"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

210 | marzo 2024

97888948401

”È una questione di qualità”

Il progetto della mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024”

Stefania Vasques, intervista a cura di Filippo Perfetti, Giulia Zanon

English abstract

“Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” si è tenuta a Reggio Emilia, presso i Chiostri di San Pietro, dal 12 ottobre 2023 al 10 marzo 2024. La mostra, vista da quarantacinque mila visitatori, è stata curata dai CCCP – Fedeli alla linea in collaborazione con Stefania Vasques, che qui intervistiamo. 

Filippo Perfetti, Giulia Zanon | Come è nata questa collaborazione? In che fase i CCCP hanno deciso di coinvolgerla?

Stefania Vasques | Sono stata coinvolta da subito. Loro avevano desideri precisi e idee molto chiare su quello che volevano diventasse la mostra: non una esibizione statica ma uno ‘spettacolo’ dove il racconto non fosse solo meramente cronologico ma anche emotivo. La mostra doveva essere il racconto del vissuto del gruppo, del momento storico ed epocale ben preciso che ha portato i CCCP a produrre i brani che tutti conosciamo. “Felicitazioni!” doveva parlare di uno stato d’animo che, incanalato e tradotto negli allestimenti, potesse essere trasmesso al visitatore. L’esigenza principale era pertanto quella di coinvolgere il pubblico nel proprio percorso.

Il progetto espositivo nasce spontaneo, così come i meravigliosi Chiostri di San Pietro suggerivano: al piano terra, nelle sette stanze affrescate è stato allestito un racconto cronologico della produzione più rappresentativa dei CCCP, mentre al piano di sopra, il racconto diventa emotivo e dinamico. Il gruppo aveva stilato una serie di richieste precise, di elementi che voleva assolutamente includere. Si pensi al Chiostro Grande: è un allestimento pensato dai CCCP, che volevano rievocare frammenti di vita a Berlino. La volontà era quella di mettere in mostra un’atmosfera: c’è un pezzo del Muro di Berlino (si veda a tal proposito il contibuto di Chiara Velicogna in questo stesso numero di Engramma) a simboleggiare la storia, il racconto di una divisione, di un confine – un megafono che trasmette voci e brani a tutto volume, dei cavalli di Frisia – per schermarsi da carrarmati, simbolo di una guerra che non si conclude mai – e una Trabant, come simbolo di Berlino e del tempo. 

Abbiamo cercato di tracciare un percorso che fosse legato alle parole. Quando sono stata contattata dai CCCP sono tornate alla mia memoria frasi che hanno accompagnato la mia crescita. Tra queste: “è una questione di qualità”. In un momento storico che alla qualità preferisce la quantità, abbiamo voluto posizionare questa frase in ogni arcata, quasi come un mantra.

Al piano di sotto ci sono le sette stanze adibite al racconto della produzione dei CCCP con immagini, video, suoni, parole, scritti, vestiti di scena e quanto altro appartenesse al loro mondo. Tra queste, una stanza dedicata alla scultura di Luca Prandini Soviet 110%, e una dedicata alle fotografie di Luigi Ghirri per l’album Epica Etica Etnica Pathos, con un servizio inedito di backstage.

Al piano di sopra il percorso inizia nel corridoio della rassegna stampa, dove sono stati proiettati sui muri i titoli di giornale più significativi dell’epoca, a raccontare la vorticosa moltiplicazione della loro immagine attraverso la stampa: un vero e proprio vortice che ha gettato su di loro, alternativamente, luce e ombra (per una descrizione esaustiva del percorso espositivo si veda il contributo di Francesco Bergamo in questo stesso numero di Engramma). 

FP, GZ | Il corridoio con gli articoli di giornale sui CCCP: un lungo braccio diviso in due che all’inizio del percorso accoglie la stampa positiva e alla fine del percorso la sezione con la stampa negativa. La duplicità dello spazio non è palesata, il visitatore se ne rende conto solo alla fine. Riteniamo che si tratti di un’intuizione allestitiva affascinante e vorremmo che ce ne parlasse.

