Il presente contributo vuole aggiungere un tassello necessario a questo numero della rivista interamente dedicato a Giovanni Testori, dando conto del suo rapporto con il critico d’arte Roberto Longhi (1890-1970), grazie a una sorta di auto-recensione preventiva di un libro in uscita alla fine di quest’anno, a cura dello scrivente, di cui si offre un’anticipazione, per quanto possibile complementare al mio intervento al convegno di Milano organizzato per il centenario della nascita di Giovanni Testori (1923-1993), promosso dal Comitato Nazionale per il Centenario della Nascita e organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, Casa Testori e dall’Associazione Giovanni Testori il 14 e 15 dicembre 2023, presso l’Università Cattolica, e il 16 dicembre a Casa Testori, del quale convegno sono disponibili online le registrazioni (giovannitestori.it) e verranno pubblicati gli atti entro l’anno.
Il fine del volume Giovanni Testori, Con Roberto Longhi. Lettere e scritti, 1951-1990 è mettere a disposizione dei lettori e degli studiosi un materiale inedito e prezioso come le 61 lettere che Testori ha scritto al suo unico maestro e, con l’occasione, dare le coordinate necessarie a capire gli argomenti toccati. Si tratta, più che di un dialogo, di un monologo, visto e considerato che non ci sono giunte le lettere di Longhi, costringendoci a dar voce al padre di Amleto attraverso le testimonianze, perlopiù epistolari, di colleghi ormai fantasmi come lui, o scomodando una folta bibliografia su fatti, nomi e opere, non solo testoriane, tra critica d’arte, pittura, teatro e letteratura, chiamati in causa nel tentativo di cogliere appieno la grandezza degli interlocutori e la sincerità del rapporto instaurato tra i due.
Il libro darà conto, seppur brevemente, del tratto di strada percorso da entrambi fino al 1951, quando si apre il carteggio, e, a completare il quadro, vengono ripubblicati nove interventi dedicati da Testori a Longhi, perlopiù articoli usciti dopo la morte di questi, in occasione della scomparsa o per segnarne le ricorrenze a seguire. Si tratta non solo di scritti encomiastici, ma di occasioni per ricapitolazioni e argomentazioni sul debito provato verso il maestro, utili a esplicitare i tratti di metodo critico riconosciuti comuni, seppur non coincidenti. Non manca un prezioso inedito anche in questa seconda parte del volume: la trascrizione dell’intervento di Testori, Il “racconto” de “I pittori della realtà in Lombardia”, al convegno Roberto Longhi nella cultura del suo tempo (Università degli Studi di Firenze, 25-28 settembre 1980), svoltosi per i dieci anni dalla scomparsa del critico albese.
È indubbio, tuttavia, che, passando dalla recensione all’anticipazione, converrà soffermarci sulle lettere, scritte da Testori tra il 23 settembre 1951 e il 15 agosto 1969, conservate nell’archivio della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi di Firenze e indispensabili, innanzitutto, per cogliere, in atto, l’elaborazione dei suoi interventi di critica d’arte affidati, a partire dal 1952, alla rivista “Paragone”, che, come è noto, Longhi aveva fondato due anni prima e dirigerà fino alla sua morte.
Dalle missive emergono anche i dettagli delle fasi di lavorazione delle mostre organizzate da Testori in quegli anni, per le quali, quando non coinvolto direttamente, Longhi era spesso il primo a essere interpellato: nella scelta delle opere, a conferma o meno dell’attribuzione di dipinti inediti, nella correzione di saggi e schede in catalogo. Ma da questo carteggio si scopre anche che Longhi era tra i primi a leggere i dattiloscritti delle opere letterarie di Testori, che correggeva, talvolta influenzandone profondamente la stesura, come accadde con il finale de Il dio di Roserio (1954). È così che si trova conferma della datazione di Nebbia al Giambellino, romanzo pubblicato postumo (1995), da collocare a monte, e non, come si era creduto, a compimento della serie de “I segreti di Milano” (1958-1961).
Esplicitati i sottintesi – incontri, episodi, scritti, mostre, pubblicazioni, opere, etc. –, le lettere sono anche occasione di incontro con alcune personalità centrali per la pittura del Novecento, come Francesco Arcangeli ed Ennio Morlotti, ma anche per la letteratura ed editoria italiana: da Giulio Einaudi, Elio Vittorini e Italo Calvino a Giorgio Bassani. Personaggi che scambiarono importanti missive, tra loro e con Testori, usate nei commenti per ricreare un contesto, polifonico e comprensibile, dei fatti citati.
