"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

210 | marzo 2024

97888948401

“Smettila di parlare, avvicinati un po’” 

Mi ami? dei CCCP – Fedeli alla Linea

Michele Rossi

English abstract

Perché non c’è sicurezza nella vita,
non si può aprirsi alla vita in sicurezza,
o ci si apre o ci si chiude, non c’è altra possibilità
Giovanni Lindo Ferretti in Ciao, Libertini! Gli anni ’80 secondo Pier Vittorio Tondelli

La stesura di Mi ami?, Contiero 2015, 62-63.

Un libro può diventare una canzone? Certo che sì. Tra la letteratura e la musica c’è un rapporto ancestrale e anche nella storia della musica rock e pop ci sono esempi eccellenti di legami stretti tra la canzone e la grande letteratura. Kurt Cobain rimase talmente colpito dal romanzo Il profumo di Patrick Süskind che scrisse il pezzo Scentless Apprentice, mentre Lou Reed costruì il concept album The Raven sulle ossessioni notturne di Edgar Allan Poe. Bruce Springsteen ha invece modellato The Ghost of Tom Joad su Furore di John Steinbeck, i Rolling Stone hanno composto Sympathy for the Devil richiamandosi a Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov, i The Cure Killing an Arab echeggiando Lo straniero di Albert Camus. Che dire poi dell’album Diamond Dogs di David Bowie, legato al romanzo distopico 1984 di George Orwell? E i Led Zeppelin non hanno forse tratto ispirazione dalle opere di Tolkien e i Metallica dalla letteratura gotica, in particolare dai racconti horror-fantasy di Lovecraft? Venendo alla canzone d’autore, Fabrizio De André se non avesse letto Álvaro Mutis non avrebbe mai scritto Smisurata preghiera, né Franco Battiato avrebbe cantato Invito al viaggio se Manlio Sgalambro – il filosofo autore di molti suoi testi –, non avesse reso omaggio, già dal titolo, a Baudelaire. Ed è l’amore coltivato per i classici ad avere portato Francesco Guccini a incidere pezzi come Don Chisciotte, Cirano e Signora Bovary, mentre gli adorati Conrad e Melville hanno condotto Vinicio Capossela a cantare Lord Jim e Billy Budd. Così come il trasporto letterario verso Carlo Emilio Gadda e Osip Mandel’stam hanno portato Cristiano Godano a comporre La cognizione del dolore e Osja, amore mio.

Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso le star della cultura europea provenivano ancora dalla Francia. Il “paese della letteratura” produceva opere narrative e saggistiche di grande spessore. Scrittori, filosofi e linguisti, come la Yourcenar, Perec, Queneau, Deridda, Genette, Foucault, Deleuze, Sollers e Althusser, i messia dello strutturalismo e della semiologia, erano letti ovunque.

Uno dei libri che andava per la maggiore tra i giovani in Italia era una sorta di manuale di sopravvivenza per innamorati scritto da Roland Barthes. Morto a Parigi nel marzo 1980 – poche settimane prima di Jean-Paul Sartre – è stato una figura centrale di questa temperie culturale. Fragments d’un discours amoreux, uscito nel 1977, cominciò a circolare da noi due anni dopo grazie alla traduzione di Renzo Guidieri per Einaudi. Il libro, composto da ottanta capitoletti, si presenta come una sorta di ritratto letterario del sentimento d’amore tratteggiato da Barthes partendo dalle innumerevoli letture fatte sull’argomento (dal Simposio di Platone a Proust, da Lacan a Dostoevskij, da Nietzsche ai Lieder tedeschi, fino ai mistici e allo Zen, per citarle alcune), ma anche dalla sua personale esperienza e dalle confidenze fattegli da amici. “Frammenti di un discorso amoroso è realmente paragonabile a una Bibbia. Lì c’è tutto”, sosteneva Pier Vittorio Tondelli (Tondelli 2001, 1011), altro autore molto frequentato da una gioventù con tanta voglia di cambiamento e di soddisfare le proprie curiosità. Quattro suoi romanzi (Altri libertini del 1980, Pao Pao del 1982, Rimini del 1983 e Camere separate del 1989) ebbero un incredibile seguito di lettori e ricevettero il plauso della critica. Cantore-cronista degli anni Ottanta, Tondelli li definì anni dissipati e generosi, non maledetti, non eroici, e forse nemmeno sbagliati. Solo sfortunati. Lo scrittore di Correggio, fine saggista e acuto critico, nella rubrica Culture Club che egli teneva come una sorta di diario in pubblico sul mensile “Rockstar”, suggerì la lettura di quest’opera letteraria di Barthes, in quanto lo aveva aiutato, in un momento difficile della vita, a riaffiorare alla superficie. Così scriveva Tondelli:

Non si tratta di un manuale: non vi dirà come comportarvi né che cosa fare per togliervi dall’affanno e dall’ingombro di un abbandono. Non ha trama, se non quella dell’indagine dei movimenti amorosi. Ogni capitolo è indipendente: potete leggerne uno oggi e il seguente fra cinque anni, Roland Barthes vi darà comunque uno specchio bellissimo per riflettere, pensare, decidere, paragonare la vostra storia a quella di Werther o a un haiku giapponese; vi darà un respiro più ampio in cui emettere il vostro rantolo e, improvvisamente, la coscienza del vostro amore si rafforzerà (Tondelli [1986, 1993] 2019, 30).

