"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

213 | giugno 2024

97888948401

Architectural toys – La costruzione ludica dell’architettura

Un’esperienza pedagogica alla Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto

Marco Ginoulhiac

English abstract

6 | Riis Park Plaza, un parco giochi urbano in Manhattan, New York, progettato da Paul Friedberg nel 1965.
7 | La Grande Motte, un grande complesso turistico nel distretto di Montpellier costruito a partire dal 1965.

Prologo. Spie e sabotatori

Nel 1941, Franklin D. Roosevelt, allora presidente degli Stati Uniti d’America, preoccupato dalla mancanza di un servizio centralizzato di spionaggio durante la Seconda guerra mondiale, creò l’OSS, “Office of Strategic Services” (Ufficio per i Servizi Strategici). Tra le varie funzioni dell’OSS, c’era quella di selezionare potenziali spie e sabotatori che, sotto assoluto anonimato, avrebbero dovuto compiere missioni sui vari fronti bellici in cui gli USA erano, più o meno ufficialmente, impegnati (Smith 1962). La selezione era compiuta in una delle sue sedi, collocata nella campagna non lontano da Washington DC, la Station S, la cui direzione era affidata a uno dei creatori del programma OSS: lo psicologo Donald MacKinnon.

Il processo di selezione prevedeva la suddivisione dei candidati in 3 gruppi: i sabotatori (più atletici), le spie (più istruiti) e i propagandisti (più creativi). Dopodiché, i candidati erano sottoposti a quattro prove, le prime due in gruppo, le altre due individuali: il torrente e il muro (in cui erano valutate varie abilità, tra cui la capacità di lavorare e di risolvere un problema in gruppo); la costruzione (era richiesto di costruire una struttura in legno con due assistenti) e l’interrogatorio (in cui era messa alla prova la fedeltà e il sangue freddo dei candidati sotto pressione psicologica). I risultati erano poi confrontati per assegnare i candidati alle diverse funzioni.

Donald MacKinnon abbandonò il programma OSS e la Station S nel V-J Day (15 agosto del 1945) e due anni dopo, nel 1947, fondò l’IPAR “Institute of Personality Assessment and Research” presso l’Università di Berkley, California. Qui, facendo tesoro dell’esperienza maturata, proseguì la ricerca focalizzandola sui processi creativi e sui diversi tipi di creatività (MacKinnon 2005). Secondo MacKinnon esistono tre tipi di creatività: quella artistica riflette le urgenze espressive e le motivazioni dell’autore, quella scientifica e tecnologica affronta i problemi del contesto e propone nuove soluzioni mostrando poco dell’autore, e la creatività ibrida che risulta dalla sommatoria delle due precedenti e si pone l’obiettivo di risolvere i problemi adottando modalità peculiari dell’autore. Relativamente a questo ultimo caso, MacKinnon cita esplicitamente l’architettura come campo specifico della creatività ibrida.

Tra il 1958 e il 1959 MacKinnon organizzò, con l’aiuto di Elizabeth Kendall Thompson, editrice della rivista “Architectural Record”, una serie di test invitando 64 architetti considerati talentuosi (Serraino 2016). Fra gli architetti che accettarono di partecipare: Louis Kahn, Philip Johnson, Richard Neutra, Eero Saarinen e Ieoh Ming Pei (MacKinnon 1962b). I test proseguirono per diversi anni prendendo in esame altre professioni e, più tardi, MacKinnon sintetizzò i risultati nel libro del 1978 In Search of Human Effectiveness: Identifying and Developing Creativity (MacKinnon 1978).

La ricerca all’IPAR fa emergere diverse considerazioni molto interessanti in ambiti che vanno dall’educazione alla psicologia e, in qualche modo anche alla filosofia. Tuttavia, alcune considerazioni interessano particolarmente chi, come chi scrive, insegna Architettura da più di vent’anni.

Un primo aspetto che emerge è che la creatività non è un talento, qualcosa che esiste o meno nel soggetto, una caratteristica innata, e non è necessariamente associata all’intelligenza, al QI del soggetto. È, prima di tutto, un modo di operare, una forma di affrontare i problemi che si presentano di volta in volta, qualunque sia il contesto. Si tratta quindi di qualcosa che si può coltivare attraverso l’educazione, che si può trasmettere e insegnare.

Il secondo aspetto è quello che più ci interessa: MacKinnon descrive la creatività come la capacità di ‘giocare’ e definisce la maggior parte delle persone creative che ha studiato come ‘giocose’, o addirittura ‘infantili’. Secondo lo psicologico nordamericano, le persone creative si comportano come bambini avendo la capacità di esplorare idee nuove senza dover avere uno scopo pratico: sanno giocare.

La scoperta del gioco

Nel 2009, dopo la consegna di una tesi di dottorato sulla condizione dell’insegnamento del progetto di architettura in ambito universitario e dopo alcune esperienze didattiche nel corso di progettazione del primo anno del corso in Architettura, ho incominciato a credere che il gioco, al tempo un concetto non ancora del tutto definito per me, avesse un ruolo fondamentale sia nella formazione che nella pratica artistica. Inoltre, il ricordo di un’infanzia passata a giocare sotto i tecnigrafi dei miei genitori, entrambi architetti, suggeriva l’importanza di un ambiente in cui esistessero oggetti che, pur appartenendo alla cultura materiale di una precisa professione, potessero essere utilizzati in modo ludico: dai modelli degli edifici ai campioni di materiali, dai vari strumenti di disegno fino ai tipi di carte, che si trovavano a disposizione di un bambino curioso e libero di toccare e sperimentare.