In questo florilegio di intrecci esistenziali e culturali, oltre che di acquisizioni di notizie utili alla conoscenza dell’opera testoriana, tra le lettere a Longhi che verranno pubblicate nel libro si anticipa di seguito la quarta, scelta per il suo essere in qualche modo esemplificativa. È il 5 gennaio 1952, siamo nei mesi del cantiere dell’intervento di Testori dedicato al pittore del Seicento lombardo Francesco Cairo (Testori 1952a), protagonista di queste prime lettere, che sarebbe andato in stampa pochi mesi dopo sul numero di marzo di “Paragone”. A quanto ricorda Testori (Conversazioni con Testori, 131-133), la stesura del saggio era l’esito di un primo invio a Longhi di uno scritto sui pittori del Seicento lombardo, non prevenutoci, e dell’approvazione, da parte del futuro maestro, delle attribuzioni proposte, avvenuta dopo averne visionato le foto alla milanese Mostra del Caravaggio (1951), occasione del loro primo incontro:
Poi mi propose di scrivere per “Paragone” un saggio su quello, tra i pittori che avevo preso in esame, che amavo di più. E aggiunse: “Io, se fossi in lei, studierei Francesco del Cairo” (allora, infatti, si diceva “del Cairo” e non semplicemente “Cairo”). Gli spedii, dunque, il mio saggio, che lui pubblicò, con grande coraggio, nel ’52. Qualche mese più tardi, quando ci rivedemmo, mi confessò di aver dovuto sostenere un’infinità di discussioni a proposito di quel saggio: c’era chi diceva che non ero un critico d’arte, ma un soggetto labile di mente, da psicanalizzare. E lui, in risposta: “Vedrete, vedrete...” In effetti, si tratta di uno dei saggi più belli che abbia scritto, in cui è pur vero che, per interpretare questo pittore del furibondo erotico, mi sono spinto ai limiti tra critica, letteratura e psicanalisi. Non molto prima di morire, Longhi volle mostrarmi le lettere di protesta che aveva ricevuto su quel mio primo scritto: ce n’erano di Arcangeli, di Pallucchini, di Vittorio Viale e di altri che in seguito sarebbero diventati miei amici. Tempo dopo l’uscita di quel saggio, andai all’università di Bologna, dove Longhi era tornato a tenere una lezione, e lì conobbi i suoi allievi, che – pare – rimasero scioccati dal mio aspetto fisico. “Ci aspettavamo di vederci davanti un individuo bianco, pallido, scavato”, mi confessò, poi, Arcangeli. Invece si videro arrivare questo ragazzo bene in carne, con ancora un po’ di capelli ricci in testa, che pareva un frate paolotto: il classico ritratto della salute.
La lettera si apre su puntuali riferimenti al saggio e ai dipinti da pubblicare e si conclude tracciando un legame tra il pittore e uno dei più celebri drammi testoriani; un rapporto d’immediata figliolanza tra critica e drammaturgia che era in attesa di un’attestazione documentaria.
