Tre anelli
Paul Marie Letarouilly, Les Édifices de Rome Moderne (1831-1870)
Guido Morpurgo
English abstract
Nell’immaginario degli architetti, Roma rappresenta, dopo Atene, il repositorium per eccellenza dell’architettura classica. La vasta presenza di rovine e di edifici antichi – oltre che il reimpiego di spolia in edifici successivi per motivi di semplice convenienza, ma soprattutto per ragioni ideologiche – costituisce, da sempre, un campo di studio privilegiato innanzitutto per gli architetti operanti e per i restauratori, oltre che per gli storici dell’architettura.
La conoscenza dell’architettura romana attraverso l’esercizio del rilievo è il fondamento di cui ogni architetto si dota in maniera scientifica a partire dal Rinascimento. Potrebbe quindi sorprendere il fatto che Paul Marie Letarouilly dedichi un’attività trentennale di rilievi – variabilmente inesatti – ridisegni e ricostruzioni di edifici all’architettura romana del Rinascimento, anziché a quella classica. Oppure, al contrario, si potrebbero riconsiderare l’importanza del suo essenziale contributo e i suoi limiti storici da un altro punto di vista, quello dei fondamenti del progetto moderno, condizione che pone immediatamente un tema di ordine metodologico e di finalità. È chiaro, infatti, che l’interesse per la poderosa opera dal titolo programmatico Les Édifices de Rome moderne è rappresentato dal suo essere una raccolta selettiva e metodologicamente orientata delle architetture del Rinascimento romano considerate decisive dall’autore. Nonostante l’apparente rigidità della suddivisione tipologica dell’opera in casi-studio ‘funzionali’, gli edifici considerati rappresentano tutti insieme la cerniera critica tra il mondo classico antico con le sue vestigia simboliche e quello moderno rinascimentale. Questo principio è programmaticamente espresso dalle due immagini poste agli estremi inferiori del Plan topographique de Rome moderne: avec les changements et accroissements nouveaux (Parigi 1841, 53,34x76,2 cm, pieghevole, suddiviso in ventuno riquadri telati). La pianta di Roma posta da Letarouilly all’inizio del primo tomo di tavole rappresenta il quadro sinottico dell’intera opera, il suo ‘sommario grafico’, che individua gli edifici analizzati nei tre grandi libri-capitoli illustrati all’interno delle quattordici regiones nelle quali l’autore suddivide l’urbe. Il piano di Roma di Letarouilly rappresenta l’esito della riforma al contempo ideologica e simbolica effettuata durante il Rinascimento che, in quanto “inizio del mondo moderno”, riorganizza “un organismo urbano che i papi si trovano a dover riadattare come capitale della Chiesa al ritorno da Avignone […] fra i più disgregati e fatiscenti della penisola” (Tafuri 1969) [Fig. 1].
Il principio ideologico di rifondazione dimostrativa dell’architettura classica sotteso da Letarouilly sulla base dell’enorme lascito del Rinascimento romano è fondato sulla riorganizzazione sintetica dei materiali dell’antico in una nuova dimensione disciplinare. L’autore non si limita alla raccolta dei casi-studio mediante la trascrizione dei suoi oltre cinquemila disegni preparatori (oggi conservati nella biblioteca del Collège de France). Non si accontenta quindi di dar forma a un esercizio puramente evocativo o descrittivo della modernità dell’antico, ma costruisce, tavola dopo tavola, un esteso e innovativo vocabolario morfologico che, attraverso l’estesa collezione di disegni leggerissimi e precisissimi di cui è formata l’opera, rappresenta una profonda “riflessione sul dato visivo” del Rinascimento (Brusatin 1993). Interpolando ordine, razionalità ed eleganza visiva, Les Édifices de Rome moderne rappresenta l’esito di una ricerca semantica che sposta il puro dato visivo trascritto dal disegno sul piano di un’astrazione basata sulla sintesi della forma che riflette la profondità della dimensione concettuale della teoria architettonica inaugurata in Francia nel secolo precedente da Quatremère de Quincy e Durand.
L’indagine sulla riarticolazione del linguaggio classico svolta da Letarouilly sulle opere esemplari realizzate dagli architetti che hanno lavorato a Roma tra Quattrocento e Cinquecento si realizza trasversalmente, attraversando scale diverse, dall’insieme ai dettagli più minuti. Esso presenta connotati maniacali tanto per inventiva e rappresentazione, declinati in una precisione grafica emblematica, quanto per capacità ricostruttiva e di approfondimento, aspetti che riflettono un metodo di lavoro critico e proiettivo.
Quello di Letarouilly è quindi uno studio che non si limita a raccogliere i materiali con cui il Rinascimento (dell’antichità) riordina i fondamenti dell’architettura occidentale, ma è esso stesso un progetto di rilettura critica dei fondamenti del Classico, trascritti nella dimensione interpretativa del ‘Moderno’. I tre straordinari volumi di tavole e i due di commentari a loro volta variamente illustrati che compongono Édifices de Rome moderne formano pertanto un esteso e organico libro-progetto. Il primo volume di testi, che dopo la morte dell’autore verrà integrato da una Notice sur la vie et les travaux de P. M. Letarouilly, articola Reinsegnements diverses e i commentari delle tavole raccolte senza un apparente ordine nei tre volumi in formato elefante. L’opera nel suo complesso riorganizza selettivamente il patrimonio morfologico rappresentato dai materiali architettonici rinascimentali che traspongono la memoria del Classico su un piano semantico nuovo, rimisurandoli, ridisegnandoli e raccogliendoli in un assetto innovativo e originale per renderli riutilizzabili sul tavolo da disegno dell’architetto progettista.