Tondelli nutriva un grande interesse non solo per gli ambiti letterari in senso stretto, ma per i più vari ambiti artistici e culturali, prestando attenzione alla contaminazione dei linguaggi: dal cinema al teatro d’avanguardia, dalle espressioni figurative più innovative alla televisione, dalla moda al fumetto, fino alla musica rock e pop. Esploratore della fauna giovanile e speleologo delle espressioni musicali emergenti, fu uno dei primi recensori del gruppo post-punk di Reggio Emilia, noto nei centri sociali e club semiclandestini della Bassa come MitropaNK, che da più di un anno aveva cambiato nome in CCCP – Fedeli alla linea. Al canto salmodiato e urlato c’è il frontman Giovanni Lindo Ferretti, alla chitarra grattugiata e ruvida Massimo Zamboni, al basso melodico e alla drum machine (la batteria invisibile che prese il posto di Agostino Zeo Giudici, che aveva abbandonato la band per fare il servizio militare) Umberto Negri. Così scriveva su “Panorama” Carlo Valentini, nella sua recensione uscita in contemporanea a quella di Tondelli: 

Un cocktail di ossessive melodie islamiche, arrangiamenti melodici più qualche suono disarmonico. Al bando elettronica e tastiere. I versi parlano di “live in Pankow, live in Mosca”, “voglio rifugiarmi sotto il patto di Varsavia, voglio un piano quinquennale, voglio la stabilità” […] (Valentini 1984). 

Si sono uniti da poco alla originaria formazione due perfomer: la splendida mannequin Annarella Giudici (la Benemerita Soubrette) e lo spogliarellista blasfemo Danilo Fatur (l’Artista del Popolo), che diventano parte essenziale della dimensione musicale. I CCCP, con questa rinnovata lineup, si trasformano in teatro barbarico, musica urticante e situazionismo, cabaret dell’assurdo espressione visionaria del loro vitalismo avanguardistico.

“Siamo arrivati tardi o forse troppo presto, comunque il nostro tempo non assomiglia al vostro”, cantano in Oi Oi Oi, canzone mai incisa e recuperata nel disco Altro che nuovo nuovo (Virgin Music-Universal Music Italia, 2024), contenente la registrazione di uno dei loro primi concerti, tenuto nella palestra del circolo Arci Galileo di Reggio nel giugno 1983.

“Genialoidi più che geniali, mattoiti più che matti, isomeri di risonanza, tautomeri di rotazione, stereo-chimiche alchimie, ermafrodite androgene, volatili fissi… anche questo furono i CCCP tra il 1983 e il 1989” – ha commentato Benedetto Valdesalici, allora giovane medico dedito alla psichiatria umanistica, che fu ispiratore del gruppo, collaboratore e che si dimostrò decisivo per dirimere gli scontri caratteriali interni (Valdesalici 2014, 246). Valdesalici è stato poi un importante testimone del tempo che fu, come hanno dimostrato i video proiettati e i documenti esposti dal 12 ottobre 2023 al 10 marzo 2024 alla mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea. 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024; si veda a proposito della mostra l’intervista a Stefania Vasques e il contributo di Francesco Bergamo in questo numero). Perché, come ha dichiarato Valdesalici: “I CCCP necessitavano, sullo sfondo, di una funzione di contatto-controllo e io sentivo allora una forte necessità di testimonianza, di fare memoria, di filmare” (Palmieri 2015).

Il primo disco dei CCCP, il 45 giri Ortodossia, uscì agli inizi dell’estate del 1984 per Attack Punk Records e Tondelli, grazie all’intermediazione dello storico libraio di Reggio Nino Nasi, li raggiunse, curioso di fare la loro conoscenza, nella mansarda di Massimo. Dopo aver fatto loro l’intervista, lo scrittore confezionò una lunga recensione al disco, che propose al settimanale “L’Espresso”. C’era tra loro perfetta sintonia, la medesima ricerca di una vita meno semplificata, più complicata, azzardata secondo le proprie voglie. Se Tondelli, riproducendo anche il suono e l’emozione del linguaggio parlato, stava rompendo gli schemi del romanzo, i CCCP avevano fatto altrettanto con gli stilemi musicali. C’era in loro la stessa attitudine a vivere l’espressione letteraria e artistica non solo come mestiere ma come intima e insopprimibile necessità. Anche se si erano incontrati pochissime volte, stavano guardando con gli stessi occhi attoniti alla realtà di provincia e pieni di entusiasmo a quella europea. “Lo ricordo una sera attorno al tavolo di cucina a chiacchierare a lungo, di tutto – ricorda Ferretti –, come chi ha capito, come se le cose, le possibilità, fossero davvero lì a portata delle nostre mani” (Ferretti 2022, 33). In un numero monografico di “Panta” dedicato a Tondelli, pubblicato a un anno dalla sua scomparsa, Ferretti racconta che non erano mai stati amici:

Piuttosto concittadini incamminati in uguale pellegrinaggio, seguendo tracce simili, a volte sovrapponendo i passi, nelle stesse stagioni, ma con tempi di percorrenza diversi che non sempre e non a tutti è dato di camminare speditamente. Divergendo spesso e volentieri in tratti intermedi” (Ferretti 1992, 337).

I tempi di “Vicky” – così si firmava Tondelli nella corrispondenza e veniva chiamato dagli amici e dai parenti –, erano quelli lenti e profondi della prosa letteraria, ma, allo stesso modo dei CCCP, si raccontava nutrendosi del tempo presente con le antenne riceventi ben dritte a quello che stava accadendo attorno a lui. Lo scrittore tendeva le orecchie verso la strada e riusciva a carpire le pulsioni della periferia più profonda, raccontando la storia della sua gioventù e dei suoi coetanei. Nell’articolo Punk, falce e martello, apparso su “L’Espresso” di novembre, Tondelli dichiarava di avvertire un’“aria di Russia” diffusa per l’Italia e “un interesse più vasto verso l’URSS e l’Est europeo che alcuni chiamano ‘filosovietismo’, altri ‘vento dell’est’. Soprattutto la cultura, o la ‘sottocultura’ giovanile sembra essersene accorta. E da segnali, alcune proposte stanno diventando avvenimenti” (Tondelli 1984).