Caro Professore ho avuto la sua sollecita risposta e la ringrazio: appena avrò le bozze apporterò i ritocchi necessari. Quanto alla “Cleopatra”, per tenere il legame, interporrò, dove nello scritto ho parlato della mia, e cioè fra il “S. Sebastiano” e la “Cleopatra” Harrach, la “Cleopatra” dell’Ambrosiana: avevo del resto già così disposto prima di trovare quella che a lei è parsa una copia. E se crede opportuno posso fornirle la fotografia: l’opera è però stata pubblicata di recente – ’46 – da Baroni nel suo scritterello sul Nuvoloni. Mi dispiace per la mia “Cleopatra”: ero incerto se inviarle o no la fotografia, che ha falsato l’originale, tanto da renderlo irriconoscibile: in ogni caso mi riservo di mostrarle la tela, quando verrà a Milano. Quanto alla “Maddalena” ecco una fotografia, eseguita senza il divorante “lampo” dell’altra, quando cioè non era ancora presso l’attuale proprietario, che non fu gentile al punto da lasciare che il fotografo portasse nello studio la tela: e da qui la necessità del “lampo”. Benché, in generale, meno chiara dell’altra, penso che questa possa giustificare maggiormente la mia attribuzione: e tuttavia anche per questa, sempre che riesca ad averla, mi riservo di mostrargliela “in persona”. Grazie, in ogni caso, della continua premura con cui segue il mio lavoro: già le ho parlato della mia intenzione di scrivere sul Cerano, partendo dai suoi “simboli figurali”: ma, venendo a Firenze come spero di fare presto, le sarò più preciso: e così per Daniele e per Tanzio. E le sarò grato se mi aiuterà, illuminandomi, a risolvere i molti problemi che vi si connettono. Morlotti è tornato da Parigi: pacificato col mondo… Le ho mostrato la sua lettera: e fu il colpo di grazia: esporrà (“volerà”!). Mi ha detto che le avrebbe scritto direttamente. Sta preparando i suoi articoli e spero che glieli possa inviare presto. Quanto alla “Erodiade” (tragedia), spero di chiuderla entro Gennaio: gliela porterò. Mi auguro che il suo “devi essere forte” le venga confermato. Io penso sempre al suo desiderio di venire a Milano: ne parlavo proprio ieri con Morlotti: sarebbe una gran cosa! Scusi lo spicciolo delle notizie: ho visto il “prima Cimabue e poi Duccio” [Longhi 1951a]: epperò!: e i dialoghi del Caravaggio. L’antologia, ora che è chiusa, risulta utilissima. Ma non sarebbe forse utile che si facesse anche dal Venturi, in sù? Soprattutto per quello che fu il gioco delle attribuzioni – gioco veramente in alcuni casi – mi sembra in questo momento, cosa utilissima. Le scriverò presto: porti i miei saluti alla sua Signora: e anche alla Gregori.
A lei l’affetto del suo
Gianni Testori
Novate 5-1-52
La lettera non è tra le più accorate o complesse del carteggio: saranno quelle successive a regalarci alcuni giudizi ad personam e commenti sulla pittura e sulla letteratura del Novecento, mostrando anche un grado di confidenza e complice figliolanza, per alcuni versi inaspettate. Se la si è scelta, è proprio per mettere in rilievo la ricchezza di una missiva di comunicazioni tutto sommato ordinarie.
Longhi aveva bocciato l’attribuzione della Cleopatra in collezione Testori, di cui questi gli aveva inviato una fotografia, conservata ancora nella fototeca Longhi (cartella Francesco Cairo). Analoga a un dipinto, allora esposto nella Galleria Harrach di Vienna e oggi a Vaduz nella collezione dei principi del Liechtenstein (inv. G 231), si trattava, infatti, di una copia di una seconda versione autografa, esitata a Roma il 27 ottobre 1981 presso Finarte (lt. 16; Frangi 1998, n. 37, tav. 41). Frangi (1998, n. 38, tav. 42), sulla base dell’assenza dell’aspide, ritiene per altro che le tre tele raffigurino Lucrezia e non Cleopatra. Venuta meno la possibilità di usare il proprio dipinto per il saggio, Testori si convince a legare il relativo passaggio del testo a un dipinto certo: La fantesca scopre Cleopatra morente della Pinacoteca Ambrosiana di Milano (inv. 129; Frangi 1998, n. 93, tav. 102). Ma non adattando puntualmente le sue parole al nuovo quadro, tralascia di far riferimento alla fantesca, protagonista del dipinto, e mantiene il riferimento a una “breve bava di sangue [che] cala nell’avvallo del seno” di Cleopatra, inesistente nella tela dell’Ambrosiana, già pubblicata da Costantino Baroni (1946, 283) come opera di Francesco Cairo.
