La salvezza attraverso il piccolo
Numquid illudes ei quasi avi, aut ligabis eum ancillis tuis?
Libro di Giobbe 40, 24
De modo que de toda esa madera destinada para tallar dioses y gente célebre me puse a fabricar
hormas de zapatos y un surtido completo de animalitos que sirviese de juguetes para los niños.
Arturo Borda, El Loco, III, 5
[...] ἄνθρωπον δέ, ὅπερ εἴπομεν ἔμπροσθεν, θεοῦ τι παίγνιον εἶναι μεμηχανημένον, καὶ ὄντως τοῦτο αὐτοῦ τὸ βέλτιστον γεγονέναι.
Platone, Leggi 803d
La Feria de Alasitas a La Paz
Queste note sono costruite intorno alla Fiera delle Alasitas, considerato come campo privilegiato, vero e proprio locus philosophicus dove le categorie di lavoro/gioco, sacro/profano, infanzia/storia, progettazione/costruzione convergono in modo insolito e ci permettono di comprendere meglio queste opposizioni.
Ogni 24 gennaio, una città – La Paz – e un paese – la Bolivia – si rivelano come un vero Paese dei balocchi di Collodi. La Feria de Alasitas è una festa tradizionale boliviana dove vengono messe in vendita e acquistate miniature diverse, realizzate artigianalmente, con mattoni, case, auto, cibo, mobili, titoli, denaro: una volta acquistate a mezzogiorno le miniature vengono benedette (Oros 2017). Il fatto di acquistare le miniature è una sorta di ex voto preliminare in quanto include la promessa della loro futura materializzazione. Quindi, una persona è libera di comprare esattamente ciò che desidera. E, tuttavia, non è il desiderio ciò che realmente illumina questa festa.
Così, la Fiera delle Alasitas è, per ricorrere al linguaggio teologico, un vero e proprio “modello in miniatura” dove soteriologia ed escatologia coincidono senza confondersi; un luogo dove tutti i sofisticati dispositivi che popolano il nostro mondo, attraverso un’operazione veramente ontologica, qual è il gioco, sono trasformati in ciò che sono e sono sempre stati: giocattoli. È così che, ancora una volta, gli oggetti del mondo ritornano a godere del loro carattere veramente terreno e questa operazione, che non è altro che una vera e propria profanazione, ci libera temporaneamente dall’incantesimo che ci addormenta. Ma se gli oggetti sofisticati non sono altro che giocattoli, i partecipanti non sono altro che bambini che, rimandando alle parole del Vecchio Ateniese nelle Leggi di Platone, non si distinguono dagli antichi legislatori i quali giocano un gioco perfettamente assimilabile al loro.
Platone, o dell’utilità del giocattolo per gli aspiranti architetti
Nel dialogo le Leggi di Platone si trova un passo importante sul gioco. In questo senso, il Vecchio Ateniese nel I libro del dialogo aveva affermato che qualsiasi persona che voglia diventare maestro della sua arte deve, fin dall’infanzia, praticare “giocando con serio impegno” – παίζοντά τε καὶ σπουδάζοντα (Leggi 643b). Interessante è la congiunzione concettuale di questi due participi in accusativo che sembrano indicarci la natura seria e diligente e, allo stesso tempo leggera, che richiede questo tipo di pratica. Così il Vecchio Ateniese, in un passaggio veramente denso e importante, afferma:
