"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

216 | settembre 2024

97888948401

Medea sul carro di Trittolemo

Un mito ateniese

Concetta Cataldo

English abstract

Nello spettacolare finale della Medea di Euripide, la protagonista si alza in volo su un carro:

τί τάσδε κινεῖς κἀναμοχλεύεις πύλας,
νεκροὺς ἐρευνῶν κἀμὲ τὴν εἰργασμένην;
παῦσαι πόνου τοῦδ’. εἰ δ’ ἐμοῦ χρείαν ἔχεις,
λέγ’ εἴ τι βούλῃ, χειρὶ δ’ οὐ ψαύσεις ποτέ·   
τοιόνδ’ ὄχημα πατρὸς Ἥλιος πατὴρ
δίδωσιν ἡμῖν, ἔρυμα πολεμίας χερός 

(Eur. Med. 1317-1322, ed. Manuwald 2024, 378).

I versi tratti dall’esodo della tragedia segnalano evidentemente che Medea compare da dietro la skené, sollevata in cielo da un carro che la maga asserisce esserle stato concesso da Helios “padre di suo padre”[1].

Con tutta evidenza il finale del dramma prevede una mechané, e in letteratura è unanimemente accettato[2]; una preziosa conferma del suo utilizzo in Medea viene per altro da Aristotele che stigmatizza il ricorso alla macchina, rispetto ai casi in cui lo scioglimento della trama avviene in forza dello stesso racconto:

φανερὸν οὖν ὅτι καὶ τὰς λύσεις τῶν μύθων ἐξ αὐτοῦ δεῖ τοῦ μύθου συμβαίνειν, καὶ μὴ ὥσπερ ἐν τῇ Μηδείᾳ ἀπὸ μηχανῆς καὶ ἐν τῇ Ἰλιάδι τὰ περὶ τὸν ἀπόπλουν.
(Arist. Po. 1454a 37-1454b 1-3, ed. Lucas 1968, 24)[3].

La maggior parte degli studiosi concorda dunque sull’idea che per la Medea di Euripide sia stata utilizzata una mechané[4] e secondo una parte della critica, questa che compare nell’esodo della tragedia di Euripide sarebbe la prima utilizzata di tutte le tragedie del V secolo, almeno per i drammi messi in scena ad Atene e di cui si conservano i testi integri[5], ma esistono anche altre ipotesi che ne retrodatano l’uso a Eschilo[6] .Nel testo euripideo non c’è alcun riferimento a come il carro sia trascinato in volo, ma nella hypothesis della tragedia e negli scoli si fa riferimento a δράκοντες[7] .

Il primo dei tre argumenta alla Medea tràdito così recita:

Μήδεια δὲ τοὺς ἑαυτῆς παῖδας ἀποκτείνασα, ἐπὶ ἅρματος δρακόντων πτερωτῶν, ὃ παρ’ Ἡλίου ἔλαβεν, ἔποχος γενομένη ἀποδιδράσκει εἰς Ἀθήνας κἀκεῖσε Αἰγεῖ τῷ Πανδίονος γαμεῖται.
(arg. Med.(1), 8-10; ed. Schwartz 1891, 137).

E uno scolio vetus:

ἀντὶ τοῦ· οὐ δυνήσῃ κατασχεῖν ἡμᾶς οὐδὲ καταλαβεῖν. ἔχομεν γὰρ ὄχημα πρὸς ἀποφυγὴν τῶν πολεμίων. ἐπὶ ὕψους γὰρ παραφαίνεται ἡ Μήδεια, ὀχουμένη δρακοντίνοις ἅρμασι καὶ βαστάζουσα τοὺς παῖδας.
(schol. ad Eur. Med. 1320; ed. Schwartz 1891, 211).

Entrambe le testimonianze sottolineano la presenza di serpenti che trainano il carro di Medea verso l’alto. I dragoni diventano un elemento fisso nell’iconografia[8]del carro di Medea, anche se soltanto in un caso (sul cratere a campana falisco di San Pietroburgo, Ermitage Б 2083) sono πτερωτοί, dotati di ali, come li definisce la hypothesis sopra citata [Fig. 1]. 

1 | a) Hydria di produzione lucana a figure rosse attribuita al Pittore di Policoro, ca. 400 a.C., Policoro (MT), Museo Archeologico Nazionale della Siritide (n. inv. 35296). Foto tratta da Trendall 1967, II tav. 26 nr. 3.
Bibliografia | Degrassi 1965, 8-10, figg. 3, 8, 11; Trendall 1967, 58, n. 286; Schmidt 1992, 391, n. 35; Elice 2003-2004, 137; Caruso 2005, 345; Taplin 2007, 117-119; Galasso 2013, 54; Pouzadoux 2013, 319, fig. 181-b; Rebaudo 2013, 10; Rebaudo 2019, 103; Centanni, Grilli 2021, 65.
b) Cratere a calice di produzione lucana a figure rosse, attribuito alla Cerchia del Pittore di Policoro, ca 400 a.C. Cleveland, Museum of Art (n. inv. 1991.1) © Creative Commons.
Bibliografia | Todisco 2003, 391, L14a; Elice 2003-2004, 137; Caruso 2005, 346; Taplin 2007, 122-123; Galasso 2013, 55; Rebaudo 2013, 10-11; Rebaudo 2019, 102; Sourvinou-Inwood 2020, 270; Centanni, Grilli 2021, 66.
c) Anfora cd. Panatenaica di produzione apula a figure rosse attribuita al Pittore di Dario, proveniente da Ruvo di Puglia, 340-330 a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale (n. inv. 81954/H 3221) © Museo Archeologico Nazionale Napoli.
Bibliografia | Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 2, 497, n. 43; Schmidt 1992, 392, n. 37; Todisco 2003, 458, Ap 158; Elice 2003-2004, 141; Caruso 2005, 346; Taplin 2007, 124-125; Galasso 2013, 57-58; Pouzadoux 2013, 321, fig. 183; Massa-Pairault 2016, 15-17.
d) Cratere a campana di produzione falisca a figure rosse, 340-330 a.C., San Pietroburgo, The State Hermitage Museum (n. inv. Б 2083) © The State Hermitage Museum, St. Petersburg.
Bibliografia | Schmidt 1992, 392, n. 39; Caruso 2005, 343; Galasso 2013, 58; Pouzadoux 2013, 319, fig. 181-a; Rebaudo 2013, 12-13; Rebaudo 2019, 103.

