SIXXIGames
Giocare con le strutture della Scuola italiana di Ingegneria
Tullia Iori
English abstract
Nel 2009, quando sono nate le mie nipoti Alice e Cecilia, ho cominciato a cercare giochi per loro: è un’attitudine tipicamente da zia, credo. Naturalmente giochi intelligenti, per stimolare la loro curiosità: quindi potenzialmente noiosi, buoni solo per gli adulti. In più, sono un’ingegnera e mi occupo della storia dei ponti, delle cupole, delle strutture in generale, meglio se in cemento armato, italiane e del Novecento. Inevitabilmente ho cominciato a cercare giochi sul tema della costruzione.
Il mercato era piuttosto deludente (e lo è ancora di più oggi). Erano disponibili, è vero, serie di architetture famose da montare: da una parte, sovrapponendo mattoncini, che generavano in me il fastidio insopportabile di vedere banalizzati tutti i problemi costruttivi usando pezzi interi, già formati, e che mi facevano percepire le scatole come destinate a un pubblico adulto di collezionisti; dall’altra, anche peggio, ritagliate da cartone prestampato e poi piegate e incollate con linguette, completamente indifferenti alla logica della stabilità.
Sul mercato on-line, poi, si trovavano centinaia di modelli di ponti, taluni complessi e artigianali, ma tutti destinati a corredare scenograficamente altri tipi giochi (tipicamente piste per trenini o giochi di ruolo con tradizionali soldatini) e rinunciando anche loro alla ‘verità’ statica. Altri giochi, pure interessanti, tipo Meccano, mi sembravano troppo poco legati alla costruzione, in particolare di opere strutturali; e quelli con aste a estremità magnetiche troppo limitati dalle specifiche modalità di connessione, per altro aliene al funzionamento dei nodi nel mondo reale. Cominciavano poi a imperversare stranianti App per il telefonino e per il tablet, che prevedevano il disegno virtuale di ponti di forme impossibili, messi a dura prova da passaggi di carichi intangibili ma percepiti come enormi: strutture destinate o meno al collasso secondo ipotesi che non riuscivo a prevedere e comprendere neppure conoscendo molti dei ponti costruiti nel mondo.
Dopo questa sconfortante analisi dello stato dell’arte, ho cominciato a ragionare su come creare direttamente giochi, ispirandomi alle opere bellissime dei miei amati progettisti, il che per altro rendeva estremo il rischio di noia. Non pensavo a giochi per i primi anni di vita delle nipotine ma per quando sarebbero state pronte per la scuola, con la segreta convinzione a questo punto di poterle indirizzare verso una formazione Stem, tecnico scientifica, superando il gender-gap di cui si cominciava a parlare seriamente, e con l’ambizione di evocare il fascino dell’ingegnere umanista, come si veniva caratterizzando il protagonista delle mie ricerche.
La prima occasione di simulare un gioco strutturale, anche se unico nel suo genere, è stata la mostra monografica su Pier Luigi Nervi ospitata al museo Maxxi a Roma dal dicembre 2010 fino alla primavera 2011 (Iori 2017). Per quella mostra abbiamo progettato, insieme a Sergio Poretti, un modello in scala 1:25 del Palazzetto dello Sport di Roma. Il vero Palazzetto è collocato a poche centinaia di metri dal Maxxi, quindi una sua riproduzione integrale in scala non sarebbe stata interessante, avendo a portata di sguardo l’opera reale: abbiamo allora preferito il cantiere, con la riproposizione degli strumenti per generare la sequenza nonna-mamma-figlia che aveva consentito a Pier Luigi Nervi di completare in pochi mesi i 1620 pezzi che erano serviti per realizzare la cupola. Grazie all’entusiasmo di Margherita Guccione, che ha fortemente creduto nel valore comunicativo del modello, il Palagioco è stato realizzato da due artigiani romani, di tradizione. Così fogli di polistirene da 1 millimetro sono stati stampati per termoformatura sottovuoto su sagome di MDF fresate da una macchina a controllo numerico, dando vita a centinaia di sagome romboidali che simulavano gli originali tavelloni di ferrocemento, spessi 2,5 centimetri, alla base del sistema di