Spinto dalla necessità di capire meglio, ma stimolato anche da un interesse personale, tutta la ricerca ha una componente autobiografica – ho seguito il principio che seguo da tempo: se vuoi veramente capire qualcosa, devi scriverne. La soluzione è stata quella di creare un blog online in cui, attraverso alcune incursioni in forma di saggio, cominciare a elaborare una narrazione relativa all’architettura e ai giocattoli. La progressiva e inarrestabile crescita di materiale e di storie che si tessevano attorno al tema e che si espandevano arrivando a definire un campo vasto e complesso tra architettura, arte, oggetti e condizione ludica, mi ha convinto che fosse possibile e utile inserire un corso sul tema all’interno del master in Architettura alla FAUP (Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto). Inoltre, scrivere su una piattaforma online aperta al pubblico e in lingua inglese, ha consentito di ricevere contributi da paesi e persone diverse. Il blog viene citato nel libro di Juan Bordes come fonte d’interesse sull’argomento (Bordes 2012). Così, nel 2012, si è avviato un corso opzionale, semestrale, intitolato “Architectural toys – A Construção Lúdica da Arquitetura”, fondato sulla convinzione che la ricerca su questi temi possa essere condotta certamente attraverso lo studio dei legami esistenti o esistiti tra Architettura e giocattoli, ma anche, come succede nel campo del progetto di architettura, attraverso l’esperienza progettuale. Nello stesso anno è nata l’impresa Architoys, che si occupa del progetto e della produzione di giocattoli d’architettura, di cui l’autore del saggio è fondatore.

Pur essendo centrato sull’esercizio progettuale, il corso ha sempre risposto alla necessità di fornire agli studenti un’introduzione teorica. Termini come ‘ludico’, ‘gioco’, ‘giocattolo’, tra i molti evocati, sono concetti apparentemente semplici, di uso comune, ma proprio per forti implicazioni autobiografiche (tutti abbiamo giocato e tutti abbiamo avuto i nostri giochi e giocattoli), difficilmente riescono a stabilizzarsi in definizioni univoche e condivise. Inoltre, l’eterogeneità della bibliografia di riferimento, sia dal punto di vista disciplinare che linguistico, comporta che ogni traduzione introduca una sfumatura di significato che altera la narrazione della ricerca e, di conseguenza, quella progettuale.

Una prima lezione, dopo un breve excursus storico che muove dall’idea di gioco in Platone e Aristotele, attraverso ampi salti temporali, giunge all’inizio del XX secolo, quando il gioco comincia a essere considerato un’attività indispensabile per lo sviluppo non solo cognitivo, ma anche fisico e sociale dell’individuo. L’osservazione dei comportamenti animali condotta da autori come Darwin e Karl Groos, nell’ambito della teoria evoluzionistica, ma anche quella condotta sui comportamenti umani nell’ambito della ricerca psicoanalitica di Sigmund Freud (Freud [1909] 2021) e l’elaborazione teorica di Johan Huizinga, ha fornito fondamenti teorici ed educativi ormai consolidati e riconosciuti. Il definitivo riconoscimento del ruolo educativo del gioco è stato accompagnato dallo sviluppo di una cultura materiale specifica, quella dei giocattoli, che si distingue da quella delle epoche precedenti perché prodotta all’interno di un paradigma educativo profondamente differente. Al giocattolo vittoriano, mera miniaturizzazione del mondo degli adulti, segue il giocattolo educativo e, in casi specifici, il giocattolo educativo artistico che concentra e sintetizza alcuni temi, siano questi compositivi, tecnici o tematici, della produzione artistica, per inserirli nell’attività ludica del bambino.

Successivamente, il corso “Architectural toys” introduce alcuni autori che aiutano a circoscrivere e organizzare il campo di studio: certamente il già citato Johan Huizinga (Huizinga 1955), ma anche Brian Sutton Smith (Smith 1997), Gilles Brougere (Brougere 1998), Roger Caillois (Caillois, Meyer 2001) e Eugen Fink (Fink 1957). La lettura di questi autori non solo chiarisce i concetti già richiamati ma stabilisce anche dei ponti con le condizioni e i processi progettuali propri dell’attività artistica e dell’architettura. L’idea di progetto (Calvo 1980), che trova le sue radici nelle “condotte di anticipazione” (Boutinet 1990, 33) e che si diffonde ampiamente nei vari campi artistici e non solo, condivide tutti i tratti dominanti della condizione ludica così come è stata affrontata e analizzata dalla prevalenza degli autori del XX secolo. Per chi legge Huizinga che, pur presentando nei suoi testi qualche fragilità (come già sostenuto da Umberto Eco nell’introduzione a Homo Ludens, vedi Eco 1973), può essere ritenuto, ancora oggi, uno dei principali responsabili dell’organizzazione epistemologica del ludico, è chiara la connessione che esiste tra le condizioni esistenziali e processuali del gioco e quelle del progetto: la necessaria libertà (d’azione e di pensiero), l’isolamento (Fink parla addirittura di oasi) e quindi la limitatezza, la semplificazione (Benveniste 1947, 159) e l’incertezza (Caillois, Meyer 2001, 26), senza la quale il progetto si trasforma in azione tecnica abdicando al proprio potere creativo e di progresso, tratti dominanti della modernità (Ginoulhiac 2009). Tornando a Donald MacKinnon, lo psicologo nordamericano aiuta a chiarire il legame tra progetto e gioco quando scrive che gli architetti più creativi (MacKinnon 1978) si differenziano dagli altri per due ragioni principali: riescono a mantenere una condizione ludica durante il progetto e ritardano le decisioni il più possibile preservando un elevato grado di libertà lungo tutto il processo. In altre parole, gli architetti più creativi mantengono il progetto in una condizione ludica.

