Le fonti antiche sul pesce esoceto
Annalisa Lavoro
English abstract
È del 2023 la notizia del successo dei test effettuati su Exocet MM40 Block 3c, versione recentemente aggiornata del missile antinave prodotto nel secolo scorso da MBDA e adoperato anche dalla Marina Militare argentina nella guerra delle Falklands del 1982 (sul tema, sono accessibili in rete diverse informazioni).
Il missile deve la sua denominazione a un pesce volante della famiglia Exocoetidae, l’Exocoetus volitans, classificato da Linneo tra i pisces abdominales, quei pesci che possiedono due pinne ventrali dietro quelle pettorali (Linneo 1758, 243, 316 e 241).
Il termine exocoetus deriva da ἐξώκοιτος, lett. ‘(che ha) il letto fuori (dal mare)’, da ἔξω ‘fuori’ + κοίτη ‘letto, giaciglio’: con questo nome le fonti antiche indicavano un pesce che, a quanto pare, alternava la sua permanenza tra l’asciutto e l’umido, e la cui identificazione, come vedremo, risulta ancora oggi piuttosto incerta. Non si tratterebbe quindi del pesce classificato da Linneo, che invece come indica l’epiteto volitans è in grado di balzare fuori dall’acqua e compiere dei voli planati, ma non rimane fermo all’asciutto. Nel suo Glossary of Greek fishes D’Arcy Wentworth Thompson distingueva infatti tra χελιδών, ovvero l’exocoetus volitans [Fig. 2], e l’ἐξώκοιτος vero e proprio, che a suo giudizio doveva essere una specie diversa (Thompson 1947, 285-287 e 63-64).
Nel greco bizantino ἐξώκοιτος, con il senso di ‘che dorme fuori’, è riferito invece al monaco che trascorreva la notte fuori dal monastero (cfr. Dimitrakos 1964, 2673 s.v. ἐξώκοιτος: ἐπὶ μοναχῶν διανυκτερευόντων ἔξω τῆς μονῆς, ὁ ἔξω κατακλινόμενος …; s.v. ἐξωκοιτῶ: ἐπὶ μοναχῶν, εἶμαι ἐξώκοιτος, κοιμῶμαι ἔξω; LBG s.v. ἐξώκοιτος: “auswärts schlafend”), mentre nel greco moderno il termine non si è conservato.
Un’indagine che abbia per oggetto la natura e le caratteristiche del pesce esoceto nell’antichità non può prescindere dalla descrizione trasmessa, anche con una certa dovizia di particolari, dalle testimonianze letterarie antiche: Clearco, Teofrasto, Eliano, Oppiano, e in ambito latino Plinio il Vecchio. ἐξώκοιτος può essere confrontato con ἡμεροκοίτης (lett. ‘(che ha) il letto di giorno’, da ἡμέρα ‘giorno’ + κοίτη ‘letto, giaciglio’), nome quest’ultimo che indicava un pesce detto anche νυκτερίς, di cui fa menzione Oppiano (Hal. II 199, 224): sia per ἐξώκοιτος, sia per ἡμεροκοίτης si tratta di una denominazione che deriva dai comportamenti e dalle abitudini adottate dai due pesci (su questo cfr. Vergados 2021, 194 ss.).
L’altro nome che gli antichi Greci riferivano all’esoceto era ἄδωνις, come ricordano, eccetto Teofrasto, le fonti sopra menzionate, ma anche Esichio α 1229 Cunningham: ἄδωνις· ἰχθὺς θαλάσσιος οὗ μνημονεύει Κλέαρχος; ε 3991 Cunningham: ἐξώκοιτος· εἶδος ἰχθύος, <ὁ> καὶ ἄδωνις e gli scoli a Eliano, NA IX 36, pp. 109-110 Meliadò (cod. z = Vat. gr. 1852, f. 88r) ‹ἄδωνιν›· ἄδωνις ὄνομα ἰχθύος, ὃς οὕτως ὠνόμασθη ἐπεὶ τὴν γῆν ἔχει φίλην καὶ τὴν θάλασσαν, ὥσπερ ὁ Ἄδωνις ὁ τοῦ Κινύρου παῖς δύο εἶχεν ἐρωμένας θεάς, τὴν μὲν ὑπὸ γῆν οὖσαν, τὴν δὲ ἄνω γῆς. Questo ben si comprende, secondo quanto spiegano Eliano e gli scoli ad l., alla luce del parallelismo con la figura del figlio di Cinira, Adone, il giovane che a motivo della sua straordinaria bellezza era conteso tra Persefone e Afrodite, e che quindi trascorreva la sua esistenza alternativamente sulla terra e tra gli Inferi. Proprio come il bell’Adone, l’esoceto godeva di due ricetti, che in questo caso si alternavano secondo ritmi giornalieri e non semestrali. Il richiamo a una figura nota della mitologia aveva la funzione di imprimere nella memoria un ricordo più definito di questo pesce (cfr. Humar 2024, 189).
È abbastanza dettagliata la descrizione che fa il peripatetico Clearco, a noi nota per tradizione indiretta grazie ai Deipnosofisti di Ateneo di Naucrati che, quando parla di pesci, si richiama più volte al filosofo (Ath. I 4a; III 116d-e; VII 285c-d, 317a-c; VIII 344c, 345d-e, 347f-348a; XII 518c. Si noti che a VII 317b-c Clearco cita i polpi che si spostano all’asciutto). Ateneo tratta di pesci in particolare nel VI e, soprattutto, nel VII libro, dove è approntato un catalogo ittiologico in ordine alfabetico (cfr. Louyest 2009, con una tavola sui pesci alle pagine 345-350); ma è nell’VIII libro, tra i mirabilia sui pesci, che Ateneo cita il frammento sull’esoceto (101 Wehrli = 106A Dorandi) e lo attribuisce all’opera di Clearco intitolata Περὶ τῶν ἐνύδρων. Il testo che segue è quello dell’edizione di Tiziano Dorandi (in Dorandi, White 2022); l’apparato critico, che tiene conto delle edizioni di Dorandi e di Olson, è frutto del mio spoglio dei manoscritti da riproduzioni digitali:
ὁ ἐξώκοιτος ἰχθύς, ὃν ἔνιοι καλοῦσιν ἄδωνιν, τοὔνομα μὲν εἴληφε διὰ τὸ πολλάκις τὰς ἀναπαύσεις ἔξω τοῦ ὑγροῦ ποιεῖσθαι. ἐστὶ δὲ ὑπόπυρρος καὶ ἀπὸ τῶν βραγχίων ἑκατέρωθεν τοῦ σώματος μέχρι τῆς κέρκου μίαν ἔχει διηνεκῆ λευκὴν ῥάβδον. ἐστὶ δὲ στρογγύλος ἀλλ᾿ οὐ πλατὺς ὢν κατὰ τὸ μέγεθος ἴσος ἐστὶ τοῖς παραιγιαλίταις κεστρινίσκοις. οὗτοι δ᾿ εἰσὶν ὀκταδάκτυλοι μάλιστα τὸ μῆκος. τὸ δὲ σύνολον ὁμοιότατός ἐστι τῷ καλουμένῳ τράγῳ ἰχθυδίῳ πλὴν τοῦ ὑπὸ τὸν στόμαχον μέλανος, ὃ καλοῦσι τοῦ τράγου πώγωνα. ἐστὶ δ᾿ ὁ ἐξώκοιτος τῶν πετραίων καὶ βιοτεύει περὶ τοὺς πετρώδεις τόπους καὶ ὅταν ᾖ γαλήνη, συνεξορούσας τῷ κύματι κεῖται ἐπὶ τῶν πετριδίων πολὺν χρόνον ἀναπαυόμενος ἐν τῷ ξηρῷ καὶ μεταστρέφει μὲν ἑαυτὸν πρὸς τὸν ἥλιον. ὅταν δ᾿ ἱκανῶς αὐτῷ τὰ πρὸς τὴν ἀνάπαυσιν ἔχῃ, προσκυλινδεῖται τῷ ὑγρῷ, μέχρι οὗ ἂν πάλιν ὑπολαβὸν αὐτὸν τὸ κῦμα κατενέγκῃ μετὰ τῆς ἀναρροίας εἰς τὴν θάλασσαν. ὅταν δ᾿ ἐγρηγορὼς ἐν τῷ ξηρῷ τύχῃ, φυλάττεται τῶν ὀρνίθων τοὺς παρευδιαστὰς καλουμένους, ὧν ἐστι κηρύλος, τρόχιλος καὶ ὁ τῇ κρεκὶ προσεμφερὴς ἑλωριός· οὗτοι γὰρ ἐν ταῖς εὐδίαις παρὰ τὸ ξηρὸν νεμόμενοι πολλάκις αὐτῷ περιπίπτουσιν, οὓς ὅταν προΐδηται φεύγει πηδῶν καὶ ἀσπαίρων, ἕως ἂν εἰς τὸ ὕδωρ ἀποκυβιστήσῃ.
