Titian. Love, Desire, Death
Recensione alla mostra della National Gallery di Londra (16 Marzo 2020 – 17 Gennaio 2021)
Simona Dolari
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In mostra alla National Gallery di Londra tornano insieme dopo più di quattro secoli le meravigliose ‘poesie’ realizzate per Filippo II di Spagna dal grande Tiziano.
Quattrocento cinquanta anni sono un periodo molto lungo, ma tanto è stato necessario per avere il privilegio di vedere di nuovo, insieme, forse i sei dipinti più incredibili, stravaganti, crudeli e meravigliosi mai realizzati nella storia della pittura occidentale. Sono le sei ‘poesie’ che il portentoso Tiziano realizza per il giovane Filippo d’Asburgo, futuro re di Spagna dal 1556, in un periodo di tempo che va dal 1553, data di consegna della prima opera, la Danae – in questa occasione viene esposta la versione di Apsley House della Wellington Collection ritenuta da Paul Joannides e Miguel Falomir come quella autentica anziché la più erotica e sensuale versione del Prado - al 1562, data dell’ultima tela, il Rapimento di Europa (Museo Isabella Stewart-Gardner, Boston). Insieme ad esse nella mostra organizzata dalla National Gallery di London Titian: Love, Desire, Death (16 Marzo 2020 – 17 Gennaio 2021) sono Venere e Adone (1554, Museo del Prado, Madrid), Perseo e Andromeda (1556, Wallace Collection, Londra), Diana e Atteone e Diana e Callisto (1559, in comproprietà della National Gallery di Londra e della National Gallery di Edimburgo) e infine la Morte di Atteone (1559-1575, National Gallery, Londra), mai spedita al sovrano.
Sembra uno spettacolo quasi irreale ma le sette tele con temi mitologici, tratti per lo più dalle Metamorfosi di Ovidio, si succedono una dopo l’altra raccontando storie complesse e tragiche e catturando lo spettatore in un’esperienza multisensoriale e polisemantica. Entrando infatti nella sala VI della galleria, dove la luce naturale offre la condizione ottimale per godere dei dipinti e le pareti rosso scuro dialogano perfettamente con le opere d’arte, si percepisce il valore di quest’impresa straordinaria: un elevato numero di corpi femminili a dimensione naturale – per lo più nudi o discinti – si susseguono in atteggiamenti e pose diverse a raccontare le vicende tragiche dei protagonisti. Sono infatti le favole o ‘poesie figurate’ come le chiamava lo stesso Tiziano, le cui protagoniste sono quasi tutte donne – Diana, Venere, Andromeda, Danae, Callisto, Europa e le ninfe – ad esclusione di Perseo, Adone e Atteone: gli ultimi due destinati a una misera fine, il primo ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia, l’altro sbranato dai suoi stessi cani, dopo essere stato trasformato in cervo. Presente sotto mentite spoglie, prima come pioggia d’oro che feconderà Danae e poi come falso e cortese toro bianco che porterà via la tenera Europa – sembra quasi una prefigurazione di quello che accadrà presto con Brexit – è anche l’insaziabile e irrefrenabile Giove, responsabile della triste sorte delle sue vittime.
Abbiamo davanti ai nostril occhi donne giovani e belle, dai corpi sensuali e morbidi, viste di fronte, ma anche dal retro, adagiate in un letto o intente nelle abluzioni alla fresca fonte dopo una battuta di caccia oppure catturate e strappate vie da un toro apparentemente inoffensivo che però sappiamo carnefice. Mostrano espressioni discordanti, mentre Danae appare serena in attesa della sua visita fuori dall’ordinario, le altre fanciulle sembrano incredule, inquisitive, sconvolte, confuse o imploranti, e a volte soddisfatte nella consapevolezza di poter decidere del destino degli altri come nel caso di Diana (e forse anche di Filippo). Molte di loro sono vittime dell’ira o della bramosia di creature superiori: la povera Callisto non solo è stata ingannata da Giove che travestitosi da Diana ha abusato del suo corpo, ma nella scena raffigurata ella diventa oggetto di vilipendio del consesso femminile quando il suo corpo, violentemente denudato e non nudo come le altre caste ninfe, rivela la sua gravidanza: prova visibile della sua colpa per cui merita di essere punita. Per coloro che hanno sbagliato non c’è perdono neanche se vittime di azioni prepotenti imposte dall’alto o di errori casuali, come per Adone colpevole di essersi imbattuto nel gineceo di Diana e delle sue ancelle.
La comprensione di questi dipinti non è mai univoca e mai semplicistica. Lo dimostrano le molteplici interpretazioni elaborate negli anni da eminenti studiosi a partire da Panofsky con il suo Problems in Titian. Mostly Iconographic (1969) che hanno applicato ogni sorta di lettura per comprendere il complesso significato iconologico dell’intera serie. Il catalogo che accompagna la mostra Titian: Love, Desire, Death curato da Matthias Wivel, responsabile anche dell’organizzazione generale dell’esibizione, propone una summa complessiva degli studi fino ad oggi, proponendo una visione delle opere molto inclusiva e poco di rottura.
