Per una storia della glittica “di propaganda”: alcune riflessioni
II. Il post-antico
Gabriella Tassinari
English Abstract
Introduzione
Allo studioso di glittica che ponga al centro delle sue ricerche lo studio di un tema, di un motivo, della sua persistenza nell’ambito della glittica post-classica, si affacciano una serie di domande e di connessi spunti di ricerca. Quale il posto delle gemme “di propaganda” nella glittica dopo la fine dell’età antica, nel repertorio degli incisori? Quale l’atteggiamento verso di esse degli eruditi, degli antiquari, dei collezionisti, degli amatori? Le loro spiegazioni, interpretazioni, commenti, congetture, disquisizioni?
Tale studio non è stato mai intrapreso e in un articolo, per sua natura limitato, non si può presentare tutto l’ingente materiale raccolto e vagliato né si pretende di esaurire l’argomento, così articolato e vasto. Una sintesi di questo tipo non è assolutamente agevole e impone alcune selezioni drastiche e deliberate. Ho scelto dunque di estrapolare e proporre alcuni casi particolarmente significativi, esempi nodali su cui fermare l’attenzione, cercando di delineare un quadro delle diverse problematiche, e di fornire qualche elemento di riflessione.
Una necessaria premessa. Nell’affrontare lo studio delle gemme attraverso i disegni e le incisioni che corredano i testi dei secoli XVII e XVIII, è lecito un (ragionevole) scetticismo riguardo la loro fedeltà agli originali. È difatti uno dei problemi di glittica più seri e dibattuti dagli studiosi del tempo: le difficoltà che si incontrano per una rappresentazione grafica precisa delle gemme (sui molteplici aspetti della questione, da ultimo Tassinari c.s., dove nutrita bibliografia). Disegnatori e incisori delle tavole abbellivano le gemme, ne correggevano i “difetti”, travisavano, alteravano, snaturavano la composizione, modificandola secondo il proprio stile e/o quello dell’epoca, dando un’interpretazione libera e personale delle gemme, lontana dalla realtà. Sebbene gli autori assicurino e insistano che gli originali sono stati copiati con scrupolosa esattezza e fedelmente riprodotti, inesauribile è la gamma delle critiche riguardo alla resa delle immagini di gemme: nessuna opera riscuote consensi unanimi. Ma è chiaro: è oggettivamente impossibile ottenere disegni delle gemme, che passano anche attraverso l’incisione, rispondenti ad esigenze scientifiche di studio.
Due risultati dell’indagine
Il primo e fondamentale risultato, raggiunto da uno spoglio il più possibile accurato della copiosa documentazione nota, potrebbe sembrare ovvio, ma in realtà non è così scontato. Esauriti gli scopi principali per i quali le gemme “di propaganda” erano state create, perso l’afflato politico e di proselitismo che caratterizza l’epoca in cui sono nate, esse esauriscono la loro ragion d’essere e perciò non vengono, in linea generale, più incise. E in effetti che senso avrebbe un’iconografia tanto politicamente pregnante?
Così, nell’ampio, ricco e vario, ma anche ovviamente ripetitivo, repertorio figurativo degli incisori dei secoli XVIII-XIX – soggetti mitologici, religiosi, copia o imitazione di famose gemme antiche, ritratti, opere antiche e moderne, di rado iconografie di invenzione – questo tema è assente. Non risponde alla visione e al gusto del tempo. Pertanto questo risultato costituisce un caposaldo, di fronte a quel problema complicato, tormentato, sempre ricorrente e che tanto ci preoccupa: se una gemma è realmente antica o piuttosto una fedelissima ripresa, ben più tarda, di un motivo antico. E rappresenta un criterio determinato e preciso nel mare magnum della glittica post-classica anonima, copiosa, spesso di scarsa qualità, nota solo parzialmente, nella quale i punti di riferimento sono scarsissimi. Dunque possiamo asserire che è pressoché sicuro sia antica una gemma (di pietra o di vetro) che rientra nell’insieme delle gemme di propaganda. E gli esemplari post-antichi sono di solito facilmente distinguibili, e rari.
Un altro basilare risultato della ricerca. È noto che la glittica ha sempre goduto di una grande fortuna come osservatorio privilegiato per riscoprire, conoscere e comprendere il mondo antico. Infatti le qualità delle gemme, oggetti preziosi e spesso pregnanti, in quanto sigilli autorappresentativi, le loro valenze (ornamentali, magiche, terapeutiche…), la grande quantità pervenuta, il vastissimo, illimitato repertorio figurato, fonte inesauribile di antiche iconografie, degli usi degli antichi, hanno offerto un terreno straordinario e fertilissimo, per osservare l’antichità, ricostruirla, commentare, discutere, disquisire, ispirarsi. Ma le gemme di propaganda non hanno suscitato particolare interesse, né attenzione, né entusiasmo. Eppure il loro patrimonio iconografico, l’estrema variabilità nella composizione delle immagini, la loro lettura iconografica/iconologica, la decodificazione dei loro messaggi, il valore dal punto di vista ideologico e politico avrebbero potuto costituire un’immensa miniera, dalle innumerevoli potenzialità, attrattiva per dotte esegesi, erudite dissertazioni, animati dibattiti. Se guardiamo i fiumi di inchiostro versati su alcune gemme o soggetti, nessun rivolo ha investito le gemme oggetto di questo studio.
Il segno zodiacale del capricorno
Non inficia né contraddice le conclusioni precedenti il fatto che il significato del capricorno, come segno zodiacale di Augusto, non vada perso; grazie alle fonti, è acquisito come un patrimonio comune e assodato, lungo i secoli. Lo si trova in una pietra miliare in campo glittico, l’opera di Leonardo Agostini (1593 o 1594-1675/1676), famoso, influente ed esperto antiquario, commissario delle Antichità di Roma e del Lazio, che dirigeva scavi e commerciava in oggetti antichi, uno dei principali collezionisti di antichità di Roma (sull’Agostini, da ultimo, Gennaioli 2017, 153-156, 165-175). Agostini pubblicava la sua ammiratissima dattilioteca, con la collaborazione e l’aiuto dell’amico, il celebre Giovanni Pietro Bellori, storiografo dell’arte, commissario alle Antichità di Roma e del suo distretto, antiquario, erudito dalla vasta conoscenza dell’antichità e amatore della stessa. Si tratta di Le gemme antiche figurate: un primo volume, pubblicato nel 1657, un secondo nel 1669; i due volumi sono riuniti e riorganizzati nell’edizione del 1686, con nuova disposizione e numerazione delle tavole.
Il testo fu tradotto in latino dal noto e laborioso filologo e professore olandese Iacobus Gronovius (Jakob Gronov) e ristampato nel 1685, nel 1694 e nel 1699; sono queste le edizioni più diffuse. Nella ristampa allargata e arricchita con le più belle gemme dai musei romani e stranieri – qui abbreviata Gemme antiche figurate 1707-1709 – l’erudito Paolo Alessandro Maffei riporta fedelmente le spiegazioni dell’Agostini, aggiungendovi le sue considerazioni (che però talvolta risultano solo commenti dotti e prolissi), fondate sull’autorità di scrittori o sul costume degli antichi.