È da osservare però che i dragoni non sono solitamente collegati ai carri volanti: il carro di Helios in particolare è tirato da cavalli bianchi, sovente alati, o da altri animali[9], laddove il carro di Selene è tirato da una biga di buoi[10].

Per il carro del Sole sono chiamati in causa da Filostrato i γρῦπες (Vita Apollonii 3, 48), ma l’immagine del carro solare tirato in cielo da grifoni alati ha matrici orientali e si diffonde nella cultura ellenistica a partire dall’episodio del leggendario volo di Alessandro[11].

Dopo Euripide si assiste dunque a una innovazione non solo nel racconto mitografico di Medea, ma anche per il dettaglio del carro volante e, in particolare, per la presenza dei serpenti. Le interpretazioni che gli studiosi hanno proposto per questa novità che interviene nell’iconografia del carro del Sole di Medea sono per lo più legate alla relazione della maga con i serpenti, i quali condividono con Medea “geheimnisvolle, vernichtende wie auch regenerative Zauberkräfte”[12], alla presenza nel mito di Medea in Colchide del drago che custodiva il Vello d’oro[13], al calderone magico [14], e comunque l’innovazione sarebbe connessa alle origini e al carattere barbaro e orientale della maga[15].

È invece da rivalutare l’ipotesi, già avanzata dagli studiosi a partire dalle prime ricerche sul tema, di una matrice ateniese del carro con i serpenti, e in particolare di un collegamento diretto tra il carro di Medea e il carro di Trittolemo[16].

Tra le fonti principali del mito di Trittolemo un posto di rilievo, anche per la sua datazione alta[17], ha l’Inno omerico a Demetra (vv. 153-159, 473-479). 
Persefone è rapita da Ade mentre era intenta a raccogliere fiori. La madre Demetra inizia a vagare sulla terra per nove giorni in cerca della figlia, in preda alla disperazione. Giunge nei pressi della dimora del re di Eleusi Celeo presso un pozzo. Qui incontra le figlie del re e nelle sembianze di una donna anziana chiede loro indicazioni per trovare accoglienza e lavoro come balia o al servizio di qualcuno. Le fanciulle propongono alla dea di seguirle poiché nella loro casa avrebbe potuto occuparsi del piccolo Demofonte. Demetra quindi si reca nella casa di Celeo e Metanira, dove comincia a occuparsi del bambino, coprendolo di attenzioni e nascondendolo di notte in una fiamma, affinché potesse crescere forte e libero dalla vecchiaia e dalla morte. Però Metanira, spiando la dea, vide Demofonte avvolto dalle fiamme e impaurita interruppe il rituale a cui era stato sottoposto il bambino. La dea – riprese le sue sembianze – si adirò rivelando che il bambino non sarebbe potuto più diventare immortale e che in onore di Demetra sarebbe stato costruito un grande tempio a Eleusi. Inoltre, lei stessa avrebbe insegnato al popolo di Eleusi un rito per il suo culto. Celeo ordinò quindi alla sua gente di costruire il tempio e quando fu ultimato Demetra, nel dolore ancora vivo per la scomparsa di sua figlia, non lasciò germogliare alcun seme: in questo modo tutta la stirpe dei mortali sarebbe stata distrutta. Per intercessione di Zeus, Demetra ottenne la restituzione della figlia, ma Ade fece mangiare alla fanciulla il seme del melograno perché non rimanesse per sempre sulla terra. Nonostante questo, Demetra guadagnò la presenza della figlia per due terzi dell’anno, mentre per la restante parte Persefone si sarebbe recata negli Inferi. Demetra così fece immediatamente germogliare di nuovo le messi e insegnò ai re Trittolemo, Diocle, Eumolpo e Celeo il sacro rito a lei dedicato e le norme per officiarlo.

Apollodoro ricorda il dono di Demetra a Trittolemo consistente in un carro trainato da draghi alati con cui il figlio maggiore di Metanira spargeva i semi sulla terra dal cielo[18].

Sofocle scrisse una tragedia dedicata a Trittolemo di cui si conservano ca 22 frammenti e datata al 468 a.C.[19]. In uno di questi (fr. 596 R) c’è un riferimento ai serpenti, alle loro spire e a un asse di carro.

La tradizione iconografica greca cristallizza la rappresentazione di Trittolemo raffigurandolo come un giovane con un fascio di spighe o con uno scettro tra le mani, trasportato da un carro, quasi sempre in compagnia di Demetra, Kore, Ecate o uomini di Atene/Eleusi[20]. Riguardo al carro si registrano quattro varianti principali[21]:
- durante il periodo della ceramica a figure nere (metà del VI sec. a.C.) Trittolemo è raffigurato seduto su una sedia poggiata su un carro autotrainante, una sorta di sedia a rotelle o un carretto di campagna[22] – poiché non è presente alcun animale da traino – mentre porta il grano o insegna l’arte dell’agricoltura[23]; la raffigurazione di piccole ali è attestata per le figure nere a partire dalla fine del VI sec. a.C.[24]
- con l’affermarsi della produzione ceramica a figure rosse Trittolemo resta seduto sul carro ma a questo vengono aggiunte delle ali vistose[25]: il primo esempio di questa tipologia è una coppa a figure rosse di Euergides datata al 510 a.C.[26] ;
- tra il 480 e il 470 a.C. alla variante iconografica precedente sono aggiunti dei serpenti che si dipartono dai raggi della ruota o raffigurati in prossimità della ruota stessa[27] ;
- dal I sec. d.C. in poi Trittolemo è su un carro trainato da due serpenti dalle spire tondeggianti[28] .