λέγω δή, καί φημι τὸν ὁτιοῦν ἀγαθὸν ἄνδρα μέλλοντα ἔσεσθαι τοῦτο αὐτὸ ἐκ παίδων εὐθὺς μελετᾶν δεῖν, παίζοντά τε καὶ σπουδάζοντα ἐν τοῖς τοῦ πράγματος ἑκάστοις προσήκουσιν. οἷον τὸν μέλλοντα ἀγαθὸν ἔσεσθαι γεωργὸν ἤ τινα οἰκοδόμον, τὸν μὲν οἰκοδομοῦντά τι τῶν παιδείων οἰκοδομημάτων παίζειν χρή, τὸν δ᾽ αὖ γεωργοῦντα, καὶ ὄργανα ἑκατέρῳ σμικρά, τῶν ἀληθινῶν μιμήματα, παρασκευάζειν τὸν τρέφοντααὐτῶν ἑκάτερον, καὶ δὴ καὶ τῶν μαθημάτων ὅσα ἀναγκαῖα προμεμαθηκέναι προμανθάνειν, οἷον τέκτοναμετρεῖν ἢ σταθμᾶσθαι καὶ πολεμικὸν ἱππεύειν παίζοντα ἤ τι τῶν τοιούτων ἄλλο ποιοῦντα, καὶ πειρᾶσθαι διὰτῶν παιδιῶν ἐκεῖσε τρέπειν τὰς ἡδονὰς καὶ ἐπιθυμίας τῶν παίδων, οἷ ἀφικομένους αὐτοὺς δεῖ τέλος ἔχειν. κεφάλαιον δὴ παιδείας λέγομεν τὴν ὀρθὴν τροφήν, ἣ τοῦ παίζοντος τὴν ψυχὴν εἰς ἔρωτα μάλιστα ἄξειτούτου ὃ δεήσει γενόμενον ἄνδρ᾽ αὐτὸν τέλειον εἶναι τῆς τοῦ πράγματος ἀρετῆς (643b–d).
Sostengo che un uomo che voglia diventare bravo in ogni campo, deve impegnarsi fin dalla prima infanzia, giocando con serio impegno, in ciascuna delle specifiche azioni della sua arte. Ad esempio se uno ambisce a diventare un bravo contadino o un bravo architetto, è utile che l’architetto giochi alle costruzioni, mentre il primo che giochi a fare l’agricoltore, e bisogna anche che il pedagogo fornisca ad ambedue degli strumenti in miniatura, ma del tutto simili a quelli veri, e poi che dispensi i rudimenti delle loro arti perché li imparino al più presto. Così, all’aspirante capomastro dovrà insegnare a fare rilievi e misure […]. Insomma, dovrà cercare di indirizzare attraverso il gioco i gusti e le predisposizione dei ragazzi verso gli obiettivi che dovranno conseguire […]. In sintesi, noi riteniamo che il fondamento dell’educazione consista in una formazione equilibrata, la quale, usando come strumento il gioco, in prospettiva conduca l’anima dell’adolescente soprattutto verso l’amore di quelle abilità tecniche di cui, quando si sarà fatto adulto, dovrà avere piena padronanza.
Da questo passaggio deriva l’idea di una qualità mimetica dei giocattoli, anche se Platone non fa riferimento specifico a ‘giocattoli’, ma letteralmente a “strumenti in miniatura” (ὄργανα [ἑκατέρῳ] σμικρά) che sono “imitazioni degli strumenti veri” (τῶν ἀληθινῶν μιμήματα). Si tratta di modelli ridotti di ciò che rappresentano, ma proprio per questo, e dato che si trovano in relazione con la sfera del gioco (παιδείων), sono una specie di giocattoli. Nel passo non troviamo un termine preciso che designi il ‘giocattolo’: la parola che Platone usa per definire i giocattoli è παίγνιον, ‘cosa da gioco’, e d’altra parte il termine θαῦμα a cui ricorre in Leggi per parlare degli uomini come “giocattoli degli dei” (644d) – marionette – potrebbe essere tradotto come ‘meraviglia’ o ‘cosa meravigliosa’, un termine al quale si relaziona la parola ἄθυρμα (Pfefferkorn 2020, 252-269).