L’opera dell’Agostini/ Bellori, piuttosto isolata nel ‘600, una delle prime di questo genere in lingua volgare, grazie anche al prestigio e all’autorità dei suoi autori, ampiamente lodata, incontrò straordinario successo, e, nella scarsezza di cataloghi di collezioni e di immagini edite, divenne un punto di riferimento. Con spiegazioni, di solito brevi, si identificano i soggetti sulle gemme, fornendone l’interpretazione, svelando il senso delle allegorie, scegliendo fonti fededegne per provare antichi usi e fatti, rispondendo alle necessità di studiosi e artisti. Dunque, Agostini/ Bellori stabiliscono in un certo senso delle regole per la conoscenza delle gemme: è lecito considerare la loro interpretazione di un intaglio con un capricorno, al di sopra la testa di Augusto e al di sotto un delfino, in un certo senso “emblematica” del loro periodo, e non solo. Questa la spiegazione: il capricorno (come è noto) fu l’ascendente di Augusto, e il delfino la sua impresa. La testa giovinetta può rappresentare Augusto, o qualcuno dei suoi nipoti e discendenti che si onorarono del buon augurio di questo segno felice, intagliato spesso negli anelli. E vengono riportati due versi di Manilio riguardo la “felicità” del capricorno (Gemme Antiche 1686, 44, n. 77, tav. n. 75 [Fig. 1]).
Paolo Alessandro Maffei (Gemme antiche figurate 1707-1709, 15-16, n. 10) intitola il paragrafo in cui tratta l’intaglio “Augusto, e suo Ascendente” e, dopo aver riportato la spiegazione dell’Agostini/ Bellori, aggiunge le sue osservazioni. Svetonio nella vita di Augusto scrive che Teagene matematico visitato da Augusto in compagnia di Agrippa, ad Apollonia, quando ebbe osservata la sua genitura, mostrò somma gioia e inchinandosi lo “adorò”. Questo fatto rese Augusto così sicuro della sua futura grandezza, che pubblicò la sua impresa e fece battere moneta con l’insegna del capricorno, sotto cui era nato. Si vede una di queste monete presso Antonio Agostini: il capricorno ha tra le branche il globo, simbolo del mondo, la cornucopia con le spighe dell’abbondanza e della felicità e il timone della fortuna. Maffei prosegue descrivendo la moneta con l’iscrizione DIVO AVGVSTO, fatta coniare da Tiberio, con il capricorno, uno dei più graditi soggetti di Augusto. E conclude con il delfino che dicono (il riferimento letterario sono gli Hieroglyphica di Pierio Valeriano) avvolto ad un’ancora fosse l’impresa di Augusto col motto Festina lente, volendo con uno significare la rapidità, con l’altro la lentezza delle azioni, e in entrambe quel bel temperamento da cui viene la maturità, madre della perfetta esecuzione delle cose.
L’intaglio, già appartenente alla raccolta dell’Agostini, poi passata al cardinale Leopoldo Medici e quindi confluita nelle collezioni granducali, è ora al Museo Archeologico Nazionale di Firenze (Gennaioli 2017, 166, tav. 48). Si tratta non di un “cristallo”, come indicato dall’Agostini e dal Maffei, ma di una replica vitrea.
Una certa diffusione di questo intaglio è provata dalla sua presenza tra i calchi di intagli e cammei realizzati da Philipp Daniel Lippert. Grazie ad un particolare smalto bianco – una sua ricetta segreta – Lippert produceva calchi nitidi e resistenti, vendendoli in serie ordinate e commentate, dal 1755 al 1776, ed avendo grande successo (da ultimo Magni, Tassinari 2019, 76-77; Tassinari 2019, 243-245, dove bibliografia precedente). Così viene spiegata nel testo relativo: una antica pasta gialla del Granduca di Toscana. La testa di Augusto molto giovane, con sotto il suo oroscopo, il capricorno (Dacktyliothek 1776, 141, n. 225).
La Zwierlein-Diehl pubblica la pasta vitrea a Würzburg (Martin-von-Wagner-Museum, Universität), dall’officina di Lippert o di sua figlia, datando l’originale, che ritiene disperso, al 40-20 a.C. circa (Zwierlein-Diehl 1986, 207, tav. 99, n. 557).
L’intaglio è documentato anche tra i calchi (più di 20000) degli scozzesi James Tassie e il nipote William. Con una pasta vetrosa di nuova invenzione, la cui formula fu tenuta segreta, i Tassie a Londra realizzavano accurate, fedeli ed economiche riproduzioni – calchi di zolfo rosso e di smalto bianco, paste di vetro colorate – di intagli e cammei, raggiungendo straordinaria popolarità e un commercio su vasta scala. Il catalogo della collezione dei Tassie fu compilato da Rudolf Erich Raspe, scrittore, antiquario, curatore di rilevanti collezioni (da ultimo Magni, Tassinari 2019, 76, dove bibliografia precedente). Dunque Raspe la definisce una pasta antica, del cabinet di Firenze, con la testa di Augusto, il capricorno e due delfini, perché prende come secondo delfino la coda del capricorno; e dà il riferimento al Lippert (Raspe 1791, 225, n. 3213).
Un altro esempio è l’intaglio in corniola con capricorno, tridente e globo, edito da Michelangelo Causeo de la Chausse (Gemme Antiche 1700, 67-68, n. 170). De la Chausse, sapiente antiquario e diplomatico parigino, che viveva a Roma (vi morì nel 1724), pubblicò varie opere, molto ben accolte, che videro più edizioni aumentate (dal 1690 al 1746) e traduzioni, sulle antichità nelle raccolte romane, tra le quali anche gemme. Egli stesso riunì una bella e rilevante collezione di pietre incise, medaglie, bronzi e altre preziosità (su de la Chausse, da ultimo Tassinari 2018a, 91-92, dove bibliografia precedente). Dedicate alla glittica, Le Gemme Antiche Figurate (qui abbreviato Gemme Antiche 1700) furono ampiamente elogiate per le esposizioni erudite, istruttive ed esaustive, con citazioni di autori antichi, per la qualità delle pietre incise antiche, numerose inedite. Dunque de la Chausse spiega l’intaglio in esame come l’ascendente di Augusto: l’immagine del capricorno si trova sulle monete d’argento di Augusto, coniate in ricordo della sua natività; il globo e il tridente denotano il governo e l’impero del mondo. I platonici credevano che le anime degli dei passassero per questo segno [Fig. 2].
Ed è una esegesi – quella del capricorno – nota persino a Johann Jakob Baier (Io.Iacobus Baierus) (1677-1735), famoso medico e professore di medicina ad Altdorf, dotto naturalista, autore di opere importanti di medicina, storia naturale e botanica, responsabile della descrizione di una parte della collezione di gemme di Johannes Martinus ab Ebermayer (1664-1743) (Gemmarum affabre 1720). Stimato commerciante di Norimberga, ammiratore delle arti (ma tacciato come dilettante dagli studiosi posteriori), Ebermayer aveva voluto illustrare agli eruditi la sua dattilioteca, in volumi in seguito sempre duramente criticati (per un’analisi della collezione, dei relativi testi e giudizi negativi, Tassinari 1994, 51-57). Evidentemente Baier non è un esperto, spiega e interpreta le gemme, menzionando e seguendo illustri scrittori di glittica, esortando a non disprezzare i numerosi esemplari moderni della collezione, molto vicini alla bellezza degli originali antichi, che imitano. L’intaglio in sardonice con un capricorno che reca una cornucopia (Gemmarum affabre 1720, 17, tav. V, n. 7) sembra antico (anche in base ai risultati riguardo all’antichità di questo tipo di gemme) e non una buona imitazione di una gemma antica, ma non lo possiamo affermare con sicurezza; il limite del giudizio è costituito proprio dalle incisioni delle tavole; e quelle del testo sulla collezione Ebermayer sono per lo più scadenti. Comunque sia, Baier riporta la consueta spiegazione: un capricorno reca una cornucopia: il segno che Augusto pone sulle monete per dichiarare il suo oroscopo, la sua nascita, auspicata su tutta la terra. Baier menziona Svetonio e Patinus (cioè Charles Patin, noto medico e numismatico francese) che mostra delle monete con questa immagine [Fig. 3].