SV | Trovo geniale il nutrimento che i CCCP hanno tratto dalla critica. Hanno espresso in modo chiaro la loro volontà che ci fosse una stanza dedicata alle calunnie, tant’è vero che è stato chiamato Arthur Duff per l’opera “Fedeli alla lira”, una stanza che chiude tutto il ciclo. Come dice Giovanni Lindo Ferretti la critica è il nutrimento per un gruppo punk e i CCCP erano e sono “Fedeli alla linea”.

Arthur Duff, Fedeli alla lira, 2023. “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024). Fotografia di Michele Lapini.

Il secondo piano inizia quindi con il ritmo vorticoso e veloce dei titoli di giornale e da lì, a seguire, in ogni stanza sono stati scelti i momenti più rappresentativi della produzione artistica dei CCCP, le suggestioni e i luoghi che hanno ispirato il gruppo, interpretati da artisti che hanno parlato dei CCCP con il proprio linguaggio. 

C’erano moltissimi spunti che si sarebbero potuti approfondire, la scelta è stata difficile ma necessaria per permettere la giusta profondità. Si è scelto, per esempio, di raccontare il lavoro teatrale di Annarella e Fatur, progettando uno spazio intimo e accogliente per la proiezione di Allerghia.

I CCCP hanno poi voluto raccontare Fellegara, il luogo della loro produzione musicale. Nell’allestimento sono stati riproposti due momenti diversi messi a confronto: su di una parete le fotografie scattate da Giovanni Lindo Ferretti in quei giorni, in maniera più o meno spontanea, sull’altra parete un video di nuova produzione dei DKM per raccontare Fellegara oggi, per mostrare quello che ancora Fellegara rappresenta, come se fosse intrisa della storia del gruppo. L’idea di girare questo video venne quando, durante la prima conferenza stampa, una giornalista disse: “Tutte le volte che passo da Fellegara e passo davanti alla casa dove suonavate sembra che siate sempre lì”, svelando la dimensione di un luogo ancora abitato. Da qui l’idea di un video che, grazie a una inquadratura fissa, potesse mostrare allo stesso tempo la loro immanente presenza e tutta la trasformazione di un’esistenza. Come se si trattasse, con le parole di Lindo Ferretti, di una cellula dormiente che si è risvegliata, dopo quarant’anni. I CCCP si sono ritrovati esattamente dove si erano lasciati, a livello affettivo, a livello di pensiero e soprattutto a livello di concetto di gruppo, di unità. Dalle loro riunioni interne, a cui io non partecipavo, usciva sempre una decisione unitaria.

Nel corridoio dove ci sono i volti dei leader dei paesi comunisti, lì ci fu proprio una richiesta specifica, che evocasse i ricordi di Berlino e della presenza di quelle immagini che incombevano sulla città. Mi è stato chiesto di ricreare quell’emozione, il sentirsi sovrastato da statue incombenti, dove tu non eri mai solo ma sempre guardato, controllato, da una sorta di terzo occhio. Da qui l’idea di ingrandire le foto, installazione esasperata ancora più dalla musica a tutto volume dei paesi socialisti. Questo percorso si conclude meravigliosamente con due quadri che ritraggono Nilde Iotti, bambina e adulta. 

Il secondo piano si è poi avvalso degli allestimenti di due artisti straordinari: Roberto Pugliese che ha concepito una installazione intorno a un pezzo inedito del gruppo, Onde, e Stefano Roveda con la stanza della storia “Antropicon”. Il percorso si conclude nell’ala chiamata Cattedrale con il maxi schermo con la proiezione dei loro concerti.

Stefano Roveda, Antropicon, installazione 4 video FullHd sincronizzati e 4 speakers, 45’20’’, produzione Matango.tv, 2023. “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024). Fotografia di Michele Lapini.

FP, GZ | Ci piacerebbe chiederle del materiale esposto in “Felicitazioni!”. Come è stato reperito? Come avete pensato di trattare questo materiale? Ferretti ha parlato spesso del materiale raccolto e conservato da Annarella, definendola “erede testamentaria del patrimonio dei CCCP”. L’eredità è qualcosa che nasce da una trasmissione intima privata ma è anche qualcosa che deve essere amministrato. Come prendere degli oggetti privati, afferenti alla dimensione dell’archivio, e renderli eloquenti per il pubblico, farli parlare a voce alta di una storia universale?