È palese che le opere esposte ancora oggi offrono infiniti spunti di riflessione e molte chiavi di lettura, in particolare ora che abbiamo l’occasione di vederle tutte insieme così come furono concepite dalla mente dell’artista. Lo dimostra anche il convegno telematico organizzato dalla National Gallery, Poetry in paint: Titian’s Late mythologies che si è tenuto in tre diverse giornate e in cui specialisti di varie discipline – storici dell’arte, antropologi, politologi e esperti vari – hanno preso in considerazione le poesie da punti di vista a volte molto diversi. Le domande che ci poniamo oggi sono probabilmente ancora più numerose di ieri, le risposte sempre varie e molteplici: sono capolavori che stimolano sentimenti e reazioni di varia sorte, ma mai indifferenza.
È un continuo viaggio che chiama in causa intelletto e sensi, è un complesso gioco in cui la cultura ma anche la vista, l’udito e perfino il tatto sono chiamati a partecipare invitando lo spettatore a ‘sentire’ le morbide e soffici carni così come le fresche acque in cui Diana e il suo seguito si ristorano mentre ci si interroga sulle storie rappresentate e sul significato di queste. È Tiziano al suo massimo, è la summa di una carriera artistica e di una ricerca tecnica sempre in continua evoluzione. È la più complessa creazione di un pittore decisamente maturo, egli ha infatti più di sessanta anni quando inizia ad elaborare le poesie, e conosce molto bene il suo committente poco più che ventenne con cui ha condiviso un lungo periodo di tempo nel 1548 quando insieme anche all’artista Leone Leoni compiono quello che è noto come “felicissimo viaje” nei possedimenti europei dell’Imperatore Carlo V.
È questo il principio di quel saldo connubio artista-committente che continuerà fino alla morte del pittore nel 1576 e che porterà alla realizzazione di quasi trenta opere in totale, con un excursus in termini stilistici e tipologici molto vario. Tiziano, che per Carlo V nei decenni precedenti aveva eseguito essenzialmente opere di tema religioso e propagandistico, comprende a fondo le necessità politiche e culturali del giovane e futuro regnante e conosce e forse approva le sue frivolezze e cupidigie di uomo – per la caccia e per le donne – pur essendo dotato di seria educazione umanistica.
L’artista ha la capacità e gli strumenti idonei – abbandonata da anni è oramai l’ipotesi del pittore illetterato – per poter con straordinaria libertà ‘inventare’ le sue poesie che fanno tesoro del ricco ambiente culturale e letterario in cui egli si muove, condizionate anche dalle esigenze specifiche del contesto come mostrano gli stessi dipinti con le loro differenze stilistiche. È palese che nei dieci anni che intercorrono tra la Danae e l’Europa, senza prendere in considerazione la Morte di Atteone, che in qualche modo rappresenta l’acme di tutta questa creazione, ma che non venne mai spedito a Filippo, anche se ripetutamente menzionato nel carteggio, le situazioni politiche e culturali cambino e con queste anche lo stato d’animo del pittore che vede sempre più vicina la sua fine, teme sempre più la nuova generazione di pittori attivi a Venezia, in particolar modo Tintoretto, e lamenta costantemente, nelle sue lettere con il sovrano o i suoi agenti, il mancato pagamento per le opere inviate e per le pensioni promesse e mai ricevute. Tra il primo e l’ultimo quadro si legge l’evolversi di uno stile che diventa sempre più complesso e articolato nella composizione delle immagini e nel modo di lavorare con i colori che sono più materici e densi mentre le figure diventano meno definite giungendo a quello che molti hanno erroneamente designato con il termine di “non finito”.
Se nei dipinti raffiguranti Danae e Venere e Adone le figure sono ancora caratterizzate da una pittura sottile con colori chiari e con un limitato numero di figure disposte in primo piano, i dipinti più tardi, in particolare le due scene con Diana – meravigliosamente esposti in mostra sulla stessa parete perché così li aveva pensati il suo creatore come evidenziano ad esempio dettagli come il paesaggio nello sfondo, il fiume in primo piano ma anche la direzione della luce – evocano una scena teatrale, con molti personaggi raffigurati su piani diversi e in atteggiamenti vari, ma ognuno coinvolto nella stesso dramma che sta per avverarsi. I colori decisamente più scuri, sopratutto nello sfondo, si disfano e si ricompongono grazie a una consistenza materica assolutamente mai vista prima tra i pittori del Rinascimento. Sono quadri tragici come scriveva Puttarfaken nel suo libro Titian and Tragic Painting, mettendo in evidenza la natura teatrale delle composizioni, in cui uomini e donne appaiono vittime di una sorte inarrestabile e senza scampo in cui dei e fato sono carnefici attivi e inarrestabili da cui non è possibile scappare. Sono quadri di rottura e anche di crisi personale come scriveva Gentili nel suo bellissimo Da Tiziano a Tiziano, che fungono da vero testamento di un’intera carriera.