Alvar Aalto, che non era tra gli architetti invitati da MacKinnon a partecipare ai test condotti all’IPAR, è probabilmente uno degli architetti che si è espresso più volte sul tema in modo assolutamente esplicito, direi inequivocabile. Un’occasione si presenta quando, nel 1947, Ernesto Nathan Rogers lo invita a scrivere un articolo per la rivista “Domus”. Quello del ’47 in cui viene invitato Aalto sarebbe stato l’ultimo numero diretto da Rogers, segnando la chiusura di una scelta editoriale aperta alla sinergia tra le arti plastiche e l’architettura. In realtà l’invito era stato rivolto a Le Corbusier, che non aveva risposto in tempo, mentre Aalto invia l’articolo Architettura e arte concreta, probabilmente, tra i pochi scritti dall’architetto finlandese, uno dei testi più belli e importanti. Nel testo l’autore ammette:

Disegnando la biblioteca di Viipuri […], mi trovai impegnato in disegni infantili che rappresentavano una montagna immaginaria con differenti forme sui versanti e numerosi soli in una superficie celeste […] relazionati molto indirettamente con l’idea di architettura (Aalto 1947, 105).

Più tardi, Aalto torna sull’argomento del gioco quando, parlando della sua casa per le vacanze a Muuratsalo, scrive:

Dobbiamo quindi coniugare il lavoro serio di laboratorio con la mentalità del gioco, o viceversa. […] Troveremo la giusta direzione solo quando la costruzione, nel suo insieme e nei suoi particolari, e le forme logiche che conseguono da tale unità, saranno colorate da ciò che, seriamente, possiamo chiamare arte e gioco (Aalto [1972] 1987, 258).

E ancora, l’anno successivo, in un piccolo testo dedicato ai mobili realizzati in legno curvato afferma:

È mia ferma convinzione che questa fase preliminare di laboratorio debba essere quanto più libera possibile, spesso addirittura totalmente priva di finalità utilitaristiche, affinché si possano raggiungere i risultati desiderati. In questa mostra ho inserito alcuni dei miei “giocattoli sperimentali” alcuni dei quali non hanno mai portato a nessun dettaglio architettonico effettivamente realizzabile, rimanendo sul piano del mero gioco (Aalto 1954, 258).

Nel suo testo su Muuratsalo, Aalto parla di “un amico del passato”, Yrjö Hirn, un filosofo, professore e diplomatico finlandese che, nel 1900, scrive un libro divenuto per l’architetto un riferimento fondamentale, Le origini dell’arte. Una ricerca psicologica e sociologica dove, a pagina 28, l’autore scrive:

Il gioco e l’arte hanno infatti molte importanti caratteristiche in comune. Nessuno dei due ha alcuna utilità pratica immediata, ed entrambi soddisfano tuttavia alcuni dei bisogni fondamentali della vita. Tutta l’arte può quindi, in un certo senso, chiamarsi gioco.

Il percorso teorico si chiude e il corso “Architectural toys” prosegue fornendo un insieme di riferimenti che serviranno agli studenti come bagaglio culturale di base per la successiva esperienza progettuale. I riferimenti che seguono sono categorizzati in tre tipologie distintive, ognuna associata a un blocco tematico: le azioni, gli spazi e gli oggetti.

Le azioni

1 | Esercizi per bambini ritratti nel libro di J.L. Tadd, New methods in education, New York 1899.
2 | Illustrazione del libro Die träumenden Knaben (Il ragazzo sognatore), illustrato da Oskar Kokoschka nel 1906.

Il primo blocco tematico, quello delle azioni, percorre un excursus storico attraverso le esperienze educative che hanno correlato l’azione artistica, di qualunque tipo, alla condizione ludica o, in alcuni casi specifici, all’infanzia. Questo percorso mira a esplorare l’evoluzione di una relazione, ormai universalmente riconosciuta, che ha inizio con Friedrich Wilhelm August Froebel e l’inaugurazione del primo Kindergarten in Blankenburg nel 1837. Sebbene intrappolata in una narrazione non direttamente associata all’arte, ma permeata dallo spirito romantico del XIX secolo, dal punto di vista pratico e operativo, il metodo di Froebel sarà successivamente riconosciuto come il fondamento di una sensibilità pedagogica che ha ispirato molteplici esperienze (Bordes 2007).

Basandosi su queste esperienze educative che vengono delineate attraverso il loro fondamento ideologico, pedagogico e scientifico, in connessione con i tratti significativi del passaggio dal XIX al XX secolo, il corso presenta ulteriori casi che evidenziano l’importanza dell’insegnamento artistico legato all’infanzia, su scala globale. Tra i vari esempi, le interessantissime lezioni d’arte di Alfred Lichtwark, “Kunsterziehungsbewegung” (Art Education Movement, 1886) o di Franz Cizek (1897) in Vienna, gli esercizi di disegno libero di James Liberty Tadd negli Stati Uniti (Tadd 1899) [Fig. 1], o la “Escuela de Pintura al Aire Libre” in Messico di Alfredo Ramos Martínez nel 1913. Ma anche la “Scuola d’arte educatrice” fondata a Roma nel 1890 da Francesco Randone o, più tardi, i corsi artistici di Marion Elaine Richardson (1919), centrati sulla calligrafia e la ripetizione; o ancora la tristissima esperienza di Friedl Dicker-Brandeis che si impegnò in lezioni artistiche ai bambini del ghetto Terezin durante la Seconda guerra mondiale. Più recenti, le esperienze educative di Victor D’Amico che, nel 1940, crea il servizio educativo al Moma di New York con uno spirito molto prossimo a quello adottato più tardi da Bruno Munari nel suo approccio all’arte con i bambini. Un focus particolare è riservato anche alle esperienze nordiche, caratterizzate da una natura più tecnica e artigianale, come il progetto Sloyd di Otto Cygnaeus e di Otto Salomon che successivamente si integreranno nell’insegnamento artistico nell’ambito dell’esperienza del Bauhaus. L’avvio del coinvolgimento dell’ambiente artistico e dei suoi protagonisti con l’infanzia e il gioco alla fine del XIX secolo può essere individuato anche in numerose esposizioni pionieristiche, dove i disegni e le composizioni dei bambini vengono messi in mostra, seguendo il percorso tracciato dal libro L’arte dei Bambini di Corrado Ricci del 1887. Quest’opera rappresenta un pilastro teorico di un fenomeno che avrà un impatto significativo sulle avanguardie artistiche del Novecento. Così nel 1890, Robert Ablett, pittore e educatore inglese, organizza la prima mostra di disegni infantili a Londra. Poco dopo, nel 1901, viene inaugurata a Berlino l’esposizione Die Kunst im Leben des Kindes in cui le opere dei bambini sono accostate a un universo di libri, poster, giocattoli e oggetti d’arte considerati significativi per l’infanzia. Dopo il grande successo dell’esposizione di Berlino, varie mostre saranno inaugurate, in Europa, sulla stessa tematica: importante quella dell’associazione olandese Kunst aan het Volk (Arte per il popolo) che, sotto l’influenza di John Ruskin e William Morris, organizza una mostra itinerante allestita in varie città olandesi. In Austria, Gustav Klimt sarà tra i responsabili dell’organizzazione della mostra Kind und Kunst, inaugurata nel 1908 al Herzog Rainer Museum für Kunst und Gewerbe di Vienna. Tra le varie opere in mostra compare il famoso libro per l’infanzia Die träumenden Knaben (il ragazzo sognatore) [Fig. 2], illustrato da Oskar Kokoschka nel 1906. In vari paesi, queste mostre sono accompagnate da cataloghi e riviste come la Kind und Kunst tedesca, che esplora il legame tra arte e infanzia da molteplici prospettive, arricchendo il dibattito con diversi e significativi contributi.