SV | Quando i CCCP si sono separati hanno diviso tutto il materiale più o meno in quattro. La conservazione del materiale d’archivio è stato un lavoro di Massimo e Annarella. Annarella ha conservato ogni cosa e in questi anni ha ordinato, diviso, catalogato, tutto questo materiale, dai vestiti ai dischi, compiendo un importante lavoro, senza sapere che un giorno l’avrebbe utilizzato. È una sua vocazione. 

È una questione di coerenza di pensiero. La cosa straordinaria è che i CCCP sono riusciti a tornare indietro di quarant’anni ed essere coerenti con il pensiero di quarant’anni prima, attualizzato a oggi. Tutto ciò che rappresentava delle differenze nel loro percorso di pensiero individuale è stato eliminato, in maniera tale da non creare confusioni di contenuti. Io, che ho sempre lavorato in gruppo, considero il gruppo come la vittoria della maggioranza; nei CCCP, invece, si va oltre la democrazia, arrivando al pensiero all’unisono, come se avesse a che fare con un corpo unico. Di un percorso di trasformazione, di cambiamento subìto in quarant’anni, loro hanno tenuto soltanto i contenuti che all’unisono appartenevano a ciascuno di loro. Questa è stata la traccia principale.

Io ho lavorato senza materiale, perché loro hanno fatto un grandissimo lavoro interno di selezione di quello che volevano far vedere. A me hanno dato semplicemente i temi: sapevo cosa ci sarebbe stato in ogni stanza. Ogni stanza aveva un tema e, casualmente e favolosamente, le stanze erano sette e quindi in questi sette spazi si è potuta scandire una cronologia dei loro dischi. 

Io e i CCCP abbiamo fatto due incontri nei quali ho potuto vedere il marasma del materiale che avevano recuperato e che era ancora senza forma: c’erano foto, video, i vestiti di Annarella. Loro li hanno divisi per stanze e per dischi, facendo diventare questi oggetti un racconto cronologico e consequenziale. Io ho disegnato i contenitori per contenere questo materiale potenziale, non sapendo fino all’ultimo cosa ci sarebbe stato. Sapendo solo che era indispensabile fare vedere determinate cose.

Distinguevamo le varie stanze in funzione di quello che si poteva fare, compatibilmente con una progettazione allestitiva che rendesse fruibile e desiderabile la stanza stessa. Se avessimo avuto la possibilità di mettere due bacheche, si sarebbero messe due bacheche. Se avessimo avuto la possibilità di mettere dieci bacheche, si sarebbero messe dieci bacheche. Ma se per un’armonia allestitiva se ne potevano mettere solo due, loro si sarebbero fatti bastare quelle due in funzione di quello che lo spazio consentiva di esporre.

FP, GZ | Come ha funzionato la vostra comunicazione durante la fase di progettazione? Quale era la vostra lingua comune, comunicavate attraverso la parola o il disegno?

SV | Disegni e parole. Massimo Zamboni mi diede un elenco dei desideri, che ho sviluppato secondo una visione allestitiva. Dopo la prima proposta progettuale ci sono stati molti incontri e scambi per finalizzare il progetto, sia a livello di contenuti che di espedienti espositivi. 

Per tutti, la cosa più importante era evitare una narrazione nostalgica e rievocativa. “Felicitazioni!” doveva quindi essere non una trasposizione nostalgica di quello che poteva essere un racconto del passato, ma qualcosa di assolutamente coinvolgente e contemporaneo: un racconto che potesse parlare anche alle nuove generazioni. 

FP, GZ | Vi siete immaginati un visitatore tipo durante la progettazione della mostra? Preventivate già di essere così universali e trasversali?

SV | Universali mi sembra esagerato, trasversali sicuramente. L’obiettivo era quello appunto di rivolgerci a tutte le età, sia alla generazione che come me ha avuto la fortuna di vederli persino in concerto, sia alle nuove generazioni. Questa visione era condivisa da tutti sia con i CCCP, sia con l’assessore alla cultura di Reggio Emilia, Annalisa Rabitti che ha voluto questa mostra e ha fatto di tutto affinché fosse sostenibile, con l’obiettivo che potesse essere fruibile anche dai ragazzi e dalle scuole. 