Interessante nella definizione platonica di ‘giocattolo’ è il fatto che richiama un significato poetico di questi oggetti: i giocattoli, infatti, come la pittura o la poesia, sono una forma di imitazione della realtà. È celebre il passaggio in cui Socrate/Platone attacca severamente i “poeti mimetici” (μιμητικὸν ποιητὴν) in quanto fabbricanti di εἴδωλα εἰδωλοποιοῦντα, “immagini di immagini” (Repubblica 605a–c). Ma nelle Leggi il personaggio del Vecchio Ateniese sembra non solo tollerare ma ammettere questa particolare pratica mimetica. Quel che conta nel passaggio dell’ultimo dialogo di Platone è la funzione civica e politica che hanno quegli “strumenti piccoli” nell’educazione dei bambini e in particolare, per quel che qui ci interessa, per quei bambini che da grandi saranno architetti: i giocattoli sono gli oggetti attraverso i quali il bambino si appropria o, per meglio dire, interpreta e reinterpreta la realtà e, poco a poco, mentre “gioca seriamente”, diventa maestro della sua arte e della sua stessa vita.
L’idea platonica sembra ripresa, almeno in parte, dallo psicologo Karl Groos che già nel suo Il gioco degli animali del 1896 – un testo che Jean Piaget leggerà con attenzione – definirà il gioco come un’operazione preparatoria per la vita adulta e l’infanzia come una forma di rapida rievocazione della storia evolutiva dell’umanità (Groos [1896] 1898). Tuttavia, il gioco, per Groos, non è una pura mimesi, poiché il suo fondamento si trova in una manifestazione di diversi istinti e “forze eccedenti” del bambino. A seguire, per Piaget le operazioni superiori dell’uomo – al contrario di quanto asserisce Groos (e, prima, Cicerone in De officiis I, 26) – possono essere assimilate a un paradigma squisitamente ludico. Nel suo volume La formazione del simbolo nel bambino: imitazione, gioco e sogno: immagine e rappresentazione, Piaget scrive:
Ma, presentato così, il criterio si riconduce al precedente: il gioco è un'assimilazione del reale all'io, a differenza del pensiero "serio" che pone in equilibrio il processo assimilatore con un accomodamento agli altri e alle cose (Piaget [1945] 1991, 215).
Nel successivo Il Gioco degli uomini del 1899, Karl Groos, nel capitolo sul valore educativo del gioco, afferma che se il gioco lascia nel bambino sogni e un eccesso di immaginazione è tuttavia importante l'applicazione a occupazioni utili [Groos [1899] 1901]. Groos, citando Platone (per quanto di seconda mano) ha anche in mente il libro di Giovanni Collozza Il Giuoco nella storia della pedagogia, pubblicato nel 1895, dove si può osservare, per inciso, l’entusiasmo dell’autore per le nuove idee di Karl Marx e Herbert Spencer. Nella sezione dedicata a Platone, Colloza cita solo il libro VII delle Leggi e alcuni passaggi della Repubblica, ignorando tutte gli altri riferimenti al gioco nell’opera platonica. In sostanza, per Colloza il gioco può essere giustificato e spiegato grazie alla sua funzione formativa della volontà e delle attitudini morali nel bambino, e il piacere del gioco non è altro che un sottoprodotto di un’operazione con si prefigge di raggiungere un fine pedagogico superiore.
Un altro punto interessante riguardo al passo platonico in esame (Leggi 643b–d) riguarda il termine ‘architetto’. Nella maggior parte delle traduzioni i due termini, sia οἰκοδόμος sia τέκτων sono tradotti come ‘architetto’ (talvolta il secondo come ‘carpentiere’). Οἰκοδόμος potrebbe essere tradotto letteralmente come ‘costruttore di case’ e il secondo termine, τέκτων, come ‘fabbricante’ o ‘artigiano’, cioè la persona in grado di realizzare un’opera con un certo grado di padronanza tecnica. Tuttavia siamo consapevoli che la questione del significato di Οἰκοδόμος e τέκτων è complessa e richiede un’analisi approfondita dei due termini nei dialoghi di Platone. In molti casi, infatti, Οἰκοδόμος si riferisce all’‘architetto’, mentre τέκτων indica colui che possiede l’esperienza pratica, piuttosto che la conoscenza teorica dell’architettura. Dal termine τέκτων, come ben noto, deriva la parola architetto con l’aggiunta del prefisso ἀρχι- che denota la primazia, ma anche la capacità di sovrintendere/comandare dalla fase di progetto all’operazione della costruzione.