Nel contesto delle esposizioni, è importante menzionare quella tenutasi al MoMA di New York nel 1937, intitolata “Fantastic Art, Dada, Surrealism”, che segna il definitivo riconoscimento da parte delle avanguardie artistiche dell’importanza dell’arte infantile come fonte d’ispirazione e di riferimento, sia per le opere in mostra che per la ricchezza intellettuale e creativa. Qualche anno prima, nel 1924, André Breton scriveva nel Manifesto Surrealista:

L’esprit qui plonge dans le surréalisme revit avec exaltation la meilleure part de son enfance. C’est un peu pour lui la certitude de qui, étant en train de se noyer, repasse, en moins d’une minute, tout l’insurmontable de sa vie. On me dira que ce n’est pas très encourageant. Mais je ne tiens pas à encourager ceux qui me diront cela. Des souvenirs d’enfance et de quelques autres se dégage un sentiment d’inaccaparé et par la suite de dévoyé, que je tiens pour le plus fécond qui existe. C’est peut-être l’enfance qui approche le plus de la « vraie vie » ; l’enfance au-delà de laquelle l’homme ne dispose, en plus de son laisser-passer, que de quelques billets de faveur ; l’enfance où tout concourait cependant à la possession efficace, et sans aléas, de soi-même. Grâce au surréalisme, il semble que ces chances reviennent.

Dopo aver esplorato l’articolazione storica, il corso procede introducendo una serie di casi in cui tale snodo viene esemplificato, sottolineando l’idea di gioco, tra questi: i Calligrammes di Guillaume Apollinaire (1918), i giochi surrealisti nelle “Parole in libertà” di Marinetti (1919) e la “Scrittura automatica”, o il famoso The Exquisite Corpse di Breton che riunisce arte, gioco e l’imprevisto in un unico esercizio artistico. Dopo aver esplorato varie esperienze artistiche e espositive, ci si avvicina alle pratiche didattiche, con quelle avviate al Bauhaus che emergono come esperienze di grande intensità, non solo per l’organizzazione pedagogica, ma anche per il vasto universo di creazioni, oggetti e spazi che vi prendono forma e che influenzeranno profondamente la ricerca del XX secolo fino ai giorni nostri. L’importanza del gioco al Bauhaus è chiaramente espressa nelle parole che Johannes Itten scrive all’amico compositore Josef Matthias nel novembre del 1919:

I have had the whole Bauhaus under me for a week, because I suggested that we should make toys for the next few weeks. So I struck a powerful blow to the old academic tradition of the nude and drawing from nature and I am leading all creative activity back to its roots, to play (Hoch 2010).

La modernità di tali approcci, sebbene distanti nel tempo, fa sì che ai nostri occhi le esperienze attuali – molte delle quali ispirate ai laboratori di Bruno Munari o all’approccio pedagogico di Loris Malaguzzi a Reggio Emilia – perdano parte del loro fascino pionieristico. Si è portati, piuttosto, a leggerle come esito di un percorso storico articolato e coerente, il cui fondamento teorico e filosofico può essere rintracciato in Schiller quando, nel 1795 scrive:

L’uomo deve soltanto giocare con la Bellezza, e non giocare che con essa. Dunque, per conchiudere, l’uomo giuoca solo quando egli è uomo nella piena significazione della parola, ed è interamente uomo solo allora che giuoca. Tale proposizione, che può parere un paradosso, riceverà grande e profondo significato quando saremo riusciti ad applicarla alla severità del dovere e del destino: essa sosterrà, io Le prometto, tutto l’edifizio della cultura estetica, e quello ancor più grave dell’arte della vita (Schiller [1795] 1882, 106).

Gli spazi

3 | Fotografia della camera dei giochi della casa “Haus am Horn”, progetto del pittore e professore del Bauhaus George Muche con la collaborazione di Adolf Meyer e Walter Gropius. La camera dei giochi fu un progetto di Alma Siedhoff-Buscher.
4 | Pianta tipo di un edificio per appartamenti all Cité-jardin du Pré-Saint-Gervais, progetto di Félix Dumail nel 1930.
5 | La camera dei giochi nella casa nel parco del Moma di New York, progettata da Marcel Breuer nel 1949.

