"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

213 | giugno 2024

97888948401

La casa di Barbapapà come attivatore dell’immaginario spaziale

Rappresentazioni grafiche e plastiche di una maison bulle

Camilla Casonato

English abstract

1 | Illustrazione tratta dal primo libro illustrato della serie Barbapapà. Il protagonista assume la forma di una gabbia per catturare il ghepardo fuggito dallo zoo (Tison, Taylor [1970] 2006, 23-24).

Premessa

La costruzione di una storia del giocattolo come oggetto di cultura materiale è ancora un ambito poco esplorato al di fuori del contesto collezionistico e rappresenta una sfida complessa. Come è stato osservato, affrontare un discorso sul tema con approccio scientifico richiede una lettura transdisciplinare che consideri aspetti di carattere storico, psicologico, pedagogico, sociologico, culturale ed economico e che assuma il giocattolo quale rappresentazione e quale oggetto simbolico (Manson 2001; Manson 2021, 19; Dauphragne 2012, 4). Negli ultimi decenni, studi specifici dedicati agli oggetti d’uso e ai prodotti letterari dedicati all’infanzia quali oggetti culturali hanno segnato interessanti avanzamenti in questo senso (Dauphragne 2012; Meunier 2016). Si veda ad esempio l’interessante lavoro condotto dalla rivista digitale “Strenae” facente capo all’Università di Tours ed edita dall’Association Française de recherches sur les livres et les objets culturels de l’enfance, la quale dal 2010 sollecita gli studiosi in tale direzione.

Lo studio della cultura infantile richiede di guardare ai giocattoli non solo come oggetti di un’attenzione nostalgica o come fenomeno commerciale, ma quale ‘sistema di oggetti’ che forma un insieme simbolico coerente che appoggia su supporti materiali (Baudrillard [1968] 2003; Dauphragne 2012, 2-5). Se si guarda al settore specifico dei giocattoli legati a personaggi e a fenomeni mediatici popolari – come i film di animazione, le serie televisive, i fumetti e i libri – si nota che spesso l’uso sfugge completamente al segno (si pensi a una palla con l’immagine di un personaggio della Disney o della Marvel), talaltra tra oggetto e segno c’è una familiarità e una interazione più complessa. Nel contesto della cultura mediatica di massa, e in particolare a partire dagli anni Settanta e Ottanta, le strategie commerciali di un’industria in espansione portano ad associare supporti narrativi e ludici differenti. Nel contesto di questi fenomeni cultura materiale e fiction divengono le parti di un sistema integrato, nel quale il giocatolo assume al tempo stesso il ruolo di supporto promozionale e di attivatore della finzione. Esso, dunque, non va considerato quale semplice prodotto derivato ma anche come vettore narrativo, quale elemento nodale attraverso il quale si mettono in scena mondi immaginari che accedono in questo modo a una dimensione materiale (Dauphragne 2012, 1, 11).

Barbapapà come oggetto culturale e fenomeno di cultura materiale

Attorno al popolare personaggio di Barbapapà (Barbapapa nella versione originale francese) e alla sua celebre casa ‘a bolle’ gravita, sin dagli esordi, un variegato panorama di prodotti editoriali e commerciali. Nato nei primi anni Settanta da una straordinaria serie di libri illustrati, il personaggio si è presto trasformato in un volano creativo, dando vita a un fenomeno editoriale di rilievo che ha raggiunto portata internazionale, come dimostra il primo volume della serie, tradotto in oltre trenta lingue (Tison, Taylor [1970] 2006). Ad esso hanno fatto subito seguito il volume dedicato alla famiglia (Tison, Taylor [1971] 2006) e quello incentrato sulla casa (Tison, Taylor [1972] 2006), andando a comporre una trilogia che a tutt’oggi occupa uno spazio di rilievo nell’immaginario infantile e non solo. La gamma degli albi illustrati si è poi moltiplicata rapidamente variando per tipologie, formati, tagli narrativi ed è stata arricchita da fumetti e periodici dedicati, nonché da diverse serie di animazione di produzione giapponese ed europea, il tutto accompagnato da un merchandising che si è fatto via via più vasto e che tuttora prospera.

Questo studio si inserisce in una ricerca più ampia che indaga il tema della trasmissione della cultura tecnico-scientifica e architettonica nei libri illustrati e nei fumetti della serie, con particolare attenzione all’uso del disegno e alle modalità di rappresentazione (Casonato 2017; Casonato 2020)[1]. L’indagine poggia sull’analisi di un corpus di oltre novanta volumi tra libri, riviste e albi a fumetti, pubblicati in Italia e in Francia dalla comparsa fino alla metà degli anni Ottanta[2]. In questa sede l’analisi estende il campo di osservazione all’oggettistica; nello specifico vengono presi in esame, oltre ad alcuni oggetti pubblicizzati nei primi anni del fenomeno su Il mensile di Barbapapà, una selezione di prodotti più recenti. Nell’esplorazione del campione si analizza il modo in cui l’universo immaginifico di Barbapapà è stato rappresentato e trasposto negli oggetti tridimensionali. In particolare, il saggio prende in considerazione la casa di Barbapapà come progetto e come rappresentazione grafica e plastica, mettendo a confronto le illustrazioni con le loro traduzioni in tre dimensioni; il testo si interroga inoltre sulla capacità di disegno ed oggetti di attivare un immaginario spaziale e architettonico e di stimolare nel bambino la manipolazione mentale dello spazio. Più precisamente la ricerca prova a rispondere alle seguenti questioni: quali sfide pone e quali opportunità offre concepire una traduzione tridimensionale dei personaggi e della casa? Le rappresentazioni plastiche della casa proposte dai giocattoli selezionati rispondono efficacemente al progetto visionario presentato nei primi albi illustrati? Questi oggetti rispecchiano la profonda relazione tra il corpo (e il carattere) dei personaggi e lo spazio concepito per l’abitare che costituisce un tema fondante nelle storie?