L’opera – “autentico monumento della ricerca postneoclassica” (Vagnetti 1981, 6) – è dapprima pubblicata a fascicoli, i primi diciotto dei quali vengono dati alle stampe nel 1831, a undici anni di distanza dal primo viaggio a Roma di Letarouilly quale “pensionnaire du Roi” (notizia riportata da Morozzo della Rocca, 7). Lo stesso anno l’autore compie un secondo viaggio a Roma per completare il lavoro di rilevamenti sul campo, ma dovrà rientrare e ricorrere a collaboratori (tra i quali Francesco Pieroni, suo allievo) in quanto impegnato a Parigi nell’ampliamento del Collège de France. Il terzo soggiorno romano è del 1844 e dura circa un anno.
Letarouilly ha a disposizione un’ampia compagine di studi già realizzati su Roma ‘moderna’, che lui stesso richiama retoricamente nel Discours préliminaire all’opera relegandola al mondo del cosiddetto pittoresco e in tal modo esaltando le differenze essenziali che distinguono il suo approccio innovativo:
Rome moderne était déja connue par les vues pittoresque d’Isräel Silvestre, de Specchi, de Vasi, de Piranesi, de Barbault, et par les ouvrages plus sérieux de Pietro Ferrerio, de Falda, de Domenico de Rossi, et sortout par l’excellent recueil del M.M. Percier et Fontaine dont la publication a beaucoup contribué de nos jours, ainsi que leurs préceptes et leur exemple, à ramener à de meilleurs principes l’art engagé alors dans une fausse route (Letarouilly 1840-1857, T. 1, 7).
Il modello di riferimento di Letarouilly è con ogni evidenza Palais, Maisons et autres édifices modernes, dessinés à Rome (Paris 1809) di Charles Percier e Pierre-François-Léonard Fontaine di cui fu allievo all’École de Beaux-Arts. I due studiosi ridisegnano non solo i monumenti più importanti di Roma, ma rilevano anche edifici comuni di diverse epoche dando vita ad una “descrizione plurale del passato” (Di Luggo 2020, 274). Al di là della precisazione tecnica che lo stesso Letarouilly sottolinea nell’introduzione – “Toutefois manquait encore un ouvrage qui reproduisit avec fidelité non seulement l’exacte proportion des ensembles, mais qui fit de plus connâitre les principaux details des monuments, avec cette correction et cet rigueur de mesures qu’on apprécie et qu’on exige mème aujourd-hui” – (a pag. 8), la differenza più significativa che propone col suo lavoro rispetto a quello dei propri maestri è il concentrarsi sul “Rinascimento come mundus imaginalis” e “processo” morfologico riattivabile (Centanni 2017, 8, 107). È questa una scelta metodologica e culturale che l’autore compie in maniera sistematica, costruendo una ‘narrazione’ imperniata sul disegno che, attraversando le scale dell’architettura, costruisce percorsi visivi basati sull’interazione, piuttosto che sull’accostamento di prospettive, proiezioni ortogonali, dettagli costruttivi e decorativi. È così che l’autore organizza il suo personale Atlas di Roma, con cui propone un diverso angolo visuale da cui rileggere il testo architettonico classico. In tal modo riconsegna un ruolo esemplificativo e pedagogico alla tradizione dell’architettura classica romana riattualizzata dal Rinascimento mediante le sue rielaborazioni ‘moderne’. Letarouilly raggiunge questo risultato attraverso il disegno che non è più lo strumento preposto alla semplice descrizione, ma è esso stesso rappresentazione progettuale. L’autore attua questo principio portando alle estreme conseguenze il disegno ‘a pura linea’ appreso dai suoi maestri Percier e Fontaine: “simplex linea” (Brusatin 1993) in cui il tratto grafico è svuotato e depurato da ogni qualsivoglia commento, ombre incluse, esse stesse ridotte al minimo e solo ove necessarie ai fini della leggibilità dell’oggetto rappresentato. In tal modo Letarouilly conferisce alle forme architettoniche che sceglie di rilevare quell’idea di esattezza e rigore che imprudentemente dichiara nella sua introduzione all’opera. L’obiettivo di questo approccio è evidente: non limitarsi a conferire migliore leggibilità al rapporto tra piani e volumi, ma sublimare il valore esemplare delle forme antiche mediante la loro sintesi grafica che, per così dire, neutralizza ogni possibile commento.
La messa a punto di questo sistema segnico di rappresentazione depurato, e per sua natura pedagogicamente trasferibile, è il nucleo dell’operazione programmaticamente critica proposta da Letarouilly che, in quanto tale, supera fin dall’inizio il tema tecnico del puro rilievo dell’esistente in sé per sé per la trascrizione veritiera del reale. L’adozione sistematica della traccia grafica a simplex linea comprova, al contrario, che Letarouilly aveva affidato al disegno il ruolo di scrittura sintetica con cui rappresentare l’essenza degli specifici valori semantici necessari a codificare un nuovo tipo di testo architettonico: il rinascimento del classico nella modernità. L’autore aveva infatti compreso che un segno grafico sovraccaricato di espressività come quello piranesiano, ritenuto troppo diretto sotto al profilo percettivo, avrebbe reso ridondante il messaggio, alterando di conseguenza l’ideale precisione delle architetture esemplari che intendeva rappresentare e riducendone così l’intrinseca capacità dimostrativa. In ultima analisi, ricorrendo all’utilizzo di un codice grafico descrittivo, l’autore avrebbe corso il rischio di ridimensionarne la forza degli exempla rinascimentali romani chiamati a raccolta per rifondare l’apprendimento delle regole compositive e di ordinamento che presiedono all’implicita modernità del Classico offerta dal Rinascimento.