Gemme antiche / non antiche: un caso di datazione controversa (e aperta)
Sebbene, come sottolineato, le gemme “di propaganda” suscitino pochi dubbi riguardo alla loro antichità, qualche raro esemplare non sfugge a quella vasta casistica in cui il giudizio cronologico può divergere ed è tuttora dibattuto. Infatti i nostri strumenti critici si sono affinati ma non tanto da poter sempre risolvere una datazione problematica, stabilirla con sicurezza e determinare il milieu in cui una gemma è stata creata.
Un intaglio in onice (2,5 x 1,1 cm), incastonato in un anello d’oro, raffigura la testa di Ottaviano di profilo al di sopra di una galea, al di sotto due delfini, ai lati della testa una cornucopia e l’iscrizione AƟEN; è conservato all’Ermitage, a San Pietroburgo [Fig. 4]. Nelle pubblicazioni della collezione della zarina Caterina II, cui l’intaglio appartiene, viene datato al XVII secolo e attribuito all’Europa del nord (Splendeurs 2000, 94, n. 66/16; Kagan, Neverov 2001, 95, n. 131/34). Invece la Zwierlein-Diehl, pubblicando la pasta vitrea a Würzburg (Martin-von-Wagner-Museum, Universität) legge l’iscrizione AOEN e data l’originale, che ritiene disperso, al 40-30 a.C. circa (Zwierlein-Diehl 1986, 207, tav. 99, n. 556).
Ricostruiamo la storia del nostro intaglio, collocandolo in un più ampio contesto. Innanzitutto esso partecipa ad uno schema iconografico noto e non si palesano “errori”, grosse incongruenze che possano “denunciare” l’incisore moderno. Invece si potrebbe nutrire qualche sospetto di non autenticità per l’iscrizione, l’elemento che deporrebbe a favore di una ripresa “moderna” di un esemplare antico. È soprattutto nel XVIII secolo che gli incisori copiano, imitano, modificano, con l’aggiunta di firme di autori antichi, le gemme antiche, abilmente realizzando opere tuttora credute antiche. Però si è già evidenziato che nel repertorio glittico degli incisori di quel periodo (e anche del seguente) questi motivi non compaiono. E comunque questo intaglio sarebbe precedente, facendo parte della collezione della principessa palatina Elisabeth Charlotte (Liselotte; 1652-1722), che nel 1671 sposò il duca Filippo d’Orléans, fratello del re Luigi XIV (Splendeurs 2000, 19-20, 86; Kagan, Neverov 2001, 15-16, 82). Appassionata collezionista, in seguito alla distruzione delle ricchezze dell’avito castello di Heidelberg, Liselotte ne ereditò la dattilioteca e la trasferì a Parigi. Alla morte della principessa palatina la ricca raccolta non fu dispersa ma passò ai suoi discendenti, i duchi d’Orléans. Assai probabilmente l’intaglio va compreso tra gli esemplari aggiunti dalla principessa palatina al nucleo originario. Infatti non figura in quella scelta delle gemme, conservate nel castello di Heidelberg, edite da Lorenz Beger, conservatore e bibliotecario di corte di Heidelberg, nel Thesaurus ex Thesauro Palatino Selectus… (1685) e nel Thesaurus Brandeburgicus Selectus… (1696). E neppure nella nota Description des principales pierres gravées della collezione del duca d’Orléans (1780, 1784) di De La Chau e Le Blond.
Invece è pubblicato, senza immagine, in quella descrizione della dattilioteca della principessa palatina, apprestata allo scopo di venderla all’asta. Lo si descrive come la testa di Teseo giovane in mezzo ad una galera, sotto cui due delfini, con l’iscrizione greca AƟEN, su un onice di color giada a fondo bianco (Description 1727, 6). Analogamente senza immagine, come un’agata-onice con la testa di Teseo giovane insieme ad una galera, due delfini, un corno d’abbondanza e l’iscrizione AƟEN compare nel catalogo della collezione del duca d’Orléans (Catalogue 1786, 18, n. 162). Il disegno mediocre dell’intaglio con l’iscrizione ADEN è nella tavola in fondo al secondo volume [Fig. 10] del Voyage du Sieur Paul Lucas au Levant (1705), cioè in una delle numerose relazioni di viaggi di Paul Lucas, mercante, viaggiatore, antiquario del re di Francia Luigi XIV.
La circolazione di questo intaglio è dimostrata dalla sua presenza sia tra le paste vitree a Würzburg, dall’officina di Lippert o di sua figlia, sia tra i calchi dei Tassie; nel relativo catalogo, Raspe correttamente la identifica come testa di Augusto e legge AƟEN (Raspe 1791, 627, n. 11055).
Prendere netta posizione sulla cronologia di questo pezzo sembra rischioso e azzardato. Perso il senso del vero significato del soggetto, è stata aggiunta l’iscrizione AƟEN, allusiva alle vicende di Teseo, al quale si adattano perfettamente la nave e i delfini; e in tal modo viene spesso interpretato.
La presenza delle gemme di propaganda in epoca post-antica: uno sguardo panoramico
Le gemme di propaganda sono presenti nelle collezioni, circolano, si acquistano, si rinvengono nel fertilissimo suolo di Roma. Lo testimonia, ad esempio, quanto annotato nel suo diario di acquisti di antichità, a Roma, dal marchese Alessandro Gregorio Capponi (1683-1746), bibliofilo, antiquario, primo presidente del Museo Capitolino, competente, impegnato e appassionato collezionista di materiali antichi e moderni, tra i quali la numismatica e la glittica (si veda Ubaldelli 2001). Dunque il marchese Capponi il 10 marzo 1736 si reca fuori Porta Capena, alla vigna del marchese Nari, “dove si scassava”, e acquista dai lavoranti due medaglie romane (una d’argento, l’altra di bronzo) e l’“intaglio in corniola con un capricorno, una prora di nave, mezza luna, et un delfino” (Ubaldelli 2001, 434). L’intaglio, disperso, è documentato da un disegno, ricevuto dal marchese il 23 febbraio 1737, che mostra anche un globo al di sotto del capricorno e un timone piuttosto che una nave (Ubaldelli 2001, 290, n. 217).
Il documento che in assoluto contiene il maggior numero di immagini delle gemme di propaganda è costituito dal taccuino A.48, Gemme antiche da esso [Senatore Buonarroti] delineate, di Filippo Buonarroti, conservato alla Biblioteca Marucelliana di Firenze. Esso può esser assunto come uno specchio, un significativo riflesso di quanto c’era in quel periodo nelle collezioni romane e fiorentine. Si tratta di un codice di 158 fogli, probabilmente steso tra il 1688 e il 1731, che raccoglie i disegni ad inchiostro di gemme, spesso corredate da dimensioni e materiale (Quartino 1978; Gallo 1986, 84, n. 41, 104-105). Ne è autore un illustre e famoso maestro di vastissima cultura, dal ruolo determinante: il senatore fiorentino Filippo Buonarroti (1661-1733), archeologo, antiquario, numismatico, epigrafista, collezionista, letterato, accademico della Crusca, presidente dell’Accademia Etrusca di Cortona; tra le sue pubblicazioni più importanti, le Osservazioni istoriche sopra alcuni medaglioni antichi e il De Etruria Regali del Dempster (Parise 1972; Quartino 1978, 428-438; Gallo 1986; Tassinari 1996, 185-186; Tassinari 2010b, 67-68, dove ulteriore bibliografia). È nota la modernità dell’impostazione scientifica del Buonarroti, il suo grande merito: la comprensione dell’antichità va affidata anche agli oggetti in apparenza secondari, “minori”, spesso negletti, che invece forniscono indicazioni rivelatrici e preziose, come i vetri, gli avori, le iscrizioni, i medaglioni e appunto le gemme. Altrettanto noto è il grande interesse del Buonarroti per la glittica antica, sebbene poco si sappia della sua collezione di gemme.