L’associazione del carro volante con Trittolemo implica la divinizzazione dell’eroe: non ci sono, infatti, soltanto i carri di Helios e Selene, chiare allegorie del loro quotidiano tragitto in cielo, ma oggetti resi magicamente volanti sono i veicoli di Apollo che sorvola l’oceano su un tripode alato, o di Efesto che vola su un sedile alato[29].

Escludendo il raggruppamento più recente che comprende principalmente gemme e tipi monetari di epoca romana, Trittolemo sul carro, con variazioni iconografiche rispetto al canone, figura su oltre centocinquanta vasi sia a figure nere che rosse e che coprono un intervallo temporale di circa due secoli, dalla metà del VI alla metà del IV sec. a.C. Importante è sottolineare che nelle raffigurazioni (principalmente su vasi a figure rosse) Trittolemo, oltre a essere raffigurato con divinità, compare anche in compagnia di diverse figure non divine e lo schema narrativo è quello della “partenza del guerriero con offerta”: Trittolemo, dunque, risulta essere l’eroe inviato da Demetra al servizio della polis di Atene[30].

Nell’Inno a Demetra Trittolemo è il primo tra i prìncipi menzionati a ricevere dalla dea le istruzioni sui sacri riti, mentre Apollodoro ricorda che fu la stessa Demetra a fabbricare per lui un carro tirato da serpenti alati con il quale potesse seminare il grano su tutta la terra (Apollod. I, 32) . Le fonti non lo indicano come fondatore dei riti eleusini, ma come colui che introdusse le tecniche agricole, fondamentali affinché una società possa definirsi ‘civile’: in questo senso lo si può considerare un protagonista importante della definizione dell’identità ateniese[31] e del modello di civiltà adottato dalla polis. Trittolemo, dunque, sia nell’arte che nella retorica ateniese diventa una figura-simbolo dei doni che la dea Demetra riserva all’umanità tutta, ma in particolare ad Atene[32].

L’anno in cui viene messa in scena la Medea di Euripide è il 431 a.C.[33]: dal punto di vista iconografico è importante segnalare che proprio in quel torno d’anni si assiste a uno scarto nella tradizione figurativa della maga barbara, che segna il passaggio di Medea da maga a infanticida[34]. Chi cura la scenografia del dramma – che con tutta probabilità a quell’altezza cronologica è lo stesso Euripide – ha a disposizione un’immagine: la rappresentazione del carro di Trittolemo con i serpenti, bene attestata dall’iconografia vascolare e probabilmente ben nota al pubblico perché presente in altri supporti per noi perduti. Inoltre, Euripide ha forse anche il ricordo della mechané che nel finale del Trittolemo di Sofocle trasportava in alto il re di Eleusi (fr. 596 R: δράκοντε θαιρὸν ἀμφιπλὶξ εἰληφότε)[35].

Per quanto l’iconografia del carro di Trittolemo tirato da serpenti possa essere in auge già dalla prima metà del V sec. a.C.[36], la possibilità che il tipo figurativo abbia potuto ispirare l’utilizzo di una precoce mechané nella tragedia sofoclea del 468 a.C. resta comunque un’ipotesi difficile da sostenere, non essendo il teatro ad Atene ancora dotato di strutture architettoniche in grado di poterne garantire l’allestimento: in questo senso Pickard-Cambridge, dalla sua prospettiva archeologica e in contraddizione con i filologi succitati, ritiene che Sofocle non abbia mai avuto bisogno di utilizzare alcuna macchina teatrale[37]. Secondo alcuni studiosi la scelta che Sofocle compie per il mythos del suo Trittolemo si colloca nella temperie culturale collegata alla vittoria degli Ateniesi a Salamina, in cui le divinità eleusine furono di grande aiuto contro i Persiani con l’invio di una nuvola di polvere che sembrava essere smossa da trentamila uomini[38].

Si può notare che Trittolemo risulta essere un personaggio la cui storia mitologica è molto vaga: va tenuto in considerazione l’Inno a Demetra che lo elenca tra i principi di Eleusi che ricevono da Demetra le norme dei sacri riti, non caratterizzandolo con particolari attributi (h. Cer., 474-476), ma la sua figura, stando alle fonti in nostro possesso, appare prima nella pittura vascolare, senza un profilo iconografico ben definito, e solo successivamente si registra una sua presenza nelle fonti letterarie. Così Susan Matheson:

“[...] Triptolemus was a figure of obscure parentage who came on the scene first in vase painting, without any mythological history from earlier literary sources to provide a pedigree or visual identity. His arrival around 540 and his rapid development in the subsequent few decades into a stock character with a specific role will probably not have occurred in a vacuum” (Matheson 1995a, 363).

2 | Cratere a volute di produzione lucana a figure rosse attribuito al Pittore dell’Ilioupersis e/o Pittore di Licurgo, 350 a.C., Roma, Museo Gregoriano Etrusco (n. inv. 17162).
Foto tratta dal sito dei Musei Vaticani (https://catalogo.museivaticani.va/index.php/Detail/objects/MVF.VII.12.19#).

La sua apparizione risulta dunque quasi improvvisa senza una storia mitologica letteraria alle spalle – almeno per quanto è a noi noto[39]. D’altro canto, dal punto di vista della tradizione iconografica – e specificamente dei soggetti della pittura vascolare – possiamo affermare che il carro di Trittolemo era ben presente come elemento di repertorio almeno dalla fine del VI secolo a.C. e quindi poteva essere pronto a prestarsi a essere usato anche per Medea. 