Segue l’intervista. Alla domanda: “Dove volete arrivare?”, Giovanni e Massimo rispondono senza pensarci troppo: “In Cina. Attraverso la Siberia” (Tondelli 1984). Per adesso Ferretti però rimane seduto intere giornate a leggere quattro o cinque libri alla volta, divorando un volume dopo l’altro. Scorre le pagine velocemente poi rilegge con più calma. Pur avendo litigato all’esame di maturità scientifica con il commissario di lingua francese, come tutta la sua generazione adora gli autori transalpini. Si era riletto cinque volte Tristi tropici di Claude Lévi-Strauss. Ed era – ed è tuttora – fortemente attratto, oltre che dall’Est Europa, dalle culture orientali, tanto che nel 1972 aveva deciso di iscriversi a un istituto di studi orientali. C’erano allora due possibilità: Napoli o Venezia. Raggiunse tutte e due le città in autostop, ma fece subito marcia indietro: la prima gli apparve ostile, la seconda mancante di vitalità. Si iscrisse così all’ultimo momento al DAMS di Bologna, facoltà fondata da appena un anno, scegliendo una città dove vivere più che un percorso di studi.

Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini, Milano 1980.

Ferretti leggeva meno gli autori italiani, a volte seguendo i consigli di Nasi. Il libraio reggiano usava affiggere sul vetro del negozio le novità ineludibili, attaccando le fotocopie con il nastro adesivo. Fu così che Ferretti acquistò un giorno un libro di racconti edito da Feltrinelli, con in copertina la fotografia scattata da Sven Simon a due autostoppisti intenzionati a raggiungere Monaco. Sei storie di giovani, di viaggi, di musica, di droga e di omosessualità che raccontano un mondo pieno di libertà e autodistruzione, un “immediato che non sembra avere né passato né futuro”, ha scritto l’editore postumo Fulvio Panzeri. Giovanni lo acquistò appena uscito, perché il libro venne sequestrato dopo venti giorni (già alla terza ristampa) per oscenità e oltraggio della morale pubblica (“luridamente blasfemo” fu la sentenza). Ma lasciamo la parola a Ferretti:

Avevo comprato, alla Libreria del Teatro, antro angusto, stipato, fascinante, immobile tra il mutare delle mode, Altri libertini caldo di stampa e fresco di polemiche. Cominciai a leggerlo subito per strada, in un pomeriggio assolato, accomodandomi poi su una panchina dei giardini cento metri più in là. Lettura nervosa, veloce, sorprendente, da farmi alzare spesso gli occhi per sorridere compiaciuto. ‘Ma guarda questo, e dove cazzo mai l’ha tirato fuori?’ Raccontava, il libro, della terra che calpestavamo, delle storie che vi si incrociavano, tragiche, ridicole, commoventi, stupide. Assurde come la vita di quegli anni, o è assurdo la vita, di suo? (Ferretti 1992, 338).

Quel libro, come egli ha affermato in un’altra occasione:

È stato l’improvviso manifestarsi letterario di uno scenario in cui vivevamo ma che ancora ci sfuggiva. Di quello che sarebbe venuto dopo lì c’era un anticipo, un assaggio – un invito probabile o cosa non si sa (Ferretti 2022, 33-34).

Come affermava Tondelli:

Molto spesso non siamo affatto noi a scegliere le nostre letture, i nostri dischi, i nostri amori, ma sono gli accadimenti stessi che vengono a noi in un particolare momento, e quello sarà l’attimo perfetto, facilissimo e inevitabile: sentiremo un richiamo e non potremo far altro che obbedire (Tondelli [1986] [1993] 2019, 28).

Così perlomeno accadde a Giovanni. Lesse Frammenti di un discorso amoroso e ne rimase così colpito che decise di giocare con i paragrafi del volume operando un imponderabile collage per comporre una canzone:

Questo libro mi era piaciuto così tanto – ha ammesso –, che alla fine ero lì che me lo rigiravo tra le mani, mi sono aperto l’indice e i titoli dei capitoli erano meravigliosi. Stavamo lavorando attorno a una canzone e volevo utilizzare queste parole perché era dal mio punto di vista il massimo della manifestazione di affetto, di riconoscenza che potevo fare nei confronti di un libro che mi aveva dato moltissimo (Giustini 1995, 77).