Testori sarebbe riuscito nel proposito di acquisire per sé anche la Maddalena, sebbene la nuova fotografia inviata con questa lettera non avesse convinto Longhi e, nel saggio, Testori (1952d, 39) avrebbe fatto riferimento a una “Maddalena (conosciuta attraverso copie)”, rimandandone la pubblicazione, ed esposizione, alla Mostra del Manierismo (1955, n. 57) da Longhi curata tre anni dopo, dove la presenterà come autografa. Il dipinto rimase di sua proprietà fino al 1965, quando andò all’asta Finarte del 24 novembre (19, lt. 31). In quell’occasione Testori segnala che “Una replica autografa, d’intonazione però variata, si conserva a Roma, presso la Raccolta del Conte Luchino Visconti di Modrone” (che l’osservazione spetti a Testori è garantito da un’annotazione autografa sul retro della fotografia nell’archivio Finarte). Questa seconda versione, l’unica ritenuta autografa da Frangi (1998, n. 34), è oggi presso gli eredi Visconti, dai quali si apprende che era stata regalata al regista dallo stesso Testori. Anni dopo, Testori (1966, tav. XXXVIII) ripubblica la tela venduta presso Finarte l’anno precedente, con l’indicazione “Milano, Racc. privata”; il dipinto ripassò da Finarte, dove venne venduto da tale “Bicchi” (come risulta dall’archivio della casa d’aste) il 5 aprile 1973 (lt. 78). Altre due copie del dipinto, conservate in due collezioni private di Cremona e Piacenza, sono citate da Basso (1985, n. 29) e Arisi (1990, 115).
Il saggio sui pittori del Seicento lombardo che era stato all’origine del primo incontro con il maestro non avrebbe dovuto portare al solo intervento su Francesco Cairo e si ritrovano in questa lettera i riferimenti ad altri tre scritti dedicati a Cerano, Daniele Crespi e Tanzio da Varallo. Sono numerosissimi i riferimenti nelle lettere a seguire a questi scritti, che non arrivarono mai in stampa su “Paragone” e di cui non ci sono giunte bozze; nel volume se ne ricostruisce genesi e sviluppo, fornendo ipotesi plausibili sulle motivazioni della loro interruzione, spesso legata a nuove occasioni editoriali ed espositive.
Entra in scena con la lettera citata poc’anzi il comune amico Ennio Morlotti (1910-1992). Dopo i primi interventi critici e le esperienze comuni degli anni Quaranta, Testori divenne il più importante interprete della sua pittura, accompagnandolo in due stagioni della vita, fino alla fine degli anni Cinquanta, attraverso la sua fase picassiana, sfociata nell’approdo al naturalismo, e dal 1978 al termine della vita, attraverso i cicli dei Teschi, delle Rocce, delle Rose e delle finali Bagnanti. A quanto ricorda il pittore stesso, Longhi, che negli anni Cinquanta stava promuovendo la sua partecipazione in diverse occasioni espositive, ne conosceva i dipinti fin dai primi anni Quaranta, quando, vedendone l’opera alla milanese Galleria del Milione, avrebbe chiesto chi fosse quel “morandiano così interessante” (Quintavalle 1982, 11), una reazione simmetrica a quella avuta qualche anno dopo da Francesco Arcangeli, altro protagonista di queste lettere: “Di fronte a certe nature morte, la prima volta ch’io intesi da Gino Ghiringhelli il nome di Morlotti, alla Galleria del Milione in via Brera, trovai – morandiano di stretta osservanza – quasi soltanto ingrate quelle opere” (Lettere fra Morlotti e Arcangeli, 21). Il 1952 è un anno felice e importante per la produzione del pittore: la visita a Parigi cui si fa riferimento – dopo quella celeberrima del 1937 in cui aveva visto, tra i pochi artisti italiani, Guernica all’Esposizione Internazionale – ne avrebbe fatto accelerare le sperimentazioni picassiane, permettendogli di esaurirle alla fine dello stesso anno, quando comparvero le prime raffigurazioni dell’Adda e di Imbersago, nel segno di un definitivo approdo alla natura, sostenuto e ampiamente commentato da Testori nei suoi scritti. Il ’52 è l’anno della presenza di Morlotti alla XXVI Biennale di Venezia, cui si fa probabilmente riferimento nella lettera (“volerà!”), voluto da Longhi, che ne aveva sostenuto la partecipazione nella riunione della commissione esecutiva del 19 dicembre 1951 (Carteggio Longhi-Pallucchini, 28; 40). Nella lettera si fa cenno anche a interventi critici di Morlotti di cui non risulta la pubblicazione su “Paragone” o altra rivista longhiana; sono noti articoli e lettere aperte pubblicati negli anni Quaranta e ben più radi articoli negli anni Cinquanta (Morlotti 1997; Bruno, Castagnoli, Biasin 2000, II, 741-742). Per il catalogo della Biennale, Testori (1952b) avrebbe firmato la presentazione e, negli stessi mesi, avrebbe dedicato al pittore il suo secondo saggio uscito su “Paragone” (Testori 1952c). Non si contano le lettere a Longhi in cui Testori fa riferimento all’artista o ne riporta i saluti (per il dialogo fra i tre, Guzzetti 2020, 268-271). Del resto, come avrebbe ricordato Morlotti dopo la morte del critico, nel documentario Roberto Longhi, un maestro, curato nel 1971 da Pier Paolo Ruggerini e Roberto Tassi, con la collaborazione di Attilio Bertolucci:
Quando lessi per la prima volta Longhi, mi trovavo in una situazione della mia pittura molto difficile, perché già da anni mi dibattevo in un Postpicassismo e in un Postcubismo che non ritenevo adatti alle mie inclinazioni. Attraverso degli amici, Arcangeli e Testori, ebbi le dispense di Longhi fatte all’università e soprattutto quella dei problemi caravaggeschi fu una rivelazione. Ricordo ancora che avevo un’ossessione di quegli angeli di Lotto e di Savoldo, che con le loro grandi braccia sembrava mi indicassero la strada di casa, il ritorno ai miei avi, alla mia progenie. Quindi ritengo che Longhi sia stato il mio vero e unico maestro, qui in Italia perlomeno.