Il disegno a pura linea è pertanto il principio-base con cui l’autore si prefigge di restituire adeguatamente, ovvero emblematicamente, il grandioso linguaggio degli edifici di Roma “Maîtresse du monde entier” (Letarouilly, a pag. 5). Il disegno è quindi lo strumento con cui restituire l’intrinseca esattezza sintattica e la qualità metodologica del processo utilizzato per orientare la moderna progettazione, rifondandola su un repertorio morfologico essenzialmente non enumerabile di spolia esemplari del Classico romano, rielaborabili, quindi riutilizzabili e rinnovabili. È in tal modo che l’opera di Letarouilly sembra tendere verso il principio secondo cui “le civiltà classiche possono così diventare un ‘altrove’ che si estenda insieme nello spazio e nel tempo” (Settis 2004, 101).
Sul piano della pratica architettonica operante, l’estesa serie di riletture orientate offerte dal Letarouilly attraverso le 354 tavole che compongono Édifices de Rome moderne sembra in ultima analisi riconfermare il principio sintetizzato da Settis secondo il quale il “rinascimento dell’antichità” rappresenta per le pratiche artistiche “un repertorio innanzitutto mentale […] un prontuario di formule standard”. Prontuario di soluzioni che Letarouilly riorganizza in una nuova dimensione critica, mediante una pratica-teorica proiettata ben oltre la pura descrizione del reale [Figg. 2, 3].
Diffusione postuma di un principio progettuale
Come è stato notato (Adams 2014), l’opera non ebbe tuttavia una particolare rilevanza nella sua epoca, ma fu altresì studiata sistematicamente dagli architetti delle generazioni successive. Lo fu in particolare da parte dei classicisti del cosiddetto ‘Renaissance Revival’ a cavallo del Novecento, direzione opposta e contraria rispetto al ‘Gothic Revival’, prodotto dal crescente interesse per il gotico, testimoniato, tra le altre cose, dalle analisi sulla struttura architettonica delle volte delle cattedrali effettuate da Willis e Whewell. Argomentazioni queste ultime utilizzate da A.W.N. Pugin, John Ruskin e A.J. Downing, nel quadro degli sviluppi della rivoluzione industriale, per le loro riflessioni sull’essenza etica del Medioevo idealizzato quale forma storica basata sulla coincidenza tra uomo e natura, così come tra uomo e lavoro. Non è altresì casuale che, nel corso dell’Ottocento, proprio in Francia, lo sviluppo degli studi sul Gotico sia realizzato dagli architetti che ricercano nella relazione tra forma e struttura il fondamento tettonico attraverso cui riformare le pratiche dell’arte di costruire. In Europa sono interpreti degli sviluppi del ‘Renaissance Revival’ gli architetti Charles H. Reilly in Gran Bretagna (1874-1948), autore di The Modern Renaissance in American Architecture (1910), John Burnet in Scozia (1857-1938) e Ivar Tengbom in Svezia (1878-1968).
In Italia l’ampia diffusione dell’opera di Letarouilly ha assunto connotati diversi, essendo innanzitutto considerata un repertorio studiato nel contesto delle procedure del disegno e del rilievo, oltre che del restauro. È di particolare significato il fatto che una copia di Édifices de Rome moderne apparteneva alla collezione bibliografica dell’architetto e accademico Antonio Sarti che nel 1877 la donò al Comune di Roma. Insieme alla Biblioteca Accademica di origine seicentesca, la cosiddetta “Biblioteca Romana Sarti” forma l’attuale Biblioteca dell’Accademia Nazionale di San Luca (circa 50.000 volumi, molti dei quali riguardanti Roma).
Le opere di Letarouilly costituirono una presenza immancabile nelle biblioteche degli architetti italiani. Tuttavia, non sembra che Les Édifices de Rome moderne abbia conquistato un ruolo decisivo per la progettazione, restando la sua consultazione ristretta all’apparenza di consistente repertorio tipologico di rilievi del Rinascimento romano che, differentemente dalle intenzioni dell’autore, successivamente si rivelarono imprecisi e allestiti in maniera imperfetta anche per le deleghe che Letarouilly fu costretto a conferire a referenti sul campo a causa dei suoi impegni professionali, in particolare quale architetto incaricato del restauro e dell’estensione del Collège de France (1834), del quale modificò la distribuzione interna creando nuovi saloni e aggiungendo le ali laterali per inglobare gli anfiteatri, quindi completando la fronte su Place Cambrai in continuità con l’ordine originario.
Roma a New York
La vera fortuna di Édifices de Rome moderne è legata all’ambiente architettonico americano. Nel celebre studio newyorkese McKim, Mead & White – autore di una consistente genealogia di progetti di grande rilevanza urbana tra cui il campus della Columbia University (1893-1900), la New York Public Library (terminata nel 1908) e l’immane Penn Station (1906-1908) – “Letarouilly was considered the Bible” (Adams 2014, 72).
Il costante interesse per il grand ouvrage del Letarouilly in Inghilterra e negli Stati Uniti è altresì ulteriormente testimoniato dalla comparsa di edizioni critiche pubblicate a Londra e New York in periodi tra loro distanti (1928, 1948 e 1984), alcune di esse riorganizzate grazie alla suddivisione tipologica delle opere rilevate (come nel caso dell’edizione Tiranti del 1928 pubblicata in sei volumi) o appositamente realizzate in formato ridotto per gli studenti di architettura. Ne è un esempio The Student’s Letarouilly illustrating the Renaissance in Rome curato del professor Albert Edward Richardson, architetto che si era occupato del restauro delle architetture georgiane danneggiate dai bombardamenti nazisti su Londra. Il volume è composto da una selezione delle tavole ritenute più significative dal curatore, anticipate da un saggio di inquadramento dal titolo Concise History of the Renaissance in Rome. Richardson curò anche la ripubblicazione dei due volumi di The Vatican and the Basilica of St. Peter, Rome / La Basilique de Saint Pierre, Paul Letarouilly (Londra 1953). La sintesi delle due opere del Letarouilly è accorpata nella versione americana del 1984.