costruzione inventato da Nervi. Era stata poi riprodotta anche la dima di legno corrispondente a uno spicchio della cupola, su cui Nervi aveva fatto realizzare le sagome di mattoni sulle quali erano state prodotte le 13 ‘nonne’, usate a loro volta come formine da spiaggia per generare 3-4 ‘mamme’ su cui poi gli operai, sotto una copertura di legno (anche questa presente nel modello), avevano generato le 108 ‘figlie’ usate effettivamente nella cupola. Il progetto per il Maxxi aveva previsto l’assemblaggio solo di un quarto del Palazzetto: i cavalletti radiali biforcuti erano stati realizzati con lo stesso polistirene, assemblato con colla e cloroformio, che rivestiva anche il puntone di legno necessario per la stabilità del cavalletto; poi lo spettacolare ponteggio di tubi e giunti Innocenti, parte integrante del Sistema Nervi, era stato simulato con barre di ottone da 2 millimetri saldate nei giunti, completato anche da giri paralleli di microprofilati a doppio T di plastica, che anche nella realtà (ma in questo caso in acciaio) erano serviti a Nervi per creare gli appoggi dei tavelloni alle diverse quote. Tra i canali generati dall’accostamento dei tavelloni erano poi stati disposti i tondini di armatura (simulati sempre con barre di ottone) e completati dal bordo ondulato che funziona da gronda.
La pedana del Palagioco, di oltre 4 metri di diametro, nasceva con uno spicchio leggermente soprelevato per permettermi di avvicinarmi al quarto di cupola premontata, abbastanza da completarla - durante le spiegazioni dal vivo – aggiungendo sul ponteggio una trentina di tavelloni dei diversi formati, da cercare in una piccola dotazione che ancora conservo gelosamente.
I bambini che visitavano la mostra sembravano affascinati dall’idea di giocare con questo puzzle tridimensionale, oggettivamente bellissimo come forma e come fattura. Anche le mie nipoti, sebbene troppo piccole, erano state ammesse al gioco, generando l’orgoglio della zia e anche un insanabile entusiasmo a continuare l’esperimento.
A seguire, dunque, la progettazione di giochi è diventata parte della didattica universitaria, nell’ambito dei laboratori formativi, in particolare relativi al mio insegnamento di Architettura Tecnica 2, denominazione ufficiale che ancora oggi nasconde un vero e proprio corso di Storia dell’ingegneria strutturale tra Ottocento e Novecento. Il tema del laboratorio di AT2, obbligatorio solo per gli iscritti al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Ingegneria edile – Architettura, di circa 60 ore/anno, è diventato così l’invenzione di un gioco di costruzione per bambini di una fascia di età tra 7 e 11 anni.
Nel 2013, dopo il necessario rodaggio, abbiamo prodotto prototipi perfettamente funzionanti di giochi in scatola con tabellone di cartone, segnalini-avatar, imprevisti e probabilità, per conquistare – tirando i dadi – pezzi di un ponte da assemblare per superare un fiume o un fossato e andare a liberare uno sfortunato principe (giochi girl-oriented, naturalmente). Il disegno della scatola, la grafica del tabellone e del libretto di istruzioni, le domande a trabocchetto sugli imprevisti, ha certamente sviluppato negli studenti capacità progettuali e di ideazione di un prodotto finito; il budget limitato a disposizione ha fatto maturare idee imprenditoriali come la ricerca di sponsor tra i fornitori locali o l’attivazione di crowd-funding tra i loro colleghi o l’invenzione di materiali inediti come la spugna-resinata, una simulazione del ferrocemento basato su spugne da cucina usate come armatura per la spalmatura di resina. La complessità del prodotto finale però distraeva gli studenti dal problema statico vero e proprio, anche se non sono mancati giochi in scatola che avevano come obiettivo la distruzione del ponte faticosamente montato dagli avversari, grazie all’innesco di un terremoto simulato da motorini a batteria, che andavano collocati in posizioni strategiche. I materiali inoltre erano molto eterogenei e i giochi difficilmente sarebbero potuti diventare una serie omogenea.