(Ath. VIII 332c-e: Dorandi, White 2022, 226-228).
ὁ ἐξώκοιτος CE] ὁ om. A | ἔνιοι om. B | ἄδωνιν] ἅδ- A, Kaibel | σώματος] στόματος Csl Esl | κέρκης CE | post ἴσος habent ἐστι A Kaibel, del. Olson, struct. mut. CE | παραιγιαλίταις κεστρινίσκοις] παραιγιαλίσκοις B | θάλατταν Olson | παρευδιστὰς ACE, -αὶ (struct. mut.) lemma marg. in A, παρευδιαστὰς anon. apud Dalechamps | ἑλωριός sive ἐλωριός Tsantsanoglou, ἑλώριος (ε- A) ACE, ἐρῳδιός Wilamowitz, Kaibel | ἀποκυβιστήσῃ CE Wehrli 1969, Peppink, Olson in Epit. (vol. IIIA, p. 367), ἀποκυμβήσῃ A, Kaibel, Wehrli 1948, ἀποκολυμβήσῃ Rees, Marchiori, Olson.
Il pesce esoceto, che taluni chiamano adone, ha assunto il nome dal fatto che spesso va a riposarsi fuori dall’acqua. È rossastro e su ciascun lato del corpo, dalle branchie alla coda, ha un’unica striscia bianca continua. È di forma sferica ma non è largo, dato che per grandezza è simile ai piccoli muggini che stanno vicino la spiaggia: questi ultimi sono lunghi all’incirca otto dita. Nell’insieme è molto simile al pesciolino cosiddetto tragos, tranne per una chiazza nera sotto la gola, che chiamano barba del capro. L’esoceto è un pesce di scoglio e vive in ambienti rocciosi; e quando c’è il mare calmo, balza fuori insieme all’onda e giace sulle rocce per lungo tempo, riposando all’asciutto e volgendosi verso il sole. Dopo essersi riposato abbastanza, rotola verso l’acqua, fino a quando l’onda lo riprende e insieme al riflusso lo riporta in mare. Quando sta vigile all’asciutto, si tiene lontano, tra gli uccelli, dai cosiddetti pareudiasti, tra cui il kerylos, il trochilos e l’elorios, uccello simile al crex. Questi infatti, poiché durante le belle giornate si nutrono nei pressi del bagnasciuga, lo incontrano spesso, e quando li avvista fugge balzando e dimenandosi finché non riesce a tuffarsi in acqua.
Da questa descrizione apprendiamo quindi che l’esoceto è così chiamato dalla sua permanenza ἔξω τοῦ ὑγροῦ, è un pesce di forma tondeggiante, di colore rossastro, con due bande laterali bianche, di grandezza non superiore a otto dita come i muggini e simile al tragos, eccetto per una chiazza nera; e che con un balzo, quando il mare è calmo, si trasferisce all’asciutto, dove prende il sole finché, rotolando, è fagocitato dall’onda che lo riporta in mare; in secondo luogo, apprendiamo che mentre si trova all’asciutto l’esoceto talvolta fugge e si tuffa in mare per schivare gli uccelli portatori del bel tempo, i παρευδιασταί. Se quest’ultimo termine (cfr. Thompson 1936, 221; Marchiori in Canfora 2001, II, 815, n. 3; Arnott 2007, 245), che troviamo solo qui, è corretto, esso si riferisce a varie specie di uccelli acquatici, la cui identificazione però non è certa: il κηρύλος sarebbe forse il martin pescatore (Alcedo atthis: Arnott 2007, 139-140 e Hellmann 2022, 570: diversamente Thompson 1936, 139-140); il τρόχιλος, forse, una specie di piovanello (Calidris alba: Arnott 2007, 361, nr. 2 e Hellmann 2022, 570-71); ἑλωριός (ἑλώριος secondo la lezione dei mss.), non attestato altrove, potrebbe indicare un cigno (Thompson 1936, 95 s.v. ἑλώριος) oppure un airone, se si accetta la correzione ἐρῳδιός di Wilamowitz, oppure la proposta di Tsantsanoglou (1984, 54-55) di collegare il termine tramandato alla glossa di Phot. ε 678 Theodoridis ἐλωρεύς· ὁ ἑρῳδιός, ma forse non è lontano dal vero il parere di Arnott (2007, 98), che mantiene ἑλώριος suggerendo una possibile connessione con ἕλος (‘palude’) e l’identificazione con l’avocetta. Per il κρέξ, infine, si è pensato al Rallus crex o al Machetes pugnax (LSJ s.v.), oppure all’Himantopus rufipes (cfr. Thompson 1895, 103 e 1936, 177), alla Grus virgo (cfr. Thompson 1936, 177) o all’Himantopus himantopus, ossia il cavaliere d’Italia (Arnott 2007, 178-179 e Hellmann 2022, 571).