Una prova di questa fungibilità dello schema iconografico di Trittolemo sul carro viene dal confronto tra due vasi, il primo raffigurante Trittolemo sul carro, il secondo Oistros sul carro, presentato come personificazione allegorica dell’estro omicida di Medea. Proveniente dai dintorni di Bari è un cratere a volute di produzione apula conservato ai Musei Vaticani (n. inv. 17162) di attribuzione incerta (Pittore dell’Ilioupersis e/o Pittore di Licurgo) che raffigura Trittolemo su un carro trainato da serpenti e datato al 350 a.C.[40] [Fig. 2].

Se pur si colgono alcune, minime, differenze nella raffigurazione dei serpenti e di parte della biga tra il vaso con Oistros [Fig. 3a] – che raffigura non Medea sul carro con i serpenti ma la personificazione del suo Furore omicida[41] – e il vaso con Trittolemo, che nel caso del cratere dei Musei Vaticani è tratteggiata in maniera più raffinata e con l’aggiunta delle ali, le due figure maschili sono pressoché identiche. 

3 | a) Cratere a volute di produzione apula attribuito al Pittore dell’Oltretomba (particolare), proveniente da Canosa, ca 320 a.C., München, Staatliche Antikensammlungen (n. inv. 3296) © Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek.
Bibliografia | Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 2, 533, n. 283; Schmidt 1992, 391, n. 29; Todisco 2003, 482, Ap 219; Elice 2003-2004, 139; Caruso 2005, 345; Galasso 2013, 61-62; Rebaudo 2013, 7-8; Baggio 2016, 180.
b) Cratere a volute di produzione lucana a figure rosse attribuito al Pittore dell’Ilioupersis e/o Pittore di Licurgo (particolare), 350 a.C., Roma, Museo Gregoriano Etrusco (n. inv. 17162). Foto tratta dal sito dei Musei Vaticani (https://catalogo.museivaticani.va/index.php/Detail/objects/MVF.VII.12.19#).  
Bibliografia | Pringsheim 1905, 99, n. 54; Trendall 1955, 189-192, tav. LI, a, d; Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 1, 408, tav. 144, 1-2; Schwarz 1987, 150, V 143, tav. XIX, 33; Beschi 1988, 875, n. 373; Hayashi 1992, 172, n. 160.

La serie di vasi italioti con Trittolemo sul carro con serpenti conserva lo stesso tipo iconografico lungo un arco temporale che va dal 370 al 350 a.C. e, allo stesso tempo, presenta delle soluzioni innovative rispetto allo stesso tipo che decora le ceramiche di produzione attica. Il carro di Trittolemo non è più un “wheeled chair” né un “country cart”, ma una biga da corsa con cesto, il quale appare frontalmente o in obliquo e con la visione di due ruote che fanno, ora per la prima volta, la loro comparsa[42]. Anche i serpenti, che si distribuiscono ai lati del cesto, non rappresentano più un mero attributo ma animali da tiro, raffigurati in primo piano e, nel cratere a campana del Museo di Napoli, proprio come animali da traino sono tenuti da redini[43] [Fig. 4 e in particolare 4c]. 

4 | a) Cratere a volute di produzione apula attribuito al Pittore dell’Ilioupersis, proveniente da Ruvo, ca 370-360 a.C., San Pietroburgo, The State Hermitage Museum (n. inv. б 586, St 350) © The State Hermitage Museum, St. Petersbur.
Bibliografia | Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 1, 193; Schwarz 1987, 157, V140; Hayashi 1992, 171-172, n. 158.
b) Fram. di produzione apula a figure rosse attribuito al Pittore dell’Ilioupersis, ca 370-360 a.C., Matera, Museo Nazionale Domenico Ridola (n. inv. 150121). Foto tratta da Hayashi 1992, tav. 12, 1.
Bibliografia | Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 1, 194; Schwarz 1987, 159, V 141; Hayashi 1992, 172, n. 159, tav. 12, 1.
c) Cratere a campana di produzione apula attribuito al Pittore di Napoli 3245, proveniente da Armento, 350 a.C., Napoli, Museo archeologico nazionale (n. inv. 81946 – H 690) © Museo Archeologico Nazionale Napoli.
Bibliografia | Pringsheim 1905, 99, n. 53; Macchioro 1912, 285, 12a; Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 1, 423; Schwarz 1987, V 142; Hayashi 1992, 172-173, n. 161.
d) Cratere a volute di produzione lucana a figure rosse attribuito al Pittore dell’Ilioupersis e/o Pittore di Licurgo, 350 a.C., Roma, Museo Gregoriano Etrusco (n. inv. 17162). Foto tratta dal sito dei Musei Vaticani (https://catalogo.museivaticani.va/index.php/Detail/objects/MVF.VII.12.19#).
Bibliografia | Pringsheim 1905, 99, n. 54; Trendall 1955, 189-192, tav. LI, a, d; Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 1, 408, tav. 144, 1-2; Schwarz 1987, 150, V 143, tav. XIX, 33; Beschi 1988, 875, n. 373; Hayashi 1992, 172, n. 160.
e) Fram. di produzione apula a figure rosse attribuito al Gruppo del Vaticano W 4, seconda metà del IV sec. a.C., Amsterdam, Museo Allard Pierson (n. inv. 2636). Foto tratta da Schwarz 1987, tav. XIX, 34.
Bibliografia | Trendall, Cambitoglou 1978, vol. 1, 408; Schwarz 1987, 160, V 144, tav. XIX, 34; Hayashi 1992, 173, n. 162.

La sovrapposizione tra il carro di Medea e quello di Trittolemo ha dunque una lunga fortuna, non solo iconografica. Sul piano letterario, una traccia importante è nei versi dei Tristia in cui Ovidio spera nel carro con i dragoni di Trittolemo o di Medea (giustapposti!) per fuggire da Tomi e tornare in patria[44].

Nunc ego Triptolemi cuperem consistere curru,
      misit in ignotam qui rude semen humum;
nunc ego Medeae uellem frenare dracones,
      quos habuit fugiens arce, Corinthe, tua; 
(Ov. trist. III, 8, 1-4; ed. Wheeler 1939).

