"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

212 | maggio 2024

97888948401

L’arte di Tàpies tra Oriente e Occidente

Giangiorgio Pasqualotto*

English abstract

Antoni Tàpies, Signe i matèria, 1961, técnica mixta sobre cartón, 74,8 x 105,3 cm, Bilbao, Museo de Bellas Artes. [selezione dei curatori]

Il problema dei rapporti tra culture occidentali e orientali, in particolare il rapporto che le prime hanno intrattenuto con le seconde, è sempre oscillato tra due soluzioni opposte:

1. la presunzione occidentale di aver prodotto il culmine massimo della civiltà umana, nella convinzione che le altre culture abbiamo svolto un ruolo marginale o, nel migliore dei casi, abbiano rappresentato espressioni necessarie ma primitive di un successivo sviluppo, ossia semplici fasi intermedie di una maturazione completa raggiunta solo dall’Occidente, in particolare dalla civiltà europea;

2. l’entusiasmo dell’Occidente per le espressioni culturali prodotte da una o più civiltà orientali; e questo, talvolta, fino all’estremo limite di considerarle superiori, sia per raffinatezza formale che per profondità di contenuti, a quelle prodotte in Occidente.

Andrebbe aggiunto che una terza variante delle risposte date al problema del rapporto tra culture è costituita da un atteggiamento di indifferenza; ma tale atteggiamento, a ben vedere, può essere fatto rientrare come conseguenza possibile della prima soluzione fondata su un complesso di superiorità che può anche degenerare in una vera propria nevrosi narcisistica. Un esempio ‘alto’ della presunzione di superiorità lo possiamo trovare nel sistema hegeliano, in particolare – per quanto riguarda il confronto tra espressioni artistiche – nelle pagine della sua Estetica in cui classifica lo sviluppo storico delle arti a partire dalle forme dell’arte simbolica per finire alle forme dell’arte romantica, passando attraverso le forme dell’arte classica.

È assai significativo a questo proposito quanto egli scrive a proposito della poesia indiana, riferendosi in particolare al panteismo riscontrabile nella Bhagavad-Gītā: “Questa enumerazione di ciò che è più perfetto, così come il semplice cambiamento delle forme sotto cui deve essere portata ad intuizione sempre la medesima cosa, qualsiasi ricchezza di fantasia possa sembrare in un primo momento che vi si dispieghi dentro, rimane pur sempre, a causa del contenuto, monotona al massimo e nell’insieme vuota e noiosa”[1]. Se si integrasse poi il contenuto di questo testo con la tesi che Hegel sviluppa in altri suoi scritti dedicati al confronto tra Oriente e Occidente[2] e, più in particolare, al confronto che egli istituisce tra la mistica cristiana di Angelo Silesio e il panteismo orientale[3], si avrebbe un quadro sufficientemente chiaro dei pregiudizi con i quali il grande pensatore tedesco ha colto e interpretato le espressioni culturali delle civiltà orientali.

All’opposto, una delle più notevoli testimonianze dell’entusiasmo prodotto dall’Oriente nella cultura occidentale è certamente quella offerta da Goethe nella raccolta poetica Divano occidentale orientale, la quale si apre con quattro versi che disegnano un’accorata invocazione alla fuga dall’Occidente: “Vanno in pezzi il Nord e il Sud e l’Ovest / Troni, imperi tremano, s’infrangono / Tu rifugiati, nel puro Oriente / A gustar dei Patriarchi l’aria”[4]. In realtà lungo tutto il secolo XVIII sono evidenti numerose tracce dell’ammirazione di Leibniz per la filosofia cinese[5] per finire con quella di alcuni famosi architetti inglesi per il giardino cinese[6]. Tale entusiasmo si tradusse talvolta addirittura in casi di una vera e propria rinuncia alla propria identità occidentale, come avvenne con il gesuita italiano Giuseppe Castiglione che durante la prima metà del Settecento, assunto il nome cinese di Lang Shih Ning, si mise a dipingere, usando tecniche cinesi, soggetti tratti dalla tradizione figurativa cinese[7].