L’acquisto, nel 2016, di una stampante 3D, di prezzo divenuto accessibile proprio in quegli anni, ha consentito un notevole progresso. Il nuovo strumento è arrivato anche grazie al finanziamento, partito nel 2012, del progetto SIXXI da parte di un ERC Advanced Grant. Nasce così l’avventura dei SIXXIGames, aderente alla promessa fatta all’Europa in sede di proposal di condividere e disseminare la ricerca a mano a mano che si andava facendo, a tutti i possibili target della società civile, privilegiando ovviamente le fasce in età scolare.
Nei successivi laboratori, gli studenti si sono concentrati sull’oggetto di interesse statico – una struttura appartenente al patrimonio della Scuola italiana di ingegneria – scomponendolo in pezzi da produrre con la stampante 3D e da assemblare, abbastanza facilmente e in un tempo sufficientemente breve per non perdere l’attenzione della bambina o del bambino, ma in modo staticamente corretto. Il gioco aveva lo scopo di completare il montaggio trasmettendo concetti elementari di equilibrio, bilanciamento, compressione, trazione, coazione, deformazione elastica, spinta, controspinta, ecc. Alla fine, il modello costruito doveva essere ‘pulito’ da un punto di vista estetico, e potenzialmente così interessante in sé da guadagnarsi un posto sulla scrivania o sulla libreria. Per gli studenti lo studio dei disegni originali dell’opera, messi a disposizione proprio grazie alle ricerca SIXXI, la comprensione degli aspetti interessanti e peculiari della struttura, la progettazione del gioco sia dal punto di vista statico che formale, la modellazione 3D con i software più adatti, il confronto con le modalità e problematiche della stampa additiva (e quindi la rinuncia alla stampa a sbalzo o, per esempio, alla resistenza a taglio del pezzo ricavato per deposizione del filamento fuso di acido polilattico detto Pla, la plastica ecologica ma poco resistente che alimenta la nostra stampante 3D), la soluzione dei problemi minuti di montaggio in sicurezza per il target di età scelto hanno rappresentato un’esperienza altamente formativa. La produzione centralizzata della scatola e della grafica in generale ha reso il prodotto finale completo e appetibile tanto da poter essere portato in pubblico, in particolare al Maker Faire 2016 a Roma, dopo un primo test con i figli di colleghi e amici convocati in Ateneo l’ultimo giorno di laboratorio.
I primi giochi prodotti nel 2016 erano solo 5 e avevano come soggetto il Palazzetto dello sport (274 pezzi) e il Padiglione alla Magliana (49 pezzi) di Pier Luigi Nervi, il Ponte sul Basento di Sergio Musmeci (13 pezzi), il Ponte di Pinzano sul Tagliamento di Silvano Zorzi (15 pezzi) e il Ponte sul Polcevera a Genova di Riccardo Morandi (33 pezzi). Ogni scatola conteneva anche una scheda di spiegazioni sull’opera e un semplice schema di montaggio, ispirato alla grafica basica dell’Ikea. I game-tester avevano suggerito subito modifiche fondamentali, soprattutto cromatiche: sia la scatola sia i pezzi di Pla proposti, infatti, erano di un realistico color grigio cemento. Subito dopo i loro feedback, le scatole sono diventate coloratissime e i pezzi stampati con Pla rosso fuoco (decisamente più incline, però, a bloccarsi e a otturare l’ugello!). I giochi più riusciti erano due. Il primo era il Ponte sul Basento: pochi conci di forma apparentemente incomprensibile raggiungevano l’equilibrio in una suggestiva ‘forma senza nome’, che i bambini erano costretti però a trattenere alle imposte con le mani, per non farla aprire sotto l’effetto della spinta, che dichiaravano preoccupati di percepire sensibilmente (e sentire con le mani la spinta di un arco ribassato era esattamente l’esperienza che avrei voluto fare da bambina!). L’altro era il Ponte sul Polcevera: la comprensione del funzionamento degli stralli, la percezione della tensione nel filo e della compressione nella guaina, l’energia che si accumulava in quella forma iconica, grafica, bellissima li rendeva molto soddisfatti alla fine del montaggio. Ho prodotto moltissimi piccoli Polcevera, regalati ad amici e ovviamente alle mie nipoti, che in verità hanno dovuto provare tutti i giochi che via via andavo producendo, talvolta con l’espressione empatica di chi non sa come uscirne senza dispiacere troppo la zia.