Il corso Architectural Toys – A Construção Lúdica da Arquitetura è nato presso la Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto, e dunque si focalizza principalmente sull’architettura e la progettazione degli spazi. Non solo mantiene qui il suo nucleo epistemologico, ma anche il suo obiettivo pedagogico. Gli studenti di un corso di Architettura trovano relativamente semplice collegare la cultura architettonica già acquisita con gli esempi presentati nella sezione ‘Spazi del corso’. È comune che le nozioni apprese qui vengano richiamate dagli stessi studenti nelle loro successive proposte progettuali o compositive durante il corso di master. Lo spazio domestico rappresenta la prima tipologia affrontata nella sezione, spesso partendo proprio dall’esperienza personale degli studenti. Vengono analizzati alcuni esempi storici alla luce dei concetti centrali di infanzia, famiglia, gioco, educazione…

Dalla casa medioevale, dove un unico spazio racchiudeva tutte le funzioni della vita – sia domestiche che professionali – senza distinzione tra gli ambiti familiari per le diverse età, ci spostiamo all’abitazione urbana del XIX secolo, un’epoca contraddistinta da condizioni di povertà e insalubrità. Questo ci porta poi all’inizio del XX secolo, quando la ricerca sull’abitare si traduce in progetti residenziali che tengono conto dell’infanzia, considerando tutte le sue caratteristiche e necessità funzionali. Quindi si torna alla “Haus am Horn” del 1923, progetto di Georg Muche con la collaborazione di Alma Siedhoff-Buscher che disegna i mobili e i giocattoli per la camera dei bambini [Fig. 3]. O a rileggere l’opera di Le Corbusier e la sua ricerca sull’abitare che culmina con l’Unitè d’Habitation in Marsiglia, dove la presenza dei bambini motiva varie scelte tipologiche e progettuali sia all’interno dello spazio domestico che nel progetto di tutto l’edificio e della sua copertura. Altri casi sono studiati per dimostrare la crescente sensibilità verso l’infanzia, come l’appartamento tipo alla cité-jardin du Pré-Saint-Gervais [Fig. 4], progetto del 1930 dell’architetto francese Félix Dumail, o le piante sperimentali che Alexander Klein ha prodotto nell’ambito delle sue ricerche sulla razionalizzazione dello spazio domestico. La lista è lunga e include alcuni esempi di residenza unifamiliare, tra i quali la serie di case progettate da Marcel Breuer [Fig. 5] in cui è evidente l’attenzione all’infanzia nel programma domestico o le case Jaoul, sempre di Le Corbusier, cui si riferisce un’interessante narrazione della vita domestica, condotta senza filtri dalla figlia del proprietario, Marie Jaoul, in un articolo pubblicato sul numero 204 della rivista “L’Architecture d’Aujourd’hui”. Lo studio dello spazio domestico richiama una cultura materiale specifica che si lega strettamente all’infanzia, alle sue esigenze e alle sue dimensioni. Sebbene gran parte dell’attenzione sia dedicata all’analisi diretta dello spazio, una porzione significativa viene trattata separatamente perché possiede un’autonomia disciplinare più vicina al design industriale, con una vasta e specifica bibliografia.

Il percorso narrativo che esplora lo spazio si estende dalla casa alla strada, abbracciando lo spazio pubblico, e si sofferma brevemente sul quartiere, inteso come spazio collettivo. Dopo una breve introduzione storica che traccia il ruolo del gioco nello spazio pubblico nel corso del tempo, il caso dei playground di Amsterdam progettati da Aldo van Eyck nel Dopoguerra emerge come uno dei riferimenti più ricchi. Dietro una grande semplicità formale e progettuale si nasconde un intreccio teorico estremamente complesso e innovatore che ancora oggi è un riferimento difficilmente eguagliabile. Molti altri esempi si trovano nella ricerca di un’unica autrice, la ricercatrice svizzera Gabriela Burkhalter, che nel corso degli anni ha raccolto e pubblicato moltissimi esempi di spazi pubblici dedicati all’infanzia. Anche altri autori, durante tutto il XX secolo, hanno affrontato questo tema progettuale. In primis Lady Allan of Hurtwood, con il suo Planning for Play, in cui l’autrice riunisce concetti, principi ed esempi. O ancora i bellissimi interventi degli americani M. Paul Friedberg e Richard Dattner che sono spesso utilizzati come riferimento progettuale per le loro soluzioni formali, funzionali e sensoriali [Fig. 6]. La città ludica, osservata come un unico grande dispositivo ricreativo in cui le funzioni produttive sono relegate in secondo piano, viene infine esaminata attraverso i suoi esempi più estremi. Tra questi, spiccano i parchi di divertimento, Disneyworld in primis, emersi dal Dopoguerra in poi, insieme alle città progettate appositamente per la villeggiatura. George Candilis, nel suo libro Planning and Design for Leisure del 1972, esplora il tema del tempo libero riconoscendone la centralità nella vita contemporanea. Con Candilis sorgono le grandi urbanizzazioni nel sud della Francia, come La Grande-Motte [Fig. 7], vera città mono-funzionale per lo svago. O ancora Flaine, la stazione sciistica sulle alpi francesi progetto di Marcel Breuer nel 1959. Il tema è vasto e si relaziona con dei cambiamenti sociali che registrano un costante aumento dell’importanza dello svago e del riposo insieme a una progressiva infantilizzazione della vita adulta, che Baricco descrive come processo di “gamification” nel suo libro The Game. Anche in questo contesto si apre un vasto universo di temi che si articolano tra il concetto di ludico, di città e il ruolo dell’architettura in questo connubio. Tuttavia, il compito dell’insegnamento non è quello impossibile di trasmettere la conoscenza nella sua totalità, quanto di organizzare i territori del sapere e le relazioni che intercorrono tra di essi, indicando possibili percorsi di ricerca. Pertanto, il corso, seppur a malincuore, conclude questo fecondo percorso e si concentra sul terzo blocco tematico: gli oggetti ludici.