Uno degli aspetti su cui desidero soffermarmi è il verbo usato da Clearco per indicare l’atto con cui l’esoceto si rituffa in mare per sfuggire a questi uccelli. La lezione ἀποκυβιστήσῃ (da ἀποκυβιστάω) accolta a testo da Dorandi e prima ancora da Wehrli nella sua seconda edizione di Clearco (1969, 38) è nei due manoscritti di età umanistica, C (Paris, Bibliothèque nationale de France, Parisinus suppl. gr. 841) ed E (Firenze, Biblioteca Laurenziana, Laurentianus plut. LX.2), che trasmettono la versione epitomata dell’opera del Naucratita. Si tratta di un verbo raro che comunque gode dell’autorità di Fozio, il quale spiega ἀποκυβιστᾶν come ‘balzare e girarsi’ e aggiunge che “chi fa acrobazie compie una rotazione” (α 2533 Theodoridis ἀποκυβιστᾶν· οἷον ἀποπηδᾶν καὶ στρέφεσθαι· οἱ γὰρ κυβιστῶντες στρέφονται). Il lessicografo propone anche un secondo significato, questa volta traslato, di ‘voltarsi indietro di fronte a qualcosa, rifiutare’ e cita come esempio un passo dai Persiani di Ferecrate (136 K.-A. ἀποκυβιστᾷς τὴν δόσιν, “rifiuti il dono”): chiaramente non pertinente nel nostro caso, ma la presenza in Ferecrate dimostra che il verbo era noto già in epoca classica. D’altra parte il verbo semplice κυβιστάω nell’Iliade è riferito al guizzare dei pesci nelle correnti dello Scamandro, ribollenti a causa del fuoco di Efesto (Il. XXI 354 οἳ [scil. ἰχθύες] κατὰ καλὰ ῥέεθρα κυβίστων ἔνθα καὶ ἔνθα (“che lungo le belle correnti guizzavano qua e là”). Erodiano (Part. 73, 12-13 Boissonade), a sua volta, associa la forma contratta κυβιστῶ a κολυμβῶ (‘tuffarsi a capofitto, nuotare’), dunque in linea con un’azione che un pesce è in grado di compiere. Si può osservare che nel De natura animalium (I, 5, 10) Eliano dice del delfino che ἀναπηδᾷ καὶ κυβιστᾷ. In Clearco (e, come vedremo, anche in Eliano) πηδάω è proprio il verbo usato per definire il balzo dell’esoceto per rientrare in acqua.
La tradizione plenior di Ateneo, risalente al codice Venetus Marcianus gr. Z 447 (coll. 820, Venezia, Bibl. Marciana, siglum A, fine IX – inizio X sec. d.C.), ha invece ἀποκυμβήσῃ, da ἀποκυμβάω, verbo non altrimenti noto. Se si tratta di un errore e ἀποκυβιστήσῃ di CE è la lezione corretta, si potrebbe tentare di spiegarlo come una sorta di aplografia favorita dalla pronuncia iotacistica (ἀποκυβ-ισ-τ-ήσ-ῃ> ἀποκυβήσῃ > ἀποκυμβήσῃ per la somiglianza tra β e μ nella minuscola antica). Ma non è escluso che sia invece proprio ἀποκυμβήσῃ la forma corretta (adottata inizialmente da Wehrli nell’edizione del 1948, 36): secondo Rees (1956, 199) sarebbe infatti da collegare a κύμβη (‘testa’, cfr. LSJ s.v. κύμβη 2) e κύμβαχος (‘a testa in giù’), quindi il verbo dovrebbe significare ‘gettarsi a capofitto’. Rees tuttavia ritiene che κυβιστᾶν e i suoi derivati, che implicano l’idea di “performing a tumbling-act”, non siano appropriati al contesto, e propone quindi la congettura ἀποκολυμβήσῃ: essa è stata accolta nel testo critico dell’ultimo editore di Ateneo, Olson (2020, 4), il quale mantiene invece ἀποκυβιστήσῃ limitatamente al testo dell’Epitome, e prima ancora da Marchiori (in Canfora 2001, 815, n. 4), secondo cui ἀποκυβιστήσῃ è “un errore meccanico di trascrizione” da ἀποκολυμβήσῃ. Il verbo ἀποκολυμβάω significa ‘dive and swim away’ (LSJ s.v.) ed è adoperato, in particolare, in riferimento a persone che si tuffano e nuotano. In Tucidide IV 25, 4, ad esempio, si racconta che durante la guerra del Peloponneso, quando le operazioni militari si spostarono in Occidente, gli Ateniesi e i Reggini nello scontro con i Siracusani e i loro alleati persero una nave; a quel punto gli uomini a bordo furono costretti a gettarsi in mare e ad allontanarsi a nuoto (τῶν ἀνδρῶν ἀποκολυμβησάντων); cfr. anche Diod. XIII 16, 3.
In realtà, secondo quanto si è già osservato, ἀποκυβιστήσῃ ha valide ragioni per essere accolto, e una congettura non appare necessaria. Dal momento però che è tramandato dai codici della versione epitomata, non si può neanche scartare del tutto l’ipotesi che sia frutto di un’interpretazione dell’Epitomatore, che ha reso in questo modo un verbo non altrimenti noto (ἀποκυμβήσῃ) che trovava nel suo esemplare. La scelta di Dorandi (e di Wehrli 1969) appare in generale la più prudente, ma è forse opportuno lasciare un certo margine di dubbio. Considerando che κύμβη può significare anche ‘barca’ (LSJ s.v. κύμβη 1), ἀποκυμβάω potrebbe avere il senso etimologico di ‘gettarsi a mare da una barca’, un’azione come quella appena descritta nel passo di Tucidide, dove lo storico ricorre al verbo ἀποκολυμβάω. ἀποκυμβάω quindi sarebbe un suo sinonimo, che nel nostro caso potrebbe tranquillamente indicare l’azione dell’esoceto di gettarsi in mare, non da una nave, ma dallo scoglio.
Tornando alla natura dell’esoceto, esso sarebbe in buona sostanza un pesce anfibio che riesce a sopravvivere in assenza dell’elemento acquatico, secondo quanto sostiene anche Teofrasto nel Περὶ ἰχθύων. Parlando di pesci che possono vivere anche senza acqua, Teofrasto afferma che l’esoceto partecipa di una doppia natura, sempre che quanto si dice sia vero (θαυμασιώτατον δὲ, εἴπερ ἀληθές, τὸ τοῦ ἐξωκοίτου καλουμένου). Poco persuaso della natura e delle capacità dell’esoceto, ci informa che esso respira l’aria e assume l’acqua del mare, ed è in grado di vivere in entrambi i modi, a differenza del delfino che per natura respira aria, mentre assume l’acqua di mare e la espelle solo al bisogno:
θαυμασιώτατον δέ, εἴπερ ἀληθές, τὸ τοῦ ἐξωκοίτου καλουμένου· τοῦτον γάρ φασιν ὁσημέραι ποιεῖσθαι τὴν κοίτην ἐν τῇ γῇ, διὸ καὶ τοὔνομα εἰληφέναι. φαίνεται δ’ οὖν, εἴπερ δύναται δρᾶν, ἐπαμφοτερίζειν, οὐ τῇ τροφῇ καὶ τῇ διαγωγῇ καθάπερ ἡ φώκη καὶ ἐμὺς καὶ ἕτερ’ ἄττα, καὶ τῶν ὀρνίθων δὲ πολλοί, ἀλλὰ καὶ τῷ δέχεσθαι καὶ τὸν ἀέρα καὶ τὴν θάλατταν, οὐχ οὕτως ὥσπερ ὁ δελφὶς καὶ ἕτερ’ ἄττα, φύσει μὲν [οὖν] ὄντα ἀναπνευστικὰ καὶ τὴν θάλατταν δεχόμενα καὶ ἀναφυσῶντα πρὸς τὴν χρείαν, ἀλλ’ ἀμφότερα πρὸς τὴν τοῦ ζῆν διαμονήν. ἄτοπος δ’ ἂν ‹αὐ›τοῖς ἡ φύσις καὶ ἡ δύναμις εἴη.
(Sharples 1992, 360, 3-11 = fr. 171, 1 Wimmer 1862, 213-214; 1866, 455).