Ma al di là degli utilizzi puramente didattici o tipologici di Édifices de Rome moderne, un aspetto particolarmente interessante dell’impatto che quest’opera e quelle degli altri architetti-studiosi francesi hanno prodotto direttamente o indirettamente nel mondo architettonico anglosassone è rappresentato dall’idea della cosiddetta ‘French Connection’ (Frampton 1980) nell’opera di Louis I. Kahn. Ciò sposta definitivamente il tema del riutilizzo essenzialmente manualistico degli studi di Letarouilly da parte di McKim, Mead & White sul piano del progetto moderno, grazie al ruolo che l’École de Beaux Arts esercitò sugli architetti americani che vi avevano studiato e che furono professori di generazioni di architetti statunitensi, tra cui lo stesso Kahn, in particolare, come noto, Paul Cret. La “doppia direzione” (Gregotti 1985) della ‘French connection’ kahniana è rappresentata da un lato dalla visionaria progettualità dell’“Architecture parlante” di Étienne-Louis Boullée e dall’“Architecture civile” di Louis-Ambroise Dubut (allievo di C.N. Ledoux) basata sulla combinazione e l’accostamento di solidi semplici, dall’altro dall’Art de bâtir di Auguste Choisy e Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc.
È questa duplice proiezione ad aver giocato un ruolo essenziale nella definizione del nucleo centrale che presiede al progetto kahniano conteso tra i principi di ‘Ordine’ e ‘Forma’, quindi basato sul rapporto tra costanza e mutamento dei fondamenti archetipici dell’architettura antica, grazie alla separazione del metodo da ogni contingenza storica specifica. È questo il principio che “conduce Kahn all’unica possibile via del simbolico che sia consentita al moderno: il richiamo al silenzio, alla sospensione dello scorrere del tempo” (Gregotti 1985).
Ed è forse proprio quest’ultimo il tema quintessenziale del nostro interesse nel riscoprire l’opera di Letarouilly, la sua straordinaria lunga gittata e il suo intrinseco valore propulsivo di opera interpretativa dei fondamenti della cultura occidentale attraverso una collezione ampia e meditata di forme simboliche. Esse sono la sintesi dei valori esemplari rappresentati dall’architettura classica nella sua riattivazione ‘moderna’ rinascimentale. Roma è in tal senso il locus elettivo per eccellenza dell’origine della modernità rappresentata dal Rinascimento che diventa così esso stesso classico. Rileggere l’opera seminale di Letarouilly come portatrice di un metodo di interpretazione del Classico quale vocabolario morfologico esemplare, riutilizzabile criticamente, consente di considerarla un contributo del tutto specifico alla definizione di nuove direzioni al “futuro del Classico” nell’architettura moderna. Ciò rappresenta evidentemente un paradosso e al contempo una possibilità per non limitare il significato di quest’opera alla mera riproduzione ‘corretta’ dei morfemi dell’architettura antica. Attraverso il ridisegno critico delle opere del Rinascimento romano, il libro indica che i caratteri del classico non sono in realtà riutilizzabili direttamente e che occorre reinterpretare l’eredità classica. In tal modo è possibile costruire una speciale lente disciplinare che consente di ‘vedere’ dall’interno del processo progettuale i meccanismi di generazione e articolazione delle forme architettoniche classiche che sono state codificate attraverso regole e varianti che rappresentano i fondamenti culturali della disciplina architettonica nella tradizione occidentale.
Tre anelli: un modello di riarticolazione dello spazio architettonico
I volumi di Édifices de Rome moderne che raccolgono le tavole e il quarto di testi sono organizzati su di un impianto argomentativo generale che può essere riletto come una sorta di narrazione architettonica strutturata per anelli. In essa ogni caso-studio è oggetto di digressioni, approfondimenti e avvicinamenti successivi, che solo apparentemente si distaccano dal nucleo argomentativo centrale, al quale ogni volta ritornano coniugando tema complessivo e sua analisi critica. In particolare, le diverse scale della narrazione architettonica sono inanellate dal principio organico della parte per il tutto, relazione che fonda l’intero svolgimento dell’opera di Letarouilly. Quest’ultimo aspetto è forse, in ultima analisi, la quintessenza della rilettura che l’autore propone dell’infinita vitalità del classico, non solo come repertorio di forme significanti, ma soprattutto come metodo morfologico. Tale metodo, al tempo stesso analitico e sintetico, è utilizzabile per ritrovare i fondamenti sintattici e linguistici di ogni procedimento architettonico ‘moderno’ ordinato e coerente, basato su strumenti e principi.
Va precisato che all’ordinamento rigidamente tipologico ma apparentemente casuale con cui le architetture descritte sono raccolte nei tre giganteschi volumi, il Plan topographique de Rome moderne di cui si è già detto rappresenta la figura retorica che coniuga sinotticamente l’ordine della narrazione con il locus urbis che emblematicamente integra storia e memoria collettiva occidentale. In virtù dell’esplicita continuità (cfr. “Esplication des Planches”, p. 19) con la celeberrima “Nuova Pianta della città di Roma data in luce da Giambattista Nolli nell’anno 1748”, Letarouilly dota la sua opera di un riferimento topografico certo affinché ogni edificio possa essere individuato non solo in rapporto con gli altri casi-studio ma, innanzitutto, con il tessuto urbano in cui si insedia. È pertanto Roma come sintetico corpo urbano costituito da edifici esemplari a rappresentare il contesto che lega indissolubilmente gli anelli della narrazione architettonica su cui è incardinata l’intera opera.
Per questa ragione nelle tavole in formato folio-elefante questa idea della relazione progetto-contesto emerge con chiarezza metodologica esemplare e concorre alla spiegazione delle ragioni attraverso le quali una forma architettonica si insedia e determina le sue dimensioni e prerogative distributive in relazione allo spazio pubblico della città, sia in un rapporto di armonia, sia per contrappunto.