Erano gli anni di esordio dei CCCP – Fedeli alla linea. Conosciutisi nell’agosto 1981 a Berlino e diventati inseparabili amici, Giovanni e Massimo avevano deciso di dar vita a un gruppo musicale, perché – come scriverà Zamboni in un altro contesto ma adattabile a questo – la vita pareva loro “troppo lunga ancora per accontentarsi” (Zamboni 2017, 155). Giovanni aveva preso in affitto assieme a Grazia – la sua migliore amica dai tempi della prima media – una cascina in una frazione rurale di Scandiano, chiamata Fellegara, ai piedi delle colline del Reggiano che da lì cominciano a salire per trasformarsi nelle guglie dell’Alpe. Una costruzione contadina, squadrata e isolata in mezzo al nulla, tappezzata di manifesti di Breznev, Gagarin e Andropov, e arredata utilizzando materiali di recupero (vecchi mobili, tubi in pvc, drappi colorati etc.) che Giovanni spostava di continuo per creare ambientazioni nuove con l’idea fissa di trasformarla in una Bauhaus, un luogo cioè dove poter produrre arte contemporanea. Si era licenziato da un lavoro fisso all’Azienda Sanitaria di Castelnovo ne’ Monti, in quanto mosso, come Massimo, da una indistinta necessità di cambiare l’impatto con la propria vita. Quest’ultimo aveva invece deciso di prendersi una pausa di riflessione dagli studi universitari in Lingue straniere a Bologna. Trascorrevano intere giornate a parlare e a suonare al secondo piano di questa casa rurale, dove accanto alla grande camera da letto di Ferretti, che era la stanza padronale, avevano creato la sala prove isolandola con cartoni portauova. Per comporre le canzoni, Giovanni traeva spesso ispirazione dai libri che chiedeva in prestito alla biblioteca comunale, fornitissima di romanzi e saggi. Era diventato amico della bibliotecaria che gli concedeva in prestito molti più libri di quelli che sarebbero stati consentiti. Ogni volta tornava a casa soddisfatto con una borsa piena di cultura.

Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Torino 1979.

In apertura di Frammenti di un discorso amoroso, Barthes scrive: “La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine”. Lo studioso vuole marcare il fatto che tendiamo a controllare troppo i nostri sentimenti ed è difficile dire se due persone sono innamorate. Ferretti condivide appieno questa riflessione e inizia a prendere qualche appunto su un piccolo quaderno. Anche lui sa che le emozioni forti suscitano sgomento e che se lasciamo che la ragione prevalga perdiamo la nostra capacità di sentire davvero. Intende, alla sua maniera, squarciare il velo del solipsismo e invitare ad aprirsi ai sentimenti, a osare, perché temere l’amore è temere la vita. Una storia d’amore è sempre un enigma, un viaggio senza una meta. E se non cerchiamo ciò che amiamo, ci accontentiamo solo di ciò che troviamo per strada. Inizia quindi a buttare giù, compulsando Frammenti di un discorso amoroso, un testo. Legge, verga pensieri e comincia a intonare parole in cui fa cozzare alcuni frammenti lirici (“un’amorosa quiete”, “un rapimento un’estasi”, “l’affinità elettiva”) contro il freddo e asettico linguaggio scientifico (“erezione”, “coito”, “spermi”). Costruisce cioè un testo cucendo assieme con grande abilità alcune immagini letterarie di Barthes. In fondo era questa la poetica del gruppo, come ci spiega Zamboni:

Le canzoni dei CCCP non sono affini alla musica, ma a delle visioni. Noi non facevamo estetica per estetica, ma immagini prese dal cuore dell’ascoltatore che è uguale al nostro e rigettate in una canzone, o su un palco (Tinti 1992).

Prende forma così questa serenata metropolitana, con all’interno un jingle da avanspettacolo erotico, costruita musicalmente da Zamboni su un semplice giro di do. Un pomeriggio aveva confessato a Ferretti che gli capitava spesso, camminando sotto i portici della città, di incrociare gli sguardi corrucciati dei reggiani. Un giorno si era imbattuto accidentalmente nel cartellone pubblicitario di un film, non hollywoodiano, né avventuroso o romantico, ma a luci rosse. Nel manifesto c’erano le foto di alcune donne succinte con uno sguardo accattivante, con addosso provocanti lingerie e alcune stelline nere a coprire ciò che doveva rimanere nascosto. Sopra campeggiava il titolo del film porno, alquanto eloquente: Blue Erection. Gli era allora montato dentro un pensiero, che aveva esternato all’amico: “Sono tutti quanti così seriosi, cupi… secondo me, Giovanni, hanno erezioni tristi!”. Erano scoppiati a ridere. I giorni successivi Massimo aveva preso carta e penna e composto questi versi, che diventeranno l’introduzione di Mi ami?:

Un’erezione un’erezione un’erezione
un’erezione triste
per un coito molesto
per un coito modesto
per un coito molesto
Spermi spermi spermi
spermi indifferenti
per ingoi indigesti
per ingoi indigesti
per ingoi indigesti

Era da tempo che stavano cercando di comporre una canzone d’amore. I CCCP volevano o no produrre musica melodica emiliana “per far muovere idee e corpi”? Non potevano allora non intonare una canzone d’amore sul palco. Alla lettura di questi versi, Giovanni va alla ricerca delle parole giuste per controbilanciare quelle forti di Massimo, crude e potenti: delle espressioni letterarie che siano in grado di esprimere al meglio l’essenza del sentimento d’amore. La canzone nasce, quindi, come “uno sforzo d’amore. Io non sapevo assolutamente scrivere d’amore”, mi ha confessato un pomeriggio Giovanni. Gli viene allora in mente il libro di Roland Barthes e il resto viene da sé.

Com’è noto, protagonista di Frammenti di un discorso amoroso, eletto dal semiologo a incarnare il ruolo dell’innamorato, è il Werther di Goethe: “l’archetipo stesso dell’amore passione”. Il personaggio letterario, con il suo frac turchino e il suo gilet giallo, è l’eroe romantico per eccellenza: l’io “innamorato che parla e che dice”, una voce personale che serve a Barthes per drammatizzare l’enunciazione e renderla più coinvolgente. Giovanni apre il libro e inizia ad annotare delle parole:

Io attendo allucinato

ATTESA. L’attesa – 1. Erwartung – 2. Scenario – 3. La telefonata – 4. Allucinazione – 5. Colui/colei che attende (Barthes 1979, Indice VI).

la situazione estrema

La catastrofe amorosa s’avvicina forse a ciò che, nel campo psicotico, è stata definita una situazione estrema, la quale è “una situazione che il soggetto vive conscio del fatto che essa finirà col distruggerlo irrimediabilmente, l’immagine è ricavata da ciò che avvenne a Dachau (Barthes 1979, 46).

un grande sogno nitido

CAPIRE. “Voglio capire” – 5. Visione: il grande sogno nitido (Barthes 1979, Indice VI).

chiedendo alla tua pelle
con dita di barbiere

CONTATTI. “Quando inavvertitamente il mio dito”. – 1. Ciò che viene chiesto alla pelle. – 2. Come le dita d’un barbiere (Barthes 1979, Indice VI). 