Nella speranza di poter fare ritorno dall’esilio, Ovidio vagheggia la sorte di Trittolemo e Medea (così come al v. 6 il poeta desidera le ali di Perseo e Dedalo) come figure del mito che sono riuscite a lasciare la terra in cui si trovavano grazie a un mezzo di trasporto fantastico e incredibile: Trittolemo con il suo carro (senza riferimenti, in Ovidio, ai serpenti) e Medea con un carro che invece è trainato da dracones che la maga tiene a freno grazie alle redini. Nella fantasia di un miracoloso ritorno di Ovidio, la giustapposizione di Trittolemo e Medea rende evidente quanto fosse vivida nell’immaginario letterario e figurativo l’associazione tra Trittolemo, Medea e il carro con i serpenti [Fig. 5].

5 | a) Sarcofago in marmo, proveniente da Roma, 140 d.C., Parigi, Musée du Louvre (n. inv. MA 283) © RMN.
Bibliografia | Schmidt 1992, 393, n. 50.
b) Sarcofago in marmo, proveniente da Porta Maggiore (Roma), 150 d.C., Roma, Museo Nazionale Romano (n. inv. 75248). Photo rights: su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Archeologica di Roma.
Bibliografia | Schmidt 1992, 393, n. 52. 
c) Sarcofago in marmo, proveniente da Via Tiburtina (Roma), ca 140-150 d.C., Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung (n. inv. Sk 843b) © Staatliche Museen zu Berlin, Antikensammlung.
Bibliografia | Schmidt 1992, 393, n. 51.
d) Sarcofago in marmo, proveniente dal Criptoportico del Palatino (Roma), 170 d.C., Roma, Museo Nazionale Romano (n. inv. 222). Photo rights: su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Archeologica di Roma.
Bibliografia | Schmidt 1992, 393, n. 53.
e) Urna di Geminia, proveniente da Ostia. Ostia, Museo Ostiense (n. inv. 10/4930). Photo rights: Archivio Fotografico della Soprintendenza Archeologica per i beni archeologici di Ostia, Archivio Fotografico della Soprintendenza Archeologica per i beni archeologici di Ostia.
Bibliografia | Schmidt 1992, 393-394, n. 62.

Ma la questione è: si tratta soltanto di una sovrapposizione che nasce per l’economia funzionale delle macchine disponibili nell’attrezzeria teatrale dell’Atene del V secolo o piuttosto per i modelli in uso nelle officine dei ceramografi dal momento che il riferimento ai serpenti è presente nella hypothesis e nello scolio[45]? Forse l’attribuzione a Medea del carro di Trittolemo potrebbe avere anche una valenza semantica, per non dire ideologica, chiara e forte.

Nella climax finale della Medea, Giasone chiede disperatamente a Medea il permesso di seppellire i corpi dei loro figli, ma Medea sdegna orgogliosamente la richiesta dello sposo e pianifica esplicitamente una destinazione diversa per i loro corpi: grazie al carro del Sole potrà andare a seppellirli a Corinto presso il tempio di Hera Acraia (v. 1379), dove istituirà un rito di espiazione. Poi si recherà ad Atene “nella terra di Eretteo” per vivere con Egeo, al quale la maga aveva promesso una soluzione alla sua sterilità in cambio della sua ospitalità. L’episodio di Egeo è fondamentale per capire il finale del dramma: a quanto si ricava da Aristofane di Bisanzio il suo passaggio per Corinto, in transito per Delfi per risolvere il problema della sua sterilità (vv. 665-682), è probabilmente una invenzione tutta euripidea, come tutta euripidea, e comunque non ripresa da Eschilo e da Sofocle, è l’invenzione del plot della tragedia: nell’arg. Med.(2) troviamo infatti l’importante indicazione παρ’ οὐδετέρῳ κεῖται ἡ μυθοποιΐα[46]. L’incontro con Egeo rappresenta non solo una possibilità di soluzione del dramma e una sponda di salvezza per Medea dopo l’orrore dei crimini commessi a Corinto, ma collega anche indissolubilmente Medea ad Atene[47]. Dal punto di vista di una lettura politica della Medea, inoltre, l’inserimento dell’episodio con Egeo è “un bello spot promozionale”[48] per la città di Atene che di lì a poco sarà coinvolta nella guerra del Peloponneso. A dispetto delle critiche di Aristotele sull’uso della mechané[49], Euripide crea un finale dal forte impatto spettacolare e con una indubitabile funzione ideologica: forzando il mito, Medea vola verso Atene su un carro con serpenti del tutto analogo al carro del fondatore dei misteri eleusini, Trittolemo; e ad Atene Medea, secondo la torsione che Euripide impone al mito[50], da Egeo, reso fertile da sterile grazie alle sue arti magiche, farà nascere il fondatore, Teseo. Il finale della Medea ha una chiara valenza fondativa dell’identità ateniese[51].Una controprova, in negativo, del valore politico e ideologico del finale ateniese della tragedia euripidea si riscontra nella Medea di Seneca. In quest’ultima non si riscontra alcun riferimento alla destinazione ateniese del viaggio di Medea. A Seneca non importa nulla del luogo in cui atterrerà quel carro trattandosi di un altro contesto politico-culturale. Tale prerogativa, invece, era il messaggio che interessava agli ateniesi del V secolo a.C. e che Euripide sfrutta appieno, mettendo in scena una variante importante del loro mito di fondazione. Una delle doti del drammaturgo consiste proprio in questo: plasmare la materia del mito e in questa fissare un cuneo da cui far nascere la propria opera. Attraverso ampliamenti e trasformazioni il mito è piegato dall’estro poetico a essere portavoce del messaggio che il drammaturgo ha scelto di trasmettere al suo pubblico in quel determinato momento, adattando lo svolgimento della trama per quello specifico segmento del mythos su cui pone le ‘luci dei riflettori’. 