Il taccuino A.48 si considera come un precedente delle Gemmae antiquae ex Thesauro Mediceo et privatorum Dactyliothecis Florentiae (1731-32) – i primi due volumi del monumentale Museum Florentinum, ideato e diretto dal Buonarroti, edito tra il 1731 e il 1762, per diffondere le riproduzioni di oltre 1200 gemme della dattilioteca medicea e di altre toscane – opera di Anton Francesco Gori (Firenze 1691 - 1757), uno dei più famosi eruditi e antiquari del ‘700, punto di riferimento essenziale per i cultori di antichità (per un recente panorama bibliografico, Tassinari 2011, 422-423). Infatti Buonarroti donò questo taccuino al Gori, suo discepolo e continuatore. Anche i due tomi con impronte di ceralacca di gemme (Gemmarum antiquarum ectypa; A. 32-33; Biblioteca Marucelliana, Firenze) costituiscono la raccolta iniziata da Buonarroti e proseguita dal Gori (Tassinari 2010b, 68).
Dunque il taccuino A.48 si presenta come un grande repertorio glittico, una sorta di promemoria di gemme viste, riprodotte dal Buonarroti più per interesse personale che per pubblicarle, sia della propria raccolta, sia di quelle di varie collezioni (fiorentine e soprattutto romane), rispettivamente testimoniate dalle scritte autografe, come “apud me”, “apud Fabretti” (cioè Raffaele Fabretti, collezionista, Sovrintendente allo Scavo delle Antichità e Custode delle S.S. Reliquie dei Cimiteri a Roma), “apud Mazzoleni”. Permangono alcune difficoltà di lettura e di comprensione: altre scritte autografe sparse, in alcune pagine sono assenti ordine o schema, in altre le gemme sembrano raggruppate per soggetto; non è possibile stabilire il numero preciso degli esemplari disegnati, poiché spesso la stessa gemma è ripetuta, in un disegno più curato; comunque sono più di mille pezzi.
A favore della provenienza da Roma di molte gemme depongono gli anni trascorsi dal Buonarroti nell’Urbe, con antiquari e letterati (ad esempio con il Fabretti), ad indagare le antiche vestigia e a compiere numerose ricognizioni nell’agro romano; di conseguenza era facilitato a procurarsi gemme, grazie alla fonte pressoché inesauribile di rinvenimenti dagli scavi e all’intenso mercato antiquario.
Dunque ammiriamo un’ampia gamma di combinazioni di elementi costitutivi e ricorrenti ma diversamente disposti, caratteristica delle gemme di propaganda. Capricorno, tridente, delfino, uccello su cornucopia (carta 1, Quartino 1978, tav. I); capricorno con cornucopia / cornucopie e talvolta timone e /o tridente (carta 1, carta 17, carta 18, carta 23, carta 31, carta 43; Quartino 1978, tavv. I, VI); capricorno al di sopra di una nave (carta 52; Quartino 1978, tav. XII); una o due cornucopie, timone e ramo di palma (carta 1, carta 17, carta 24, carta 43; Quartino 1978, tav. I); delfini, cornucopie e talvolta tridente o timone (carta 3, carta 14, carta 16, carta 43, carta 50, carta 98; Quartino 1978, tavv. II, V); uccelli, con a volte nel becco una corona, al di sopra o posati su due mani congiunte e capsule di papavero (?), su cornucopia, su modio, su un canestro con cornucopie, su un’ara, su un bacino (carta 8, carta 15, carta 16, carta 25, carta 26, carta 43, carta 50; Quartino 1978, tavv. III, VII); mano che tiene spighe / ramo di palma / capsula di papavero / clava / caduceo (carta 19, carta 20, carta 23, carta 40, carta 43; Quartino 1978, tav. VI); due mani congiunte con spighe, e talvolta timone e ramo di palma / clava / caduceo, cornucopia (carta 1, carta 18, carta 40, carta 43; Quartino 1978, tav. VI); testa con mano e spighe o capricorno o delfino e spighe o aquila e cornucopie, piede alato, caduceo, timone (carta 30, carta 31, carta 38); timone e ramo di palma, clava, caduceo (carta 16) [Figg. 5, 6, 7].
La presenza delle gemme di propaganda in epoca post-antica: un unicum
Un caso eccezionale e unico è costituito da un anello con castone d’oro scanalato e decorato con un piccolo fiore, con tracce di smalto, che reca un intaglio in calcedonio: un uccello dal grande becco ricurvo posa su un cratere, tra due cornucopie, con sei globetti che potrebbero richiamare le sei palle dello stemma mediceo; in basso due mani congiunte (Gioielli dei Medici 2003, 66-67, n. 9 [C. Contu]; Sframeli 2010, 39-40 [Fig. 6; Fig. 8]). Conservato al Museo degli Argenti (Palazzo Pitti, Firenze), questo anello è stato rinvenuto, durante le ricognizioni effettuate nelle Cappelle Medicee, nel sepolcro di Eleonora di Toledo, insieme ad un anello in oro con un rubino, due smeraldi, tracce di smalto, chiuso con due mani in fede, attribuito ad orafo fiorentino della prima metà del XVI secolo, e a due buccole d’oro per orecchini, di orafo fiorentino della prima metà del XVII secolo (Gioielli dei Medici 2003, 67-68, nn. 10-11 [C. Contu]).
Eleonora di Toledo nello splendido ritratto, dipinto da Agnolo Tori, detto il Bronzino (1543), ora nella Nàrodni Galerie di Praga (Gioielli dei Medici 2003, 64-66, n. 8 [L. Goldenberg Stoppato]) indossa al mignolo della mano destra l’anello con l’intaglio che ci interessa, e sull’indice un altro anello in oro, con diamante tagliato a tavola: l’anello matrimoniale donato dal duca Cosimo I Medici alla giovane moglie in occasione del loro matrimonio celebrato per procura a Napoli il 29 marzo 1539, anello menzionato in una lettera, dove si descrive l’abbigliamento della duchessa giunta a Pisa da Napoli (Gioielli dei Medici 2003, 66 [C. Contu]. Sui gioielli di Eleonora, Marsolek 2013).
Non c’è bisogno di ribadire il valore straordinario di un gioiello presente in un quadro, conservato e deposto nella propria tomba, cioè in un contesto altamente simbolico e pregnante. Soffermiamoci piuttosto sull’intaglio in esame. Innanzitutto, in base a quanto sopra specificato, non devono sussistere dubbi sull’antichità dell’intaglio, invece definito con incertezza: pietra romana? (Gioielli dei Medici 2003, 67, n. 9 [C. Contu]). Un puntuale confronto si ha con un nicolo datato al I secolo d.C. (Maaskant-Kleibrink 1978, 268, n. 729). Giustamente si rileva che Eleonora di Toledo nel suo ritratto simboleggia la fedeltà coniugale, con la destra posta sotto il seno, fedeltà coniugale rafforzata appunto dai due anelli (Gioielli dei Medici 2003, 66 [C. Contu]).
Non si è perso il complesso significato del soggetto dell’intaglio, anzi è stato ben compreso e apprezzato, nel suo evidente riferimento all’abbondanza, alla fertilità della proprietaria dell’anello: Eleonora diede alla luce undici figli e nel periodo del ritratto ne aveva già quattro; le mani congiunte – la dextrarum iunctio –, simbolo di legame amoroso, di unione, di patto matrimoniale (Scarisbrick 1993, 17-19, 49-51, 158) sottolineano la fedeltà nei rapporti personali. L’anello risponde da una parte al concetto del legame affettivo tra Eleonora e Cosimo, rafforzato dalla presenza nella sepoltura del succitato anello con le mani in fede (Gioielli dei Medici 2003, 67, n. 10 [C. Contu]), dall’altra ad un’idea diffusa, una moda, nell’oreficeria medicea dei secoli XVI e XVII, come attestano le testimonianze di altri anelli, anche in dipinti (Gioielli dei Medici 2003, 67, n. 10, 93-94, nn. 25-26 [C. Contu]).