La rappresentazione sintetica del “principio insediativo” (Gregotti 1966) e della sua materialità negli Édifices de Rome moderne non è pertanto solo uno strumento catalogico ‘inevitabile’, necessario per riferire gli oggetti studiati a una collocazione immediatamente individuabile, ma è soprattutto testimonianza dell’inseparabilità delle architetture dai rispettivi siti e, in generale, dalla struttura urbana nel suo complesso. L’opera è pertanto un vero e proprio modello di indagine, quindi di conoscenza della realtà delle opere nella loro appartenenza al sito, un sofisticato strumento che lega indissolubilmente le diverse modernità che proiettano quest’opera al di là del proprio tempo, rappresentando una narrazione che si dipana sia a scala urbana, sia alla scala specifica di ogni caso-studio.
I tre anelli – metafora con cui ci si propone di rileggere l’opera – non coincidono con i tre volumi che raccolgono gli esempi studiati. Gli anelli rappresentano le traiettorie delle tre forme o scale di indagine che ricorrono nella maggioranza dei casi-studio considerati. In particolare, la loro lettura sintetica nel contesto urbano attraverso viste generali e planimetrie di inquadramento variamente estese al contorno dell’edificio e dei suoi spazi pertinenziali; l’analisi puntuale della loro articolazione tipologica; lo smontaggio analitico dei caratteri specifici degli elementi principali, scelti caso per caso, attraverso il disegno dei dettagli costruttivi e decorativi.
Gli approfondimenti puntuali dei tre livelli della narrazione architettonica spostano quindi il discorso generale su piani interpretativi ogni volta variamente dislocati in argomenti specifici. Essi sono solo apparentemente separati tra loro, perché sembrano allontanarsi dall’analisi complessiva di un edificio e delle sue prerogative distributive e d’uso. In realtà questi ‘anelli’ di argomenti architettonici specifici restano incardinati sull’asse portante che funge da baricentro dell’intera opera: la città ‘rinascimentale’ di Roma. La compiutezza interna dei diversi ‘anelli’ rende i commentari raccolti nel volume dei testi dei puri corollari, che solo in parte spiegano le ragioni delle forme che emergono dalla sapiente interpretazione del classico sprigionata dalle grandi tavole, attraverso le architetture di Bramante, Michelangelo, Peruzzi, Antonio da Sangallo, Sansovino, Vignola e altri interpreti del Rinascimento romano. È un Rinascimento ‘esteso’, quello di Letarouilly, che sembra voler riorganizzare il rapporto tra tempo e progetto estendendo la soglia del Cinquecento e del Manierismo di ben duecento anni, comprendendo edifici dall’ “Époque de transition à la décadence”. Da quelli di Carlo Fontana, Bernini, Borromini, Della Porta, Maderno e Rainaldi, al Palazzo della Consulta di Ferdinando Fuga: “Le plan a la figure d’un trapeze, forme ingrate, dont l’architecte a su néanmoins tirer un parti avantageux” (Notices Historiques et critiques, 169) [Fig. 4].
La storia interna di ogni caso studiato si esprime attraverso la combinazione degli interventi eseguiti dall’architetto o dagli architetti successivi che hanno dato vita, in continuità o con relativa autonomia, a un certo edificio o complesso di edifici secondo il bramantesco principio di conformità rispetto all’edificio preesistente. Gli ‘anelli’ della narrazione coincidono quindi con elaborazioni grafiche orientate alla spiegazione critica di un oggetto architettonico e delle sue prerogative morfologiche e d’uso tesa a rendere congruenti i vari aspetti.
L’anello narrativo rappresentato dai dettagli, ad esempio, non è mai costituito dalla serie dei semplici ingrandimenti dei disegni precedenti, perché introducendo una diversa scala di osservazione, l’autore genera una sequenza specifica di digressioni. Il segno grafico cambia registro pur restando fedele al principio della ‘pura linea’ di cui si è detto in precedenza, garantendo così il rispetto del principio di non contraddizione che regola i rapporti tra gli anelli stessi della narrazione architettonica. Il disegno dei particolari pretende un proprio specifico linguaggio, che è per sua natura strutturalmente diverso da quello utilizzato per descrivere l’opera di architettura nel suo complesso. Il disegno dei dettagli è per Letarouilly un modo per riprogettare le opere del Rinascimento, per realizzarne una sorta di anatomia critica che ne evidenzia il processo costitutivo più che il risultato d’insieme di quello stesso processo. Ne è un chiaro esempio l’approfondimento offerto dalla Pl. 133 riportato alla pag. 308 della sezione “Explication de planches” del volume che raccoglie i commentari. Il capitello ionico del colonnato della corte di palazzo Farnese progettata da Antonio da Sangallo è ‘narrato’ dall’autore nel suo processo formativo, sia attraverso il disegno, sia mediante il testo scritto. Letarouilly ricostruisce i tracciati regolatori del capitello, quasi ‘scavando’ all’interno della voluta ionica per evidenziarne il ‘DNA semantico’ e restituire così la qualità della forma finale alla percezione dell’occhio umano. L’autore compie questa operazione analitica evidenziando i passaggi necessari a sublimare la percezione ottica dell’elemento: “les vingt et une divisions de l’oeil et le divers centres de la volute appareissent clairement”. Questa sorta di anatomia della forma architettonica eseguita scientificamente anche grazie alle conquiste dell’ottica (il trattato sulla prospettiva di J.B. Cloquet è del 1823) restituisce in maniera efficace e scientificamente fondata il meccanismo progettuale adottato dal Sangallo attraverso la sua rielaborazione critica. Ne ricostruisce le proporzioni e l’eleganza con cui sono risolti i giunti tra il capitello, la trabeazione e il fusto della colonna, così come la qualità dei finissimi particolari fitomorfi della voluta. La descrizione del tracciamento geometrico di quest’ultima è rappresentato insieme al diagramma dei sedici cerchi concentrici che le danno forma. Completa la descrizione l’elenco dei tredici passaggi che riassumono la tecnica con cui svilupparne il disegno [Fig. 5].