Ricordiamo per altro che il lavoro di Gesù, secondo i Vangeli, viene designato con il termine τέκτων, da cui deriva l’idea comune che Gesù fosse un falegname, anche se il termine, come abbiamo visto, fa riferimento piuttosto a un operaio, un artigiano, o genericamente costruttore. Il termine ‘architetto’ nella nostra accezione, compare nella prima lettera ai Corinzi in cui San Paolo scrive: “Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto (ὡς σοφὸς ἀρχιτέκτων) ho posto le fondamenta (θεμέλιον ἔθηκα); altri poi vi costruiranno sopra" (I Cor. 3, 10).
Platone suggerisce un rapporto tra architettura e giocattoli: τὸν μὲν οἰκοδομοῦντά τι τῶν παιδείων οἰκοδομημάτων παίζειν χρή (Leggi 643b), dove il bambino che ambisce a fare l’architetto, per imparare il mestiere, deve giocare al “gioco delle costruzioni”. Potremmo dire che, così come il maestro deve fornire ai bambini strumenti che siano una imitazione in miniatura di quelli veri, è anche la stessa architettura che assimila in sé il paradigma mimetico in duplice senso: l’architetto prima di costruire deve progettare – ovvero simulare – il vero edificio che intende creare. E il vero lavoro dell’architetto – o almeno la prima fase del suo lavoro – non è veramente diverso da quel “gioco delle costruzioni” di cui parla Platone. L’architetto è quindi doppiamente bambino, quando impara il suo mestiere e quando lo esercita, poiché le pietre, le travi, il cemento e la sabbia, lo scalpello e la pala sembrano proprio essere quegli “strumenti in miniatura” di cui parla Platone e che ricompaiono nel suo studio come una riga, una squadra, un compasso o una matita, un computer, una maquette. Come veri giocattoli, come in un gioco, quegli strumenti e quelle architetture in miniatura ci mostrano ciò che ancora non esiste ma che può esistere: la pura potenza che certo non si esaurisce in sé stessa, che promette la sua realizzazione, eppure già esiste, in piccolo, davanti ai nostri occhi.
Possiamo dire che Platone assimila l'attività ludica – infantile per natura – con il divertimento proprio dei saggi anziani che è il ‘gioco delle leggi’: περὶ νόμων παίζοντας παιδιὰν πρεσβυτικὴν σώφρονα (Leggi 685a). A partire da questo passo, si potrebbe affermare che le Leggi di Platone non siano altro che un lungo commento sulla nascita della politica e della filosofia sub specie ludi e, per questo stesso motivo, che tutti i sofisticati dispositivi di una cultura – la lingua, le leggi, il mercato o l’architettura, ecc. – non siano altro che ‘giocattoli’ a disposizione degli uomini.
“Fabri manus architecto pro instrumento est [...]”
Nel Prologo del De re aedificatoria, Leon Battista Alberti propone una definizione del compito dell’architetto – una definizione che è da mettere a confronto con il passaggio già citato delle Leggi:
Sed antequam ultra progrediar, explicandum mihi censeo, quemnam haberi velim architectum. Non enim tignarium adducam fabrum, quem tu summis caeterarum disciplinarum viris compares: fabri enim manus architecto pro instrumento est. Architectum ego hunc fore constituam, qui certa admirabilique ratione et via tum mente animoque diffinire tum et opere absolvere didicerit, quaecunque ex ponderum motu corporumque compactione et coagmentatione dignissimis hominum usibus bellissime commodentur. Quae ut possit, comprehensione et cognitione opus est rerum optimarum et dignissimarum. Itaque huiusmodi erit architectus.
Ma prima di procedere oltre, ritengo sia utile esplicitare che cosa io vorrei si intendesse per architetto. Perché non prenderò in considerazione un carpentiere per poterlo comparare agli esperti più importanti delle altre discipline: il lavoro manuale del carpentiere per l’architetto è come uno strumento. Definirò invece architetto colui che con una ragione e con un metodo preciso e perfetto sappia progettare mentalmente e poi realizzare in opera, attraverso la calibratura dei pesi e la congiunzione e compensazione tra i corpi opere che nel modo migliore rispondano alle esigenze umane. E per poter fare questo gli è necessaria la padronanza e la conoscenza delle migliori e più alte discipline. Questo sarà l’architetto.