Se l’anello oggetto del nostro studio non è stato identificato, nelle fonti d’archivio, tra le gioie possedute dalla duchessa, e se non va escluso che fosse da lei usato come sigillo personale, certo è che la scelta di deporlo nella sua sepoltura è segno di attaccamento affettivo. Del resto esso corrisponde perfettamente alle scelte di Cosimo per Eleonora: il motto “Cum pudore laeta fecunditas” e per impresa personale una pavoncella con i piccoli protetti sotto le ali, esplicita allusione alle virtù di moglie e madre e all’affetto per la consorte (Pieraccini 1924-1925, vol. II, 57).
Esaminiamo il contesto in cui si colloca questo anello. Eleonora di Toledo (11 gennaio 1519-17 dicembre 1562) era la seconda figlia del vicerè di Napoli don Pedro Alvárez de Toledo (Pieraccini 1924-1925, vol. II, 55-70). Di rara bellezza, altera, ambiziosa (ci teneva a comparire in pubblico vestita con sfarzo e ricche gioie, ma era anche attenta che l’eccessiva ostentazione non urtasse la suscettibilità dei sudditi), riservata, madre affettuosa e attenta, sposa innamorata (e contraccambiata) e fedele, seguiva Cosimo in viaggi ed escursioni. Molto religiosa, dedita a opere di beneficienza, ma anche al gioco e alle scommesse, e non all’attività politica, viene spesso descritta come di mediocre intelligenza, limitata cultura, indifferente agli affari di stato e alle cose intellettuali. Eppure la duchessa (per non menzionare le altre committenze artistiche) giocò un ruolo di primo piano e diede un apporto rilevante alla dattilioteca di Cosimo. Il duca sia seguì ed emulò i suoi antenati, in ideale continuità con essi, sia produsse una svolta (Casarosa Guadagni 1997, 84-86; Digiugno 2005; Digiugno 2010, 42-45). Accanto a motivi frequenti, dionisiaci e immagini di eroti, in conformità con la concezione del ritratto come esaltazione personale, espressione e promozione del potere, Cosimo I collezionò gemme con effigi di personaggi, antichi e più o meno coevi, e commissionò suoi ritratti, da solo, con la moglie e anche con i figli: celeberrimi cammei (ad esempio, Pregio e bellezza 2010, 180-184, nn. 70-72 [E. Digiugno]).
Per quanto riguarda più specificamente Eleonora, si dedicò con solerte interesse e passione alla raccolta, specie dei cammei classici, di più facile lettura degli intagli, e alla ritrattistica contemporanea (Digiugno 2005, 23-24, 36; Digiugno 2010, 43-44). I documenti attestano i suoi acquisti, quali, ad esempio, un pregevole intaglio con una testa di Ercole, un cammeo con testa di Tolomeo, disperso, montato su anello e donato al marito, una grande ametista con scena agreste, ora ritenuta di dubbia autenticità, come un bellissimo cammeo con testa di Socrate, probabilmente inciso da Lodovico Marmita, e gli splendidi cammei con i ritratti di Filippo II di Spagna e del figlio Don Carlos.
Non disponiamo di alcun elemento per stabilire come la duchessa sia venuta in possesso dell’anello in oggetto. Comunque sia, l’intaglio riveste tutto il suo valore, nell’ambito di una raccolta, come quella medicea, a cui sono affidati una pluralità di messaggi, quali gloria dinastica, magnificenza, prestigio, legittimazione del potere, mecenatismo propagandistico, testimonianza degli orientamenti culturali, ideologici e artistici.
Le gemme di propaganda nella produzione dell’officina dei lapislazzuli
Nell’ambito della glittica post-classica, anonima, corrente, di ordinaria esecuzione, così ingente da potersi definire di “massa”, l’unica produzione riconosciuta e studiata è quella della cosiddetta “officina dei lapislazzuli” (Tassinari 2010a). È probabile che le officine responsabili di questa produzione, ascrivibile al XVI-XVII secolo (preferibilmente nella prima metà), siano state ubicate in Italia settentrionale, in particolare a Venezia e/o a Milano. Se molti intagli dell’officina dei lapislazzuli si distinguono nettamente, per peculiarità iconografiche e soprattutto stilistiche, dagli antichi, altri si attengono più fedelmente ai modelli antichi o rinascimentali; per classificarli come non antichi e attribuirli a questa produzione, il lapislazzuli rimane l’unico indizio: significativo, si, ma che può anche rivelarsi incerto e fallace. Infatti esistono intagli in lapislazzuli antichi, spesso riservati alla sfera reale/imperiale o connessi più o meno direttamente con l’Egitto.
Gli intagli in lapislazzuli con oggetti, animali e lettere costituiscono un problema non facilmente risolvibile: in assenza di elementi sicuri e connotanti il tentativo di classificazione antico/moderno risulta azzardato (Tassinari 2010a, 122-125). Ciò premesso, non si rivela certo arduo selezionare ed isolare le gemme di propaganda appartenenti o che potrebbero appartenere all’officina dei lapislazzuli: si tratta di esemplari assolutamente sparuti.
Rientra nel filone della produzione in lapislazzuli definibile “classicistico”, “antichizzante”, cioè che si attiene più fedelmente ai modelli antichi o rinascimentali che gli antichi imitano o riecheggiano, ma non suscita dubbi riguardo alla sua “modernità” l’intaglio in lapislazzuli inciso su un lato con Nettuno stante su una biga e dall’altro con due mani congiunte che tengono due cornucopie con in mezzo un caduceo, e al di sotto l’iscrizione PAX (Tassinari 2010a, 108, 131, Tav. XLIV, a), disperso, documentato dai calchi Tassie (Raspe 1791, 183, nn. 2577-2578 [Fig. 9]. Ne era il proprietario il barone Karl Heinrich von Gleichen (1733-1807), diplomatico tedesco al servizio, tra gli altri, del sovrano danese, autore anche di memorie autobiografiche; viaggiò molto, accompagnò il margravio di Bayreuth e la consorte in Italia nel 1755 e vi rimase fino al 1758 (Bettelheim 1904).
Invece rientra in quei tipici casi per il quale non si dispone, per stabilirne la modernità, di altro criterio dirimente che il materiale – il lapislazzuli – l’intaglio con capricorno con cornucopia al di sopra del timone e del globo che figura nel taccuino A.48 di Filippo Buonarroti (carta 25, n. 315; Quartino 1978, tav. VII). Almeno a giudicare dal disegno, nessun dubbio si può sollevare sulla sua antichità, se non appunto il materiale, il lapislazzuli, secondo l’annotazione scritta accanto: “L.lazzulo”. Con tutta la cautela sempre necessaria, posso affermare di non aver mai incontrato un intaglio con questa rappresentazione in lapislazzuli. Si tratta dunque di una fedelissima ripresa “moderna” che non si distingue assolutamente – sempre in base al disegno – dagli intagli antichi [Fig. 10].
Le stesse conclusioni si applicano all’intaglio in lapislazzuli (Inv. n. 27947), con caduceo, una spiga e un ramo di palma, inedito, della collezione del Museo Archeologico al Teatro Romano di Verona (cfr. supra, Magni) [Fig. 11].
Un altro intaglio in lapislazzuli, con un caduceo tra due spighe, conservato ai Musei di Berlino, è stato edito, senza immagine, dal Furtwängler, che lo ascrive ad età imperiale (Furtwängler 1896, 320, n. 8732). Ma lo studioso in seguito riconosceva che andavano ricollegati alla produzione dei lapislazzuli intagli da lui invece classificati come antichi (Tassinari 2010a, 69-70).
