniche e materiali del proprio tempo: le opere sono ormai degli assemblaggi di polistirolo o perspex, motori, tubi, reti, programmati per variare infinitamente.
Programmando, pianificando e azzerando ogni apporto sentimentale, gli artisti danno a vedere l’opera come una realtà oggettiva. Limitando la sua realizzazione a un procedimento meccanico compongono l’alfabeto di un nuovo linguaggio universale che non ha bisogno di essere decodificato e di nessuna mediazione né conoscenza per essere goduto. Attraverso i propri oggetti tentano di stabilire una relazione diretta con lo spettatore, lo obbligano ad uscire dalla sua passività richiedendo il suo movimento, “non fosse che quello dei suoi occhi” (Eco [1962] 2006, 157), e cercano di sensibilizzarlo ad una nuova maniera di concepire il mondo, di renderlo cosciente. Si tratta di opere create per tutti, programmate metodicamente per essere eseguite meccanicamente e che dunque possono essere “moltiplicate”, riprodotte serialmente, in maggior numero, industrialmente. La rivoluzione dell’arte programmata muove dal campo estetico, abbraccia quello sociologico e pedagogico per attaccare infine il mercato dell’arte.
L’approccio programmatico razionale rivela soprattutto la volontà da parte degli artisti di liberare la creazione da ogni individualismo, di superare la figura romantica dell’artista isolato nella propria torre d’avorio e la concezione dell’opera d’arte come oggetto fétiche destinato a un’élite, espressione di un gesto soggettivo. I nuovi artisti programmatori si pongono piuttosto come degli “operatori estetici” di ispirazione Bauhaus. Il Gruppo N, che firma collettivamente le opere, si definisce infatti come un “gruppo di ‘disegnatori sperimentali’ che usufruiscono di un metodo di indagine collettivo” (Gruppo N 1962).
L’anti-individualismo si concretizza anche nella scelta di lavorare in gruppo, un aspetto sottolineato positivamente ad esempio da Giulio Carlo Argan che sarà tra i sostenitori di questa nuova tendenza, che egli definisce “gestaltica”. In questo fare collettivo, il critico intravede infatti la speranza di un nuovo respiro per l’arte di fronte al minaccioso torpore della società massificata. Nel saggio Le ragioni del gruppo scritto nel 1963, descrive in questi termini il valore della proposta gestaltica come difesa della libertà individuale:
Qui non si tratta di sapere se l’interesse dell’avventura e della scoperta individuali nel campo estetico e in tutti gli altri siano destinati o no a scomparire: chi vivrà vedrà. È invece estremamente importante, in un momento in cui i tempi del deprecato processo di massificazione si accelerano paurosamente, sapere se siano possibili esperienze e attività estetiche non individuali. La corrente gestaltica risponde e dimostra che sì, sono possibili. […] il pericolo della situazione attuale consiste nel fatto che molto spesso invece della socialità si predica la non-socialità, la solitudine della persona. Ma il singolo è disperatamente solo nel deserto, disperatamente solo nella folla […]. Chi voglia difendere la libera attività dell’individuo dalla inerzia torpida e letale della massa deve riflettere, anzitutto, che la qualità fondamentale della persona umana è la capacità, la volontà di mettersi in relazione, di associarsi ad altri per un fine comune (Argan 1963).
Alla Biennale Internazionale d’Arte di San Marino del 1963, consacrata al tema Oltre l’informale, la giuria presieduta da Argan premierà ex-aequo il Gruppo N e il Gruppo Zero di Düsseldorf.
Il progetto ambizioso dell’arte programmata si inserisce nel contesto più ampio che, a partire degli anni '50, vede numerosi artisti in tutta Europa opporsi all’Informale in chiave razionale e anti-personalistica in linea con il profilarsi di una nuova concezione artistica che rigetta la tradizione e il mito dell’artista e dell’opera d’arte per aprirsi alla realtà e al movimento. Seguendo l’appello di Vasarely del 1955 “nous ne pouvons laisser indéfiniment la jouissance de l’œuvre d’art à la seule élite des connaisseurs” [Non possiamo lasciare indefinitamente il godimento dell’opera d’arte alla sola élite dei connaisseurs]” (Vasarely 1955), gli artisti elaborano un nuovo linguaggio universale, cercano la partecipazione attiva dello spettatore, iniziano a progettare opere moltiplicabili, cercano di ritagliarsi un nuovo ruolo nella società. Questa nuova tendenza, costituita da una costellazione di artisti e gruppi che opera in tutta Europa, si troverà in parte riunita nell’esperienza internazionale della Nouvelle Tendance, una mostra che si tiene a Zagabria nel 1961 dedicata, per l’appunto, alle nuove tendenze non ancora rappresentate nelle manifestazioni ufficiali internazionali e che diventerà in seguito una biennale e un movimento internazionali.
È ironico constatare come, paradossalmente, l’arte programmata, e i suoi oggetti in movimento concepiti per un godimento puramente percettivo senza alcun filtro intellettuale, abbia potuto provocare lo sconcerto visuale, la ‘moltiplicazione di palle’ descritta dal giornalista dell’Espresso citato in apertura che ben si presta a metafora della confusione e dell’incomprensione che assale lo spettatore impreparato. Lo choc destato da questi oggetti nuovissimi dà infatti luogo a reazioni estreme, oscillanti tra la curiosità, lo sbeffeggio, la meraviglia, l’entusiasmo e il rigetto anche tra il pubblico più avvertito, come testimoniano i vari articoli apparsi all’epoca.