Il lavoro del carpentiere (tignarius faber) è strumentale rispetto a quello dell’architectus (fabri enim manus architecto pro instrumento est). E, secondo Alberti, architetto è colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente opere che si adattino nel miglior modo possibile alle più importanti istanze dell’uomo.
Come abbiamo visto, il termine greco τέκτων (artigiano, fabbricante, operaio) poteva, secondo le circostanze, essere usato sia per definire un architetto che per un carpentiere, laddove in Alberti invece abbiamo una definizione diversa: ciò che distingue l'architetto dal carpentiere è la capacità di “progettare razionalmente” o, seguendo più letteralmente il testo latino, “definire secondo la mente e l’anima”. È qui che l'ontologia aristotelica sembra, se non invertirsi, rimanere sospesa. Poiché se ciò che caratterizza qualsiasi artista era la predominanza dell'atto sulla potenza – il vero telos che si incarnava nell’opera – ora il passaggio dalla potenza all'atto sembra lasciare spazio a un momento intermedio, in cui, come i defunti che vivono nella speranza della risurrezione, l’opera “dorme il sonno dei giusti”, in un’unità parziale tra la realtà delle cose e la mente che le concepisce. Questo sonno, o forse sogno – tuttavia, non è altro che la potenza stessa, la quale, pur esaurendosi, si rivela nella mente dell'architetto che “fantasmaticamente” sembra copiarla, come una forma di modello preesistente. Quest'idea – l’architetto che ha in mente una casa prima di costruirla – è collegabile alla concezione, già elaborata dai Domenicani nel XII secolo, di Dio come architetto dell’universo. In questo senso, Tommaso d’Aquino nella Summa Theologia (I, q. 15, a. 2, ad. 2) scrive che, così come Dio “conosce molte cose”, l’architetto (artifex), anche prima della forma materiale della casa, conosce “la forma della casa in quanto progettata da lui stesso” (dum autem intelligit formam domus ut a se speculatam) e, in virtù del fatto che sa di conoscerla, conosce l’idea o il concetto di casa”. Su un piano generale, Tommaso definisce una sorta di teoria mimetica della mente divina. Infatti, contrariamente all’idea di un monismo cognitivo, Tommaso difende la molteplicità delle idee, le quali non derivano la loro moltiplicità dalla loro essenza, ma dalla loro somiglianza, che è principio di azione moltiplicatrice. Se dunque, secondo Tommaso, l’architetto è artifex, per Leon Battista Alberti, l’architetto/artefice, a un grado superiore, non è semplicemente un artigiano ma, come Dio, visualizza le cose prima della loro creazione.
In questo senso l’“architettura dei giocattoli” corrisponde perfettamente allo spazio intermedio tra la concezione e la realtà, lo stesso spazio che i moderni videogiochi offrono. Qui, il vero telos dell'architettura – che era diviso tra il progettare e il ‘costruire’ – sembra trovare un nuovo senso e una nuova vita: come gioco e giocattolo allo stesso tempo. Ciò che viene progettato corrisponde, punto per punto, a ciò che viene prodotto e utilizzato. E così gli strumenti mimetici, pur rimanendo tali, sembrano giustificare la vita fantasmatica di un universo che, sebbene esista pienamente, non si esaurisce o, meglio ancora, è senza esaurimento: una sorta di χώρα platonica dove le cose risiedono in se stesse. È così che i principi spaziali e, di conseguenza, ontologici di questa architettura cambiano, poiché i videogiochi sembrano essere immuni dall’idea tomistica della divisione tra essenze e idee. E, in uno strano impeto panteista, i videogiochi sembrano finalmente mostrare la possibilità di un mondo dove esiste un’unità sostanziale tra tutte le cose o, seguendo il teologo panteista medievale David di Dinant, l’idea che “yle mundi est ipse deus”.