L’energia negativa che la tragedia di Euripide ha messo in scena si trasforma in un’energia benefica e salvifica per la città, e il finale di Medea, sebbene ad Aristotele suonasse artificioso, è una rappresentazione molto efficace di questo concetto. Non è soltanto per economia di attrezzeria teatrale – o per il riuso dei modelli già in bottega del ceramografo – che Medea monta sul carro di Trittolemo. Medea è rappresentata in trionfo/apoteosi sul carro di Trittolemo perché, come Trittolemo, atterrerà ‘qui’, a far nascere Teseo. Ovvero a far nascere Atene.

Note

[1] Tedeschi 2010, 214-215; sull’assenza di un deittico (τόδε) a favore di τοιόνδε e sul presente δίδωσιν con valore intenzionale si veda Vox 2003, 223; sulla possibilità che Euripide abbia mutuato dal dramma di Neofrone di Sicione l’utilizzo del carro per la fuga di Medea si rimanda a Schubert 1996-1997, 331 con bibliografia precedente. Sulla questione ancora aperta – e non risolvibile – del plagio operato da Euripide ai danni di Neofrone e sul primato dell’uno o dell’altro riguardo l’invenzione del figlicidio si vedano Manuwald 1983, 27-61; Michelini 1989, 115-135; Ameduri 2009, 187-192 (con amplia bibliografia precedente); Lucarini 2013, 185-193; Pucci 2017, 64-67. Ritorna sull’argomento anche il recentissimo Manuwald 2024, 38-48: sul frammento di skyphos, proveniente dalla Necropoli del Giardino Spagna (Siracusa) datato al 460 a.C. (che testimonierebbe l’invenzione del figlicidio molto prima della messa in scena della Medea di Euripide) e utilizzato dallo schieramento degli studiosi sostenitori dell’anteriorità di Neofrone per comprovarne la cronologia al V sec. a.C., Bernd Manuwald sostiene che la scena sul vaso potrebbe invece rappresentare un momento della saga di Tereo e Procne (Manuwald 2024, 41-42). Tuttavia, l’ipotesi presentata dal valido contributo di Fabio Caruso (Caruso 2005, 341-354) merita ulteriori approfondimenti alla luce dei nuovi studi sul rapporto teatro-immagini vascolari. Commenta il frammento anche Pucci 2017, 65-66.
[2] Sull’utilizzo di una mechané in Medea vd. Lucas 1968, 163-164; Luschnig 2007, 63-84; Petrides 2012, 68; Manuwald 2024, 379. Più in generale, per l’uso della mechané ad Atene Pickard-Cambridge 1946, 127-128.
[3] Sulla critica aristotelica all’uso della mechané per gli scioglimenti dei finali dei drammi vedi anche Lesky [1972] 1996, 467. Su un possibile valore metaforico del termine μηχανή nel passo aristotelico si vedano Cunningham 1954, 151-160; Lucas 1968, 163-164; Marzullo 1993, 320-322; Vox 2003, 221. Sulla possibilità che Aristotele si riferisca a un’altra Medea euripidea (discorso che si intreccia con le proposte di una datazione dell’opera di Neofrone a un momento precedente o contemporaneo al dramma di Euripide) si veda Lucarini 2013, 187, n. 60.
[4] Robert 1896, 567-568; Page 1938, xxvii e 180-181; Schmid 1963, 199-200; Hourmouziades 1965, 168-169; Dunn 1985, 118, 126, 128-130; Newiger 1989, 179; Mastronarde 1990, 264-266; Vox 2003, 218 con bibliografia precedente.
[5] Vox 2003, 218. 
[6] Robert 1896, 569 ritiene possibile una macchina volante per il Prometeo ma difende anche l’idea di un suo utilizzo per l’entrata in scena di Atena in Eumenidi (vv. 403-405). Per un uso della mechané per l’entrata in scena di Oceano nel Prometeo si vedano: Pattoni 1998, 179-180; Mastronarde 1990, 287. Secondo Monica Centanni emerge con evidenza dalla lettura del testo del Prometeo la presenza della mechané per l’entrata di Oceano, ma anche per quella del Coro delle Oceanine e di Hermes: Centanni 2003, 1170: Coro; Centanni 2003, 1170-1171: Oceano; Centanni 2003, 1171: Hermes; il ricorso a un apparato tecnico così importante, del tutto anomalo rispetto alla scenografia delle altre tragedie, sarebbe una conferma indiretta della messa in scena in Sicilia e non ad Atene (Centanni 2003, 1171). Per gli effetti spettacolari nelle invenzioni scenografiche attribuite a Eschilo nelle fonti antiche vd. Centanni 2022, 54-56. Per una disamina di pareri a favore e contrari all’utilizzo di più macchine teatrali per il Prometeo eschileo vd. Taplin 1977, 252-260; inoltre per lo studioso “the device was not, so far as we know, ever used by Aeschylus” (Taplin 1977, 444). 
[7] Lucas 1968, 164 sostiene che la tradizione del carro con i serpenti nascerebbe a seguito dell’argumentum; sui serpenti del carro di Medea che non hanno bisogno di ali per volare, vd. Ogden 2013, 49.
[8] Per un’analisi approfondita sullo schema compositivo dei vasi italioti che raffigurano Medea in fuga sv. Pouzadoux 2013, 316-324.
[9] Per il dono dei carri tirati da cavalli o da altri animali fantastici all’uomo vd. Martínez 1999, 37-53; sull’argomento anche Elice 2003-2004, 124, nota 15. Per il carro di Helios: Letta 1988, 592-625, in particolare 594 e Krauskopf 2009, 241.
[10] Gury 1998, 706-715.
[11] Centanni 2009, 278-306.
[12] Grabow 1998, 30. 
[13] Simon 1961, 950-957; Isler-Kerényi 2000, 132. 
[14] Isler-Kerényi 2000, 123-127.
[15] Giraud 1996, 207-218; Sourvinou-Inwood 2020, 253-296. Per il serpente come rappresentazione simbolica della furia e dell’ardore si veda Russo 1950, 289. 
[16] Il primo ad avanzare l’ipotesi di una relazione tra il carro di Medea e il carro di Trittolemo e a ritenere il Trittolemo di Sofocle come modello per Medea è Robert 1896, 566. Sul tema anche Moret 2004, 147, n. 26 e Pouzadoux 2013, 323.
[17] Sulla datazione controversa dell’Inno omerico a Demetra – che resta la principale fonte tràdita e più antica su Trittolemo – si veda Richardson 1974. Per Filippo Càssola l’inno potrebbe essere stato composto tra il VII sec. a.C. e la metà del VI sec. a.C. (Càssola 1975, 31-33).
[18] Apollodoro ricorda altresì che già nel V sec. a.C. Paniassi di Alicarnasso riteneva Trittolemo figlio di Eleusi, mentre Ferecide (prima metà del V sec. a.C.) lo diceva figlio di Oceano e Gea, diversamente dal mito corrente che lo voleva figlio di Celeo, re di Eleusi, e di Metanira (Apollod. I, 32).