In epoca più recente il caso più clamoroso di entusiasmo esotico nel campo delle arti figurative è certamente rappresentato dal fenomeno denominato ‘Giapponismo’[8] che, a partire dalla seconda metà del secolo XIX, dilagò in tutta Europa, soprattutto in Francia e Inghilterra, soprattutto grazie alle grandi Esposizioni universali del 1862 e del 1876 a Londra, e a quelle del 1878 e del 1889 a Parigi. L’entusiasmo fu tale che Samuel Bing, nella sua rivista “Le Japon artistique”, propose esplicitamente di rifarsi alle arti giapponesi per rivitalizzare molte ispirazioni ormai spente dell’arte europea.

2.

Con Tàpies siamo in presenza di un approccio profondamente diverso: sia in alcuni suoi scritti teorici sia in molte delle sue opere più recenti egli costruisce una propria posizione – assai complessa ma altrettanto chiara – che si distanzia tanto da ogni residuo di presunzioni cultural-eurocentriche quanto dai troppo facili entusiasmi esotici che rischiano spesso di degenerare in mimetismi superficiali o, peggio, in veri e propri plagi. L’idea di fondo che può esser fatta emergere da questa posizione è quella di una interculturalità che non si esaurisce in un semplice confronto tra orizzonti culturali diversi e lontani, ma si articola in una profonda trasformazione del soggetto che promuove e pratica tale confronto. In particolare, l’attenzione che Tàpies mostra di coltivare nei confronti di alcune grandi tradizioni del pensiero e dell’arte orientale viene utilizzata non soltanto per arricchire le sue opere di inediti motivi formali, ma anche e soprattutto per rivisitare criticamente alcuni concetti fondamentali – come quello di vuoto –, ovvero alcuni rapporti cruciali, come quello tra immanenza e trascendenza, in modo talmente radicale da porre in questione punti nodali della tradizione di provenienza.

Si può verificare l’importanza di tale impostazione ricorrendo al contenuto di due suoi scritti, La pintura y el vacío del 1977[9] e El arte y sus lugares del 1999[10]. Grazie alla lettura del Laṅkāvatāra Sūtra e del Sūtra del diamante – due opere centrali nella tradizione del Buddhismo zen – Tàpies recupera un significato positivo e attivo del vuoto (śunya), contro ogni interpretazione che, intendendolo come sinonimo di ‘nulla’, ne fa un principio nichilistico: “Se habían equivocado los que creían que la experiencia o “contemplación” de esta realidad última sólo eran caprichos de filósofos y vaguedades de estetas sin eficacia en la vida social. Confundían el vacío muerto y estéril de los falsos místicos nihilistas y la pasividad alienada que lleva a la ‘nada’”. Questa rivalutazione del vuoto non è importante soltanto da un punto di vista filosofico generale, ma anche dal punto di vista pratico, nel senso che ha una specifica efficacia artistica, in particolare pittorica, Tàpies sottolinea – in consonanza con le idee dei grandi pittori cinesi Shi Tao e Liang Kai – l’esigenza di rendere percepibile la potenza del vuoto non attraverso una sua rappresentazione diretta, ma mediante una sua evocazione indiretta: “Lo cierto es que ni el vacío es representable ni la finalidad de la experiencia es buscar el vacío por sí mismo e instalarse ahí. Una cosa es la pretendida “representación del vacío” y otra, muy diferente, encontrar un mecanismo capaz de sugerirlo en nuestra mente”. Concretamente, “suggerirlo alla mente” significa mostrare la sua forza in rapporto ai segni che esso, in quanto sfondo, rende possibili e visibili[11].