Sarebbe oltremodo straordinario, se fosse vero, il caso del cosiddetto esoceto. Dicono infatti che esso ogni giorno va a dormire sulla terra e che da questo ha preso anche il nome. Sembra dunque, se è in grado di farlo, che abbia una doppia natura, non (solo) riguardo al nutrirsi e all’ambiente in cui vive, come la foca, la tartaruga d’acqua e altri animali del genere, e molti degli uccelli, ma anche perché assume sia l’aria che l’acqua, e non come il delfino e altre specie simili, che per natura respirano, ma assumono acqua di mare e la espellono secondo il bisogno, bensì (fa) entrambe le cose per la conservazione della vita. Sarebbero strane per gli esoceti natura e capacità tali.
Il termine adoperato da Teofrasto è ἐπαμφοτερίζειν, lo stesso verbo riferito da Aristotele (566b 27) ad animali come la foca, che si sposta all’asciutto e lì dorme e partorisce.
Nel De natura animalium (IX 36) Claudio Eliano associa l’esoceto al κεστρεύς (‘muggine’), ma la difficoltà degli antichi nel definirne fisionomia e caratteristiche resta, tanto più che quanto dell’esoceto si legge in Clearco non corrisponderebbe a nessun pesce conosciuto:
Ἦν δὲ ἄρα πέτραις ἠθὰς καὶ ἐν ταύταις νεμόμενος γένος κεστρέως ἰχθῦς, καὶ ἰδεῖν ξανθός ἐστι. διαρρεῖ δὲ ἄρα ὑπὲρ αὐτοῦ διπλοῦν ὄνομα· οἳ μὲν γὰρ ἄδωνιν καλοῦσιν, οἳ δὲ ἐξώκοιτον αὐτόν. ὅταν γάρ τοι τὸ κῦμα ἐν τοῖς ὑπευδίοις καὶ γαληνοῖς πραϋνθῇ, τηνικαῦτα ἑαυτὸν ἐξοκέλλει, τοῦ κύματος ἐποχούμενος τῇ ὁρμῇ, καὶ κατὰ τῶν πετρῶν ἁπλοῖ, καὶ καθεύδει βαθὺν καὶ εἰρηναῖον εὖ μάλα τὸν ὕπνον. καὶ ἐκ μὲν τῶν ἄλλων ἁπάντων ἔνσπονδα ὥς ἐστίν οἱ καλῶς οἶδε, πέφρικε δὲ τοὺς ὄρνιθας ὅσοι θαλάττης ἔντροφοι καί εἰσι καὶ νομίζονται. ἐὰν οὖν ἐκείνων ἐπιφανῇ τις, ὃ δὲ ἀναπάλλεται καὶ πηδᾷ χορείᾳ τινὶ φυσικῇ καὶ ὀρχηστικῇ, ὡς ἂν εἴποις, μάλα ἀπορρήτως, ἔστ’ ἂν ἀπὸ τῆς πέτρας ἐξαλλόμενος εἶτα ἐμπεσὼν τοῖς κύμασι σωθῇ. Ἄδωνιν δὲ θέλουσι λέγειν αὐτόν, ἐπεὶ καὶ γῆν καὶ θάλατταν ἔχει φίλην, τῶν πρώτων ἐμοὶ δοκεῖν θεμένων τὸ ὄνομα αἰνιξαμένων εἰς τὸν τοῦ Κινύρου παιδὸς βίον τὸν διῃρημένον δύο δαίμοσι, τῆς μὲν ὑπὸ γῆς, τῆς δὲ ἄνω γῆς ἐρώσης αὐτοῦ ἑκατέρας.
(García Valdés, Llera Fueyo, Rodríguez-Noriega Guillén 2009, 222, 7-22).
C’è poi un pesce, una specie di muggine, che frequenta abitualmente gli scogli e su di essi si nutre, ed è giallo all’aspetto. Circola su di esso un doppio nome: alcuni lo chiamano adone, altri esoceto. Quando l’onda nei momenti di calma e bonaccia si placa, allora si spinge all’asciutto trasportato dalla spinta dell’onda, si stende sulle rocce e dorme un buon sonno profondo e tranquillo. E sa bene che da parte di tutti gli altri animali c’è una sorta di tregua verso di lui, ma teme gli uccelli che vivono e sono ritenuti vivere nel mare. Se dunque appare qualcuno di questi, si slancia e balza in una maniera straordinaria con quello che si potrebbe definire una sorta di movimento naturale di danza, finché saltando dallo scoglio e cadendo tra le onde non si salva. Lo vogliono definire adone poiché ha a cuore sia la terra sia il mare, avendogli i primi assegnato, a quanto mi sembra, il nome alludendo alla vita del figlio di Cinira che è divisa tra due divinità, dato che lo amano entrambe, una sotto la terra e l’altra sopra.
Dal confronto tra la descrizione di Clearco e quella di Eliano si evidenziano alcuni elementi degni di nota. In entrambi i casi sarebbe l’onda a svolgere un ruolo determinante nel favorire il movimento dell’esoceto verso la terraferma: Clearco asserisce che esso “balza fuori insieme all’onda”, συνεξορούσας τῷ κύματι; a sua volta Eliano afferma che l’esoceto ἐξοκέλλει, τοῦ κύματος ἐποχούμενος τῇ ὁρμῇ (“si spinge all’asciutto, trasportato dalla spinta dell’onda”). Allo stesso modo, secondo Clearco, avviene il rientro in acqua: l’esoceto infatti, dopo essersi rotolato, è riportato in mare dal riflusso dell’onda (μέχρι οὗ ἂν πάλιν ὑπολαβὸν αὐτὸν τὸ κῦμα κατενέγκῃ μετὰ τῆς ἀναρροίας εἰς τὴν θάλατταν). Ma esso metterebbe in atto un guizzo vero e proprio quando dalla terraferma è costretto subitaneamente a rientrare in acqua per la necessità di sottrarsi alla predazione degli uccelli marini, un movimento che Eliano qualifica con la locuzione μάλα ἀπορρήτως (lett. “in maniera proprio impossibile da dire”; ma si potrebbe intendere anche “in gran segreto”, nel senso che balza di nascosto dai predatori). Sia Clearco sia Eliano ricorrono al verbo πηδάω: per Clearco il pesce esoceto balza e si agita (πηδῶν καὶ ἀσπαίρων) fino a quando riesce a tuffarsi in acqua; per Eliano “si slancia e balza” (ἀναπάλλεται καὶ πηδᾷ) per tuffarsi successivamente dallo scoglio (ἀπὸ τῆς πέτρας ἐξαλλόμενος) con un “movimento di danza” (χορείᾳ … ὀρχηστικῇ). Se si prescinde dalle perplessità di Teofrasto circa l’esistenza di un pesce di tale natura, le testimonianze di Clearco e di Eliano porterebbero dunque a concludere che gli antichi ritenevano l’esoceto un pesce in grado di respirare e muoversi all’asciutto, come fa un anfibio, e di balzare e tuffarsi in acqua.
Una descrizione in versi dell’esoceto/adone è negli Halieutiká (I 155-163 Fajen 1999, 16) di Oppiano:
Ἔστι δέ τις πέτρῃσιν ἁλικλύστοισι μεμηλώς,
ξανθὸς ἰδεῖν, κεστρεῦσι φυὴν ἐναλίγκιος ἰχθύς·
τὸν μερόπων ἕτεροι μὲν ἐπικλείουσιν ἄδωνιν,
ἄλλοι δ’ ἐξώκοιτον ἐφήμισαν, οὕνεκα κοίτας
ἐκτὸς ἁλὸς τίθεται, μοῦνος δ’ ἐπὶ χέρσον ἀμείβει,
ὅσσοι γε βράγχη στόματος πτύχας ἀμφὶς ἔχουσιν.