Annette Tison, Talus Taylor e la fortuna di Barbapapà

Il personaggio di Barbapapà nasce ad opera dell’architetto francese Annette Tison (1942-2010) e di Talus Taylor (1933-2015), insegnante di matematica e di biologia statunitense. Presto accanto al morbido gigante rosa nelle storie compaiono altri personaggi, una Barbamamma (Barbamaman) e sette barbabebé (barbabébés), oltre a molti amici umani, adulti e soprattutto bambini. Generosi, ecologisti, aperti all’incontro culturale, protettori degli animali e dell’ambiente, appassionati viaggiatori e amanti delle scienze, delle arti e dei mestieri, i Barbapapà sono una famiglia di ‘mutaforma’, possono modellare il proprio corpo a piacimento, trasformandosi in mille oggetti diversi al grido di “Restate di stucco è un barbatrucco!” (“Hulahup barbatruc”) e risolvendo così ogni sorta di problema, dalla fuga di un ghepardo dallo zoo alla rottura di una diga, fino a rinvenire un’antica piramide della quale gli archeologi hanno perso le tracce (Tison, Taylor [1970] 2006; 1978b; 1979a) [Fig. 1].

Un recente studio ha ripercorso la storia del fenomeno editoriale, osservando come fin dal principio per gli autori, marito e moglie, il tema dell’autorialità sembri essere stato meno rilevante rispetto a quello del copyright (Boulaire 2023). Questo spiegherebbe l’evidente reticenza a dichiarare la paternità dei disegni e dei testi, anche se la qualità grafica e il tipo di approccio al disegno, soprattutto nei primi volumi, fanno decisamente propendere per l’ipotesi che la disegnatrice fosse Tison, perlomeno per quanto riguarda le architetture, le quali giocano un ruolo di rilievo nelle opere. Negli anni si assiste poi a una moltiplicazione massiccia della proposta editoriale con esiti prevedibilmente disomogenei e, a partire dagli anni Ottanta, progressivamente anche meno convincenti, sia dal punto di vista narrativo sia da quello dell’illustrazione.

Lo studio citato rilegge con disincanto la storia della nascita del personaggio che si vuole spontanea e legata a un episodio di vita parigina dalle connotazioni romantiche e un po’ stereotipizzanti. Il racconto è riportato da tutti i media – a partire dal sito ufficiale dedicato al personaggio, gestito ora dai figli della coppia – e vuole che Barbapapà sia nato ai giardini del Lussemburgo, da uno schizzo tracciato su una tovaglietta di ristorante e ispirato alle soffici nuvole di zucchero filato (in francese ‘barbe à papa’ appunto) che sfilavano in mano ai bambini. La diffusione di questa ‘cronaca delle origini’ di sapore naif, graziosa ed evocativa come le storie della serie, può essere parte di un’operazione finalizzata alla costruzione di un brand e a cavalcare il successo del fenomeno. Rimane il fatto che, soprattutto nei primi dieci anni dalla pubblicazione del primo volume, gli autori hanno dato vita, con Barbapapà, a un immaginario denso, a un universo narrativo e visuale ricco, pieno di spunti originali e di contaminazioni culturali inedite nella narrativa per una fascia d’età così bassa. Ne consegue che il loro lavoro, nella costruzione letteraria come nella narrazione grafica, merita di essere esplorato e studiato con attenzione.

La casa di Barbapapà, un progetto di architettura sperimentale. Il paradigma della maison bulle

La genesi della celebre casa ‘a bolle’ è descritta nel più ‘architettonico’ dei libri della serie, La casa dei Barbapapa (Tison, Taylor [1972] 2006). Il volume si può leggere come un piacevole racconto, semplice e lineare, ma in realtà presenta diversi livelli di lettura e racchiude in sé un manuale di urbanistica, un testo di sociologia e un manifesto dell’architettura sperimentale del periodo, ed è stato oggetto di studi in ambito geografico, architettonico e pedagogico-letterario (Lowe 2007; Meunier 2012; 2013; 2016; Casonato 2017; 2020). Il processo di ideazione e costruzione della casa fa evidentemente riferimento al filone sperimentale delle maisons bulles, inaugurato nei primi anni Sessanta da Pascal Häusermann e alimentato dalla riflessione di architetti come Claude Costy, Antti Lovag, Jean-Louis Chanéac (Donada 2010; Saint-Pierre 2015; Prosic 2018; Brayer 2013). Queste sperimentazioni, diffuse soprattutto in Francia, hanno attirato un’attenzione crescente negli ultimi decenni e, in alcuni casi, gli edifici sono stati anche inseriti nelle politiche di protezione del patrimonio (Prosic 2018, 100-105)[3].

L’architecture bulle nasce in reazione alle rigidità e all’ottusità orientata al profitto delle grandi operazioni immobiliari di quegli anni e si contrappone, anche dal punto di vista formale, alle derive schematiche e senza anima di un certo linearismo pseudo-modernista. Tutti questi elementi sono messi a fuoco con immediatezza nel volume del 1972 che racconta la fuga della ‘barbafamiglia’ dalla città e dagli alloggi anonimi di un grand ensemble, i cui ipotetici pregi vengono magnificati nelle illustrazioni da tronfi imprenditori panciuti, chiaramente indifferenti ai reali bisogni degli abitanti (Tison, Taylor [1972] 2006, 15) [Fig. 2]. Orientata a una visione libertaria e utopica che mette al centro l’individuo, l’architettura delle maisons bulles è, al contrario, incentrata sull’idea di una casa su misura che nasce ‘spontaneamente’ come un involucro che prende forma attorno ai bisogni dell’uomo, dando vita a moduli variabili all’infinito e assemblabili in composizioni flessibili, adattabili alla conformazione del sito. A rendere possibile la materializzazione di questa idea è la tecnica del voile de béton sans coffrage (velo di calcestruzzo senza cassaforma) sperimentata in Francia a partire dalla fine degli anni Cinquanta. La tecnica si basa sulla realizzazione di un reticolo metallico modellato a piacere sul quale il calcestruzzo può essere gettato a mano, anche in forme di autocostruzione che aprono a una sperimentazione continua (Prosic 2018, 100, 116). Evidente il riferimento a questi procedimenti, seppure trasfigurati, nelle sequenze che ritraggono la famiglia al lavoro per dare vita alla propria casa, collocata nel contesto di un tranquillo paesaggio rurale [Figg. 2,3].