Il linguaggio è una pelle: io sfregio il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole. Il mio linguaggio freme di desiderio. Il turbamento nasce da un duplice contatto: da una parte, tutta un’attività del discorso assume con discrezione, indirettamente, un significato unico, che è “io ti desidero”, e lo libera, lo alimenta, lo ramifica, lo fa esplodere (il linguaggio prende gusto a toccarsi da solo); dall’altra, avvolgo l’altro nelle parole, lo blandisco, lo sfioro, alimento questo sfioramento, mi prodigo per far durare il commento al quale sottometto la relazione (Il colloquio, in Barthes 1979, 77).

un’amorosa quiete un’amorosa quiete

ABBRACCIO. “Nell’amorosa quiete delle tue braccia” (Barthes 1979, Indice V).

Quest’ultimo fraseggio era stato estrapolato a sua volta da Barthes da una poesia musicata dal compositore Henri Duparc. Giovanni Lindo Ferretti si ferma un attimo, poi continua a scrivere altre frasi:

Sfiorarti come a caso

“Quando inavvertitamente il mio dito” […]. Il dito di Werther sfiora inavvertitamente il dito di Carlotta; i loro piedi, sotto il tavolo, si incontrano (Barthes 1979, 57).

con aria imbarazzata

Con aria imbarazzata” […]. Werther sta facendo una scenata a Carlotta (è poco prima del suo suicidio), ma la scenata viene interrotta dall’arrivo di Alberto. Nessuno parla più; Werther e Alberto incominciano a camminare con aria imbarazzata su e giù per la stanza; incominciano discorsi di nessun interesse che subito cadono nel nulla. Perché? Perché ognuno di loro è visto dagli altri due nel suo ruolo specifico (di marito, di amante, di posta in gioco), senza che nella conversazione si possa tener conto di questo ruolo. Ciò che pesa, è il sapere silenzioso: io so che tu sai che io so: questa è la formula generale dell’imbarazzo […] (Barthes 1979, 81).

atmosfera pesante

DISAGIO. “Con aria imbarazzata” – 1. L’atmosfera pesante […] (Barthes 1979, Indice VII).

elogio alla tensione

DISPENDIO. L’esuberanza. – 1. Elogio della tensione […] (Barthes 1979, Indice VII).

L’amore sembra aver perso il connotato sentimentale ed essersi ridotto a una dimensione brutalmente meccanicistica? Di contro, Ferretti e Zamboni cercano di rivendicare una dimensione sentimentale e passionale di intimità non mercificata, libera dalle ripetizioni e dall’ipocrisia. Perché solo lontano dalle falsificazioni e dalle omissioni si può celebrare una visione travolgente del sesso e romantica dell’amore. Alla domanda “Cos’è l’amore secondo te?”, ognuno trova la risposta dentro di sé. I CCCP hanno la loro e non esitano a cantarla ad alta voce:

tranquillità assoluta
tranquillità assoluta
tranquillità assoluta

D’altronde tutti lo sappiamo, per averlo provato almeno una volta: l’amore si manifesta soprattutto attraverso il linguaggio (sono le “enunciazioni” dell’io di Barthes), difatti caratteristica dell’innamorato è quella di parlare incessantemente del sentimento che prova, non alla persona amata però – perché non interloquisce – ma a sé stesso. L’innamorato è ossessionato dal tentativo di spiegare attraverso le sue parole perché, tra le tante persone che potrebbe desiderare, ama proprio quella. Sta proprio in questo il più grande paradosso del discorso amoroso: il linguaggio non potrà mai afferrare un sentimento per sua stessa natura ineffabile e illogico, sarà sempre approssimativo e insufficiente. La frustrazione maggiore provata da un amante è dettata da questa discrepanza tra ciò che prova e ciò che dice. Ferretti riprende in mano il libro e annota:

Un rapimento un’estasi

“Rapito in estasi” RAPIMENTO Episodio ritenuto iniziale (ma che può essere ricostruito anche in un secondo momento) nel corso del quale il soggetto amato è “rapito” (catturato e ammaliato) dall’immagine dell’oggetto amato (volgarmente: colpo di fulmine; voce dotta: innamoramento (Barthes 1979, 162).

su un punto delicato

ALTERAZIONE. Un piccolo punto del naso. 1. Il punto di corruzione (Barthes 1979, Indice V).

Confidenza di X: “La prima volta, accese un cero in una piccola chiesa italiana. Restò colpito dalla bellezza della fiamma e il gesto gli parve meno idiota. E allora, pensò, perché privarsi del piacere di creare una luce? Perciò ricominciò, associando a quel gesto delicato (piegare il cero nuovo verso quello già acceso, sfregare leggermente i loro stoppini, prendere piacere vedendo che il fuoco s’accendeva, riempirsi gli occhi di quella luce intima e forte) voti sempre più vaghi che - per paura di scegliere – coinvolgevano “tutto ciò che non va bene nel mondo (Barthes 1979, 133).