Gli oggetti

Il terzo blocco tematico, quello che più attrae l’interesse degli studenti, è riservato agli oggetti, i giocattoli. Nell’introduzione del corso e nei primi due blocchi il tema è richiamato frequentemente, ma in quest’ultimo viene affrontato in modo più esauriente e complesso. La prima fase consiste nel comprendere la struttura teorica del giocattolo, esaminata attraverso tre prospettive interconnesse: il giocattolo come strumento, come immagine e, infine, come tecnologia. La prima prospettiva, del giocattolo come strumento, considera questo oggetto partendo dall’azione del gioco, con la sua espressione funzionale, legata a un rituale ludico. In questa ottica, qualunque oggetto può essere giocattolo, è l’azione che lo trasforma in tale. Una corda, un bastone, una palla, così come una scopa, un lenzuolo o una ruota, cambiano la loro natura al mutare del contesto nel quale sono manipolati. Anche i propri giocattoli possono, a volte, cambiare la propria funzione: “It is dangerous to pretend we know what a child will do with a toy just from its characteristics alone; children have a way of doing things with toys over and beyond the apparent character of the toy” (Sutton Smith 1986, 38). Nella condizione ludica, tutto si trasforma e acquisisce una nuova immagine e quindi un nuovo significato. Ed ecco che il giocare coinvolge un universo simbolico. Secondo il sociologo francese Gilles Brougère, “il giocattolo è, quindi, un fornitore di rappresentazioni manipolabili, di immagini con volume: è questa, senza dubbio, la grande originalità e specificità del giocattolo, che è quella di portare la terza dimensione nel mondo della rappresentazione” (Brougère 1995, 14).

Come avviene durante il gioco, in un mondo fantastico o in uno reale, il giocattolo assume un’immagine derivante dal suo valore culturale, che si esprime attraverso azioni semiotiche. La bambina che gioca con le bambole o il bambino che simula battaglie sono entrambi esempi di questa dinamica, in cui gli oggetti sono impiegati per la rappresentazione delle immagini che portano con sé. Il giocattolo non solo veicola un’immagine, ma spesso funge anche da strumento in grado di creare un’immagine. Questo è evidente praticamente in tutti i sistemi di costruzione, dal LEGO al Meccano, attraverso i quali i bambini giocano con lo spazio, la composizione, sia libera che guidata, e il montaggio di macchine, strumenti o altro, sfruttando i gradi di libertà offerti e suggeriti da ciascun sistema.

I giocattoli rappresentano anche beni di consumo, progettati, prodotti e consumati in un mercato caratterizzato da regole, dinamiche e tempi specifici. L’intervento dei genitori negli acquisti, ad esempio, gioca un ruolo determinante nella produzione e nella vendita di questi oggetti. Inoltre, il tipo di pubblicità, con i suoi messaggi e i suoi mezzi, costituisce uno dei campi di studio più interessanti per comprendere i fenomeni storici impliciti nei giochi e trasversali all’educazione, nonché ai gusti e alle preoccupazioni della società. Nel caso dei giocattoli d’architettura, essi diventano persino un mezzo per ricostruire le narrazioni della disciplina, includendo sia gli aspetti formali e compositivi che quelli tecnologici e tipologici. In questo percorso tripartito alcuni autori servono da capisaldi per organizzare il discorso. Tra questi Walter Benjamin e Roland Barthes, ma anche i già citati Gilles Brougère, il neozelandese Brian Sutton Smith, oltre a una bibliografia consistente in centinaia di cataloghi che dal 1793, mostrano la ricchezza e complessità del percorso storico dei giocattoli.

8 | Una pagina del manuale A Practical Guide to the English Kinder-garten del 1858.
9 | Una pagina di istruzioni della Anker.

Dal punto di vista storico, nell’ambito dell’educazione, gli oggetti aumentano la loro importanza quando la pedagogia adotta il paradigma costruttivista. Questo avviene inizialmente in modo empirico, con il sostegno di una ideologia romantica che trova nelle esperienze educative di Pestalozzi e di Froebel le sue manifestazioni più significative. Froebel giunge addirittura a definire un insieme di oggetti, definiti come ‘doni’ [Fig. 8], che possono essere considerati come proto-giocattoli educativi. Uno degli aspetti più affascinanti nel seguire le narrazioni storiche dei giocattoli è la loro stretta relazione con i paradigmi educativi, ma anche, come già accennato, con quelli artistici, sociali e politici. In questo senso il giocattolo, quando osservato con attenzione, è, come dice Roland Barthes, una specie di sintesi dell’epoca, una cartina tornasole della società che lo produce. Nel contesto delle scienze e dell’ingegneria, è evidente la correlazione tra le innovazioni tecniche e i giocattoli, i quali, all’interno dell’ambiente domestico, riflettono i principi, le forme e il funzionamento delle macchine, delle invenzioni e delle innovazioni di ogni epoca. Il giocattolo vittoriano, per esempio, rappresenta la miniaturizzazione delle macchine e delle esperienze scientifiche, offrendo ai giovani borghesi o aristocratici un modo per comprendere e apprendere la tecnica seguendo un paradigma che ha persistito per tutto il XX secolo. Nelle parole di Chudacoff:

The intended educational function of toys derived from the predominant middle-class aspiration for self-improvement. Once considered foolish baubles, toys increasingly came to be seen as instrumental to child’s intellectual development (Chudacoff 2007, 117). 