Credo che l’arte debba avere principalmente il compito di produrre e distribuire bellezza ed essere uno strumento di riflessione sociale e al servizio del sociale, non certamente un’espressione del singolo individuo. “La bellezza salverà il mondo”. L’arte deve creare una visione, stimolare l’immaginazione, deve portare in altre dimensioni e orizzonti, deve provocare, contraddire disubbidire, distribuire cultura e bellezza, dare strumenti di riflessione, regalare nuovi scenari possibili – è così che si raggiungono nuove mete evolutive collettive. 

Un’altra necessità è stata quella di attualizzare i concetti che volevamo comunicare tramite un impatto emotivo. Ad esempio, nella stanza “Lombroso”, dedicata al pezzo Curami si tocca un tema delicato. Ancora oggi in questa società c’è bisogno di distinguere ciò che è normale da ciò che non lo è – ancora sussiste il bisogno di uccidere tutto ciò che non rientra nella normalità attraverso degli strumenti legalizzati e persino degli strumenti di morte. Hanno chiuso i manicomi, ma non hanno chiuso le case farmaceutiche. Oggi al primo posto c’è l’economia, poi l’uomo. I parametri di interesse e di sviluppo sono legati all’economia e non all’uomo, fino al punto che si riesce a concepire e a giustificare persino la guerra.

Per la stanza “Lombroso” si è voluto evocare quindi un sentimento di angoscia. L’obiettivo è stato quello di mettere in una condizione di fastidio, di difficoltà, con tutta quella plastica, quella polvere… La volontà era quella di sollecitare un cambio di stato d’animo: il visitatore esce dalla stanza “Lombroso” ed entra nella stanza della grafica, così luminosa e colorata, penetrando così un’altra dimensione. L’obiettivo era quello di sollecitare degli sbalzi, visivi ed emotivi. Perché attraverso questo sbalzo viene suscitata un’emozione che diventa attenzione e, potenzialmente, comunicazione.

FP, GZ | Vedendo la mostra aperta al pubblico, c’è stato qualche elemento che vi ha stupito per come ha giocato contro il progetto o fortuitamente a suo favore?

SV | No, al contrario le difficoltà fisiologiche nel pensare e produrre una mostra così estesa sono state sempre aiutate da una sorta di magia – come l’ho chiamata io – o da uno “stato di grazia” come l’ha definito Giovanni Lindo Ferretti. Per me è stata un’esperienza bellissima perché si è entrati nel dettaglio di ogni strofa, di ogni parola, di ogni oggetto, si è pensato a cosa potesse evocare un significato anziché un altro, si è pensato alla scelta di un colore rispetto a un altro ancora. Tutto è stato curato nel dettaglio.

FP, GZ | E per entrare veramente nel minimo dettaglio: ci sono stati dei problemi a livello di autorizzazioni per l’utilizzo del filo spinato? In un mondo di regolamenti, di corrimano e di uscite di emergenza, è molto bello riuscire a portare il filo spinato in una mostra.

SV | Il filo spinato era una conditio sine qua non, soprattutto per Giovanni Lindo Ferretti, perché i CCCP utilizzavano il filo spinato durante i loro concerti. Il filo spinato era un oggetto di scena in tutti i loro concerti, e qui è diventato un oggetto d’arte.

Allestimento con filo spinato. “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024).

FP, GZ | Come avete gestito la calibrazione del suono, una delle sfide più difficili a livello espositivo? La distribuzione e l’esposizione del materiale sonoro è una cosa difficilissima e invece “Felicitazioni!” riesce a non creare confusione sui vari livelli, se non quando lo vuole esplicitamente. Viene quasi da dire che è una mostra che utilizza una vera audioguida, quella dei brani dei CCCP.

SV | Devo dire che il service è stato straordinario e con Massimo Zamboni, un musicista di elevata statura, hanno creato un concerto vivente a più piani e più stanze, anche adiacenti. Ovviamente già dalla fase di progettazione abbiamo cercato di distribuire il suono in maniera diversificata – in un luogo tra l’altro con un’acustica terribile, dove rimbomba tutto. Non è stato semplice, però il suono è stato calibrato anche con una grande esperienza e una grande professionalità da chi ha seguito il lavoro audio e da Massimo Zamboni. Nei giorni degli allestimenti durante i quali c’erano rumori terribili, c’era Zamboni con le cuffie che calibrava pezzo per pezzo.