Segue, nella medesima lettera del 5 gennaio 1952, l’inedita indicazione di una prima stesura di Erodiade – dramma testoriano di cui si supponeva la nascita in stretta relazione con l’opera di Cairo, autore di diverse versioni di Erodiade con la testa del Battista, ma di cui pure sono noti solo i manoscritti relativi a una stesura molto più tarda, prossima alla sua effettiva pubblicazione, nel 1969, e ai due tentativi di messa in scena. Nonostante fosse comparso in cartellone al Piccolo Teatro di Milano per due stagioni (1968-1969 e 1969-1970), lo spettacolo non andò, infatti, in scena, né con la regia di Giorgio Strehler e Valentina Cortese come protagonista, né con la regia di Klaus Michael Grüber, la scenografia già disegnata dal pittore spagnolo Eduardo Arroyo, e l’interpretazione di Anna Nogara. Il dramma, in questa prima stesura, sarebbe andato in scena la prima volta solo il 22 novembre 1991 (Milano, Teatro Out Off, con Raffaella Boscolo, diretta da Antonio Syxty). Testori sarebbe tornato sul personaggio biblico, riscrivendo il dramma per l’interpretazione di Adriana Innocenti nel 1984. Quando l’attrice convinse Testori a portare in scena lo spettacolo (Milano, Teatro di Porta Romana, dal 22 ottobre 1984) lo scrittore revisionò profondamente il testo (in Bonacina 1984, 5-20) e volle esserne scenografo, costumista e regista, con la collaborazione di Emanuele Banterle. Ma Erodiade tornò una terza volta nell’opera di Testori, inserita tra le eroine dei Tre Lai, scritti poco prima di morire e pubblicati postumi. Erodiàs, eroina di mezzo dei Lai tra Cleopatràs e Mater Strangosciàs, citerà qui espressamente Cairo, esplicitando il riferimento figurativo, evidentemente già implicito quarant’anni prima:
Io so / oh ben il so: / il pittor che m’ha pittata, / un tempo tegnuto de Varese, / cotidie, invece, de Milano, / ha tutto comprendato: / la pelliccia de vulpis rossastrata / sul seno silicato / m’ha, ecco, coi suoi pennelli, esso, lui, gettata; / poi, nel più gloriante / e, insiem, funebrico gestare, / m’ha in sulla tela lì fissata / et eternata; / il gestar con cui / la de te linguascia porca, / il pregiatissimo e gaudioso / tuo muscolo boccale / de fuora, sì, tirai / de fuor, ecco, incosì / e qui, sì qui, l’amai / intra le dida tutte inumidite / e incazzidente… / El sento ammò, / sì, el sento, / quel muscolo letale! / Se tira, retrattàle, / poi se deslunga / inturgidito / et animale… (Testori 1994, 90-91).
