Presentazione
Giulia Zanon
– “Chi sei?” – “Un ragazzo interessato a migliorare il mondo, perlopiù attraverso il diritto, la politica e la tecnologia […] Credo che la maggior parte della gente, posta davanti a dati schiaccianti, si unirà a me”. Così Aaron Swartz, diciassette anni, si presenta al mondo, con le parole dell’idealismo ingenuo – e solidamente rigoroso – di un ottimista senza limiti.
Nato a Chicago nel 1986, Swartz è un enfant prodige dell’informatica. A soli dodici anni sviluppa, come progetto scolastico, The Info Network, il prototipo di una piattaforma di enciclopedia collaborativa, incentrata sulla condivisione collettiva del sapere: un’idea che ben si colloca nel solco della visione originaria del World Wide Web delineata dal suo fondatore Tim Berners-Lee, il quale aveva riflettuto sul concetto di Web Semantico, ovvero della rete come infrastruttura che possa allargare il suo funzionamento non solo a contenuti testuali ma anche a dati strutturati, database interconnessi e interoperabili. “Invece di limitarsi a pubblicare pagine web testuali” – scrive Swartz – “gli utenti potranno pubblicare i propri database, aggregabili in risorse di ampia portata”. Nel 2001 contribuisce alla redazione della prima bozza del protocollo RSS, che consente la ricezione automatica di aggiornamenti da siti e blog (mentre i suoi collaboratori, con cui lavora al codice, ignorano che dall’altra parte dello schermo vi sia un quattordicenne). L’anno seguente inizia la collaborazione con il giurista Lawrence Lessig per la fondazione di Creative Commons, l’organizzazione concepita per ampliare l’utilizzo libero e pubblico delle opere d’ingegno attraverso l’istituzione di una serie di licenze standard. Nel 2005, durante il suo primo e unico anno all’Università di Stanford, sviluppa Infogami, un sistema flessibile di gestione dei contenuti, che di lì a poco confluirà nella creazione di Reddit: ancora oggi una delle piattaforme di discussione e informazione più frequentate al mondo.
Tutti i progetti di Swartz sono animati dall’anelito verso una forma di intelligenza collettiva, fondata sull’idea che la conoscenza non possa essere considerata proprietà esclusiva di alcuno. In un intervento del 2006, Swartz osserva: “La conoscenza cumulativa della scienza è uno dei nostri prodotti culturali più preziosi, eppure si trova disseminata in migliaia di brevi articoli pubblicati in centinaia di riviste diverse”. L’ideale di un sapere collettivo può sembrare irrealizzabile: “Chi oserebbe comprimere la conoscenza umana o un’intera lingua in un solo libro?” E tuttavia, scrive Swartz, l’umanità ha prodotto innumerevoli esemplari e tipologie di enciclopedie e dizionari. In fondo, il limite è solo una questione di risorse economiche. In questo senso, continua, Internet determina un punto di svolta: “Evito in genere il trionfalismo digitale, ma Internet, a quanto pare, cambia le carte in tavola. Wikipedia non è stata creata da esperti dedicati, ma da perfetti sconosciuti, e sebbene si possa discutere delle sue lacune, tutti concordano nel riconoscere che si tratta di un servizio utile. Internet è il primo mezzo che rende possibili progetti di collaborazione di massa di questa portata”.
Questa apertura radicale trova un esempio concreto nell’iniziativa dell’attivista Carl Malamud, che nel 2008 contesta la scarsa accessibilità del sistema statunitense PACER (Public Access to Court Electronic Records), costoso e obsoleto, mettendo online gratuitamente cinquant’anni di sentenze giudiziarie. L’anno seguente, organizza un’azione collettiva invitando altri attivisti a scaricare e condividere documenti approfittando di un periodo di accesso gratuito. Tra questi c’è Aaron Swartz, che riesce a ottenere quasi 20 milioni di pagine. E attira inevitabilmente su di sé l’attenzione del FBI.