Se nel campo delle scienze dure, fra le quali l’ingegneria, la relazione tra corpus disciplinare e giocattolo educativo è abbastanza semplice e visibile, per quello che riguarda le arti e nello specifico l’architettura, le cose sono più complesse. La componente strettamente tecnica dell’architettura, la sua intersezione con l’ingegneria, include una vasta gamma di oggetti educativi espliciti, come quelli legati alle tecniche costruttive e ai vari materiali. Gli esempi sono numerosi e risalgono al XVIII secolo con le costruzioni in legno, continuando con quelle in pietra artificiale (i famosi Anker) e giungendo fino al XX secolo con le costruzioni in ferro e in cemento armato. Gli esempi vengono presentati agli studenti in modo sequenziale, spiegati e commentati per guidarli nella costruzione di un percorso storico. Questo approccio si basa sulla cultura storica e architettonica già acquisita dagli studenti. Per quello che riguarda l’ambito dell’architettura più vicino alla composizione volumetrica, che si sovrappone più alle arti plastiche che all’ingegneria, i giocattoli hanno una narrativa che si avvicina molto alla narrativa artistica. Anche se, per esempio, i sistemi costruttivi composti da volumi semplici (ricordiamo i cubi di John Locke nel XVII secolo o ancora i gifts di Froebel) possono essere utilizzati per composizioni libere, in verità sono oggetti che seguono un uso molto disciplinato e organizzato. Ne sono una prova i manuali di Froebel che accompagnano il suo modello pedagogico ma anche le molte istruzioni utili come riferimento per i sistemi di costruzione. La società Anker, fondata alla fine del XIX secolo, vantava persino un ufficio interno con architetti incaricati di redigere istruzioni dettagliate per consentire la costruzione di modelli specifici [Fig. 9]. In questo contesto, il paradigma educativo e didattico delle arti, in particolare dell’architettura, conserva una certa libertà, ma al contempo rimane saldamente ancorato al sistema Beaux Arts, con un’accentuata enfasi sulla copia e sul rispetto delle regole compositive basate su modelli preesistenti. Con l’avvento delle avanguardie, la tanto desiderata liberazione compositiva, come anticipato da André Breton, si estende anche al mondo dei giocattoli. Proprio Breton, cresciuto in un ambiente borghese con giocattoli vittoriani che replicano la vita e la tecnologia degli adulti, rifiuta questo tipo di oggetti, invocando piuttosto la liberazione della creatività.

I solidi di Froebel si colorano e si riconfigurano in forme più libere (ma non casuali) con Alma Siedhoff-Buscher nel Bauhaus. I giochi che un tempo rispettavano le forme, i materiali e le proporzioni della vita adulta perdono questo vincolo con i futuristi o con i neoplasticisti. La libertà diventa la parola d’ordine associata al gioco, ottenendo un rinnovato status educativo e una condizione cognitiva e artistica a parte, grazie ai nuovi oggetti. Qui la ricerca, la raccolta e l’opera letteraria di Juan Bordes evidenziano inequivocabilmente una relazione diretta tra le avanguardie e i processi educativi, inclusi i giocattoli, che le hanno precedute basandosi sui loro principi. L’inizio del XX secolo apre le porte a una cultura artistica e creativa che continua a influenzarci oggi, con una serie di giocattoli concepiti appositamente per creare le condizioni ludiche necessarie per l’attività artistica. Il XX secolo crede nell’importanza della libertà creativa come valore educativo, Amy Ogata scrive: “I argue that creativity was mythologized and commodified, and that it acquired a primary place in the discourse of postwar exceptionalism that has been sustained into the twenty-first century” (Ogata 2013, 11).

10 | I blocchi di John Lloyd Wright.
11 | I blocchi di Latislav Sutnar.
12 | I blocchi di Bruno Taut.

In questa fase del corso, vengono presentati i più significativi e affascinanti esempi di giocattoli di architettura del XX secolo, iniziando con i giochi di John Lloyd Wright, noto principalmente per i suoi giocattoli piuttosto che per la sua architettura (nonostante fosse figlio di Frank Lloyd Wright). Tra i suoi sistemi costruttivi, spiccano i Lincoln Logs del 1925, ancora oggi in produzione e basati sull’idea americana della casa di tronchi, e i Wright Blocks del 1916 [Fig. 10], più interessanti e moderni ma purtroppo meno fortunati commercialmente. Il Bauhaus e i suoi giocattoli occupano un ruolo di rilievo per la loro ricchezza e la loro stretta relazione con la struttura del corso e gli autori coinvolti. La scuola di Dessau rappresenta un periodo e uno spazio felice per molti dei suoi professori, che all’epoca sono anche giovani genitori con figli piccoli. Qui hanno l’opportunità di sperimentare con giocattoli, marionette, arredi e altro ancora. Poi i neoplasticisti, come Gerrit Thomas Rietveld e Ko Verzuu, ma anche il ceco Ladislav Sutnar, autore, tra altre cose, del bellissimo gioco City Blocks [Fig. 11], una specie di sintesi cromatica e volumetrica della città industriale. Un caso di alta coerenza tra ideologia, tecnologia e forma è anche il giocattolo Dandanah [Fig. 12], disegnato da Bruno Taut nel 1919, che sembra essere una vera lezione ludica sull’architettura del vetro e del colore, tema molto caro a Taut. Poi il Magnet Master, gioco di composizione tridimensionale libera e magnetica, prodotto da Arthur Carrara nel 1947 dopo aver tentato, varie volte ma senza successo, di realizzare edifici con componenti strutturali magnetiche. Avvicinandosi al Dopoguerra, la coppia Eames emerge come uno dei pilastri della creatività in tutti i campi artistici. I loro giochi, di varie tipologie e dimensioni, riflettono la loro ricerca tecnologica e formale, che si traduce in aquiloni (di cui Charles era un grande appassionato), strutture leggere, giocattoli e persino case. La loro ricerca nel campo della grafica e della fotografia si materializza nel House of Cards, un gioco di rara bellezza che ancora oggi si distingue per la sua modernità. Poi Bruno Munari con tutta la sua produzione artistica, pedagogica e ludica; Enzo Mari, Fred Bassetti, Roger Limbrick, Chuck Hoberman, Patrick Rylands o Ken Garland, tra i molti altri.