2 |  Illustrazioni dal terzo libro della serie Barbapapà dedicato alla casa (Tison, Taylor [1972] 2006, 16-17, 22-25).

3 | Illustrazione dal libro Il luna park di Barbapapà che presenta una veduta a volo d’uccello della casa dei Barbapapà con il paesaggio che la circonda (Tison, Taylor [1972] 1978).

La descrizione grafica della casa è lontana dall’essere semplicemente un elemento a corollario, una cornice ripetitiva che fa da fondale alle storie. I suoi ambienti vengono modellati sul corpo e sono generati dalla funzione, concepiti in base alle esigenze vitali del gruppo-famiglia e dei singoli individui. La genesi per aggregazione di celle suggerisce l’idea di un’architettura aperta al modo di essere di ciascuno, dove la vita è profondamente collettiva ma anche rispettosa del singolo. Nelle storie, del resto, la famiglia esprime un perfetto modello di collaborazione solidale e al tempo stesso di accettazione e valorizzazione delle differenze, simboleggiate dai colori e incarnate dai caratteri; debolezze e attitudini di ciascuno sono infatti spunto per molteplici evoluzioni narrative. Dal punto di vista iconografico queste individualità sono espresse da attributi specifici, per cui Barbottina (Barbotine) assidua lettrice e innamorata della conoscenza, porta gli occhiali e vive circondata dai libri; Barbabella (Barbabelle), vanitosa e appassionata di decor, indossa una collanina di perle e abita in una sorta di innocente boudoir; Barbaforte (Barbidur), lo sportivo della famiglia, ha una camera-palestra ed è spesso rappresentato con un bilanciere; Barbabarba (Barbouille), artista scarmigliato e bohémien, è l’unico a sfoggiare una folta pelliccia, spesso macchiata di pittura fresca e dispone di un vero e proprio atelier.

Le camere dei personaggi rappresentano quindi i legittimi abitanti e appaiono come un’estensione in chiave architettonica dei loro attributi. La caratterizzazione avviene non solo mediante dettagli di arredo, ma anche con specifiche variazioni di forma delle celle: infatti la casa, pur essendo modulare, non offre ambienti-contenitore, spazi neutri da personalizzare, al contrario – in coerenza con i dettami delle maisons bulles – si modella esternamente e internamente secondo le diverse esigenze. Ogni involucro è sagomato per adattarsi alle attività preferite del destinatario, così la ‘bolla’ dello scienziato Barbabravo (Barbibul) è dotata di una speciale cupola per ospitare il suo telescopio, da quella della musicista Barbalalla (Barbalala) emerge una grande tromba da grammofono accompagnata da canne d’organo gettate in opera e quella dell’artista ‘peloso’ si apre in un grande lucernario. Le varianti formali proseguono anche all’interno, lo speciale materiale da colata (barbaplastique nella versione originale) viene infatti sagomato di volta in volta per realizzare arredi fissi: una coiffeuse per Barbabella, nicchie in spessore di muro e una chaise-longue da lettura per Barbottina, serre, fioriere e varie cavità sospese per trasformare la camera di Barbazoo (Barbidou, letteralmente ‘Barbadolce’), il tenero amante della natura, in una sorta di grande tana collettiva. In questa logica gli arredi mobili sono minimali e secondari: un materasso appoggiato alla curva del suolo funge da letto, qualche immagine a tema personalizza le pareti, oggetti caratterizzanti animano i ripiani [Fig. 4].

4 | Fotografie del periodico Il mensile di Barbapapà. Le sequenze ritraggono in diverse versioni la camera di Barbabravo (Barbibul), lo scienziato, con immagini tratte dalle storie a fumetti firmate da Tison e Taylor L’ultimo dinosauro (1977, 10 3), Barbabravo e la magia (1978, 14 3), Un caso di spionaggio (1979, 18 4); I falsi guru (1980, 41 12).

5 | Schemi che mostrano le connessioni interne della casa dei Barbapapà, la pianta delle coperture e la posizione indicativa dei piani di sezione usati dagli autori per costruire la celebre sezione longitudinale riportata nella figura 2 (elaborazioni grafiche dell’autrice).

6 | Fotografie del periodico Il mensile di Barbapapà. Le sequenze ritraggono gli spazi comuni della casa dei Barbapapà con immagini tratte dalle storie a fumetti firmate da Tison e Taylor Viva la fantasia (1982, 62 3), Una storia di Natale (1978, 25 24), Il segreto di Barbabarba (1978, 24 11), Le macchie blu (1979, 31 9).

L’immagine più nota della casa – che è anche la prima – è una lunga sezione che presenta i due blocchi delle stanzette come fossero allineati [Fig. 2]. Le illustrazioni si sono in seguito moltiplicate mostrando l’edificio da punti di vista differenti: numerosissime le sezioni o sezioni prospettiche, alle quali si aggiungono prospettive dall’esterno o dal cortile, qualche veduta a volo d’uccello e rare proiezioni zenitali. Queste rappresentazioni rendono leggibile la composizione, costituita in realtà da tre blocchi di celle aggregate raccolti attorno a uno spazio aperto recintato, un che assetto rende il celebre spaccato longitudinale una rappresentazione impossibile, a meno di pensare a una sezione spezzata ad angolo (Casonato 2020, 1136-1138) [Fig. 5]. Addentrandosi nella serie, si scopre che le rappresentazioni impossibili della casa sono in realtà frequenti. Nei fumetti in particolare, dove le esigenze della struttura narrativa in sequenze e la varietà delle storie portano a una proliferazione delle descrizioni dei momenti della vita quotidiana della famiglia, compaiono ambienti interni e spazi comuni incompatibili con i volumi esterni – che invece rimangono sempre invariati – e con la stessa disposizione planimetrica.