εὖτε γὰρ εὐνήσῃ χαροπῆς ἁλὸς ἔργα γαλήνη,
αὐτὰρ ὅ γ’ ἐσσυμένοισι συνορμηθεὶς ῥοθίοισι
πέτραις ἀμφιταθεὶς ἀμπαύεται εὔδιον ὕπνον.
C’è un pesce che predilige le rocce bagnate dal mare,
di colore giallo, simile nella forma ai muggini;
alcuni degli uomini lo chiamano adone,
altri gli danno il nome di esoceto, perché va a dormire
fuori dall’acqua, il solo che esce sulla terraferma,
tra quanti hanno branchie intorno alle pieghe della bocca.
Quando infatti la bonaccia fa cessare le opere dell’azzurro mare,
esso si muove con i flutti impetuosi,
si distende sulle rocce e dorme un sonno tranquillo.
Qui vengono riaffermati i caratteri principali del pesce descritti nelle altre fonti e ribaditi negli scoli al passo del poeta: l’andare a dormire all’asciutto (v. 163), la doppia denominazione (v. 157 e scholium I 162, Cats Bussemaker 1849, 271b 5-6: ὁ δὴ, ὁ ἐξώκοιτος· οὗτος δὲ, ἤως (sic) ὁ ἄδωνις), la somiglianza con il κεστρεύς (v. 156; ma in Clearco c’è il diminutivo κεστρινίσκος), l’essere trasportato dall’onda, concetto che Oppiano esprime con la forma passiva del verbo συνορμάω (v. 162). Se in Clearco l’esoceto è ὑπόπυρρος e ha una ῥάβδος διηνεκὴς λευκή da ambo i lati, in Eliano e Oppiano non ha bande laterali bianche ma è detto ξανθός (parrebbe che entrambi attingano alla stessa fonte, poiché Eliano dice ἰδεῖν ξανθός ἐστι, Oppiano ξανθὸς ἰδεῖν). Nella visione degli antichi, ὑπόπυρρος e ξανθός non erano percepiti come colori in totale contrapposizione, tanto è vero che ξανθός indicava un giallo con qualche sfumatura di rosso, marrone, ramato (cfr. LSJ s.v.). L’aggettivo era adoperato principalmente in riferimento al colore biondo dorato dei capelli (e.g. Hom. Il., I 197 ξανθῆς δὲ κόμης, Eur. IA 758 ξανθοὺς πλοκάμους), ma poteva riguardare anche altro (cfr. Ath. II 50c ξύλον … ξανθόν, ΧΙ 462e ἄρτοι ξανθοί ecc.). In Eliano e Oppiano, e come vedremo in Manuele Phile, il nome menzionato per primo a identificare questo pesce è ἄδωνις, non ἐξώκοιτος, mentre secondo Clearco l’uso di chiamarlo ἄδωνις era minoritario (ἔνιοι καλοῦσιν ἄδωνιν). In Teofrasto (pressoché coevo di Clearco) è detto solo esoceto.
Al di là della lieve eterogeneità descrittiva delle fonti, si è visto che la testimonianza di Teofrasto fa sorgere qualche perplessità sull’esistenza di un pesce chiamato esoceto o adone. Il dato è ulteriormente rafforzato da quanto si legge nell’anonima parafrasi degli Halieutiká di Oppiano (Cats Bussemaker 1849, 364b, 5-7):
Ὅτι ὁ ὄνος οὕτω καλούμενος ἰχθὺς ξανθός ἐστιν ὅμοιος κεστρεῦσι, καὶ ἐξώκοιτος πέφυκεν ὡς ἀμφίβιος.
Il cosiddetto pesce asino (ὄνος) è giallastro, simile ai muggini ed è per natura un pesce che va dormire fuori come un anfibio.
Risulta evidente che qui si è generata una confusione, dal momento che il colore ξανθός e la somiglianza con i muggini non vengono riferiti all’esoceto com’è nel testo di Oppiano, bensì al pesce ὄνος, mentre il termine ἐξώκοιτος non è stato avvertito come un sostantivo, bensì come un aggettivo predicativo da associare all’ὄνος, che Oppiano aveva nominato poco sopra (v. 151). Che ἐξώκοιτος sia inteso come aggettivo, e non come sostantivo, è confermato da un passo successivo della parafrasi dei vv. 406 ss. del I libro degli Halieutiká (Cats Bussemaker 1849, 364b, 46-48) in cui Oppiano parla delle foche (φῶκαι) che di notte, e talvolta di giorno, si spostano a dormire sugli scogli o sulla sabbia:
Ὅτι αἱ φῶκαι διὰ παντὸς ταῖς νυξὶν ἐξώκοιτοι γίνονται, πολλάκις δὲ καὶ ἐν ἡμέρᾳ ἐν ταῖς πέτραις κοιμῶνται.
Le foche di notte diventano sempre exókoitoi (= vanno [scil. a dormire] fuori dall’acqua), spesso anche di giorno dormono sugli scogli.
E quando a sua volta Eliano afferma che le foche si spostano di notte ‒ ma anche di giorno ‒ per dormire fuori dall’acqua, riferisce una notizia analoga, e lo fa richiamandosi all’auctoritas di Omero (NA IX 50 κνεφαῖαι δὲ αἱ φῶκαι ἐξίασι μᾶλλον· ἤδη μέντοι καὶ μεσημβρίας οὔσης καθεύδουσι τῆς θαλάττης ἔξω. τοῦτό τοι καὶ Ὅμηρος ᾔδει [cfr. Od. IV 448-9]).
Come si evince quindi dai due passi della parafrasi di Oppiano, ἐξώκοιτος (-οι) è adoperato nel senso etimologico del termine, con la funzione di complemento predicativo. Manca cioè l’identificazione di ἐξώκοιτος come pesce, che si rinviene invece nella testimonianza di Oppiano e delle altre fonti esaminate. Alla luce allora di queste considerazioni, è lecito domandarsi se si tratti di ignoranza da parte del commentatore, o se invece, almeno a una certa altezza cronologica, non vi era (o non vi era più) consapevolezza dell’esistenza di un pesce chiamato esoceto, la cui identità sarà stata offuscata dalla natura straordinaria ma anche poco credibile che gli si attribuiva. Anche Esichio, che pure registra il significato di ἐξώκοιτος come εἶδος ἰχθύος (ε 3991), in un’altra glossa fornisce un’interpretazione del termine molto più generica: ε 3994 Cunningham ἐξώκοιτος· ἔξω κοιταζόμενος (cfr. anche schol. Opp. Hal. I 158, Cats Bussemaker 1849, 271a 39: Ἐξώκοιτον· ἔξω κοιμώμενον, ἐξωμονίτην).
Passando all’ambito latino, da Plinio il Vecchio (nat. hist. IX 69-71) apprendiamo che nel Peloponneso, in Arcadia, il pesce esoceto era conosciuto, e che in particolare nei pressi della città di Clitorium si riteneva che esso emettesse suoni e non avesse branchie:
Miratur et Arcadia suum exocoetum, appellatum ab eo, quod in siccum somni causa exeat. Circa Clitorium vocalis hic traditur et sine branchiis; idem aliquis Adonis dictus. Exeunt in terram et qui marini mures vocantur, et polypi et murenae. Quin et in Indiae fluminibus certum genus piscium, quod in terram prosilit ac deinde resilit. Nam in stagna et amnes transeundi plerisque evidens ratio est, ut tutos fetus edant, quia non sint ibi qui devorent partus, fluctusque minus saeviant.