Vengono evocati non solo la scoperta dei natali milanesi del pittore emersi in occasione della mostra Francesco Cairo (1983) ma pure i dettagli di due Erodiadi del pittore: la pelliccia macchiata di sangue della versione di Vicenza (inv. A 206; Frangi 1998, n. 26, tavv. 31 e XI) e la lingua del Battista tirata dall’eroina in quella del Museum of Fine Arts di Boston (inv. 26.772; Frangi 1998, n. 35, tavv. 39 e XIV). Le eroine dei Tre Lai, rese note al grande pubblico dalla straordinaria interpretazione di Sandro Lombardi e la regia di Federico Tiezzi (1996-1998), vennero portate in scena la prima volta dalla stessa Adriana Innocenti (Società Umanitaria di Milano, 2 giugno 1994), che poté avvalersi di registrazioni con cui Testori, in ospedale, aveva fissato l’esatta pronuncia del testo, oggi conservate presso l’Archivio dell’Associazione Giovanni Testori, cui sono state donate dal marito Piero Nuti (in attesa dell’edizione critica del testo, curata da Nicolò Rossi, per i Tre Lai, si veda Testori Opere scelte, 1305-1441; 1546-49, dove si anticipano alcuni esiti delle ricerche e un testo emendato rispetto a quello pubblicato nel 1994).
L’accenno al desiderio di Longhi di venire a Milano sembra far riferimento all’ipotesi di succedere a Paolo D’Ancona (1878-1964) sulla cattedra di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna all’Università degli Studi di Milano (Bernardi 2018, 101; De Fuccia, Renzulli 2019, 185-186). In realtà, con l’anno accademico 1952/1953 la cattedra di D’Ancona sarebbe stata sdoppiata in Storia dell’Arte Medioevale e Storia dell’Arte Moderna: D’Ancona mantenne la docenza della prima fino all’anno accademico seguente, ultimo del suo insegnamento, e Storia dell’Arte Moderna venne affidata a Maria Luisa Gengaro (1907-1985), sino all’arrivo di Anna Maria Brizio (1902-1982), per la quale, dall’anno accademico 1956/1957, vennero riunificati in una sola cattedra i due insegnamenti (Pizzi 2010, 278-283).
Infine, Testori non sembra pago dei pur numerosi interventi longhiani sulla fortuna critica di Caravaggio affidati a “Paragone” (Longhi 1951b), auspicando un prosieguo già negato da Longhi a stampa, dove aveva dichiarato che non sarebbe andato oltre al 1910 circa “per ragioni decentemente intuibili”, essendo lui stesso l’assoluto protagonista dei decenni a seguire. Longhi si fermò “al momento cioè in cui si aprono gli studi caravaggeschi da parte della critica soprattutto italiana; che, dal Venturi junior, al sottoscritto, al Voss, al Marangoni portano a quella prima tappa notevole della ricerca che fu, nel 1922, la mostra del Sei e Settecento italiano a Firenze, in Palazzo Pitti”. L’ultimo brano proposto era, in realtà, tratto da Venturi (1924, 264) e non manca una nota che rimanda al catalogo della mostra caravaggesca del ’51, nonché due stroncature alla critica francese (Malraux 1950 e Lhote 1950) e l’introduzione ai due Dialoghi immaginari – quello tra Caravaggio e Tiepolo, dello stesso Longhi (1951b), e quello tra Caravaggio e un cieco, di Carlo Volpe (1951) – cui si fa riferimento nella lettera qui commentata e pubblicati di seguito come “riflessi ultimissimi” della mostra del ’51 e “a guisa di ‘colophon’ della lunga antologia”. In qualche modo, il desiderio di un prosieguo espresso da Testori poté considerarsi esaudito dall’uscita, pochi anni dopo, del volume, del resto molto amato da Longhi, di Berne-Joffroy ([1959] 2005) oltre che dalla monografia caravaggesca dello stesso Longhi (1968).