Con il progetto originale, minimalista e radicale, più che descrivere un’abitazione in tutte le sue parti si voleva evidentemente affermare un’idea di architettura. Anche se si distanziano dalla pulizia geometrica e dal purismo funzionale della prima composizione in nove bolle (esattamente quanti sono i membri della famiglia), le immagini successive che piegano e dispiegano l’impianto iniziale, espandendo lo spazio interno secondo le esigenze della narrazione, non sono prive di fascino. Quasi sempre si tratta di ambienti comuni che si dilatano e si articolano, forzando (ma sempre con misura) la composizione iniziale per consentire di rappresentare scene conviviali, come la famiglia intenta a cucinare, a mangiare o a rigovernare i piatti o, ancora, riunita in momenti di svago e relax [Fig. 6]. Queste variazioni sul tema appaiono coerenti con l’immaginario nato dai primi disegni e in qualche misura ne offrono sempre nuove interpretazioni, con il risultato che, invece di indebolire il concetto iniziale, finiscono per dargli respiro e inventiva, approfondendo l’idea di abitare che ne è alla base.

Uno dei motivi per cui la casa di Barbapapà – e con essa il tipo della maison bulle – risulta intimamente affascinante, risiede probabilmente nella lettura che essa sembra proporre del tema della casa-guscio descritto da Gaston Bachelard nella sua indagine sulla poetica dello spazio (Bachelard [1957] 2024, 135-166). Vicina per forma alle molteplici interpretazioni che la natura offre del tema del guscio, la casa si modella sulla massa plastica e duttile dei personaggi e in qualche misura origina da essa. La natura, secondo Bachelard, è ‘scienziata’ ma anche ‘immaginifica’ e “il guscio vuoto come il nido vuoto, richiama le rêveries di rifugio” (Bachelard [1957] 2024, 137). Grazie alle forme avvolgenti generate dal corpo, la casa vista dall’esterno appare rassicurante e accogliente. Le molteplici sezioni d’altro canto provvedono a soddisfare il bisogno di esplorazione e conoscenza del lettore, incuriosito da quel bizzarro grappolo di sferoidi nei quali si aprono porticine circolari che invitano a entrare e ad accoccolarsi nell’interno tondeggiante del guscio, magari vicino al focolare che, assente nelle prime rappresentazioni, compare poi a più riprese nelle varianti ‘impossibili’ delle quali si è detto.

La rappresentazione plastica del mondo di Barbapapà

Le prime proposte di oggettistica ispirata al mondo di Barbapapà nel contesto italiano sono testimoniate, nei primi anni Settanta, dagli avvisi pubblicitari che comparivano sul mensile [Fig. 7]. A distanza di cinquant’anni, in commercio si trova ogni sorta di prodotto, dalle lenzuola agli oggetti da cucina, dall’abbigliamento agli articoli di arredamento, oggetti destinati prevalentemente ad un pubblico infantile, ma non solo.

7 |  Retro di uno dei primi numeri del periodico Il mensile di Barbapapà (numero 2, Gennaio 1977) con la pubblicità di alcuni dei primi giocattoli ispirati alla serie distribuiti in Italia.

“Restate di stucco è un barbatrucco!”

Le riproduzioni dei personaggi sono naturalmente numerose e declinate secondo le molteplici tipologie possibili, dalle ‘bambole’ per animare le case giocattolo, alle miniature da collezione a pupazzi morbidi di tutte le dimensioni. Un soluzione interessante è rappresentata da una serie di piccoli peluche che consentono di operare una metamorfosi (reversibile) da barbabebé a animale e viceversa, così Barbalalla – che è verde – diventa un coccodrillo, Barbazoo un simpatico coniglio giallo, Barbottina si copre di strisce nere e diventa una piccola tigre arancione con tanto di occhiali [Fig. 8].

Vi sono poi giocattoli che, pur non rientrando nella tipologia della bambola o del peluche, fanno comunque riferimento ai personaggi e alla loro natura di ‘mutaforma’. Queste proposte sono intimamente coerenti con l’immaginario proposto dagli autori: numerosissime sono infatti sono le situazioni nelle quali i personaggi cambiano forma per risolvere snodi narrativi imprevisti trasformandosi in ogni sorta di oggetto. Un esempio ricorrente è la traduzione in veicoli (i barbapapà all’occorrenza possono anche volare) che consentono ai personaggi di spostarsi ovunque e di portare con sé i loro amici, bambini in carne e ossa che sfrecciano felici su barbaveicoli viventi. Queste immagini verosimilmente assecondano il naturale animismo del bambino, spontaneamente portato a riconoscere la vita negli oggetti (Piaget [1947] 2013, 199-201).

Uscendo dal campo specifico dei giocattoli, qualche attenzione meritano alcuni prodotti che, invece di essere banalmente decorati con il brand o con un disegno dei personaggi, ne assumono il colore e le sembianze. Dotati di occhi, bocca e caratteristiche narici a macchiolina di inchiostro, questi oggetti d’uso portano i segni che rendono riconoscibili i personaggi nelle loro versioni trasfigurate e questo consente di immaginarli come ‘veri’ barbapapà intenti a effettuare un ‘barbatrucco’ [Fig. 9]. Poiché in termini di scala un barbabebé è alto all’incirca come un bambino e parecchio più rotondo, gli oggetti più affascinanti sono quelli che rispettano queste proporzioni. In questi esempi la connessione tra oggetto e segno della quale si è accennato (Dauphragne 2012) rimane in qualche misura intatta: il segno non si dissolve nel passaggio alla dimensione materiale e l’oggetto non si sottrae al segno, realizzando così un perfetto connubio – impossibile da riprodurre con altri marchi/personaggi – che apre a fantasie di gioco intrinseche all’immaginario creato dagli autori [Fig. 9].

8 | Giocattoli ispirati alle qualità metamorfiche dei personaggi (immagini tratte da siti di vendita on line).