(König, Winkler 1979, 56).
E l’Arcadia prova meraviglia per il suo esoceto, chiamato così per il fatto che esce dall’acqua e va all’asciutto per dormire. Si tramanda che nei pressi di Clitorio questo pesce emetta dei suoni e non abbia branchie, e da alcuni è detto adone. Escono verso la terra anche quelli che sono chiamati topi di mare, polipi e murene ‒ per la verità, anche nei fiumi dell’India, un certo tipo di pesci, che balzano in terra e poi saltano nuovamente in acqua. Infatti è evidente il motivo per cui la maggior parte si sposta negli stagni e nei torrenti, per partorire al sicuro, perché lì non ci sarebbero quelli che divorano i nuovi nati e le onde infuriano di meno.
La notizia circa la mancanza di branchie è isolata e, con tutta probabilità, non veritiera. Come ha fatto notare De Saint Denis (1944, 166-167; 1947, 38), Plinio sarebbe incorso in errore poiché avrebbe condensato due distinte notizie che troviamo in Clearco (cfr. fr. 101 Wehrli = 106A Dorandi, già citato sopra, e fr. 104 W. = 109 Dorandi, entrambi noti dalla testimonianza di Ateneo dove sono riportati uno contiguo all’altro), attribuendo all’esoceto caratteri propri di pesci non altrimenti specificati e descritti nel fr. 104 (apud Ath. VIII 332f):
[…] τινες τῶν ἰχθύων οὐκ ἔχοντες βρόγχον φθέγγονται. τοιοῦτοι δ᾿ εἰσὶν οἱ περὶ Κλείτορα τῆς Ἀρκαδίας ἐν τῷ Λάδωνι καλουμένῳ ποταμῷ. φθέγγονται γὰρ καὶ πολὺν ἦχον ἀποτελοῦσιν.
[…] alcuni pesci, sebbene non siano dotati di trachea, emettono dei suoni: tali sono i pesci intorno a Clitore, in Arcadia, nel fiume chiamato Ladone; emettono per l’appunto dei suoni e producono molto strepito.
Per Saint Denis Plinio avrebbe confuso βρόγχον (‘trachea’, fr. 104 W.) con βράγχιον (‘branchia’). Credo anche che l’errore sarà stato facilitato dalla circostanza per cui l’esoceto era detto così proprio perché usciva dall’acqua e dormiva all’asciutto, respirando aria non mediante le branchie.
In epoca bizantina, l’esoceto è protagonista di una sezione dei Versus iambici ad imperatorem Michaelem Palaeologum de animalium proprietate (versi 1919 ss., ritenuti non autentici dagli editori Lehrs ‒ Dübner); il poemetto è opera di Manuele Phile (XIII-XIV sec.), prolifico poeta d’età paleologa:
[ΠΕΡΙ ΚΕΣΤΡΕΩΣ ΤΟΥ ΚΑΛΟΥΜΕΝΟΥ ΑΔΩΝΙΔΟΣ]
[Ἰχθύς τίς ἐστι τοῦ γένους τῶν κεστρέων,
ἐθὰς νέμεσθαι ἐν πέτραις παραλίαις·
ξανθὸς μὲν ἰδεῖν μελίχροος πέλει.
Ἄδωνιν οἱ μὲν ἴδριες θαλασσίων
καλοῦσιν αὐτὸν μυθικῶς κεκραγότες,
ἄλλοι δὲ ἐξώκοιτον ἐκ τῆς αἰτίας,
ὡς μοῦνος αὐτὸς τῆς ἁλὸς βαίνων ἄπο
πρὸς χέρσον αὐτὴν ἐκτίθησι τὰς κοίτας.
Καὶ γὰρ θ’ ὅταν τὸ κῦμα πραϋνθῇ σάλου,
ἐν τοῖς γαληνοῖς καὶ ὑπευδίοις τόποις
τότ’ οὖν ἑαυτὸν ἐξοκέλλει ἀθρόως,
τούτου τ’ ἐπ’ αὐτῇ τῇ ῥύμῃ ὀχούμενος,
ῥίπτει τὸ σῶμα κατὰ πέτρων εὖ μάλα·
ᾗ καὶ βαθὺν τὸν ὕπνον εὕδει ἡδέως,
πάντων ἀφροντίστως τε τῶν ἄλλων ἔχων,
ἄνευ θαλασσίων γε ὀρνίθων μόνων,
οὓς καὶ δέδοικε καὶ πέφρικεν ἐκτόπως,
εἰδὼς ὅθ’ ἡ θάλασσα αὐτοὺς ἐκτρέφει
ἐκ τῶν ἑαυτῆς δαψιλῶν ἐδεσμάτων.
Τούτων τίς αὐτῷ εἴποτ’ ὀφθεὶς μακρόθεν,
εὐθύς γε πηδᾷ καὶ ἐπάλλεται δίκην
νέου χορευτοῦ ἢ κόρης ὀρχηστρίδος,
σπεύδων παρ’ αὐτῶν τῶν πέτρων ἀποδράσαι,
ὡς ἐμπεσὼν τάχιστα τοῖς κύμασί τε
σώσῃ ἑαυτὸν τῆς βορᾶς τῶν ὀρνέων.]
(Lehrs, Dübner 1846, 46)
SUL MUGILE DETTO ADONE
C’è un pesce del genere dei mugili
abituato a vivere tra gli scogli lungo le coste;
giallo è alla vista, del colore del miele.
Adone gli esperti di mare
lo chiamano parlando per miti,
altri esoceto, per il fatto che
esso è il solo che esce dall’acqua
e sulla terraferma va a dormire.
E infatti quando l’onda si placa dal movimento,
in luoghi calmi e tranquilli
si spinge fuori d’un tratto,
trasportato dall’impeto stesso dell’onda,
si abbandona sugli scogli ben volentieri.
Lì pure dorme piacevolmente un sonno profondo:
se ne sta senza preoccupazioni di ogni altra cosa,
tranne dei soli uccelli marini
di cui ha paura e teme in modo eccezionale,
sapendo che il mare dà loro nutrimento
dai suoi stessi abbondanti alimenti.
Se mai scorge uno di questi da lontano,
subito balza e si butta come
un giovane danzatore o una fanciulla danzatrice
e si affretta a fuggire da quegli scogli,
per gettarsi quanto più rapidamente tra le onde
e salvarsi dal pasto degli uccelli.