Nell’edizione successiva del Maker Faire a cui abbiamo partecipato come SIXXILab si sentiva troppo la mancanza di Poretti, scomparso nell’estate del 2017. Le scatole si erano nel frattempo moltiplicate, aggiungendo molte altre opere, per lo più a scapito della semplicità del montaggio e dell’efficacia dell’intuizione del comportamento statico. In alcuni casi, i giochi erano diventati semplici miniature di opere interessanti, in particolare quelle di Musmeci, il cui approccio matematico alla concezione strutturale sembrava dialogare perfettamente con la stampante 3D: coperture piegate come origami, reti di travi o superfici a doppia curvatura inversa, impossibili da realizzare con balza o qualunque altro materiale, si generavano apparentemente senza fatica strato sopra strato sul piatto della stampante. Poiché molte di queste opere non erano mai state realizzate, il sistema consentiva anche di comprenderne meglio l’interesse formale oltre che statico: alcuni di questi modelli erano così utili che sono stati messi in mostra al MAXXI durante la monografica su Sergio Musmeci inaugurata ad ottobre 2022 (Iori 2023).
Poi nell’estate del 2018 crollava il Ponte di Genova (Iori 2020). Improvvisamente avere tra le mani un gioco con la sagoma del Polcevera non era più sopportabile: anzi, la miniatura mi aveva accompagnato, nei primi giorni dopo il disastro, nelle trasmissioni televisive in cui cercavo di spiegare la complessità del ponte e il valore del suo progettista, e inevitabilmente anche le modalità del crollo, come si intuiva bene dalle macerie. Il montaggio dei pezzi rossi tirati fuori dalla scatola aveva assunto un carattere tragico.
Tra l’altro, avevo tentato di stimolare i ragazzi verso le materie Stem e più in particolare verso la professione di progettista di ponti e di strutture, passando attraverso un’opera diventata terribilmente dolorosa. Le mie nipoti, che vivevano a Londra, non hanno mai associato che le avevo fatte giocare con mille versioni in miniatura di un ponte che era crollato causando la morte di 43 persone. Oggi che, a distanza di più di cinque anni dal disastro, riscontriamo in tutte le sedi universitarie la diminuzione del numero delle matricole che si iscrivono ai corsi di laurea in Ingegneria civile, mi domando spesso se non riprendere in mano il progetto dei SIXXIGames, per provare nel mio piccolissimo a invertire la tendenza, riprovando a instillare nelle nuove, sempre meno numerose, generazioni la magia della costruzione di un ponte. Intanto, le mie nipoti, che si sono trasferite a Venezia, non hanno ancora deciso cosa fare da grandi...
Riferimenti bibliografici
- Iori 2017
T. Iori, L'apoteosi del Sistema Nervi. Il Palazzetto dello sport, in T. Iori, S. Poretti (a cura di), SIXXI 4. Storia dell'ingegneria strutturale in Italia, Roma 2017, 66-75. - Iori 2020
T. Iori, L'invenzione di Morandi, in T. Iori, S. Poretti (a cura di), SIXXI 5. Storia dell'ingegneria strutturale in Italia, Roma 2020, 16-39. - Iori 2023:
T. Iori (a cura di), InGenio. Idee visionarie dall’Archivio di Sergio Musmeci, “Quaderno del Centro Archivi del Maxxi Architettura” 6 (2023).
English abstract
The essay describes the adventure of the author, a professor of technical architecture, to develop the results of research on the major works of Italian structural engineering, transforming them into experience of the real design and construction process for the students of her courses, through the creation of toy prototypes, also using the most advanced modeling techniques. The research was financed with an advanced ERC, whose title is SIXXIGames.
keywords | Italian Structural Engeneering; Architectural Games; Morandi Bridge.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Tullia Iori, SIXXIGames. Giocare con le strutture della Scuola italiana di Ingegneria, “La Rivista di Engramma” n. 213, giugno 2024.