Il punto più sensibile di questo lutto è che mi tocca “perdere un linguaggio” – il linguaggio amoroso. D’ora innanzi, non ci saranno più i “Ti amo” (Barthes 1979, 88).

questa non è una replica

SCENATA – 5. L’ultima replica (Barthes 1979, Indice IX).

facile e leggera

SUICIDIO. Idee di suicidio – 1. Frequente, facile, leggera (Barthes 1979, Indice IX).

non è una mossa tattica

VOLER PRENDERE. Sobria ebrietas 1. Non-voler-prendere – 2. Ritirarsi senza cedere – 3. Una mossa tattica? (Barthes 1979, Indice IX).

Quando si ama una persona, scrive Barthes, non ci domandiamo mai perché la amiamo. Ci facciamo ossessivamente solo questa domanda: “Ma perché tu non mi ami?”. In realtà, la domanda che l’innamorato si fa non è tanto perché non è corrisposto, ma perché l’altro non gli dice che lo ama. Il soggetto amoroso crede che, in fondo, la persona lo ami, solo che non glielo dica. La sofferenza cresce in lui non perché non è corrisposto ma perché crede di essere amato, vivendo di continuo nell’imbroglio di credersi al contempo amato e abbandonato. L’innamorato pone più volte la stessa domanda:

Mi ami? 
Mi ami? 
Mi ami?

Una domanda che, purtroppo, anche se viene reiterata all’infinito, non ha risposta. L’interrogativo, seguito dal sottotitolo Nuove situazioni intrapsichiche e interpersonali, è anche il titolo della traduzione italiana del 1978 di Do You Love Me? (la seconda e terza edizione uscirono, sempre per i tipi di Einaudi, nel 1979; la quarta fu pubblicata nel 1983, nello stesso periodo in cui Ferretti portò a compimento la canzone) scritto da uno dei più importanti nomi della psichiatria del Novecento, lo scozzese Ronald David Laing, nonché dell’omonimo testo OTTO. 64 posto a conclusione del libro (“LEI mi ami? LUI sì ti amo LEI più di tutto? LUI sì più di tutto”, Laing 1978).

Ronald David Laing, Mi ami? Nuove situazioni interpsichiche e interpersonali [Do You Love Me?, New York 1976], Torino [1978] 1983. 

Psicoterapeuta, antropofenomenologo e poeta, per trent’anni, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, Laing è stato “rispettato e riconosciuto come un personaggio di controversa celebrità”, ha commentato Stefano Mistura nell’introduzione all’ultima edizione del libro (Mistura 2007, XV), aggiungendo che quello dello psichiatra “è diventato un nome conosciuto da ogni persona intelligente e di media cultura e chiunque sia abbastanza istruito ha letto qualcuno dei suoi libri” (Mistura 2007, XV).

I CCCP lo conoscevano bene. Avevano letto non solo questo testo, ma anche gli altri. Così scrivono alla morte dell’antipsichiatra, avvenuta nell’agosto 1989:

Padre di una generazione di senza padri né maestri, ci ha insegnato che: ‘Ci evolviamo attraverso complessità e perplessità spesso per raggiungere la semplicità’ (Comunicato CCCP, fine agosto 1989).

I CCCP avevano addirittura dato vita a una Sezione Lombroso, un ramo sconosciuto e poco studiato della fase iniziale del gruppo, che produsse comunicati, pezzi di fanzine, cartoline e gadget con immagini, oltre che di Laing, anche di Bruno Bettelheim e David Cooper che:

Ci aveva insegnato una strada, da La morte della famiglia alla Politica dell’orgasmo, da Chi sono i dissidenti alla Grammatica del Vivere a Il linguaggio della follia, che dobbiamo ancora finire di percorrere sotto il vessillo della coltivazione delle diversità nell’uguaglianza (comunicato del luglio 1986).

Il libro Mi ami? di Laing non è un saggio di psicopatologia o di psicologia delle relazioni, ma un’opera poetica, più propriamente una pièce teatrale al modo di Jean Genet, che venne rappresentata in varie parti d’Europa, riscuotendo però poco successo. È stato, dunque, il titolo di questo libello, composto da dialoghi, poesie, grumi di discorso e appunti (“percorsi mentali tanto lucidi e perspicui quanto di continuo affacciati sul baratro dell’Altro o dell’angoscia”, è scritto nella quarta di copertina), a essere stato, quantomeno a livello inconscio, la prima fonte di ispirazione di Ferretti? La poesia CINQUE. 28 dice:

Prendi questa pillola
e urlerai un po’ meno
ti porta via la vita
senza, stai più sereno.

Tutto il libro è frutto dell’impegno profuso da Laing nell’ascoltare le vite degli altri e del modo col quale egli aveva affrontato le situazioni della sua vita. In modo particolare, il medico fa rifluire nei suoi testi quello che ha ascoltato dai pazienti durante la pratica professionale. E così fa Giovanni. Non solo perché, avendo fatto per cinque anni l’operatore psichiatrico a Castelnovo ne’ Monti o meglio il referente di un gruppo di adolescenti con disturbi psichici, ha studiato i metodi dell’antipsichiatria (“La psichiatria può cominciare solo là dove progetta la sua fine”) e accolto le idee del medico scozzese. Anche perché, essendosi accollato il dolore dei giovani affidati alle sue cure, ne è rimasto segnato, e le canzoni del primo periodo dei CCCP nascono “per sedare il suo disagio” (così mi ha confessato). Erano stati per lui cinque anni pesantissimi. “Quell’esperienza mi ha toccato profondamente, senza non avrei mai avuto il coraggio e, forse, il cattivo gusto di inventarmi cantante”, ha confessato a Andrea Possieri durante un’intervista concessa all’“Osservatore Romano” (Ferretti 2010).