Sono per varie ragioni l’alter-ego dell’unico altro ciclo mitologico eseguito dall’artista veneziano quasi trent’anni prima tra il 1518 e il 1525 per il Camerino d’alabastro del Duca Alfonso d’Este di Ferrara. Anche in questo caso parliamo di opere di grandi dimensioni e complesse, ma elaborate seguendo un programma dettagliato pensato dal duca stesso con l’aiuto dell’umanista Mario Equicola, per uno spazio raccolto e ben definito da dedicare allo studio e all’otium, in un momento di grande ottimismo storico per le corti italiane e per il pittore stesso. I tre dipinti in questione, Omaggio a Venere (1518-1519, Museo del Prado, Madrid), il Baccanale degli Andrii (1523-1525, Museo del Prado, Madrid; sull’invenzione tizianesca dell’opera si veda il contributo di Monica Centanni in engramma nr. 163) e Bacco e Arianna (1520-1523, National Gallery, Londra), raffigurano storie dionisiache in cui si esalta l’ebbrezza e l’amore come condizione privilegiata per quel gruppo di eletti, umani e divini che sanno godere della forza dell’abbandono e del piacere come vuole il dio Bacco. Nei dipinti per Filippo, realizzati da Tiziano senza nessuna idea dello spazio cui erano destinati, perché il sovrano per anni si sposta di residenza in residenza e con lui i dipinti stessi, Apollo ha preso il sopravvento e le storie d’amore e di desiderio diventano storie tragiche che culminano nella morte o almeno nella pena o lunga sofferenza anche per coloro che verranno salvati come Andromeda. Il percorso degli uomini, dice Tiziano, è sempre impervio e amore non sembra più essere in grado di salvare nessuno. Lontano è ormai il tempo in cui il pensiero neoplatonico prometteva una condizione privilegiata a quanti erano illuminati da arte e cultura. La lucida ragione ha preso il sopravvento e Diana è pronta a scagliare la sua freccia contro Atteone, che armato soltanto di coraggio e curiosità ha osato sollevare la tenda dei misteri.
Peccato che di tutto questo non ci sia traccia purtroppo nei pannelli divulgativi della mostra, che sono invece molto dettagliati sulla storia dei passaggi di proprietà e collezioni nei secoli. Pur consapevoli che l’iconologia sfrenata possa indurre in voli pindarici assai impropri per la stessa nobile disciplina, è necessario ribadire l’importanza della lettura e comprensione delle opere d’arte attraverso il contesto culturale e politico dell’epoca in cui sono state realizzate. Opere incredibili come queste, che in maniera davvero eccezionale sono state riunite insieme per la prima volta dopo così tanti secoli, pretendono di essere spiegate, introdotte, fatte apprezzare anche a coloro che non hanno avuto modo di documentarsi in maniera approfondita affinché sia svelata la complessità di una tale creazione. Altrimenti rischiamo di fare la fine dello sprovveduto Adone che apre la tenda e scopre una realtà che a lui non è dato conoscere pagando addirittura con la vita come mostra il teschio di cervo sulla colonna che prefigura la sua fine. Eppure la via della conoscenza può e deve essere allettante ed è con questo sentimento che continuiamo a interrogarci sul significato di questi dipinti, nel desiderio di continuare a cercare (e magari comprendere) cosa si celi dietro i misteri di tante opere d’arte che fortunatamente continuano a interessare un gran numero di persone a dispetto di tutti quelli che vorrebbero tenerci fuori dal sipario.
English abstract
The text is a review of Titian. Love, Desire, Death (London, The National Gallery, 16 March 2020 - 17 January 2021), an exhibition of six 'poems' created by the Venetian painter for the young Philip of Habsburg, future king of Spain. The canvases on view are mostly based on Ovid's Metamorphoses and represent mythological subjects; they are 'poesie' (figurative poems) whose protagonists are predominantly women - Diana, Venus, Andromeda, Danaë, Callisto, Europa and the nymphs. The understanding of the paintings is never univocal, never simplistic: they represent Titian at his best, the most complex creation of a mature painter who, at sixty years old, knows his patron, and his patron's passion for women and hunting, well.
keywords | Exhibition on Titian; Titian; Ovid’s Metamorphoses; myths, Philip II of Spain.
Per citare questo articolo/ To cite this article: Titian. Love, Desire, Death. Recensione alla mostra della National Gallery di Londra (16 Marzo 2020 – 17 Gennaio 2021), a cura di S. Dolari, “La Rivista di Engramma” n. 178, dicembre 2020/gennaio 2021, pp. 204-215 | PDF dell’articolo