[19] Soph. fr. 596-617a R; Radt 1999, 445-453. Per la datazione del Trittolemo sofocleo si fa riferimento al passo di Plinio (nat. 18, 65) che colloca la messa in scena 145 anni prima della morte di Alessandro Magno, Radt 1999, 448.
[20] Matheson 1995a, 346.
[21] Per i tipi iconografici del carro di Trittolemo si fa riferimento alla voce del LIMC a cura di Gerda Schwarz (Schwarz 1997, 56-68) e al catalogo proposto da Hayashi 1992, 126-174.
[22]“wheeled chair”: Matheson 1995a, 350; “country cart”: Lorimer 1903, 132-151; Raubitschek, Raubitschek 1982, 110.
[23] Schwarz 1997, numeri 54, 57, 59, 60, 62, 63; Matheson 1995a, 350.
[24] Hayashi 1992, 55.
[25] È questo il tipo iconografico più numeroso: Schwarz 1997, numeri 80, 81, 82, 84, 92, 93, 94, 97, 98, 99, 106, 110, 112, 113, 117, 118, 120, 121, 122, 125, 128, 129 con datazioni che oscillano tra il 490 e il 440 a.C.
[26] Hayashi 1992, 133 n. 26. Il vaso è conservato a Okayama, presso il Kurashiki Ninagawa Museum (n. inv. 33).
[27] Schwarz 1997, numeri 91, 111, 127, 136, 138; Matheson 1995a, 352.
[28] Schwarz 1997, numeri 7, 39, 36, 41, 44, 48a.
[29] Si tratta per Apollo di una hydria attica a figure rosse attribuita al Pittore di Berlino, proveniente da Vulci e conservata presso il Museo Gregoriano Etrusco Vaticano (n. inv. 16568) e una coppa attica a figure rosse attribuita ad Ambrosios, proveniente da Vulci e conservata una volta presso l’Antikensammlungen di Berlino (n. inv. F2273) e oggi perduta per Efesto. Sull’argomento vd. Raubitschek, Raubitschek 1982, 110; Matheson 1995a, 350.
[30] Matheson 1995a, 358 e Matheson 1995b, 269-276; il forte legame con Atene è testimoniato anche dalla sua presenza sulle colonnine nella residuale produzione delle anfore panatenaiche: Schwarz 1997, 61, nn. 74-78.
[31] Schwarz 1987, 4; sul culto eleusino Bowden 2007, 71-83; Wasson, Hofmann, Ruck 2008; Muraresku 2020; Kerenyi [1967] 2020.
[32] Sul punto Matheson 1995a, 345-372, in particolare 345; per il ruolo di Trittolemo nella propaganda ateniese vd. anche Shapiro 1989, 67-83.
[33] La notizia della data della rappresentazione della tragedia, come noto, è desunta dal secondo argumentum alla Medea di Euripide redatto da Aristofane di Bisanzio, arg. Med.(2): Schwartz 1891, 138-139.
[34] Isler-Kerényi 2000, 118.
[35] Per una derivazione del carro con i serpenti di Medea da allestimenti scenografici si vedano Taplin 1993, 23; Elice 2003-2004, 140. Per i frammenti superstiti del Trittolemo si vedano Radt 1999, 445-453; Schwarz 1987, 8, SQ 5; Matheson 1995a, 348; per Frank Brommer l’opera sofoclea sarebbe in realtà un dramma satiresco e non una tragedia sulla scorta di un frammento di un cratere a calice del Gruppo di Peleo conservato a Siracusa (Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi, n. inv. 24114); Brommer 1959, 47 e 79.
[36] Schwarz 1997, 91, 111, 127, 136, 138; Matheson 1995a, 352.
[37] Pickard-Cambridge 1946, 51.
[38] Hdt. VIII, 65; Plu. Them. 15; Raubitschek, Raubitschek 1982, 112 con bibliografia precedente. 
[39] Per un’ipotesi che l’introduzione del culto di Trittolemo sia stata voluta da Pisistrato, si vedano Boardman 1975, 1-12; Raubitschek, Raubitschek 1982, 110; Schwarz 1987, 5.
[40] Beschi 1988, 875, n. 373; Degrassi 1965, 32, nota 59.
[41] Giustamente Ludovico Rebaudo, per giustificare la presenza di Oistros sul carro e non di Medea, si appella al principio della non replicabilità della stessa figura nella convenzione pittorica in auge nel IV sec. a.C.: sv. Rebaudo 2013, 12-13.
[42] Hayashi 1992, 52. 
[43] Hayashi 1992, 53. Queste caratteristiche si rilevano con costanza in 5 vasi a figure rosse datati tutti al IV sec. a.C. (Hayashi 1992, 52-53 e 171-173). 
[44] Per la fortuna del tema della fuga di Medea nel mondo romano: Sen. Med. 1022-1024; Pacuv. 397R3; Hor. Epod. 3, 14; Ov. Met. VII, 350. Per la figura di Medea nella letteratura latina: Pucci 2017, 99-126 con amplia bibliografia.
[45] Sulla questione Oliver Taplin mantiene una posizione prudente proponendo tre possibili scenari per giustificare l’introduzione del carro di Medea con i serpenti: i pittori possiedono i propri schemi narrativi e non è dimostrabile che facciano affidamento a delle versioni letterarie del mito; tra la messa in scena del 431 a.C. e le produzioni vascolari con il carro di Medea potrebbero essere state allestite altre tragedie dallo stesso contenuto, a noi sconosciute, e che abbiano potuto influenzare le raffigurazioni pittoriche del mito; infine, l’introduzione dei serpenti nell’allestimento scenico, da cui sarebbe in qualche modo derivato l’elemento iconografico, deriverebbe dalle compagnie di attori che successivamente a Euripide hanno portato in scena la tragedia (Taplin 2007, 119-121).
[46] Schwartz 1891, 138-139; Tedeschi 2010, 63.
[47] Centanni 2012, 38. Lidia Di Giuseppe, invece, afferma che l’incontro tra i due personaggi Medea ed Egeo segue una costante compositiva nella drammaturgia euripidea con uno schema tipo, configurandosi come un “mini-pattern” nelle categorie delle scene di salvazione: Di Giuseppe 2009, 103-106.
[48] Pucci 2017, 68-69. Secondo l’autore: “a fronte di un tiranno corinzio che espelle c’è un re ateniese giusto che accoglie; se il nuovo sovrano in pectore di Corinto (Giasone) non tiene in nessun conto i giuramenti, quello di Atene li prende molto sul serio, e si capisce che li onorerà”. La strada per un atterraggio trionfale di Medea ad Atene è ormai spianata.
[49] Arist. Po. 1454a 37-1454b 1-3.
[50] Un precedente importante risale a Eschilo che, forzando inverosimilmente il dettato del mito, nelle Eumenidi aveva dirottato il finale della saga di Oreste da Argo a Delfi e da Delfi ad Atene: Centanni 2012, 55.
[51] Sulla forzatura di un finale ateniese presente in un numero consistente delle tragedie conservate si veda Centanni 2012, 37-49 e in particolare, per Medea, 38.