Alasitas, o della festa dell’architettura come promessa
Ma torniamo nuovamente alla Fiera delle Alasitas e alla questione del desiderio; come abbiamo suggerito in apertura, non è il puro desiderio/cupiditas il sentimento che illumina questa festa, quanto piuttosto il compimento delle promesse che avviene proprio nel momento della loro esecuzione: è la forza del gioco che, come proiezione della nostra mente e anima, ci permette di visualizzare la promessa futura già materializzata. È un po’ come quando Leon Battista Alberti scrive sulla capacità degli architetti di “progettare razionalmente” ratione [...] et mente diffinire.
Le miniature architettoniche, pazientemente realizzate, non mostrano solo una straordinaria diversità morfologica, ma sono soprattutto veri modelli storici che, come un’immagine del tempo in cui sono concepite, mostrano le potenzialità stesse dell’architettura: la sua pura potenza. In altre parole, queste miniature non sono semplici invenzioni simboliche, ma sono oggetti che, come veri giocattoli, mantengono una funzionalità adattabile alla realtà, senza esaurirsi completamente nella funzione ludica.
La miniaturizzazione, almeno in questo caso, è un'operazione veramente poetica ed è questa la ragione per cui la festa delle Alasitas merita di essere considerata con profondità e ponderazione. Invece la festa è stata per lo più derubricata a un fenomeno di curiosità etnologica e folcloristica, nella peggiore accezione dei termini (v. Alasitas 2011). Non sorprende, quindi, che le pagine più interessanti su questa festa siano state scritte, quasi per caso, da Zavaleta Mercado, in una conferenza del 1961 pubblicata come Notas para una Historia Natural de Bolivia (Mercado [1961] 2011), e da Oscar Cerruto, in un articolo del 1947 intitolato Peana y nimbo de la miniatura popular (Cerruto [1947] 2011). Per Zavaleta Mercado, le Alasitas sono identificate come una miniaturizzazione ironica del mondo e l’Ekeko – personaggio che simboleggia l'abbondanza – non tanto come una divinità quanto come un mito; per Cerruto, il più grande poeta boliviano, invece, le Alasitas sono una vera festa metafisica dove la miniatura, per così dire, trova la sua gloria (il testo di riferimento di Paredes Candia offre una descrizione generale e didascalica della festa ed è tuttavia una delle più importanti raccolte di studi su questa festa popolare: Paredes 1982).
Ma le poche menzioni che troviamo in letteratura non esauriscono tutte le sfaccettature che la festa ci offre. Potremmo leggere invece le Alasitas tenendo a fronte il saggio Infanzia e Storia di Giorgio Agamben: ogni capitolo di questo libro – compreso quello che descrive la fantasmagorica scienza di Walter Benjamin – sembra illuminare un particolare elemento di questa festa.
In questo senso, la formulazione ontologica delle Alasitas apre anche a una prospettiva diversa sulla politica, intesa non come azione strategica di governo dello stato, ma come la piena vita dei cittadini in comunità. Nella Fiera delle Alasitas quello che conta, come nel gioco, è la capacità di formulare una sorta di “finalità senza fine”, e in ciò diventa una sperimentazione del compito della politica che non si esaurisce nella sua realizzazione né nella sua pratica.
E così la festa delle Alasitas trasforma tutto sub quadam aeternitatis specie. Se è lecito proporre un riferimento alto, il richiamo è all’Apocalisse di Giovanni, vertiginosa recapitolazione della storia universale che mette in scena un insieme di simboli, immagini e figure che ci mostrano la storia dal punto di vista di Dio: la cronologia apocalittica mescola eventi già accaduti o che devono ancora accadere senza alcun ordine prestabilito, poiché, dal punto di vista di Dio, la corrispondenza è garantita dalla visione celeste ed eterna delle cose. Ma questa visione corrisponde, punto per punto, a una sorta di miniaturizzazione della storia degli uomini, che consente una sua illuminazione (sul punto si veda Seto 2016 che, citando Claude Lévi-Strauss e Marc Bloch, tratta dei modelli in miniatura nella Cappella Sistina). Non è la liturgia una teatralizzazione, per usare un termine poco prudente, di questo dramma universale? Ma non esiste una vera soteriologia senza escatologia e la salvezza del mondo ha senso solo dal punto di vista dell’eternità e del giudizio, o meglio ancora, il giudizio di tutte le cose ha pieno senso solo dalla redenzione.