Numerosi sono gli esempi presentati nel corso, alcuni dei quali ben noti nel campo dell’architettura, del design o delle arti, mentre altri sono meno conosciuti o addirittura anonimi. Tuttavia, ciascuno di essi rappresenta in qualche modo una tipologia di giocattolo che è difficile definire in modo esaustivo. Il corso, progressivamente, traccia un percorso che permette non solo di comprendere ciò che è stato mostrato, ma anche di riconoscere, in altri esempi, il tipo di giocattolo e il suo vero valore educativo nel campo della creazione artistica.

L’esercizio

13 | Il lavoro di Monica Dias.
14 | Il lavoro di Pietro Alfano e Gabor Houchard.

Questo inquadramento si riflette nei lavori degli studenti che, nella seconda parte del semestre, si dedicano al progetto di un giocattolo. Questo ciclo si ripete da dodici anni, allo stesso tempo sempre uguale e sempre diverso. La richiesta del corso è semplice: un prototipo funzionante (in scala reale), istruzioni (se necessarie) e packaging. La curva dell’entusiasmo segue una forma a U: elevata all’inizio, scende ai primi confronti e difficoltà, per poi risalire nuovamente fino al momento della consegna del lavoro. Dopo dodici anni di corso e varie centinaia di alunni, i risultati sono oltremodo interessanti. La natura della richiesta progettuale impone di ritornare sui temi fondamentali dell’architettura, studiarli, sintetizzarli e semplificarli per poi inserirli in un giocattolo o in un gioco. Ciò significa ripercorrere le narrazioni storiche della cultura architettonica sotto una nuova prospettiva, una tra le infinite chiavi di lettura possibili e sempre nuove che possono essere adottate.

15 | Il lavoro di Piera Ponce.
16 | Il lavoro di Júlia Verri e di Lennard Flörke.

I temi dei giocattoli riflettono gli stessi principi dell’architettura, seguendo sempre una scansione vitruviana: la forma, la tecnologia e l’uso. Per ciascun tema, vengono individuati alcuni riferimenti che fanno parte della cultura architettonica e che possono essere isolati e affrontati in modo ludico [Figg. 13, 14, 15, 16, 17, 18]. Molti lavori si focalizzano su un sistema compositivo, sia bidimensionale che tridimensionale. Qui gli studenti comprendono rapidamente la difficile relazione che esiste tra la totale libertà compositiva data da un sistema generico, come potrebbero essere dei cubi tutti uguali, e la necessità di introdurre un vincolo, sia esso linguistico o tecnologico o di forma. Quindi si sviluppano forme, sistemi di incastro, materiali o ancora riferimenti formali per la composizione. Alcuni lavori prendono spunto dalla cultura architettonica investigando un autore e il suo linguaggio oppure un tema programmatico e le sue variazioni. Sono stati sviluppati lavori su alcuni architetti prendendo spunto dalla loro opera: lo spazio in Le Corbusier, la composizione in Palladio, la struttura in Kahn o il colore in Barragan. Per ognuno di questi casi lo studente ha dovuto ripercorrere l’opera dell’autore e tradurre concetti, linguaggi e forme per renderli comprensibili e accessibili in un gioco o in un giocattolo. Lo spazio abitato, la tana, la tenda, la grotta, sono temi molto frequentati, spesso per ragioni autobiografiche. I progetti sono ispirati ai ricordi dell’infanzia, che scaturiscono da sensazioni che vengono risvegliate e che si desidera rivivere. In tutti i casi, la produzione di un prototipo rappresenta una sfida essenziale.

17 | Il lavoro di Jorge Krug, Luana Santos e Miguel Ladeira.
18 | Il lavoro di Beatriz Couto, Elena Gomes e Leonor Silva.

Comprendere la complessità di oggetti che sembrano apparentemente semplici, ricostruirne la produzione e comprendere il loro utilizzo sono passaggi fondamentali per gli architetti che intendono immergersi nella cultura materiale di una società. È bello, dopo dodici anni, vedere ex studenti, ormai impegnati nel mondo professionale e, in alcuni casi, anche famigliare, ritornare da me con rinnovato entusiasmo per ricordare, commentare e rievocare il corso, i suoi protagonisti, autori e temi, come chi guarda un film o legge un libro ma solo dopo aver vissuto anni di vita e di esperienze riesce a coglierne il vero significato e l’importanza per ciò che fa e per ciò che intanto è diventato.

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English abstract

Since 2012, a semester course held at the Faculty of Architecture of the University of Porto has explored the relationship between the ludic condition and artistic design, with particular attention to architectural design. Starting from the study of play, observed from various perspectives and analyzed in its central aspects with the help of specific bibliography, the course is organized into three content blocks titled: actions, spaces, and objects. Each of these blocks possesses epistemological autonomy but is intimately related, within the narrative of the course, to the theme of ludic. This article aims to present this educational structure, revealing part of its complexity and content, and attempting to demonstrate the possibility of considering the design action as a necessarily ludic condition. As one of the cited authors puts it, “All art can thus, in a certain sense, be called play”.

keywords | Architectural toys; Ludic; Art; Design.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Marco Ginoulhiac, Architectural toys – La costruzione ludica dell’architettura. Un’esperienza pedagogica alla Facoltà di Architettura dell’Università di Porto, “La Rivista di Engramma” n. 213, giugno 2024, pp. 39-83 | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.213.0013