Il desiderio era quasi quello di mettere in mostra un concerto, progettare una mostra-concerto. In realtà abbiamo dovuto abbassare i toni al piano di sopra: in fase di preparazione il volume era altissimo e, secondo me, ancora più interessante perché si passava da una stanza all’altra attraverso delle tende che spezzano il suono. Purtroppo la sicurezza ha fatto aprire alcune stanze per creare un percorso di evacuazione e abbiamo dovuto rinunciare all’idea di avere una musica assordante, da concerto.

L’alternarsi tra volume alto e volume basso è stato comunque calibrato perfettamente in maniera da rendere l’idea di questo concerto vivente, con le sovrapposizioni e le dissolvenze che invitano da una parte all’altra dello spazio e creano una felice confusione.

FP, GZ | La mostra vede il coinvolgimento di diversi artisti: Arthur Duff, Roberto Pugliese, Stefano Roveda e Luca Prandini. Ci può raccontare come è stata la collaborazione con loro?

SV | Il lavoro degli artisti è stato fondamentale. Hanno realizzato degli allestimenti meravigliosi e di forte impatto emotivo e culturale. Conoscevo il loro lavoro e li ho invitati a partecipare perché li ritenevo adatti allo sviluppo del progetto: hanno risposto con dei lavori ricchissimi di contenuti e di rara bellezza, in un magico incastro di discipline artistiche e di competenze.

Alcuni lavori hanno richiesto molto tempo ma hanno raggiunto un risultato finale straordinario: si pensi al lavoro di Roberto Pugliese, con quelle centoventi casse appese – le abbiamo recuperate, ce le hanno regalate, pur di poterlo fare ci siamo attivati tutti. È stato un lavoro all’unisono, a dieci mani. Pensate solo al montaggio, pensate a cosa possa aver rappresentato un tale lavoro di scomposizione. Si entrava nella stanza e c’erano dei sensori che facevano partire questi pezzi scomposti, questi suoni scomposti che si andavano a ricomporre poi al centro, davanti al nastro magnetico – il centro della stanza è l’unico punto dove riesci a sentire il pezzo interamente. Se nella sala c’è tantissima gente, il sensore viene attivato continuamente e quindi la percezione di questa costruzione si perde. L’installazione è questa: chi avrà pazienza e la fortuna di capirla, bene. Allo stesso modo il lavoro di Stefano Roveda, che ha lavorato tantissimo per quanto riguarda il reperimento del materiale e il montaggio. Il lavoro che ne è venuto fuori è entrato esattamente in sintonia con i desideri dei CCCP e perfettamente in sintonia con la mostra. È stato tutto abbastanza magico.

FP, GZ | E questo in “Felicitazioni!” traspare bene.

SV | Questo mi fa piacere, l’obiettivo allora è stato raggiunto. Chiudo dicendo che ringrazio per la fiducia concessa i CCCP, l’assessore alla cultura Annalisa Rabitti, la Fondazione Palazzo Magnani, e nello specifico Matilde Barbieri e i ragazzi della Fondazione e a tutti i service (Promusic, Artinbox) che con il loro instancabile lavoro hanno reso possibile questa meravigliosa esperienza. 

English abstract

The exhibition "Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984 - 2024" was held at the Chiostri di San Pietro in Reggio Emilia from 12 October 2023 to 10 March 2024, curated by CCCP - Fedeli alla linea themselves, with the architect Stefania Vasques as co-curator. We present an interview with the latter.

keywords | CCCP; Reggio Emilia; Felicitazioni; Chiostri di San Pietro. 

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all’international advisory board della rivista

Per citare questo articolo / To cite this article: S. Vasques, ”È una questione di qualità”. Il progetto della mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024”, intervista a cura di F. Perfetti, G. Zanon, “La Rivista di Engramma” n. 210, marzo 2024, pp. 29-37 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.210.0021