Le gemme di propaganda nell’ambito di una produzione “all’antica”: la collezione de Wilde
Documento interessante e significativo della temperie artistica, culturale e figurativa dell’epoca, in cui il paradigma dell’antichità viene interpretato e adattato da parte del repertorio glittico al gusto del tempo, e quindi di coesistenza di antico / non antico, è costituito dall’opera di Jacob de Wilde. In rapporti con altri conoscitori olandesi, come Iacobus Gronovius, J. Georgius Graevius e Johannes Smetius, Jacob de Wilde (L’Aja 1645 – Amsterdam 1721), ad Amsterdam ospitava un museo, cioè la sua cospicua collezione di monete, gemme, sculture, strumenti scientifici e curiosità: oggetti non tutti antichi, un museo che suscitava ammirazione, elogi, anche altisonanti, da molti importanti visitatori, tra i quali lo zar Pietro il Grande (Maaskant-Kleibrink 1978, 15-21; Maaskant-Kleibrink 1996; Maaskant-Kleibrink 1997, 236, 239-241).
La raccolta di de Wilde fu venduta il 5 aprile 1741; le descrizioni nel catalogo di asta non sono abbastanza chiare per consentirci di riconoscere le gemme e non sappiamo come esse furono acquistate. Comunque il Royal Coin Cabinet di Leida (prima erano al Royal Coin Cabinet, all’Aja) possiede circa 150 gemme, cioè quasi tutte. De Wilde pubblicò i principali oggetti della sua collezione, come nei Selecta numismata antiqua (1692). Il testo sulle sue gemme (Gemmae Selectae 1703; dedicato al re di Spagna Carlo III) ne presenta 188: inserite in più o meno elaborate cornici vegetali, quattro in ogni tavola (per un totale di 50 tavole) intorno a una figura centrale (divinità, figure mitologiche) e spesso raggruppate sotto un denominatore comune, che in teoria sarebbe offerto dalla figura centrale (ma di frequente non è così). Nella sua introduzione rivolta ai cultori di antichità, de Wilde scrive di averle amate sin da giovane, di pubblicare quelle in suo possesso, riconoscendo l’utilità delle gemme per comprendere molti aspetti dei secoli precedenti. Spiegazioni, esposizioni, ipotesi, descrizioni sono tutte sue. Le spiegazioni delle figure sulle gemme sono brevi; quasi sempre sono riportati brani e poesie in latino e greco, ma talvolta senza alcun nesso con il pezzo in esame, quasi per gioco. Sembra che la collezione di de Wilde non comprendesse molte più gemme di quelle illustrate nelle Gemmae Selectae e che la maggior parte provenisse dal principe di Vaudémont – Carlo Enrico di Lorena-Vaudémont (Bruxelles 17 aprile 1649 – Nancy 14 gennaio 1723), figlio di Carlo IV di Lorena; famoso diplomatico, militò nell’esercito spagnolo degli Asburgo e nel 1698 venne nominato Governatore di Milano – e forse da un capitano di nave da cui de Wilde acquistò le monete.
Va ricordato che vari intagli della raccolta di de Wilde appartengono alla produzione dei lapislazzuli e soprattutto a quel filone produttivo probabilmente realizzato nei Paesi Bassi, nel tardo XVI secolo e nella prima metà del XVII secolo, più tardi rispetto alla fabbricazione italiana (Tassinari 2010a, 97-98 e passim). La Maaskant-Kleibrink (Maaskant-Kleibrink 1997, 238) osserva che nei Paesi Bassi molti collezionisti di gemme e monete erano orefici, argentieri, incisori che facevano e vendevano intagli. Si può presupporre una produzione in loco, non antica, e forse nei secoli XVI-XVII, anche per alcune gemme di propaganda pubblicate da de Wilde? La produzione di tali intagli non antichi – i cui prototipi sono antichi – proverebbe in maniera evidente l’interesse per questo genere di gemme da parte dei collezionisti nordici. E nell’opera di de Wilde parecchi sono gli intagli non antichi con simboli, oggetti, iscrizioni relative alla storia romana.
Nella tavola “dedicata” a Iuppiter, de Wilde correttamente spiega l’intaglio (classificato in onice) con un capricorno che reca una palma al di sopra di una nave, come un capricorno con palma sopra una nave rostrata, in memoria della vittoria navale di Augusto nato sotto il segno del capricorno. E riporta i versi di Manilio (Astronomica) sul capricorno, e di Ovidio (Tristia) sulla nave (Gemmae Selectae 1703, 11, tav. 4, n. 13 [Fig. 12]. L’intaglio, in nicolo, è datato al I-II secolo d.C. (Maaskant-Kleibrink 1978, 241, n. 622).
Non suscitano dubbi (sempre in base ai disegni) sulla loro antichità altri intagli come, nella stessa tavola del precedente, l’intaglio con un’aquila ad ali spiegate posata su uno scettro e al di sotto un capricorno con un globo (Gemmae Selectae 1703, 10-11, tav. 4, n. 12), con i versi di Manilio (Astronomica) sull’aquila di Giove e sul capricorno [Fig. 13]; l’intaglio, definito in onice-sardonice da de Wilde, in realtà in agata, è datato al I secolo d.C. (Maaskant-Kleibrink 1978, 229, n. 567).
In una tavola con Nettuno, un intaglio in onice con due delfini ai lati di una cornucopia, accompagnato dai versi di Ovidio sulla cornucopia e di Virgilio sui delfini (Gemmae Selectae 1703, 38, tav. 12, n. 45 [Fig. 14]); in una tavola con Telesforo, un intaglio in agata con un uccello su una cornucopia, spighe e teste di papavero entro un vaso, con i versi di Virgilio sul corvo e sul papavero e di Ovidio sul papavero (Gemmae Selectae 1703, 130, tav. 38, n. 142); in una tavola con Fortuna, un intaglio in onice con due cornucopie incrociate, un timone e due piccoli globi, corredati dai versi di Ovidio, Virgilio e Manilio (Gemmae Selectae 1703, 162, tav. 46, n. 171 [Fig. 15]) e un altro in agata con timone, palma e globo, con i versi di Virgilio (Gemmae Selectae 1703, 162-163, tav. 46, n. 172).
Ma sicuramente non antichi sono altri intagli sempre provvisti di iscrizioni. Vediamo qualche esempio. Nella tavola con Proserpina, l’intaglio in corniola con una ruota posta su un globo, timone e spiga e iscrizione FOR AVG XXIII. De Wilde scioglie l’iscrizione in Fortuna Augusti, interpreta i due segni (appena accennati e incomprensibili) come di Giove e Mercurio, descrive correttamente i quattro oggetti e conclude che si tratta di una rappresentazione in ricordo della vittoria navale grazie a cui Augusto ottenne abbondanza di frumento. Infine cita versi di Ovidio e di Manilio sulla fortuna (Gemmae Selectae 1703, 62-63, tav. 19, n. 70 [Fig. 16]).
Nella tavola con Cerere, tra gli intagli con spighe e iscrizioni varie ve ne è uno in corniola con tre spighe tra due are ardenti e la scritta SAL AVG, che de Wilde scioglie come Salus Augusti, riportando i versi di Virgilio (Georgiche, Eneide) e di Ovidio (Metamorfosi, Epistole) (Gemmae Selectae 1703, 91-92, tav. 26, n. 98 [Fig. 17]).