Riferimenti bibliografici
Testi (carteggi, critica e teatro)
- Carteggio Longhi-Pallucchini
M.C. Bandera (a cura di), Il Carteggio Longhi-Pallucchini. Le prime Biennali del dopoguerra, 1948-1956, Milano 1999. - Conversazioni con Testori
L. Doninelli, Conversazioni con Testori, II ed. a cura di D. Dall’Ombra, Cinisello Balsamo (Milano) [1993] 2012. - Lhote 1950
A. Lhote, Traité de la figure, Paris 1950. - Longhi 1951a
R. Longhi, Prima Cimabue, poi Duccio, “Paragone Letteratura” 2 (1951), n. 23, 8-13. - Longhi 1951b
R. Longhi, Dialogo tra il Caravaggio e il Tiepolo, “Paragone Letteratura” 2 (1951), n. 23, 57-64. - Longhi 1951c
R. Longhi, Alcuni pezzi rari nell’Antologia critica caravaggesca, “Paragone Letteratura” 2 (1951), n. 17, 44-62; (seguito) [I], n. 19, 61-63; (seguito) [II], n. 21, 43-56; (seguito) [III], n. 23, 28-53. Ried. come Alcuni pezzi rari nell’Antologia critica caravaggesca in Longhi Studi caravaggeschi, 31-78. - Longhi 1968
R. Longhi, Caravaggio, Roma 1968. - Longhi Studi caravaggeschi
R. Longhi, Edizione delle opere complete, XI. Studi caravaggeschi, II. 1935-1969, Firenze 2000. - Malraux 1950
A. Malraux, Psychologie de l’art, III. La monnaie de l’absolu, Paris 1950. - Mostra del Caravaggio 1951
Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, cat. della mostra (Milano, Palazzo Reale, 1951), a cura di R. Longhi, Firenze 1951. - Mostra del Manierismo 1955
Mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento, cat. della mostra (Torino, Palazzo Madama-Ivrea, Centro Culturale Olivetti, 1955), Torino-Ivrea 1955. - Testori 1952a
G. Testori, Su Francesco del Cairo, “Paragone Arte” 3 (1952), n. 27, 24-43, tavv. 1-9. - Testori 1952b
G. Testori, Ennio Morlotti, in XXVI Biennale di Venezia, cat. della mostra (1952), Venezia 1952, 118-119. - Testori 1952c
G. Testori, Appunti su Ennio Morlotti, “Paragone Arte” 3 (1952), n. 33, 21-30, tavv. 10-19. - Testori 1966
G. Testori, Manieristi piemontesi e lombardi del ’600, Torino 1966. - Testori 1969
G. Testori, Erodiade, Milano 1969. - Testori 1994
G. Testori, Tre Lai. Cleopatràs, Erodiàs, Mater Strangosciàs, Milano 1994. - Testori 2023
G. Testori, Opere scelte, a cura e con un saggio introduttivo di G. Agosti, cronologia di G. Frangi, notizie sui testi di G.B. Boccardo, Milano 2023. - Venturi 1924
A. Venturi, L’arte italiana. Disegno storico, Bologna 1924. - Volpe 1951
C. Volpe, Dialogo del Caravaggio e di un cieco, “Paragone Letteratura” 2 (1951), n. 23, 53-57.
Studi (su artisti, critici e drammi)
- Arisi 1990
F. Arisi, Francesco Cairo a Piacenza, “Strenna piacentina”, 1990, 112-118. - Baroni 1946
C. Baroni, Di alcuni sviluppi della pittura cremonese dal Manierismo al Barocco, III. Precisazioni su Carlo Francesco Nuvolone, “Emporium” 52 (1946), n. 618, 270-289. - Basso 1985
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F. Guzzetti, Ennio Morlotti e l’arte a Milano, 1937-1953. “Saper camminare da soli e senza timore di mitologie in piena campagna”, Milano 2020. - Morlotti 1997
Morlotti. Opere, 1936-1991, cat. della mostra (Conegliano, Palazzo Sarcinelli-Galleria Comunale d’Arte, 1996-1997), a cura di M. Goldin, Milano 1996. - Pizzi 2010
F. Pizzi, Paolo D’Ancona e l’Istituto di Storia dell’Arte della Statale di Milano (1908-1957), “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano”, 63/3 (set.-dic. 2010), 243-292. - Quintavalle 1982
A.C. Quintavalle, Morlotti. Struttura e storia, Milano 1982.
This contribution by the director of Casa Testori to the issue of Engramma dedicated to Giovanni Testori sheds new light on the relationship between the latter and the famous art critic Roberto Longhi through the edition and commentary of a letter from Testori to Longhi dated 5 January 1952 on the subject of an essay about the seventeenth-century Lombard painter Francesco Cairo.
keywords | Giovanni Testori; Roberto Longhi; Francesco Cairo.
Per citare questo articolo / To cite this article: D. Dall'Ombra, Nell’anno del libro su Giovanni Testori e Roberto Longhi, “La Rivista di Engramma” n. 208, gennaio 2024, pp. 99-110 | PDF