Ma torniamo a scorrere la canzone dei CCCP. Il testo Mi ami? continua con un riferimento al Die Wahlverwandtschaften, la celebre novella del 1809 di Johann Wolfgang Goethe, scritta, per stessa ammissione dell’autore, come risposta a una profonda ferita sentimentale. Studioso della natura, Goethe recupera questo preciso termine tecnico che esprime l’operazione chimica di attrazione e repulsione tra materie diverse. Argomento di questo testo drammatico sono, difatti, i misteriosi impulsi arcaici che si accordano su una sinistra armonia, soggiogando uomini e donne. A dire di Goethe, sono le affinità elettive a dominare la materia pulsionale: è la natura a realizzare le coppie di amanti, non la volontà umana.

La pensa così anche Ferretti? Vediamo:

L’affinità è elettiva
orfana di futuro
disturba i progetti rapisce la quiete
svela i conti in sospeso
accarezzati in sogno
in un tempo spezzato
che gira rigira ritorna all’inizio
non vuole finire, mi ami?
Mi ami?
Mi ami?

Egli sembra qui far propria l’osservazione del semiologo francese che ogni discorso amoroso non è altro che una girandola di figure che, come svolazzamenti di mosche chiuse all’interno di una stanza, si muovono secondo un ordine imprevedibile. Difatti, la struttura di Frammenti di un discorso amoroso segue un arbitrario ordine alfabetico (alcune lettere vengono saltate, ad altre vengono accoppiati più termini) composto da insiemi di immagini memorabili e da racconti, delineati nei loro contorni, a ciascuna dei quali viene associato un argomento (il lemma posto in alto nella pagina) che corrisponde a ciò che dice il soggetto amoroso. Ogni figura è fondata, se chi la legge esclama: “Com’è vero questo! Mi riconosco perfettamente nella situazione descritta!”. Il libro di Barthes vuole offrire a ogni lettore un supplemento al linguaggio durante la fase dell’innamoramento, affinché se ne possa impossessare e vi possa aggiungere del suo o togliere quello che non serve. Alla fine, però, lo sforzo compiuto da ogni innamorato non porta nessun appagamento: rimane sempre in lui la sensazione di non essere stato in grado di spiegare la natura dell’amore che sta provando. Ma perché poi dovremmo darne una spiegazione? “Smettila di parlare, avvicinati un po’”, ripete per ben quattro volte il cantato di Ferretti. Se ci comportassimo tutti così, sarebbe forse molto meno complicato.

È nata in questo modo Mi ami?. Così mi ha raccontato Giovanni Lindo Ferretti:

Se in quel momento doveva cambiare qualcosa, era la musica a dover cambiare. “Se non ci stanno queste parole – ho detto a Massimo – allora si cambia la musica, perché le parole non si toccano!”.

Una volta terminata, la canzone viene incisa nel disco Ortodossia II, il primo Ep 12 pollici dei CCCP, pubblicato nel 1985 da Attack Punk Records, assieme ai tre brani (Live in Pankow, Spara Jurij e Punk Islam) già pubblicati in Ortodossia. Come ricorda il bassista Umberto Negri, il disco venne registrato in una fredda sala d’incisione che:

Si chiamava Superfluo ed era molto piccola, una classica cantina bolognese posta nel sottosuolo dei portici. C’era una specie di atrio, con una rete da materasso attrezzata con sensori e microfoni a ricreare un riverbero artigianale. Vi era poi la saletta con il mixer e i registratori a nastro. Su un lato una specie di cabina del telefono insonorizzata, un metro per due, serviva per registrare le voci (Negri 2010, 361).

Cercarono di riprodurre artificialmente la spontaneità dei loro live, e lo studio di registrazione li aiutò anche troppo in questo: se Giovanni registrava la voce mentre stava passando un autobus, doveva rifare tutto da capo.

In un primo tempo l’Ep Ortodossia II uscì a Londra in vinile rosso. Solo successivamente venne pubblicato in Italia dalla label di Jumpy Velena, anche in vinile nero. La canzone venne poi “remiscelata” nel loro primo LP: 1964-1985 Affinità-divergenze tra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età, sempre di Attack Punk Records, pubblicato nel 1986. La Virgin, come ben sanno i collezionisti, ristampò Ortodossia II nel 1987 in vinile nero con il cerchio interno di color verde e un rigo obliquo rosso. Esiste poi una seconda edizione dello stesso anno con un cerchio verde e un rigo rosso, e una versione grigia del 1988.

Ma la storia della discografia dei CCCP non è importante come la loro avventura artistica. Quello che riveste interesse è l’analisi dei loro testi, anche dei comunicati e dei proclami; il racconto dei loro concerti, che di fatto erano psicoterapie aperte di gruppo; il racconto dei tanti momenti memorabili, espressione di un tempo e di un mondo distante anni luce da quello di oggi. Se dopo quarant’anni le loro canzoni continuano ad avere un grande seguito, anche tra i giovanissimi, è perché ci sono ragioni profonde: i CCCP, con il loro sguardo obliquo sul mondo, hanno cercato di scardinare il pensiero massificato degli anni Ottanta, dove l’omologazione (dal modo di alimentarsi a quello di vestire, dal modo di abitare a quello di comunicare) era per molti l’unica possibilità di vita, e hanno dato artisticamente voce al malessere, al disagio e all’inquietudine diffusi, che oggi, sebbene abbiano forme e nomi diversi, sono presenti come allora. C’è dell’altro. Se i CCCP sono arrivati fino a noi è perché hanno “saputo conservare in sé lo sguardo lungo, il sintomo dell’infanzia, il lampo della meraviglia, un’innocenza selvaggia, connaturata e, assieme a loro, l’odore della terra, il coraggio del passato” (Zamboni 2022, 138).