Nella tavola con Pace, l’intaglio in corniola con inciso su un lato due mani congiunte che tengono due spighe e in mezzo un caduceo e sotto PAX SAB, dall’altro al di sotto di una stella affiancata da segni poco chiari (simbolo femminile e maschile?), interpretati da de Wilde come le insegne di Venere e Marte), l’iscrizione ROMVLVS TI TATIVS FELIX. Sciogliendo come pax Sabinorum e Romulus Titus, de Wilde commenta con i relativi versi di Ovidio (Metamorfosi) e quelli di Manilio (Astronomica) sulla pace, la stella e i segni (Gemmae Selectae 1703, 174-175, tav. 50, n. 186; ma nel testo è indicato come 185 [Fig. 18]).
Nella tavola con Romolo, per l’intaglio in corniola con un caduceo, in cima un piccolo globo, in mezzo a due spighe, e intorno le lettere ME HO RO PA (n. 177), de Wilde ipotizza che sia in memoria dell’onorabile pace romana che appunto ha reso pacifico tutto l’orbe e ha assicurato l’annona, e sceglie i versi di Ovidio (Metamorfosi) e di Virgilio (Bucoliche) sulla pace romana e il frumento (Gemmae Selectae 1703, 167-168, tav. 47, n. 177 [Fig. 19]).
La presenza delle gemme di propaganda: gli incisori dei secoli XVIII-XIX
Si è già sottolineato che i motivi incisi sulle gemme di propaganda non sono presenti nel repertorio degli incisori dei secoli XVIII-XIX; anche nel periodo precedente sono davvero sporadici, specie se confrontati con le iconografie che hanno incontrato successo. Esempio eloquente e ulteriore conferma è l’assenza delle gemme di propaganda dalla raccolta di 7189 matrici in vetro tratte da intagli e cammei, antichi e moderni (numerosi di incisori attivi a Roma), dei romani Paoletti, Bartolomeo (1757-1834) e il figlio Pietro (?-1844 (5)), al Museo di Roma di Palazzo Braschi (Pirzio Biroli Stefanelli 2007; Pirzio Biroli Stefanelli 2012). Assenza tanto più significativa in quanto la famosa manifattura dei Paoletti deteneva una sorta di “monopolio” delle matrici vitree, indispensabili per realizzare i calchi di intagli e cammei. Ed è nota l’importanza economica, culturale e sociale della fabbricazione e del commercio delle collezioni di paste vitree e di impronte di gemme, fiorenti soprattutto a Roma, capitale glittica e del Grand Tour (da ultimo, Magni, Tassinari 2019, 77-79). In questo vuoto acquistano una valenza particolarmente interessante i disegni – una forma di documentazione per le gemme rara, in quel periodo, rispetto ai calchi e alle paste vitree – di due famosi incisori che riproducono questo tipo di gemme.
Il tedesco Lorenz Natter (Biberach-an-der-Riss 1705 - San Pietroburgo 1763), eccellente e versatile artista (anche gioielliere, medaglista, esperto connoisseur, collezionista di gemme), attivo in Italia (Venezia, Roma, Firenze) e in Inghilterra, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Russia, abilmente incideva ritratti e realizzava copie e repliche di note gemme antiche, talvolta trasformando il soggetto e apponendovi nomi di incisori antichi (da ultimo, Tassinari 2018b, passim; Tassinari 2019, 230-236). Egli sosteneva di aver venduto tali gemme come opera propria e non spacciandole per antiche; ma i contemporanei affermavano che Natter non era innocente riguardo agli inganni ed era lecito il sospetto di connivenza con le frodi: accuse spesso giustificate. Natter operò per prestigiosi committenti, come il sempre discusso barone Philipp von Stosch (Cüstrin 1691- Firenze 1757), una delle maggiori autorità sulle gemme, legato con i migliori incisori del periodo, assai probabilmente responsabile e coinvolto nella produzione e commercio di gemme “false”. Natter incise parecchie gemme per la collezione di Lord Bessborough (e ne pubblicò il Catalogo), del duca di Marlborough, e anche copie degli esemplari di tali raccolte; perciò il corpus dei suoi lavori è difficile da definire. Scrisse anche un Trattato sul metodo di incidere le pietre, illustrato con tavole di gemme (1754).
Gli intagli che ci interessano sono disegnati nel Museum Britannicum, una grande opera, incompleta e inedita; il manoscritto è conservato all’Ermitage, a San Pietroburgo (Kagan, Neverov 1984; Kagan 2010, 118, 123, 125, 127, 129-131; Boardman, Kagan, Wagner 2017). Natter aveva l’intenzione di descrivere e pubblicare un Museum, sul prototipo del Museum Florentinum del Gori, delle gemme antiche, a volte curiose e poco note, delle collezioni inglesi. Tale lavoro avrebbe compendiato la sua esperienza, la sua fama e la sua autorità come connoisseur e collezionista, offrendo una survey glittica. Radunate informazioni sulle collezioni inglesi, redatti inventari e cataloghi, disegnate con grande talento centinaia di gemme e calchi, talvolta commentando con riferimenti alle fonti letterarie, Natter non riuscì ad avere la somma necessaria per la pubblicazione, pur vendendo la maggior parte della sua collezione di gemme, che tra l’altro doveva formare una porzione consistente del Museum Britannicum. In 213 tavole egli presenta 536 cammei e intagli, di cui 512 da ventitré cabinets britannici: un campione davvero rappresentativo delle dattilioteche inglesi e una messe di informazioni su quel clima. Di recente il Museum Britannicum è stato edito nella sua interezza, accompagnato dalle gemme identificate (Boardman, Kagan, Wagner 2017).
La percentuale delle gemme di propaganda è irrisoria. Un intaglio in corniola raffigura due mani giunte che tengono due cornucopie e due spighe di grano (Boardman, Kagan, Wagner 2017, 159, n. 363). Esso apparteneva alla collezione di Natter, il cui catalogo (due versioni) è ora all’Ermitage (Boardman, Kagan, Wagner 2017, 229-244). Natter così lo spiega (in francese): concordia. Due mani giunte sono state ordinariamente il simbolo dell’unione, i corni d’abbondanza e le spighe, che vengono dalla buona concordia, l’incisione è molto ordinaria in una corniola (Boardman, Kagan, Wagner 2017, 242, n. 110 [Fig. 20]).
Potrebbero rientrare nella serie un intaglio in berillo con un corvo posato su una cornucopia che termina con una testa di montone, privo di indicazione della collezione (Kagan, Neverov 1984, 165, fig. 6, 12; Boardman, Kagan, Wagner 2017, 108, n. 191 [Fig. 21]), così come una gemma con la testa di Mercurio, con una cornucopia, un ramo di palma, due teste di papavero e due mani congiunte (Boardman, Kagan, Wagner 2017, 120, n. 228 [Fig. 22]). Questo secondo intaglio apparteneva alla raccolta di Thomas Hollis (1720-1774), famoso bibliofilo, libertario, con forti connessioni familiari con l’America liberale, patron e amico di Natter, che ne incise anche il ritratto (Kagan, Neverov 1984, 162; Buttrey 1990; Kagan 2010, 123, 130-131; Boardman, Kagan, Wagner 2017, 13, 223-224). Hollis riunì una collezione di antichità: sculture, iscrizioni, vasi, oggetti di vita quotidiana, monete, medaglie e gemme. Quanto alle gemme, Hollis ne comprò alle aste delle raccolte del dottor Richard Mead (1755) e di Gabriele Medina, ricco mercante ebreo di Livorno (1761), durante la visita in Italia e da Natter, che gliene vendette delle sue. La collezione Hollis comprendeva gemme antiche e non antiche, e soprattutto opere di Natter; menzioniamo solo il Trionfo della Britannia, un grande cammeo (1754) che riflette la visione patriottica di Hollis, un’allegoria della nazione e della libertà. I dubbi sollevati su alcune gemme, specie le molto belle – poiché le note di Natter sono difficili da leggere, talvolta non è attento a registrare, può difettare nel ricordo, mescolare le fonti; inoltre le gemme circolano – che l’incisore dà come appartenenti a Hollis, non sembra riguardino il nostro esemplare.