Nell’assetto testuale, i versi ricalcano la descrizione di Eliano, poeta a cui Phile è debitore (cfr. ODB 1991, 1651 s.v. “Philes, Manuel”): il lessico ne riecheggia da vicino gli stilemi e opera una connessione tra orizzonti culturali differenti, connotati da una comune curiosità. Si notino in particolare le corrispondenze evidenziate di seguito:
Claudio Eliano
ἠθὰς καὶ ἐν ταύταις νεμόμενος γένος κεστρέως ἰχθῦς
ἰδεῖν ξανθός (cfr. anche sotto, Oppiano)
ἐν τοῖς ὑπευδίοις καὶ γαληνοῖς πραϋνθῇ, τηνικαῦτα ἑαυτὸν ἐξοκέλλει
ἐποχούμενος
καὶ καθεύδει βαθὺν καὶ εἰρηναῖον εὖ μάλα τὸν ὕπνον
πέφρικε
ἀναπάλλεται καὶ πηδᾷ χορείᾳ τινὶ φυσικῇ καὶ ὀρχηστικῇ
Manuele Phile
Ἰχθύς τίς ἐστι τοῦ γένους τῶν κεστρέων, ἐθὰς νέμεσθαι
ξανθὸς μὲν ἰδεῖν
πραϋνθῇ … ἐν τοῖς γαληνοῖς καὶ ὑπευδίοις τόποις τότ’ οὖν ἑαυτὸν ἐξοκέλλει
ὀχούμενος
εὖ μάλα … καὶ βαθὺν τὸν ὕπνον εὕδει
πέφρικεν
πηδᾷ καὶ ἐπάλλεται δίκην νέου χορευτοῦ ἢ κόρης ὀρχηστρίδος
Queste altre corrispondenze lasciano supporre una dipendenza di Phile anche dalla poesia di Oppiano:
Oppiano
ξανθὸς ἰδεῖν
ἄλλοι δ’ ἐξώκοιτον ἐφήμισαν, οὕνεκα κοίτας / ἐκτὸς ἁλὸς τίθεται, μοῦνος δ’ ἐπὶ χέρσον ἀμείβει
Manuele Phile
ξανθὸς μὲν ἰδεῖν
ὡς μοῦνος αὐτὸς τῆς ἁλὸς βαίνων ἄπο / πρὸς χέρσον αὐτὴν ἐκτίθησι τὰς κοίτας
In età umanistica la straordinarietà di questo pesce ha suscitato la curiosità di Niccolò Leonico Tomeo (1456-1531), studioso attivo in ambiente veneto (insegnò a Padova e Venezia) e dagli svariati interessi in ambito filosofico, filologico, esegetico e antiquario (per le notizie biografiche su Tomeo, cfr. De Bellis 1980; Papanicolaou 2004; Russo 2005; Giacomelli 2022, 30-32). Appassionato di classici, fu il primo a Padova a insegnare su testo greco l’autore che predilesse, Aristotele. Ma si avvicinò anche ad altri autori greci e latini che studiò e tradusse. La storia del pesce esoceto che leggeva in Ateneo (fonte da cui dichiara di dipendere) lo colpì per lo stile elegante e accurato, al punto da decidere di renderla fruibile anche a chi non conosceva il greco ma soltanto il latino. Nell’opera intitolata De varia historia libri tres (1531) dedica un intero capitolo del terzo libro al racconto sul pesce esoceto traducendo da Ateneo, e accennando anche a Teofrasto e Plinio il Vecchio (III, 11, 158v-159v: De Exocoeti piscis forma, admirabilique natura Clearchi Solensis, Athenaeo referente historia):
De Exocoeto pisce, qui quoniam in siccum somni causa exeat sic est cognominatus, apud graecos quidem Theophrastus in commentariolo suo, quem de piscibus inscripsit mentionem facit, apud latinos autem in naturali historia Plinius secundus breviter admodum et veluti in transcursu commemorat. Caeterum quoniam ego apud Naucratitem Athenaeum Clearchi Solensis viri in peripatetico dogmate clari et Theophrasti auditoris, hoc de pisce ad verbum transcriptam historiam reperi, quae mihi cum rei ipsius admirandae natura, tum verborum delectu nobilium, et elocutionis serie, accurata admodum visa est et elegans, non ab re igitur in praesentia me facturum existimavi, si quoquomodo possem illam latinam redderem quo nostris hominibus qui graece nescirent pisciculi huius rara admodum et admirabilis natura per me cognita posthac perspectaque facile innotesceret. Sunt autem ipsius Clearchi apud Athenaeum verba ex eius commentario, quem ille de aquatilibus inscripsit, ad hunc fere modum composita. Exocoetus piscis est quem nonnulli Adonidem appellant, ideo sic nominatus quoniam somni causa saepius ex humore in siccum exeat, colore autem est subruffus, et ab ipsis branchiarum initiis ad extremam usque caudam virgulam utrinque albicantem continenter habet. Forma vero est rotunda minimeque expansa, et magnitudine ipsa haud fere absimilis mugilibus iis qui litorei appellantur, quos octonum maxime digitorum longitudinem plane adimplere percaepimus, et ad summam pisci illi perquam similis esse videtur, quem hircum vocant, nisi quod illi ventre supino nigricans quaedam subest macula, quam hirci barbam appellant. Est autem Exocoetus ex saxatilium genere piscium, et circa scopulos fere et lapidosa degit litora, qui pacato tranquilloque mari in summis elatus undis et illarum sensim applausu in nudis expositus cautibus in sicco diutius conquiescit seque ad solis radios subinde convertens immobilis manet. Caeterum posteaquam tantum eo loci quantum sibi satis visum est conquievit rursus mare versum Chilindri more volutatur: donec ad primas delatus undas extremum litus alluentes reciproco illarum abscessu in mare delabitur. Verum dum in siccum quo diximus modo exit litoreas maxime praecavere aves dicitur quae tranquillis praesertim diebus circa summa aequorum ludibundae natant, et secundum extrema litora depascuntur, huiusmodi autem sunt Trochilus, et ea quae Cerylus appellatur, et alia etiam quae Elorius, quas sicubi conspicatus fuerit Exocoetus, non sensim, ut diximus cum nullus subest timor ad marinas volutatur undas, sed crebro festinans saltu in pelagus ocyus sese demergere properat.
Nel volgarizzamento dell’opera del Tomeo (Li tre libri di Nicolo Leonico De varie historie, nuovamente tradotti in buona lingua volgare) che fu stampato nel 1544 a Venezia da Michele Tramezzino, così è tradotto il testo (pp. 110 s.), qui riprodotto secondo le particolarità grafiche dell’originale:
Della forma del pesce Essoceto, e dell’amirabile natura di Clearco Solense, secondo Atheneo.
Questo pesce, perche quando vol dormire esce in seco secondo che dice Teophrasto scrittor Greco, e Plinio Latino, Essoceto è chiamato. Ma perche appresso Athenaeo Naucratite ho trovato una bella historia di lui, che scrive Clearcho Solense, la quale tanto mi piacque si per la natura dell’animale, quanto per il bel stile dell’auttore, che anchora mi piace à maggior satisfattione di tutti riferirla, colle parole che sono in Atheneo di Clearcho ne suoi commentari, che fece de gli animali acquatili, l’Essocetto è quel pesce che altrimenti si chiama Adonide, perche quando vol dormire esce del mare in secco, è come di color rosso, hà dall’estremità delle branche una linea bianca, che si stende fino alla coda, è rotondo, e non tropo largo, non molto maggiore delli mugili del lito, che non passano otto dita di lunghezza, et in forma assimiglia à quel pesce, che si chiama Hirco, se non che non hà quella macchia negra nel ventre, la quale dicono barba di becco; Questo Essoceto è de pesci sassatili, cioè vive attorno de scogli, overo in su i liti sassosi, il quale buttato dall’onde in su le pietre se ne stà volontieri, e tanto maggiormente volto verso al Sole, stando immobile, ma dapoi che è stato riposato quanto li pare involto à guisa di Cilindro, ch’è stromento di Arologo, si gitta nel mare, e con quella un’altra volta batte al lito, e cosi và ritornando, come viene, e và l’onda, il quale quando vede che in su’l lito vi sia uccelli marini, o dicono litorei, come sono Trochili, Cerili et Elorij, che sogliono volare per il lito, o sopra l’onde, tosto si fugge, e si sommerge in quelle.