Modello versus tipo?
La catalogazione tipologica dei temi progettuali è costruita da Letarouilly ad hoc per ognuno dei tre volumi di tavole. Tuttavia, la lista dei casi-studio non appare perfettamente organica rispetto alla categoria di tipo quale “proiezione logica totale dell’edificio” (Caniggia 1969), in quanto nell’elenco appaiono inclusi anche oggetti edilizi diversi, che sono semmai pseudotipi a volte aggregati a tipi edilizi codificati, oppure resi autonomi rispetto alle categorie edilizie principali. Nei sommari che compaiono all’inizio di ogni volume, sono in particolare elencate in ordine alfabetico le seguenti categorie di manufatti di diversa consistenza e importanza: Baptistère; Chapelles; Cimitière; Collèges et Maison professe; Èglises et Couvents; Escaliers; Fontaines et Citerne; Hopital; Maisons; Meubles d’Eglise; Nymphée et Glaciere, Palais; Plafonds; Portes; Tombeaux; Triclinium; Vigne; Villa. Questa compresenza di edifici di grande rilevanza urbana ed elementi di valore secondario come le comuni “Maisons de la première époque de la Reinaissance” (Vol. I, Pl. 31-36) pongono in evidenza un approccio verso la città che considera in maniera puntuale tutte le sue componenti, religiose, istituzionali e private, inclusi gli elementi di qualificazione dello spazio pubblico, quali ad esempio le fontane. Ciò restituisce l’idea di città che aveva Letarouilly come complessa struttura di elementi puntuali, realizzati per qualificare, per parti, punti specifici della città, in particolare alcune piazze nodali, o tessuti urbani da rinnovare tramite l’inserimento di edifici qualificanti, come i palazzi privati – ad esempio i due palazzi Pietro e Angelo Massimi (Vol. III Pl. 316-317) – quindi con una speciale attenzione verso gli elementi di riforma urbana dei tessuti medievali. È questo il caso esemplare della bramantesca Via Giulia, asse su cui si allineano progetti e interventi dello stesso Donato Bramante (il Palazzo dei Tribunali, 1508-10, mai completato) e di altri architetti prominenti del Cinquecento, quali Antonio da Sangallo (Palazzo Sacchetti 1542-46), Domenico Fontana (Ospizio dei Mendicanti 1586-87) e Sansovino (San Giovanni dei Fiorentini, 1523) [Figg. 6, 7].
L’idea della narrazione architettonica ad anello trova pertanto una sua chiara dimostrazione proprio nell’abilità che Letarouilly dimostra nel saper attraversare le diverse articolazioni scalari del progetto collegando tra loro i principi della Renovatio Romae papale, ovvero le scale d’intervento da essi implicati, introdotte dal Rinascimento anche grazie alla capacità degli architetti di interpretare il fondamentale legame tra progetto e contesto, architettura e città. Ne sono esempi particolarmente sofisticati gli anelli narrativi che l’autore riserva ad alcuni fatti architettonici esemplari.
Nel primo volume l’autore dedica un’intensa serie di tavole a Palazzo Sacchetti (Pl. 92-96). La prima di esse, quella di inquadramento, chiarisce il rapporto oggi perduto tra la parte retrostante dell’edificio e il Tevere, attraverso la sequenza Palazzo-giardino–‘porta d’acqua’ rappresentata dal piccolo edificio che media il rapporto acqua-terra, ma curiosamente omette la giacitura e il calibro di Via Giulia rispetto all’andamento della fronte del celebre edificio.
Le digressioni ad anello dalla narrazione principale comprendono in alcuni casi il confronto con altri edifici che presentano, secondo l’autore, alcuni caratteri tipologici e dimensionali confrontabili (principalmente lo schema distributivo e le dimensioni generali). È così che Palazzo Sacchetti è posto a confronto con Palazzo Corradini e un altro esempio secondario di cui non riporta gli estremi. L’analisi dei particolari occupa 3 tavole su 5 [Figg. 8, 9, 10].
A Palazzo Farnese – che apre la serie di disegni del secondo volume – Letarouilly riserva un’estesa serie di tavole (Pl. 115-139) che riarticolano il grande fuori scala in una serie di anelli narrativi tra loro intersecati. La ricostruzione critica dell’edificio non procede semplicemente dall’insieme al dettaglio, ma si sviluppa mediante una serie di salti di scala che restituisce in maniera mirabile l’intrinseca complessità del volume del Sangallo, gli interventi michelangioleschi (balcone e stemma centrali, terzo piano e coronamento) e, ancora, quelli effettuali dal Vignola, legandoli organicamente, ma al contempo evidenziandone le specifiche caratteristiche morfologiche e linguistiche. È il caso dei meravigliosi dettagli con cui è ricostruito il cornicione che Michelangelo realizza per chiudere l’immane fronte sulla piazza (Pl. 121) [Figg. 11, 12, 13, 14, 15].