9 | Oggetti d’uso ispirati alle qualità metamorfiche dei personaggi (immagini tratte da siti di vendita on line).

Le case giocattolo

Le case giocattolo rappresentano in generale un veicolo per allestire messinscene finalizzate a processi di imitazione creativa che rimandano a un ‘mondo altro’, nel nostro caso all’universo narrativo del personaggio. Nel gioco mimetico, secondo Wulf, il bambino, attraverso specifici arrangiamenti, mette in scena un sapere condiviso collettivamente che può rimandare ad altri ‘mondi di gioco’, nei quali egli propone una determinata auto-rappresentazione e interpretazione dell’‘ordine collettivo, quello vissuto e – aggiungiamo noi – quello offerto dalle storie (Wulf 2014, 42-44, 61). Se nel caso dei giocattoli prima considerati si è fatto riferimento al rapporto segno-oggetto, il tema delle case giocattolo viene invece qui analizzato in base alla somiglianza e alla coerenza con il progetto di Tison e in relazione alla capacità di riprodurre o suggerire lo speciale modo di concepire e abitare lo spazio che la casa disegnata propone. Nell’esame sono quindi stati presi in considerazione parametri specifici: la fedeltà visuale, l’articolazione complessiva delle geometrie e dei volumi, il livello di dettaglio nella descrizione degli interni, l’efficacia di scala in relazione ai personaggi a corredo, le potenzialità di gioco espresse e le possibilità di interazione offerte dagli oggetti.

Per selezionare gli esempi da analizzare è stato fatto un esame delle versioni giocattolo della casa attualmente reperibili in commercio, esplorando oltre al mercato italiano anche quello francese, tedesco, britannico e statunitense. In seguito, sono stati selezionati due esempi ritenuti significativi per rapporto al tema dell’efficacia della rappresentazione tridimensionale. A questi si sono aggiunti un caso eterogeneo, perché a metà tra il libro e il giocattolo, e una tipologia completamente diversa, estranea alle logiche commerciali.

La casa a celle e la casa diorama

Un aspetto comune ai due esempi qui analizzati è che entrambi propongono la casa in sezione, direttamente come spaccato tridimensionale oppure nella forma del volume apribile. Questa scelta risponde efficacemente alla natura dell’oggetto e rispecchia la scelta fatta dagli autori nella maggior parte delle illustrazioni, ma risponde anche, più semplicemente, alle esigenze di gioco, inserendo di diritto questi oggetti nella lunga tradizione delle doll houses, le quali assumono la configurazione ‘a spaccato’ fin dalle origini (Varat 2017, 148-155). Un altro aspetto comune è che nei casi presi in esame gli arredi – a differenza di quanto avviene nella casa di bambole tradizionale – sono per lo più bidimensionali, aderiscono dunque alle pareti, dando luogo a quell’effetto un po’ frustrante che è tipico dei giocattoli più dozzinali, apparentemente ricchi di dettagli e accessori coi quali però non si può interagire. Se infatti escludiamo le soluzioni minimaliste tipiche del giocattolo di legno di matrice nordica e/o steineriana, pensato come mero attivatore del gioco simbolico, la ricchezza e la qualità di fattura degli arredi e degli accessori costituiscono un elemento chiave per la tipologia della casa di bambole. Fin dalle origini, quando più che un giocattolo era una sorta di Wunderkammer destinata a stupire ospiti del padrone di casa o a educare le giovani donne ai loro doveri di gestione domestica, l’interno della doll house è stato una replica accurata e stupefacente della casa prima nobiliare poi borghese (Chen 2014, Ullmo 2012, Varat 2017). Il piacere suscitato dalla riproduzione fedele degli oggetti rimane comunque un elemento chiave della casa in miniatura, anche quando, in seguito, diviene un giocattolo destinato ai bambini (o principalmente alle bambine, secondo l’orientamento stigmatizzante del giocattolo di genere che tutt’oggi in buona misura persiste). La miniatura infatti suscita meraviglia, sollecita l’esplorazione visuale, conferisce senso di controllo e ha una funzione rassicurante per la sua similitudine con ciò che è noto e familiare (Ullmo 2012, 1-5). Un ultimo aspetto comune ai due casi considerati è che, seppure in modi diversi, intercettano il tema della modularità che nel progetto di Tison è, come si è visto, fondamentale.

10 | Versione giocattolo della casa dei Barbapapà (immagini tratte da siti di vendita on line).