Il colpo d’occhio dei CCCP è un prezioso insegnamento di vita, di cui è bene far tesoro in questi tempi difficili.

Riferimenti bibliografici
  • Barthes [1977] 1979
    R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso [Fragments d’un discours amoureux, Paris 1977], tr. di R. Guidieri, Torino 1979.
  • Casini [1994, 1998] 2022
     B. Casini (a cura di), Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni Ottanta, 3a edizione rivista e aggiornata, Firenze 2022.
  • Contiero 2015
    T. Contiero (a cura di), Fellegara. Dove sono nati i CCCP Fedeli alla linea, Rimini 2015.
  • Ferretti 1992
    G.L. Ferretti, Tondelli torna a casa?, “Panta” 9 (1992), 337-340.
  • Ferretti [1994, 1998] 2022
    G.L. Ferretti, Coincidenze, affinità e divergenze, in Casini [1994, 1998] 2022, 37-38.
  • Giustini 1995
    J. Giustini, Giovanni Lindo Ferretti (C.S.I.): nato sotto il vento di un valico, in Id., Carta da musica: i cantautori e la letteratura, Roma 1995, 65-82.
  • Laing [1976] [1978] [1992] 2017
    R.D. Laing, Mi ami? [Do You Love Me?, New York 1976], tr. di F. Bossi, Torino 2017.
  • Mistura [1976] [1978] [1992] 2017
    S. Mistura, Introduzione in Laing [1976] [1978] [1992] 2017, IX-XVI.
  • Negri 2010
    U. Negri, Io e i CCCP. Una storia fotografica e orale, a cura di E. “Gomma” Guarneri, Milano 2010.
  • Palmieri 2015
    G. Palmieri, Uno psichiatra punk-rock: intervista a Benedetto Valdesalici, www.stateofmind.it, 16 aprile 2015.
  • Panzeri, Picone [1996] 2001
    F. Panzeri e G. Picone (a cura di), Tondelli. Il mestiere di scrittore. Un libro intervista, ora in P.V. Tondelli, Opere: Cronache, saggi, conversazioni, Milano 2001, 969-1011.
  • Possieri 2010
    A. Possieri, La comunione dei santi resiste anche all’invasione dei media: l’ex cantante punk filosovietico Giovanni Lindo Ferretti racconta in un’intervista la storia della sua vita cambiata, “Osservatore Romano” 6 gennaio 2010. 
  • Tinti [1992] 1998
    A. Tinti, Intervista a Massimo Zamboni, CCCP, una storia, “Urlo” 2 (marzo/aprile 1992); ora in G. Marinoni, D. Cuoghi, CCCP Fedeli alla Linea, 2a ediz. aggiornata, Roma [1990] 1998.
  • Tondelli [1984] [1990] 2001
    P.V. Tondelli, Punk, falce e martello, “L’Espresso” 18 novembre 1984, poi in Id., Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni ottanta, Milano 1990, ora in Id., Opere. Cronache, saggi, conversazioni, Milano 2001, 320-324.
  • Tondelli [1986] [1993] 2019
    P.V. Tondelli, I frammenti di Barthes, rubrica Culture Club, “Rockstar” 65 (febbraio 1986); ora in Id., Fenomenologia dell’abbandono, in Id., L’Abbandono. Racconti dagli anni Ottanta, a cura di F. Panzeri, Milano [1993] 2019, 28-32.
  • Valdesalici 2014
    B. Valdesalici, CCCP Fedeli alla linea: verso le fonti, Postilla al volume-catalogo di A. Giudici, G.L. Ferretti, R. Tagliati, Annarella Benemerita Soubrette. CCCP Fedeli alla linea, Macerata 2014, 243-248. 
  • Valentini 1984
    C. Valentini, In nome di Marx basta col rock. Il gruppo emiliano dei “Cccp” lancia il “punk filosovietico” e snobba elettronica e tastiere, “Panorama” 19 novembre 1984, 193.
  • Zamboni 2017
    M. Zamboni, Nessuna voce dentro. Un’estate a Berlino Ovest, Torino 2017.
  • Zamboni [1994] [1998] 2022
    M. Zamboni, Carpi come periferia di Berlino, in Casini [1994, 1998] 2022, 137-138. 
English abstract

The critical contribution analyzes Mi ami?, one of the first songs composed in the early eighties by Giovanni Lindo Ferretti and Massimo Zamboni, the vocalist and guitarist of CCCP – Fedeli alla Linea, and subsequently included in the EP Ortodossia II (1985). Michele Rossi – official biographer of the two artists – retraces the genesis of the text, commenting on it verse by verse, and explaining its construction: a collage made by Ferretti starting from the 1979 Italian translation of Fragments d’un discours amoreux by Roland Barthes, released in France two years earlier. The author also reconstructs the existing link, not only on a literary level, between the CCCP and the writer Pier Vittorio Tondelli, and between the ‘Lombroso Section’ of this post-punk group and the Scottish psychiatrist Ronald David Laing, author of a pamphlet released during those years and entitled Do you love me?.

keywords | CCCP – Fedeli alla Linea; songs; Roland Barthes; Pier Vittorio Tondelli; Roland D. Laing.

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.210.0008