I disegni planimetrici di inquadramento evidenziano il particolare interesse dell’autore nel legare la corte interna allo spazio pubblico urbano (Pl. 115-116), atteggiamento che si rivela anche nello studio degli elementi di connessione interna, con particolare attenzione per lo scalone e i vestiboli laterali (Pl. 1189). Qui i dettagli principali sembrano restituire l’identità progettuale profonda dell’edificio (Pl. 126-129), la sua capacità di essere un insieme organico in cui ogni parte testimonia dell’insieme grazie alla dedizione maniacale con cui Letarouilly ha studiato e ricostruito ogni singolo particolare costruttivo e decorativo. Sfogliando le tavole e scorrendo l’elenco dei disegni, colpisce il fatto che la numerosità dei dettagli dedicati a Palazzo Farnese superi di gran lunga i disegni generali, ovvero piante, prospetti, sezioni caratteristiche e specifiche dei topoi linguistici propri dell’opera. In particolare, oltre ai caratteri già richiamati, il vestibolo colonnato d’ingresso, il portico della corte interna e i saloni ai piani superiori interessano ben 14 tavole su un totale di 24.
Altro caso di particolare rilevanza per testimoniare del principio di rilettura ad anello che si vorrebbe proporre è il tempietto di San Pietro in Montorio, esempio che Letarouilly illustra estesamente, anche nel volume dei commentari con una vista prospettica del chiostro (sezionato) in cui il volume è inserito (a pag. 666). La piccola ma seminale architettura del Bramante è studiata in maniera particolarmente precisa dall’autore, anche se la sua rappresentazione appare dilazionata in due tempi. La prima serie dei disegni è difatti inclusa nel primo volume (Pl. 105-107) mentre la seconda è collocata nella porzione conclusiva del terzo (postumo) e comprende due sole tavole (Pl. 322-323) tra cui una grande prospettiva a pura linea, decontestualizzata e decisamente meno dettagliata e ‘risolta’ rispetto ai disegni iniziali. Le sezioni ‘anatomiche’ del complesso corpo edilizio – che, nonostante le dimensioni poco generose, ne rivelano puntualmente l’intrinseca ragione tettonica – evidenziano con chiarezza i complessi rapporti volumetrici tra la cappella superiore e quella interrata. Ma è ancora una volta la dimensione del dettaglio a condensare le profonde prerogative progettuali dell’edificio e la qualità della sua completezza esemplare, nel suo essere una rilettura colta e completa delle architetture a pianta centrale della tradizione classica romana. Spicca per particolare qualità grafica e chiarezza interpretativa la grande pianta sezionata a quote diverse che rende in tal maniera compresenti materiali e caratteri diversi, tra cui i marmora romana (Gnoli [1971, 1988] 2018) del pavimento della cappella del piano terreno, restituiti, anche in questo caso, in un’orma che supera il problema del realismo, pur riconsegnando con minuzia e precisione allo sguardo dell’osservatore l’intrinseca ragione minerale [Figg. 16, 17, 18].
In generale, nonostante alcune elisioni di cui è difficile comprendere le ragioni profonde, come ad esempio lo spazio alquanto esiguo dedicato a Santa Maria degli Angeli, Letarouilly “compilando accurati libri di disegni sull’antico, traendone elementi di un lessico figurativo che si caratterizzava come nuovo proprio perché ne riproponeva uno antico” (Settis 2004, 55) riorganizza in forma progettuale, quindi eminentemente proiettiva, un suo discorso sull’architettura romana del Rinascimento. Discorso che possiamo rileggere attraverso il principio della narrazione ad anello, ovvero nella sua intrinseca capacità di contemplare tempi e luoghi distanti, scale apparentemente incompatibili entro un’“idea” che si esprime mediante il disegno come fatto interno alla disciplina, disegno a pura linea che non concede spazio al commento ma che è altresì ben lontano dalla rappresentazione della realtà oggettiva degli edifici e delle altre costruzioni illustrate nelle sue 354 tavole.
Questa “idea” di riconnessione con il classico attraverso il Rinascimento grazie alle relazioni tra progettare, costruire e utilizzare, riflette le dimensioni del necessario e del simbolico. Essa presenta più di qualche somiglianza con quella proposta da Federico Zuccari nella complicata stagione che, secondo Letarouilly, segna la caduta di quegli stessi modelli esemplari di cui ha cercato di rivelare l’essenza attraverso un lavoro trentennale che non vedrà mai completato:
Il Disegno dunque interno, in genere ed universale è una idea e una forma nell'intelletto rappresentante distintamente, e veramente la cosa intesa (Zuccari [1607] 1768).
Ed è così che Édifices de Rome moderne dimostra che l’astrazione intrinseca al disegno a pura linea quale strumento di reinterpretazione del classico nell’architettura del Rinascimento fa corrispondere il vero a un’‘idea’ che, in quanto forma nell’intelletto, ha ormai smesso di coincidere con il reale [Figg. 19, 20].
1 | P.M. Letarouilly, Plan topographique de Rome moderne avec les changements et accroissements nouveaux, Paris 1841.
Versione pieghevole in 21 riquadri, 54 x 65 cm.
Fonte: Boston Public Library, Norman B. Leventhal Map & Education Center / Urban Maps.
2 | P.M. Letarouilly, Plan génerale et des édifices du Capitol, in Id., Les Édifices de Rome Moderne ou Recueil des Palais, Maisons, Églises, Couvents, et autres monuments publics et particuliers les plus remarquables de la ville de Rome, desinés, mesurés et publiés par P. Letarouilly architecte, T. 3, Pl. 352, Paris 1853.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark: Rar 9915 | PDF.
3 | P.M. Letarouilly, Vues des édifices du Capitole prise de la montée à la Roche Tarpéienne; Plan de la Fontaine de la double rampe et de la façade du Palais du Sénateur, T. 3, Pl. 354.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
4 | P.M. Letarouilly, Palais de la Consulta aujourd’hui Caserne des Gardes-Nobles, Piazza di Monte Cavallo, T. 1, Pl. 29.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
5 | P.M. Letarouilly, Explication des Planches et Notices Historiques sur chacun des édifices représentés dans cet ouvrage, Planche 133, Palais Farnese; details du premier étage de la cour, p. 308, Paris 1840.
Fonte: collezione bibliografica dell’autore.