Tuttavia per Tàpies questa presenza attiva del vuoto non ha importanza decisiva soltanto nella dinamica compositiva delle opere pittoriche, ma anche nella dinamica esistenziale dell’agire umano: si tratta infatti, scrive Tàpies “de saber vivir con él”. Questo saper “vivere col vuoto” non significa affatto vivere nell’incoscienza o nell’annientamento di ogni valore ma comporta – in accordo con gli insegnamenti fondamentali del Buddhismo Mahayana, ma anche con quelli trasmessi in generale da ogni forma di mistica – saper vivere nell’innocenza e nella povertà.

Ebbene, sulla scorta di queste osservazioni si potrebbe esplicitare il senso di un discorso che emerge chiarissimo – più ancora che dalle parole scritte da Tàpies –, dalla tensione che anima le sue opere: come nella composizione pittorica lo spazio vuoto non può essere rappresentato autonomamente, quasi fosse un assoluto sciolto da ogni determinazione, bensì solo in rapporto ai segni e alle figure che esso accoglie, così nell’esistenza quotidiana non si tratta semplicemente di scegliere innocenza e povertà come opzioni assolute, ma si tratta piuttosto di cogliere queste due condizioni come struttura originaria della vita, ossia – ricorrendo alle parole che Tàpies usa riferendosi al vuoto – come un “telón de fondo” della vita stessa. Questo comporta che innocenza e povertà non si identificano con il polo positivo della vita in opposizione a quello negativo rappresentabile dalla colpa e dal lusso, ma costituiscono il campo d’azione entro il quale si dispiegano le forze di ogni conflitto, proprio così come lo spazio bianco in quanto emblema materiale del vuoto non costituisce semplicemente il polo opposto rispetto allo spazio pieno, ma funziona come luogo di incontro e di scontro di ogni linea, punto e superficie. Riconquistare il vuoto – ovvero, secondo la terminologia taoista, “tornare alla radice” (kui ken)[12]; non significa cogliere una volta per tutte un principio statico o un valore fisso, ma significa saper attingere l’origine di ogni determinazione e, soprattutto, di ogni possibile rapporto dinamico tra determinazioni. In effetti, ogni composizione di Tàpies – non solo quelle che si rifanno esplicitamente a motivi e significati tratti dalla pittura orientale – tende a cogliere il vuoto come campo di forze, come struttura originaria di ogni movimento.

Queste precisazioni possono condurre a estendere il discorso sviluppato da Tàpies oltre i confini dell’arte e dell’etica, per giungere a vedere in modo nuovo anche lo stesso rapporto tra Oriente e Occidente. Infatti, se l’obiettivo ultimo della ricerca è quello di scoprire lo spazio originario di ogni determinazione, il problema del rapporto tra Oriente e Occidente non si dà più nei termini di una scelta dogmatica a favore dell’uno o dell’altro – come avviene con le chiusure eurocentriche o, all’opposto, con le fughe esotiche – né si svolge in vista di una loro sintesi superiore, ma si orienta nell’individuare e nel praticare lo spazio comune che ospita le forme del loro confronto, nella consapevolezza che nel confronto entrambi trasformano incessantemente le loro identità.

È in questo senso che va inteso il richiamo di Tàpies all’“Uno primordial”[13] e all’“intento de volver a los orígenes”[14]: non si tratta infatti di lavorare per un ritorno alle origini come tentativo nostalgico di ripristinare qualche forma di età aurea, ma, piuttosto, di rendere presente e attivo quello spazio che rende possibile il costituirsi e il dispiegarsi di ogni differenza, e impossibile la sua riduzione a una particolare identità o, peggio ancora, al suo annullamento in un’unità indistinta. Non a caso, allora, Tàpies ha ben chiaro che “esta unión sea lo contrario de la imposición, de la uniformidad, de la mezcla indiscriminada y del ‘todo vale’ con que ahora nos quieren hacer comulgar algunos mercaderes”[15].

Note

[1] G.W.F. Hegel, Estetica [Vorlesungen über die Ästhetik, Heidelberg-Berlín 1835] traduzione di N. Merker e N. Vaccaro, Torino 1963, 415.