Come scrive Umberto Eco, l’arte programmata (e l’opera aperta) inventa una nuova esperienza estetica che obbliga lo spettatore ad abbandonare la propria confortevole posizione all’interno di un universo perfettamente e gerarchicamente ordinato per farsi trascinare in una “danza del provvisorio e del relativo” nella quale occorre “avere mille occhi, sul naso, sulla nuca, sulle spalle, sulle dita, sul sedere”. La problematicità sollevata da quest’arte che rompe con le tradizionali categorie per porsi aldilà dell’arte (o “oltre la cornice” per riprendere una formula dell’epoca), pone il dubbio del suo stesso ‘essere arte’, quindi quello dei confini dell’arte, un quesito la cui soluzione lasciamo alle parole di Eco:
Non è pittura, non è scultura, ma almeno è arte? Badate, non ci si chiede qui se sia ‘grande arte’, ma se una operazione del genere rientri grosso modo nella categoria dell’arte. […] Il critico futuro […] non si stupirà affatto di tutto ciò. Egli penserà che ben a ragione gli uomini del ventesimo secolo traevano piacere dalla visione, non più di una forma, ma di tante forme compresenti e simultanee, perché questo fatto non significava affatto una depravazione del gusto, ma la sua adeguazione a tutta una dinamica percettiva che le nuove condizioni tecnologiche e sociali avevano promosso […]. Non so bene come abbia fatto, ma è sempre stata l’arte, per prima, a modificare il nostro modo di pensare, di vedere, di sentire, prima ancora, certe volte cento anni prima, che si riuscisse a capire che bisogno c’era (Eco 1962, s. p.).
Bibliografia
Il catalogo della mostra Arte programmata. Arte cinetica, opere moltiplicate, opera aperta, così come il testo di Umberto Eco, La forma del disordine si trovano riprodotti, insieme ad altri contributi, sia de''epoca che nuovi, in Meneguzzo, Morteo, Saibene 2012.
- Argan 1963
G. C. Argan, Le ragioni del gruppo, “Il Messaggero”, 21 settembre 1963. - Gruppo T 1960
Gruppo T, Dichiarazione, in Miriorama 1. Manifestazione del gruppo T, invito/manifesto alla mostra Galleria Pater, Milano 15 gennaio 1960. - Gruppo N 1962
Gruppo N, Dichiarazione, in Arte programmata. Arte cinetica, opere moltiplicate, opera aperta, catalogo della mostra a cura di B. Munari, G. Soavi, Milano/Venezia/Roma 1962, s.p. - Eco 1961
U. Eco, La forma del disordine, in S. Morando (a cura di), Almanacco Letterario Bompiani 1962, Milano 1961, 175-188. - Eco 1962
U. Eco, Introduzione, in Arte programmata. Arte cinetica, opere moltiplicate, opera aperta, catalogo della mostra a cura di B. Munari, G. Soavi, Negozio Olivetti, Milano/Venezia/Roma 1962, s.p. - Eco [1962] 2006
U. Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee [1962], Milano 2006. - Munari, Soavi 1962
Arte programmata. Arte cinetica, opere moltiplicate, opera aperta, catalogo della mostra a cura di B. Munari, G. Soavi, Negozio Olivetti, Milano/Venezia/Roma 1962, s.p. - Munari [1962] 2012
Bruno Munari e il Gruppo N [riproduzione scambi epistolari tra B. Munari e il Gruppo N], in M. Meneguzzo, E. Morteo, A. Saibene (a cura di), Programmare l’arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, Milano 2012, 13-20. - Saibene 2012
A. Saibene, Olivetti e il bello dell’elettronica, in M. Meneguzzo, E. Morteo, A. Saibene (a cura di), Programmare l’arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, Milano 2012, 39-44. - Vasarely 1955
V. Vasarely, Notes pour un manifeste, in Le Mouvement, dépliant della mostra a cura di V. Vasarely, Pontus Hulten, Galerie Denise René Parigi 1955.
Note
La citazione presente nel titolo del saggio è tratta da Il gruppo Enne a Milano in una mostra ‘programmata’, “Il Resto del Carlino”, 6 giugno 1962.
English Abstract
On May 15th 1962 the exhibition Arte Programmata (Programmed Art), organized by Bruno Munari, opened at the Olivetti showroom in the Galleria Vittorio Emanuele in Milan. It presented ground-breaking works of a new generation of artists including the Group N (Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi) and T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Grazia Varisco) from Padua and Milan, along with works by Enzo Mari and Bruno Munari himself. The show, which would later include Getulio Alviani and the Groupe de Recherche d’Art Visuel (Group of Visual Art Research) from Paris (Julio Le Parc, François Morellet, Horacio Garcia Rossi, Yvaral, Joël Stein and Francisco Sobrino) travelled for almost five years from Venice, Rome and Trieste to Düsseldorf, London and the United States.
The title of the show – Arte Programmata – suggested by Bruno Munari and inspired by the writings of Umberto Eco (author of the catalog’s introduction), named a radically new type of art, perfectly planned and objective. Through the integration of movement and the use of modern industrial materials, the objects that were part of the exhibition conveyed a new vision of reality conceived as a continuum in perpetual transformation, and invited the public to participate, become active, and change the way art was experienced. The exhibition marked a special encounter between two artistic and industrial avant-gardes, both deeply-rooted in reality while at the same time being forward-looking, all this in the years when the electronic division of the Olivetti company was developing the industry of the future.
keywords | Arte Programmata; Olivetti; Bruno Munari; Uberto Eco; 1962; Enzo Mari; Modern; Industrial; Avant-gardes.
Per citare questo articolo/ To cite this article: M. Gelussi, “Arte programmata, la chiamano” 1962, Olivetti e l’arte cinetica, ”La rivista di Engramma” n. 166, giugno 2019, pp. 227-240 | PDF