Il primo esempio analizzato si rivolge a un pubblico giovanissimo (dai dodici mesi), il che spiega anche l’assenza di piccoli pezzi, e si compone di un set principale composto di due celle che si presentano come la cucina e la camera di Barbabravo, raccordate dal caratteristico portale merlato del cortile [Fig. 10]. A questo nucleo si possono accostare set venduti separatamente che rappresentano le celle degli altri barbabebé. Si tratta di ‘gusci’ di plastica apribili a cerniera, caratterizzati da colori diversi, corredati da adesivi per connotarli e accompagnati da una delle miniature dei personaggi. Il livello di interattività risulta piuttosto limitato: le finestre sono apribili e ci sono alcuni arredi movibili, tra i quali il frigorifero (che si apre ma non è cavo e non ha accessori mobili), un piccolo tavolo che, grazie a un piano ribaltabile, si trasforma in piano di cottura (di nuovo con accessori fissi), una lavagnetta su cui scrivere con la speciale matita impugnata dal personaggio. Più interessante la modalità di assemblaggio che prevede che al set centrale si possano agganciare le altre ‘barbacamerette’ mediante un sistema a incastro, andando a formare una sorta di composizione ad anello aperto. I limiti di questo set di costruzione sono però evidenti: le celle si assemblano con una logica spaziale lineare (peraltro limitata nella gamma di possibilità) e non permettono la sovrapposizione, come richiederebbe la più complessa spazialità del progetto; inoltre, le cavità di ingresso, piuttosto piccole, una volta agganciate le une alle altre rimangono cieche e non consentono di far passare al loro interno i personaggi. I rapporti di scala sono solo in parte rispettati, non sarebbe infatti possibile, ad esempio, ospitare i genitori nella cucina pur essendo questa evidentemente una sala comune. La forma delle celle risulta schematica e ripetitiva e non risponde quindi al tema organicista della varietà, contraddicendo il principio della rispondenza tra forma dell’ambiente e caratteristiche morfologiche ed esigenze abitative dell’abitante. Nel complesso, questa rappresentazione tridimensionale tradisce la logica intimamente topologica del progetto (Casonato 2020, 1139-1141) che si basa sulle nozioni di continuità e contiguità, incarnate dai disegni, i quali, pur proponendo infinite varianti, rispettano sempre i rapporti spaziali tra gli ambienti e la loro connessione interna. Anche l’uso dei colori lascia perplessi. Nella casa disegnata i muri sono bianchi e un puntinato a densità variabile suggerisce l’idea del conglomerato e la sua finitura scabra, oltre ad aiutare l’osservatore a leggere i volumi, le superfici curve, le variazioni di forma dei gusci e delle loro estroflessioni. Nel disegno la neutralità del colore mette dunque l’accento sulla pregnanza della forma. Il tema del materiale, del resto, è importante nella storia, come lo sono tutti gli aspetti tecnico-costruttivi, il che rappresenta uno degli aspetti più originali e caratterizzanti della serie all’interno del panorama della letteratura per bambini a tutt’oggi. Il colore neutro delle parti in muratura mette inoltre in risalto gli arredi fissi come elementi caratterizzanti degli ambienti interni, ai quali è già peraltro associato un colore distintivo. In questo senso colorare le celle, senza peraltro seguire alcun codice-colore di senso o di caratterizzazione, risponde certamente al bisogno di rendere attraente un set di gioco che, preso singolarmente, può risultare poco appariscente, ma appare una scelta arbitraria e un po’ disorganica in un immaginario visuale nel quale invece forma e colore sono elementi cardine.

Il secondo esempio preso in esame si rivolge a una fascia d’età più avanzata (dai tre ai sette anni) ed è un set composto di tre parti che riproducono in modo quasi letterale l’iconica sezione longitudinale della casa, tradotta in una sorta di diorama tridimensionale [Fig. 11]. Viene qui riproposta la composizione in due blocchi di celle (ridotte di numero da sette a cinque) raccordate dal portale merlato, elemento mobile utile a realizzare varianti compositive. I blocchi, rifiniti su entrambe le facce, si assemblano per semplice accostamento e consentono di comporre scenari di gioco variabili, disponendo i blocchi in linea o ruotandoli per raccogliere le stanze attorno al cortile, riproducendo la forma archetipica del recinto suggerita dal progetto di Tison. Come nel disegno originale, le superfici esterne sono scabre e bianche, con le sezioni a contrasto colorate di marrone. Conformi al disegno di progetto sono anche le forme delle celle, troviamo quindi le canne d’organo e l’apertura a tromba, la cupola dell’osservatorio astronomico (traslocato però al piano terra) e il grande lucernario. All’interno le camere sono tinteggiate con colori vivaci e sono arricchite dagli oggetti caratterizzanti, in questo caso realizzati a rilievo. Le sagome dei rilievi sono tracciate sommariamente come fossero disegnate da mani infantili e in questo richiamano la freschezza degli albi, rigorosamente illustrati a mano libera. Il set presenta un rapporto di scala coi personaggi più coerente a quello dei disegni rispetto all’esempio prima preso in esame. Qui non ci sono elementi mobili e l’interattività dell’oggetto è affidata alla sua capacità di riprodurre il contesto in cui sono ambientate le storie, aspetto per il quale l’oggetto risulta peraltro abbastanza convincente. Il giocattolo inoltre richiama l’atmosfera raccolta della casa e allude alla speciale relazione tra gli ambienti, soprattutto nel momento in cui viene disposto in varie configurazioni e animato con le miniature. La forma fluida e variabile, come modellata a mano, delle celle, la sovrapposizione di almeno una cella, il modo in cui gli ambienti si accostano, la presenza di elementi a rilievo (anche se di aggetto minimo), riescono in certa misura a indicare un’idea di architettura e di conformazione dello spazio coerente al progetto. Parallelamente, le scelte sui colori, i rapporti di scala e l’aspetto volutamente naif delle finiture sembrano rispecchiare in modo abbastanza efficace l’immaginario offerto dalle illustrazioni. Questo avviene forse anche perché l’oggetto non si impone con logiche proprie (i colori, l’assemblaggio, gli elementi meccanici interattivi del primo esempio) ma si limita a indicare un immaginario spaziale preesistente, a rimandare ad esso e, proprio questa semplicità e la rinuncia alla compiutezza finiscono verosimilmente per lasciare più spazio alla fantasia narrativa ispirata dalle storie.

11 | Versione giocattolo della casa dei Barbapapà (immagini tratte da siti di vendita on line).

La casa-libro e la casa autocostruita

Spostandosi nell’ambito dei diorami veri e propri sono da segnalare alcune versioni della casa stampata su cartoni ripiegabili e associate a figurine [Fig. 12]. Da un lato dei pannelli è rappresentato l’esterno, oppure (soluzione meno convincente) un paesaggio che comprende la casa e, dall’altro, una versione dell’immancabile sezione, di modo che, ripiegato il cartoncino a formare un quadrilatero, si può disporre di una sorta di casa giocattolo con cortile interno aperto da animare con i personaggi. Particolarmente riuscita la versione allegata a una edizione speciale francese del libro La maison de Barbapapa che comprendeva le marionette da dito dei nove personaggi. La tridimensionalità è in questi casi naturalmente solo suggerita, ma i rapporti di scala, di forma e di relazione sono in qualche modo rispettati. Il disegno infatti è completo e abbastanza fedele, ci sono infatti tutte le stanze nella loro giusta posizione (o quasi) e i personaggi sono in scala con gli ambienti, così come risultano coerenti l’interno con l’esterno e la disposizione delle celle attorno a un vuoto centrale. L’idea, semplice ma brillante, è che le finestre del disegno sono di fatto vere cavità e dunque permettono alle marionette animate dalle dita di affacciarsi e di attraversare gli spazi, recuperando una dimensione di fluidità e permeabilità che è nodale nel progetto. La vocazione teatrale è infatti l’aspetto più convincente di questa soluzione, perché il gioco, invece di prendere vita girando una levetta o formando un incastro, gesti limitati e ripetitivi che presto annoiano, si anima con la messa in scena dei personaggi. Il libro-giocattolo, proprio per la sua imperfezione e limitatezza, più che incarnare la tridimensionalità dello spazio, la suggerisce, come appunto in una scenografia teatrale, e la sua funzione è dunque di fungere da rinvio all’immaginario spaziale delle storie, senza nessuna pretesa di sostituirsi ad esso o di darne una interpretazione definitiva.