[2] G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia [Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, Berlin 1837],150-160, e Lezioni sulla filosofia della religione [Vorlesungen über die Philosophie der Religion, Berlin 1832], traduzione di E. Oberti e G. Borruso, Roma-Bari, 1983, parte II, sezione 3.

[3] G.W.F. Hegel, Estetica [Vorlesungen über die Ästhetik, Heidelberg-Berlin 1835] traduzione di N. Merker e N. Vaccaro, Torino 1963, 419.

[4] J.W. Goethe, Divano occidentale orientale [West–östlicher Divan, Stuttgard 1819], traduzione italiana di F. Borio, Torino 1959, 29.

[5] G.W. Leibniz, La Cina [Briefe über China (1694-1716)], traduzione di A. Caiazza, Milano 1987.

[6] Cfr. A.O. Lovejoy, L’albero della conoscenza [Essays in the History of Ideas, New York 1960], traduzione di D. De Vera Pardini, Bologna 1982, 139-178.

[7] Chen Chih Mai, Maestri della pittura cinese, Roma 1979, 8; In realtà notevoli influssi sull’arte europea, in particolare italiana, si erano già avuti durante il Rinascimento. Cfr. L. Olschki, Asiatic Exiticism in Italian Art of the Early Renaissance, “Art Bulletin”, XXVI, 95, (1944); I.V. Pouzyna, La Chine, l’Italie et les débuts de la Renaissance, Paris 1935.

[8] Cfr. S. Wichmann, Japonismus. Ostasien-Europa. Begegnungen in der Kunst des 19. Und 20. Jahrhunderts, Herrsching 1980.

[9]  Cfr. A. Tàpies, La pintura y el vacío, “Avui”, 20 marzo 1977 en A. Tàpies, La realidad como arte. Por un arte moderno y progresista, Murcia 2007, 115. 

[10] Cfr. A. Tàpies, El arte y sus lugares, Madrid 1999.

[11] Cfr. F. Cheng, Vide et plein. Le langage pictural chinois, Paris 1979.

[12] Cfr. Daodejing, cap. XVI, in Testi taoisti, traduzione dal cinese di F. Tomassini, introduzione di L. Lanciotti, Torino 2002.

[13]  A. Tàpies, El arte y sus lugares, Madrid 1999, 20. Cfr. anche a pagina 84, dove, a ragion veduta, Tàpies parla di un “Principio-Unico Bipolar”.

[14]  A. Tàpies, El arte y sus lugares, Madrid 1999, 24; Queste ‘origini’ non sono affatto equivalenti a un inizio nel tempo, ma vanno intense come la ‘verità’ dell’artista, come “una especie de telón de fondo implacable, que debe estar siempre presente en su espíritu”.

[15]  A. Tàpies, El arte y sus lugares, Madrid 1999, 34.

*Questo saggio è stato pubblicato in una precedente versione in: G. Paqualotto, L’arte di Tàpies tra Oriente e Occidente, East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia 2003, 197-202.

English abstract

Unlike the Western assumption that other cultures played a marginal role in the development of human civilization, or, on the contrary, the enthusiasm for cultural forms produced by Eastern civilizations, the Catalan artist Antoni Tàpies takes a fundamentally different approach. This article argues that Tàpies’ attention to some Asian traditions of thought and art does not simply seek to enrich his works with new formal motifs, but to critically reexamine some of their key concepts, such as the emptiness, or crucial relationships, such as those of transcendence and immanence. Pasqualotto notes that Tàpies considers the active presence of the void to be significant not only in the compositional dynamics of pictorial works but also in the existential dynamics of the human being. Thus, for the author, Tàpies’ discourse extends beyond the boundaries of art and ethics to the way we perceive the relationship between East and West.

keywords | Tàpies; Emptiness; Oriental philosphy; East and West.

Per citare questo articolo / To cite this article: G. Pasqualotto, L’arte di Tàpies tra Oriente e Occidente | ITA, “La Rivista di Engramma” n. 212, maggio 2024, pp. 75-80 | PDF