6 | P.M. Letarouilly, Palais Pietro Massimi et Angelo Massimi, T. 2, Pl. 280.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
7 | P.M. Letarouilly, Palais Pietro Massimi et Angelo Massimi, T. 2, Pl. 290.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
8 | P.M. Letarouilly, Plan du Palais Sacchetti Via Giulia, T. 1, Pl. 92.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
9 | P.M. Letarouilly, Cour du Palais Sacchetti Via Giulia, T. 1, Pl. 96.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
10 | P.M. Letarouilly, Détails de l’élévation du Palais Sacchetti Via Giulia, T. 1, Pl. 94.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
11 | P.M. Letarouilly, Palais Farnese, T. 2, Pl. 115.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
12 | P.M. Letarouilly, Detail de la corniche de couronnement de la façade du Palais Farnese, T. 2, Pl. 121.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
13 | P.M. Letarouilly, Vestibule d’entrée du Palais Farnese, T. 2, Pl. 126.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
14 | P.M. Letarouilly, Palais Farnese. Coupe sur le portique près de l’entrée et sur l’axe du grand escalier. Vue du Vestibule d’Entrée prise de son extremité sous le Portique, T. 2, Pl. 128.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
15 | P.M. Letarouilly, Parties principales de la coupe sur la cour du Palais Farnese, T. 2, Pl. 130.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
16 | P.M. Letarouilly, Église, Couvent et Temple de S. Pietro in Montorio et Fontaine Paola, T. 3, Pl. 322.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
17 | P.M. Letarouilly, Petit Temple de S. Pietro in Montorio, T. 1, Pl. 103.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
18 | P.M. Letarouilly, Petit Temple de S. Pietro in Montorio. Plan détaille pris à diverses hauteurs, T. 1, Pl. 105.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915 | PDF.
19 | P.M. Letarouilly, Villa di Papa Giulio située à proximité de la Via Flaminia, T. 2, Pl. 206.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark: Rar 9915.
https://www.e-rara.ch/doi/10.3931/e-rara-54940
https://www.e-rara.ch/download/pdf/14863382.pdf
20 | P.M. Letarouilly, Villa di Papa Giulio. Vue d’une partie du Vestibule du Portique et de la Grande Cour, T. 2, Pl. 212.
Fonte: ETH-Bibliothek Zürich, Shelf Mark, Rar 9915; PDF.
Nota sul titolo
Il titolo di questo contributo è ispirato al libro di Daniel Mendelsohn, Three Rings. A Tale of Exile, Narrative, and Fate, pubblicato dall’University of Virginia Press nel 2020 (trad. it. Tre anelli. Una storia di esilio, narrazione e destino, Einaudi 2022), fonte di suggestioni nel tentativo di coniugare forme e memorie dell’antico nel presente.
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English abstract
In the imagination of architects, Rome is, after Athens, the repository par excellence of classical architecture. The vast presence of ruins and ancient buildings – as well as the reuse of spolia in later buildings, for reasons of convenience but above all for ideological reasons – has always constituted a privileged field of study for architects and preservation architects, as well as for architectural historians.
The knowledge of Roman architecture acquired through the practice of surveying is the foundation with which every architect has been scientifically equipped since the Renaissance. It may therefore seem surprising that Paul Marie Letarouilly devoted thirty years of relief and reconstruction work to Roman Renaissance architecture and not to classical architecture. Or, conversely, one could reconsider the importance of his essential contribution and its historical limits from the point of view of the foundations of modern design, which immediately raises a methodological question. The interest of the massive work with the programmatic title Les Édifices de Rome moderne lies in the fact that it is a selective and methodological collection of the Roman Renaissance architecture that the author considered relevant. The ideological principle of the demonstrative re-foundation of classical architecture, which Letarouilly proposes on the basis of the legacy of the Roman Renaissance, is based on the synthetic reorganisation of the materials of antiquity in a new disciplinary dimension. The author does not confine himself to collecting case studies in order to create a purely evocative or descriptive exercise in the modernity of antiquity. By interpolating order, rationality, and visual elegance, Les Édifices de Rome moderne is the result of a semantic research that shifts the purely visual datum to the level of abstraction based on the synthesis of forms, reflecting the depth of the conceptual dimension of architectural theory inaugurated in France in the previous century.
The three volumes of plates and the one of commentaries that make up Édifices de Rome moderne are thus a vast and organic book in the form of an architectural project. The work as a whole reorganises the heritage of Roman Renaissance architecture, transposing the memory of the Classical to a new semantic level. By reshaping, redesigning and organising the case studies in an original collection, Letarouilly makes them reusable on architects' drawing boards, thus influencing subsequent generations of designers, as evidenced by the significant circulation of the work in Europe and especially in the United States. In terms of representation, the development of a 'purified' system of signs, which by its very nature is pedagogically transferable, is at the heart of the programmatically critical operation proposed by Letarouilly, which goes beyond the technical subject of the relief of existing buildings. The systematic use of the simplex-linea graphic trace proves that Letarouilly had entrusted drawing with the role of a synthetic writing metodology, capable of representing the essence of the specific semantic values necessary to codify a new type of architectural text: the renaissance of the classical in modernity.
This idea of reconnecting with the classical through the Renaissance by means of the relationships between design, construction, and use reflects the dimensions of the necessary and the symbolic. In this way, Édifices de Rome moderne demonstrates that the abstraction inherent in 'pure line drawing' as a means of reinterpreting the classical in Renaissance architecture corresponds to an 'idea' that, as 'form in the intellect', has ceased to coincide with the real.
keywords | Letarouilly; Design methodology; Roman Renaissance architecture; spolia.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Guido Morpurgo, Tre anelli. P.M. Letarouilly, Les Édifices de Rome Moderne (1831-1870) , “La Rivista di Engramma” n. 215, agosto 2024.