Ancora più convincenti, in questo senso, sono alcuni set costruiti direttamente a mano, esito di attività creative laboratoriali svolte con i bambini e documentate in rete [Fig. 13][4]. La casa, proprio grazie alla forma irregolare e variabile dei volumi, si presta bene ad attività di questo tipo, anche se le sue forme non sono di per sé semplici da tradurre in soluzioni stabili e facilmente replicabili. Realizzate con la creta o con la cartapesta queste interpretazioni plastiche del tema della casa presentano alcune interessanti caratteristiche che le distanziano dai giocattoli in commercio. In primo luogo, sono forme di autocostruzione e, in questo senso, sono perfettamente coerenti con il progetto originale: ogni ambiente è il frutto della fantasia e delle esigenze del ‘costruttore’ che possono essere legate ai materiali a disposizione, alle capacità manuali o anche a una personale elaborazione a partire dal tema di base. Da qui discende che queste composizioni sono personalizzabili ed estendibili a piacere e consentono così di proseguire nell’opera di creazione di un immaginario spaziale e architettonico avviata da Tison e Taylor, aggiungendo nuovi involucri, nuovi gusci a misura di bambino da abitare con l’immaginazione.

12 | Fotografie di libri-giocattolo ispirati alla casa di Barbapapà.

13 | Fotografie di modelli delle case di Barbapapà realizzate nel contesto di laboratori creativi con i bambini. (Fonte)

Conclusioni

La casa giocattolo moderna – imparentata con quella antica orientata principalmente a suscitare meraviglia – ha verosimilmente lo scopo di supportare e stimolare il bambino nel mettere in scena e trasfigurare il proprio vissuto attraverso le dinamiche del gioco simbolico e di imitazione. Il gioco inteso come rappresentazione culturale interattiva è influenzato dagli oggetti (Wulf 2014, 46-51): gli arrangiamenti ludici – e dunque anche il giocattolo, inteso quale premessa materiale dell’azione – possono influenzare fortemente il gioco come rappresentazione nella quale i partecipanti mettono in scena se stessi, i propri rapporti con gli altri e, viene da aggiungere, la propria relazione con lo spazio. Assumendo il punto di vista delle discipline dell’architettura, infatti, si può ipotizzare che la casa giocattolo, in quanto miniatura della casa reale e sua rappresentazione, attivi la narrazione e la costruzione di scenari fantastici legati all’uso dello spazio domestico e alla poetica dell’abitare e al tempo stesso, in qualche misura, li condizioni. Nel caso in questione, le fantasie legate ai ruoli familiari e agli spazi abitativi attivate dalle storie si arricchiscono delle connotazioni relative al carattere dei personaggi, ma anche di altri elementi meno consueti nel panorama della letteratura e della cultura materiale infantile. In particolare, la singolare natura di oggetti metamorfici e omomorfici dei personaggi induce alla riflessione spaziale, stimolata anche dalla speciale relazione tra corpo e spazio che questi incarnano e dalla stessa spazialità della casa che potremmo definire la traduzione diretta in architettura della qualità squisitamente topologica dell’immaginario spaziale di Barbapapà. Ne consegue che la traduzione in giocattolo della casa rappresenta una sfida. Come si è visto, peraltro, la casa disegnata svela, nel tempo, un’articolazione spaziale assai più variegata di quella proposta dai primi libri. Se le illustrazioni iniziali possono essere interpretate come un manifesto piuttosto che come una descrizione esaustiva, bisogna considerare che rappresentare in tre dimensioni un manifesto programmatico e teorico, quindi un’idea, può essere assai più difficile che non definirla col disegno, da qui l’impressione che quest’idea venga poi nei giocattoli in certo qual senso tradita o anche solamente depotenziata. Il disegno, del resto, a differenza del giocattolo che cristallizza il tema in una versione definitiva, consente infinite elaborazioni sul tema, assai più adatte ad alimentare l’immaginario spaziale e narrativo del bambino.

Poiché nessuna rappresentazione è neutrale, è opportuno interrogarsi su come le caratteristiche formali e dimensionali del giocattolo possano influire sui processi di gioco, di simbolizzazione e sull’ideazione di nuovi scenari spaziali ed emotivi. In questo senso tra le funzioni del giocattolo possiamo richiamare quella di stimolare la capacità di lettura, di prefigurazione e di manipolazione mentale dello spazio, sicuramente meglio incarnata dalla tipologia del gioco di costruzioni che non da quella delle doll houses tradizionali. Verosimilmente, tuttavia, le operazioni di simulazione e creazione sollecitate o veicolate dal giocattolo, inducono anche a immaginare modi di stare nello spazio e di agire in esso, di sperimentare relazioni ed emozioni legate ai modi dell’abitare. La questione andrebbe certamente esplorata in chiave psicologica e pedagogica; nondimeno, circoscrivendo le considerazioni al caso esaminato e rimanendo nell’ambito degli studi disciplinari, possiamo affermare che la traduzione tridimensionale capace di rispondere meglio alla pregnanza e duttilità spaziale e alla ricchezza di stimoli delle storie illustrate è probabilmente quella artigianale e autocostruita, risultato di attività laboratoriali creative, poiché consente una manipolazione diretta della forma e l’esercizio attivo di una dimensione progettuale, quindi una riflessione (seppure inconsapevole) sulla relazione tra l’individuo, le sue esigenze emotive, relazionali e sensoriali e lo spazio dell’abitare.