Perciò, come ci annuncia l’Apocalisse, arriverà il giorno in cui berremo e canteremo alle Nozze dell’Agnello, e come bambini nell’ultimo giorno, potremo giocare con il serpente incatenato come se fosse un uccellino: come veri bambini giocheremo con tutti gli oggetti del mondo come se fossero nient’altro che meravigliosi giocattoli.
In miniatura è quanto accade, ogni 24 gennaio, a La Paz, alla festa delle Alasitas, con le architetture-giocattolo.
Riferimenti bibliografici
- Agamben 1979
G. Agamben, Infanzia e storia: distruzione dell'esperienza e origine della storia, Torino 1979. - Alasitas 2011
Alasitas universo de deseos, La Paz 2011. - Cerruto [1947] 2018
O. Cerruto, Peana y nimbo de la miniatura popular [1947], ora in O. Cerruto, Artículos, crítica, apuntes, La Paz 2018, 102-104. - Collozza 1895
G. Collozza, Il giuoco nella psicologia e nella pedagogia, Torino 1895. - Groos [1896] 1898
K. Groos, The Play of Animals [ed. or. Die Spiele der Tiere, Jena 1896], transl. by J. Mark Baldwin, New York 1898. - Groos [1899] 1901
K. Groos, The Play of Man [ed. or. Die Spiele der Menschen, Jena 1899], trans. by J. Mark Baldwin, New York 1901. - Oros 2017
V. Oros, Alasitas, Donde Crecen las Illas, La Paz 2017. - Paredes 1982
A. Paredes, Las Alacitas. Fiesta y feria popular de la ciudad de La Paz, La Paz 1982. - Pfefferkorn 2020
J. Pfefferkorn, Shame and virtue in Plato’s Laws: two kinds of fear and the drunken puppet, in Emotions in Plato, ed. L. Candiotto, O. Renaut, Leiden 2020, 252-269. - Piaget [1945] 1991
J. Piaget, Play, La formazione del simbolo nel bambino: imitazione, gioco e sogno: immagine e rappresentazione [ed. or. La formation du symbole chez l'enfant, Neuchâtel 1945], trad. it. di E. Piazza, Firenze 1991. - Seto 2016
J.A. Seto, La representación mediante la miniatura en rituales aymaras: en torno a la Alasita, “Fides et Ratio. Revista de Difusión cultural y científica de la Universidad La Salle en Bolivia” 12 (2016), 101-126. - Zavaleta Mercado [1961] 2011
R. Zavaleta Mercado, Notas para una Historia Natural de Bolivia [1947], ora in R. Zavaleta Mercado: obra completa, ed. M. Souza Crespo, La Paz 2011, 91-92..
The article explores the Alasitas Fair in La Paz, Bolivia, where miniature items are crafted and sold as part of a traditional celebration. This event serves as a philosophical and architectural locus where the interplay of work and play, sacred and profane, design and build, childhood and history converge. In this essay, Prieto frames the Alasitas Fair within the context of Platonic thought and Alberti’s architectural theories. In the first place, emphasizing Plato’s philosophy, it discusses how these miniatures reflect his views on a general theory of play and toys and, in second place, regarding of Leon Battista Alberti’s architectural theories, how the Alasitas contained these theories relating to vision and imagination.
keywords | Alasitas Fair; Miniatures; Toys; Play; Plato; Architectural theory.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: B. Prieto, La salvezza attraverso il piccolo. Note sulla Fiera delle Alasitas e il gioco dell’architettura, “La Rivista di Engramma” n. 213, giugno 2024.