Se Tomeo vuole tradurre dal greco al latino per consentire agli homines ignari di greco di conoscere una storia tanto ammirevole, lo stesso scopo dobbiamo immaginare per la traduzione (libera) dal latino al volgare. L’espressione di Clearco προσκυλινδεῖται τῷ ὑγρῷ, “rotola verso il mare” (che ci riporta all’idea del cilindro, κύλινδρος) è resa dal Tomeo con la parafrasi mare versum Chilindri more volutatur, e nel volgarizzamento con “involto a guisa di Cilindro”, che pero è riferito erroneamente alla posizione assunta durante il riposo e non al movimento dell’esoceto verso il mare.
Con un significativo balzo in avanti giungiamo a tempi più recenti, in cui non sembra sia possibile definire l’identità dell’esoceto/adone. Thompson (1947, 63) ne esclude l’identificazione col ghiozzo sostenuta da Schneider, né concorda con Cuvier che lo aveva associato alla famiglia dei Blennidi (e così pure Mair 1928, 220, che parla di “Montague’s Blenny”), poiché in entrambi i casi sono dei pesci che difficilmente trascorrono molto tempo fuori dall’acqua “among wet and seaweedy rocks”; per De Saint Denis (1947, 37) si tratterebbe di una sorta “de muge ou de gobie”.
I naturalisti moderni, come si è detto all’inizio, hanno attribuito il nome di exocoetus volitans al pesce volante della famiglia cosiddetta Exocoetidae. Le fonti antiche invece non parlano di un pesce dotato di ali e che ‘vola’: come osserva De Saint Denis, verbi come συνεξορούσας, προσκυλινδεῖται non lasciano intuire l’idea di un volo, ma piuttosto di un rotolamento, agevolato dal movimento delle onde. Del resto, aggiungerei che espressioni come φεύγει πηδῶν καὶ ἀσπαίρων (Clearco), ἀναπάλλεται καὶ πηδᾷ χορείᾳ τινὶ φυσικῇ καὶ ὀρχηστικῇ […] ἀπὸ τῆς πέτρας ἐξαλλόμενος εἶτα ἐμπεσών (Eliano), πηδᾷ καὶ ἐπάλλεται δίκην / νέου χορευτοῦ ἢ κόρης ὀρχηστρίδος, […] ὡς ἐμπεσὼν τάχιστα (M. Phile) suggeriscono un movimento ora di danza aggraziata ora più energico col favore dall’onda, non un volo stricto sensu. L’opinione di Thompson è che col tempo il senso preciso del termine ἐξώκοιτος, forse di origine non greca, si fosse perduto, e che l’etimologia popolare avesse creato una storia immaginaria: da qui deriverebbe l’idea originale di un pesce che va a riposare all’asciutto (Thompson 1947, 63). Tutt’al più, secondo il suo parere, la descrizione di Clearco potrebbe far pensare vagamente a qualche specie straniera di pesce dai colori vivaci (Thompson 1947, 64). Negli anni a seguire Jones (1963, 588), editore Loeb di Plinio, riprende l’idea del Blennius Montagui; in König e Winkler (1979, 173), per la difficoltà di delimitare il campo, sono elencate le possibili alternative che vanno dal ghiozzo di mare (Gobiidae) alla bavosa (Blennidae) e al cefalo (Mugilidae). Di recente Benoît Louyest (2009) traduce χελιδών (Ath. VII 313e, 321a, 322e, 325a, 329a, 329d) con “exocet”, ma ‒ lo abbiamo visto ‒ χελιδών sarebbe l’exocoetus volitans di Linneo e non l’esoceto delle fonti antiche di cui non è attestato il volo. Hellmann (2022, 561-562 e 570-572), pur senza sbilanciarsi sull’identificazione, non ritiene convincente l’identificazione con un blennide; pensa però che le informazioni fornite da Clearco non siano di natura paradossografica, ma si presentino con il rigore e il linguaggio proprio di una descrizione scientifica accurata secondo i canoni dell’epoca. Al tempo stesso sottolinea come, diversamente da quanto riteneva Thompson, i nomi degli uccelli παρευδιασταί non appartengano a specie leggendarie o inventate: questo farebbe ritenere che anche l’esoceto sia qualcosa di più che un’invenzione; o almeno, che questa fosse l’opinione di Clearco. Il dubbio infatti permane, perché abbiamo visto che nell’ambito della stessa scuola peripatetica, al contrario di Clearco, Teofrasto manifestava scetticismo rispetto a quanto si raccontava su questo pesce straordinario. Abbiamo inoltre osservato nelle due testimonianze dell’anonima parafrasi a Oppiano che qui ho messo in evidenza, in particolare nella seconda, che il termine ἐξώκοιτος è chiaramente utilizzato in funzione aggettivale, proprio di chi dorme “fuori” (cfr. Hesych. ε 3994 Cunningham e Dimitrakos 1964, 2673 s.v.), e non in riferimento a uno specifico pesce, a meno di credere che le foche diventino esoceti.
Quel che è certo è che oggi “Exocet” designa, per una singolare emanazione lessicale, un’arma atta a offendere. L’esoceto delle fonti letterarie era un pesce che, per trovare un luogo tranquillo in cui riposare, usciva dall’acqua, salvo rientrarvi per difendersi dagli uccelli predatori; e anche l’Exocoetus volitans di Linneo, distinto dal suo omonimo antico, balza fuori dall’acqua per sottrarsi alla predazione. Dall’esoceto degli antichi al pesce volante di Linneo e, con ulteriore passaggio, da Linneo al missile odierno, la parola esoceto ha attraversato i secoli finendo per designare un’arma: un destino immeritato per il nome di un pesce pacifico e inoffensivo, quello di essere associato a uno strumento bellico.
*Le traduzioni dei testi in greco e latino citati, salvo diversa indicazione, sono dell’autrice.
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English abstract
The paper is a critical review of ancient Greek and Latin sources (Clearchus, Theophrastus, Oppian, Aelian, and Pliny the Elder), which deal with the fish ἐξώκοιτος (lat. exocoetus), i.e. the fish which goes to sleep ‘out of the water’, from ἔξω (‘outside’) and κοίτη (‘bed’). The name reflects the habits and behavior of this amazing fish, which is not easy to identify and aroused curiosity even in subsequent centuries for its rare and admirabilis nature. Through Linnaeus, who named exocoetus volitans a flying-fish belonging to the pisces abdominales of the Exocoetidae family, the term Exocet has come nowadays to indicate an anti-ship missile. The discussion includes a new apparatus of Clearchus fr. 101 W. = 106A Dorandi (transmitted by Athenaeus VIII 332c-e), based on a re-examination of the manuscripts, and a focus on the readings ἀποκυμβήσῃ and ἀποκυβιστήσῃ and on Rees’ conjecture ἀποκολυμβήσῃ.
keywords | Exocet; fish; sources; Tomaeus.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Lavoro, Le fonti antiche sul pesce esoceto, “La Rivista di Engramma” n. 215, agosto 2024