Note

1 | La ricerca è condotta in seno al Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano.
2 | Il corpus si compone di 93 volumi che raccolgono storie illustrate e avventure e fumetti apparsi per la prima volta in poco più di 10 anni tra il 1970 e il 1982. Di questi, 2 sono albi a fumetti, 20 sono libri illustrati appartenenti alla serie dedicata a Barbapapa, per lo più in edizione italiana ma in qualche caso anche in edizione francese. Il restante campione è costituito dai numeri dall’1 al 73 del periodico Il mensile di Barbapapà edito da Mondadori a partire dal 1976, versione italiana di Le journal de Barbapapa, pubblicato in Francia dallo stesso anno.
3 | Si vedano a tale proposito gli archivi del FRAC (Fonds régionaux d’art contemporain) Val de Loire e, in particolare, i disegni di Pascal Häusermann.
4 | Due interessanti attività laboratoriali sul tema sono documentate dal blog Daddytypes. The blog for new dads e dal sito Krokotak.

Riferimenti bibliografici
Opere di Annette Tison e Talus Taylor
  • Tison, Taylor [1970] 2006
    A. Tison, T. Taylor, Barbapapà [Barbapapa, Paris 1970], Milano 2006.
  • Tison, Taylor [1971] 2006
    A. Tison, T. Taylor, La famiglia Barbapapà [Le voyage de Barbapapa, Paris 1971], Milano 2006.
  • Tison, Taylor [1972] 2006
    A. Tison, T. Taylor, La casa dei Barbapapà [La maison de Barbapapa, Paris 1972], Milano 2006.
  • Tison, Taylor [1972] 1978
    A. Tison, T. Taylor, Il luna park di Barbapapà (Barbapapa’s Theatre, Amsterdam 1972), trad. it. di V. Beggio, Milano 1978.
  • Tison, Taylor [1975] 2010
    A. Tison, T. Taylor, Une journée chez Barbapapa, Paris [1975] 2010.
  • Tison, Taylor 1976
    A. Tison, T. Taylor, Una casa per sognare, “Il mensile di Barbapapà” 10 (1976), 24-25.
  • Tison, Taylor 1977
    A. Tison, T. Taylor, L’ultimo dinosauro, “Il mensile di Barbapapà” 10 (1977), 3-14.
  • Tison, Taylor 1978a
    A. Tison, T. Taylor, Barbabravo e la magia, “Il mensile di Barbapapà” 14 (1978), 3-22.
  • Tison, Taylor 1978b
    A. Tison, T. Taylor, Brava Barbamamma!, “Il mensile di Barbapapà” 18 (1978), 3-22.
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    A. Tison, T. Taylor, Il segreto di Barbabarba, “Il mensile di Barbapapà” 24 (1978), 3-22.
  • Tison, Taylor 1978d
    A. Tison, T. Taylor, Una storia di Natale, “Il mensile di Barbapapà” 25 (1978), 3-24.
  • Tison, Taylor 1979a
    A. Tison, T. Taylor, Il Tesoro del faraone, “Il mensile di Barbapapà” 26 (1979), 3-22.
  • Tison, Taylor 1979b
    A. Tison, T. Taylor, Un caso di spionaggio, “Il mensile di Barbapapà” 28 (1979), 3-23.
  • Tison, Taylor 1979c
    A. Tison, T. Taylor, Le macchie blu, “Il mensile di Barbapapà” 31 (1979), 3-22.
  • Tison, Taylor 1980a
    A. Tison, T. Taylor, I falsi Guru, “Il mensile di Barbapapà” 41 (1980), 3-22.
  • Tison, Taylor 1980b
    A. Tison, T. Taylor, Operazione Natale, “Il mensile di Barbapapà” 49 (1980), 3-22.
  • Tison, Taylor 1982
    A. Tison, T. Taylor, Viva la fantasia, “Il mensile di Barbapapà” 62 (1982), 3-22.

Numeri dall’1 (1976) al 73 (1982) della rivista edita da Mondadori “Il mensile di Barbapapà”.

Sitografia

Tutte le risorse digitali sono state consultate l’ultima volta il 30.04.2024

English abstract

The paper examines the popular metamorphic character of Barbapapa created in 1970 by Annette Tison, French architect, and Talus Taylor, teacher of mathematics and natural sciences. Within the rich visual imagery built around the character famous is the well-known ‘bubble’ house inspired by the radical architecture of the time, which became an icon in the field of children's illustration. This research investigates how the imaginative universe of Barbapapa has been represented in literature and transposed into three-dimensional objects, exploring the relationship between drawing, playing and toys. The essay then proposes an exploration of the corpus of objects related to the characters, focusing on a few examples deemed most significant, and particularly those that reproduce the renowned 'bubble' house. These are examined as plastic representations inspired by the original drawings, but also as mediating objects for mimetic and creative play, questioning the ability of drawings and toys to activate a spatial and architectural imaginary and to stimulate mental manipulation of space in the child, as well as to activate the curiosity of the young reader toward the themes of dwelling, the relationship between body and space, and between body and design. Considered as cultural objects and phenomena of material culture, toys are examined in the role of activators of fiction, thus not as mere derivative products but also as narrative vectors, through which 'other worlds' are enacted that access a material dimension through the objects and scenic arrangements.

keywords | Barbapapa; Bubble houses; Doll houses; Illustrations for children; Architectural education; Architectural representation.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Camilla Casonato, La casa giocattolo come attivatore dell’immaginario spaziale. Rappresentazioni grafiche e plastiche di una maison bulle, “La Rivista di Engramma” n. 213, giugno 2024.

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.213.0007