Desidero esprimere la mia più sincera gratitudine a Monica Centanni e a Paolo B. Cipolla per i preziosi consigli, fondamentali per il progresso della mia ricerca.

Bibliografia
Bibliografia ragionata

Per le edizioni critiche e i commenti al testo: Schwartz 1891; Wheeler 1939; Page 1938; Lucas 1968; Richardson 1974; Manuwald 1983; Michelini 1989; Schubert 1996-1997;  Radt 1999; Vox 2003; Ameduri 2009; Di Giuseppe 2009; Tedeschi 2010; Lucarini 2013; Manuwald 2024.

Per l’iconografia di Medea: Degrassi 1965; Trendall 1967; Trendall, Cambitoglou 1978; Schmidt 1992; Taplin 1993; Grabow 1998; Isler-Kerényi 2000; Elice 2003-2004; Todisco 2003; Caruso 2005; Taplin 2007; Galasso 2013; Ogden 2013; Pouzadoux 2013; Rebaudo 2013; Baggio 2016; Massa-Pairault 2016; Rebaudo 2019; Sourvinou-Inwood 2020; Centanni, Grilli 2021.

Per l’iconografia di Helios/Sol: Letta 1988; Martínez 1999; Elice 2003-2004; Krauskopf 2009.

Per l’iconografia di Trittolemo: Pringsheim 1905; Macchioro 1912; Degrassi 1965; Beschi 1988; Hayashi 1992; Schwarz 1997.

Per l’iconografia di Demetra, Egeo e Selene/Luna: Beschi 1988; Gury 1998.

Per l’iconografia del carro di Trittolemo: Lorimer 1903; Brommer 1959; Raubitschek, Raubitschek 1982; Hayashi 1992; Schwarz 1997; Matheson 1995a; Matheson 1995b; Moret 2004.

Per il legame Trittolemo/Atene e il culto eleusino: Boardman 1975; Càssola 1975; Raubitschek, Raubitschek 1982; Schwarz 1987; Shapiro 1989; Matheson 1995a; Matheson 1995b; Schwarz 1997; Bowden 2007; Wasson, Hofmann, Ruck 2008; Muraresku 2020; Kerenyi [1967] 2020.

Per il rapporto Medea/Atene: Centanni 2012; Pucci 2017.

Per l’utilizzo della mechané: Robert 1896; Page 1938; Pickard-Cambridge 1946; Cunningham 1954; Schimd 1963; Hourmouziades 1965; Lucas 1968; Lesky [1972] 1996; Taplin 1977; Dunn 1985; Newiger 1989; Mastronarde 1990; Marzullo 1993; Pattoni 1998; Centanni 2003; Vox 2003; Luschnig 2007; Petrides 2012; Centanni 2022.
 

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English abstract

The comparison between the iconographic motif of the serpent-drawn chariot, with which Medea, in Euripides’ eponymous tragedy, reaches Athens, and that of Triptolemus, a prominent figure in the Eleusinian rites, is now a widely accepted hypothesis among scholars. In the final scene of the play, Medea "lands" in Athens, indirectly contributing to the birth of Theseus. Following the Athenian direction (Centanni 2012, 35-61) present in the conclusions of other preserved tragedies, it is hypothesized that Euripides intended to associate the figure of the sorceress with that of the founding of the quintessential polis, Athens.

keywords | Medea’s chariot; Triptolemus’ chariot; Euripides; iconography; tragedy endings.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Concetta Cataldo, Medea sul carro di Trittolemo. Un mito ateniese, “La Rivista di Engramma” n. 216, settembre 2024

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.216.0014