Diverso è il caso del disegno ad inchiostro su carta di una gemma con due cornucopie, due timoni, una clava in mezzo, e un globo al di sotto, dell’incisore romano Giovanni Calandrelli (Platz-Horster 2005, 93, 106, n. VI 71 [Fig. 23]). La notevole maestria di Calandrelli (1784 - post 1853) è testimoniata dai ritratti di alta qualità di prestigiose personalità e dalla sua capacità di imitare a perfezione le gemme antiche nello stile, nella firma degli autori, persino nella patina e nella corrosione. E Calandrelli si vanta che i suoi lavori (mai venduti come antichi!) non sarebbero stati riconosciuti opera sua se non li avesse lui stesso dichiarati (Platz-Horster 2003; Platz-Horster 2005; Tassinari 2005, 365-370). Nel 1832 l’incisore si trasferì da Roma a Berlino e, pur ben inserito nell’ambiente artistico berlinese, sperò sempre, ma invano, di avere un posto fisso: probabilmente questo è dovuto al fatto che Calandrelli aveva partecipato alla formazione, cioè allo “scandalo” della collezione Poniatowski. Il principe grande mecenate Stanislao Poniatowski (1754-1833) incaricò i migliori incisori dell’epoca di realizzare migliaia di gemme – passate come antiche –, spesso firmate coi nomi di artisti antichi, reali o immaginari, illustrazione erudita dei testi classici, raffigurazione di miti, storie, episodi astrusi, composizioni inventate (da ultimo, Rambach 2014; Gołyźniak 2016).
Calandrelli portò con sé a Berlino i suoi strumenti da lavoro, un “patrimonio”, venduto dal figlio Alessandro, conservato nell’Antikensammlung dei Musei di Berlino: calchi di gesso, di zolfo, paste vitree (molto belle) e matrici vitree, necessarie per la preparazione delle serie di calchi; 295 disegni – schizzi e studi per le pietre dure – preparatori per le sue gemme (1816-1849), un catalogo autografo (26 novembre 1826) delle impronte delle pietre da lui incise dal 1817 (140 pezzi), secondo l’antica maniera delle diverse epoche greche, conservando lo stile ed il nome degli incisori più illustri. La maggior parte dei disegni sono muniti di scritte esplicative: si riferiscono al ciclo dell’Iliade, dell’Odissea e dell’Eneide; alcuni disegni sono copie di gemme antiche o sculture, altri per gemme della dattilioteca Poniatowski. Invece il nostro disegno fa parte dei disegni senza etichetta.
Ringraziamenti
Ringraziamo vivamente Svetlana Adaxina (Museo Statale dell’Ermitage di San Pietroburgo); Margherita Bolla (Museo Archeologico al Teatro Romano, Verona); Cristina D’Adda (Civica Biblioteca d’Arte – Biblioteca Archeologica e Numismatica, Milano); Rodolfo Martini (Gabinetto Numismatico e Medagliere delle Raccolte Artistiche del Castello Sforzesco di Milano); Hadrien J. Rambach (libero consulente d’arte, Bruxelles), Carina Weiss (Universität Würzburg).
Bibliografia
- Bettelheim 1904
A. Bettelheim, K.H. von Gleichen, Allgemeine Deutsche Biographie, Band 49, Leipzig 1904, 381-385. - Boardman, Kagan, Wagner 2017
J. Boardman, J. Kagan, C. Wagner, Natter’s Museum Britannicum. British gem collections and collectors of the mid-eighteenth century, Oxford 2017. - Buttrey 1990
T.V. Buttrey, Natter on gem collecting. Thomas Hollis, and some problems in the Museum Britannicum, “Journal of the History of Collections” 2, 2 (1990), 219-226. - Casarosa Guadagni 1997
M. Casarosa Guadagni, Le gemme dei Medici nel Quattrocento e nel Cinquecento, in C. Acidini Luchinat (a cura di), Tesori dalle collezioni medicee, Firenze 1997, 73-92. - Catalogue 1786
Catalogue des pierres gravées du Cabinet de feu son Altesse Sérénissime Monseigneur le Duc d’Orléans, Premier Prince du Sang, Paris 1786. - Dacktyliothek 1776
Supplement zu Philipp Daniel Lipperts Dacktyliothek bestehend in Tausend und Neun und Vierzig Abdrücken, Leipzig 1776. - Description 1727
Description sommaire des pierres gravées et des médailles d’or antiques du Cabinet de feue Madame, Paris 1727. - Digiugno 2005
E. Digiugno, La dattiloteca di Cosimo I de’ Medici, in D. Liscia Bemporad (a cura di), Immagini preziose in cornice. Cammei, montature e castoni del XVI secolo a Firenze (Arte orafa arte tessile II), Firenze 2005, 7-79. - Digiugno 2010
E. Digiugno, Una raccolta, tre Granduchi: Cosimo, Francesco e Ferdinando, in Pregio e bellezza 2010, 42-47. - Furtwängler 1896
A. Furtwängler, Königliche Museen zu Berlin. Beschreibung der geschnittenen Steine im Antiquarium, Berlin 1896. - Gallo 1986
D. Gallo (a cura di), Filippo Buonarroti e la cultura antiquaria sotto gli ultimi Medici, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti 25 marzo – 25 settembre 1986), Firenze 1986. - Gemmae Selectae 1703
Gemmae Selectae antiquae e Museo Jacobi de Wilde, sive L. tabulae Diis Deabusque Gentilium ornatae, per possessorem conjecturis, veterumque poetarum carminibus illustratae, Amstelaedami 1703. - Gemmarum affabre 1720
Gemmarum affabre sculptarum Thesaurus quem suis sumptibus haud exiguis nec parvo studio collegit Io. Mart.ab Ebermayer Norimbergensis. Digessit et recensuit Io. Iacobus Baierus Philos. et Med. Doctor huiusque in Acad. Altorf. Professor Primarius, Norimbergae 1720. - Gemme Antiche 1686
Le gemme antiche figurate di Leonardo Agostini Senese, Roma 1686. - Gemme Antiche 1700
Le Gemme Antiche Figurate di Michel Angelo Causeo De La Chausse Parigino, Roma 1700. - Gemme antiche figurate 1707-1709
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English Abstract
In this synthesis study, never before undertaken, some significant cases are proposed to illustrate the place of “propaganda” gems in the post-ancient glyptic. Once the main purposes for which propaganda gems had been created were exhausted, they are no longer engraved. Thus, in the wide and varied figurative repertoire of the engravers of the XVIII-XIX centuries these iconographies are absent: they do not respond to the taste of the time. Therefore a specimen (of stone or glass) of propaganda gems is almost always ancient.
The propaganda gems are present in the collections, circulate, are bought, found, but do not arouse particular interest, or attention from scholars, antique dealers, collectors. Explanations, interpretations and comments are rare, even if the meaning of Capricorn is not lost, as the zodiacal sign of Augustus.
Exceptional and unique is a gold ring, which bears an intaglio with a bird on a crater, between two cornucopias, with two joined hands at the bottom, preserved in Florence (Palazzo Pitti). The Duchess Eleonora di Toledo, wife of Cosimo I Medici, wears it in a splendid painted portrait and chooses to place it in her grave. The complex meaning of the subject of the intaglio has been well understood and appreciated, in its reference to abundance, to the fertility of the owner and as a symbol of the sentimental liaison between Eleonora and Cosimo.
key words | lapis lazuli workshop; Capricorn gems; Eleonora di Toledo
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo: Per una storia della glittica “di propaganda”: alcune riflessioni. II. Il post-antico, a cura G. Tassinari, “La Rivista di Engramma”, n. 170, dicembre 2019, pp. 33-65 | PDF dell’articolo