Nel 2010 Swartz sta proseguendo la sua battaglia per l’accesso libero alla conoscenza: viola i server del Massachusetts Institute of Technology per scaricare il maggior numero possibile di articoli da JSTOR, l’enorme biblioteca digitale, fulcro di un servizio commerciale che concede in licenza riviste scientifiche a università (tra cui il MIT) e istituti di ricerca. L’operazione di Aaron prosegue per giorni, arrivando a un totale di circa cinque milioni di articoli – l’80% dell’intero archivio di JSTOR. In una sola sera l’attivista scarica 450.000 articoli da 560 riviste, sovraccaricando il sistema e inducendo JSTOR a indagare, fino a risalire a un indirizzo IP interno al MIT. Dopo settimane di indagini, i servizi segreti riescono a collegare l’azione a un portatile nascosto in una scatola di cartone, connesso direttamente agli switch di rete, conservati in uno sgabuzzino del campus universitario. Le registrazioni delle videocamere di sorveglianza confermano l’identità di Swartz, il quale viene quindi incriminato – in un processo avviatosi nel 2011 – per due capi d’accusa per frode informatica e undici capi d’accusa per violazione del Computer Fraud and Abuse Act. Le autorità federali insistono su una condanna esemplare, con una pena prospettata fino a 13 anni di reclusione.
JSTOR adotta una linea conciliativa: dichiara da subito di non avere intenzione di procedere legalmente, in quanto Swartz non aveva mai diffuso gli articoli scaricati, e propone di risolvere la questione con il pagamento simbolico di una sanzione amministrativa. Né l’Università di Harvard (presso la quale Swartz era affiliato come ricercatore), né il MIT si schierano in sua difesa. Harvard revoca immediatamente la sua borsa di studio e ne dispone la sospensione, mentre il MIT sceglie la via del silenzio istituzionale: pur non intentando causa contro Swartz, l’Istituto evita qualsiasi presa di posizione a favore del giovane ricercatore. Il MIT, storicamente considerato come il polo tecnologico più avanzato e progressista, promotore di una visione aperta e collaborativa dell’innovazione tecnologica e che dichiara con veemenza di sostenere e di promuovere la condivisione del sapere e l’accesso libero all’informazione, si trova così messo di fronte alla feroce persecuzione giudiziaria di uno studioso che – teoricamente – ne incarna gli ideali più profondi. L’Università da prova di una spietata neutralità: una presa di distanza che lascia Swartz solo, capro espiatorio di una punizione tutta simbolica, per avere osato dare forma concreta al principio di libera circolazione del sapere.
Aaron Swartz si suicida nel suo appartamento l’11 gennaio 2013, senza lasciare alcun messaggio.
Nel 2008, durante un viaggio in Italia, il ventiduenne Aaron – insieme ad altri attivisti che non si sono mai voluti esporre – aveva redatto questo breve testo, il Manifesto della Guerilla Open Access. Lo riproponiamo qui, in versione originale e in traduzione italiana, frutto del lavoro collettivo di Andrea Zanni, Enrico Francese, Silvia Franchini, Marco Solieri, elle di ci, Andrea Raimondi, Luca Corsato e pubblicato per la prima volta nel blog di Andrea Zanni, aubreymcfato.
Guerilla Open Access Manifesto
Aaron Swartz, July 2008, Eremo, Italy
Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. The world’s entire scientific and cultural heritage, published over centuries in books and journals, is increasingly being digitized and locked up by a handful of private corporations. Want to read the papers featuring the most famous results of the sciences? You’ll need to send enormous amounts to publishers like Reed Elsevier.
There are those struggling to change this. The Open Access Movement has fought valiantly to ensure that scientists do not sign their copyrights away but instead ensure their work is published on the Internet, under terms that allow anyone to access it. But even under the best scenarios, their work will only apply to things published in the future. Everything up until now will have been lost.
That is too high a price to pay. Forcing academics to pay money to read the work of their colleagues? Scanning entire libraries but only allowing the folks at Google to read them? Providing scientific articles to those at elite universities in the First World, but not to children in the Global South? It’s outrageous and unacceptable.
“I agree”, many say, “but what can we do? The companies hold the copyrights, they make enormous amounts of money by charging for access, and it’s perfectly legal – there’s nothing we can do to stop them”. But there is something we can, something that’s already being done: we can fight back.
Those with access to these resources – students, librarians, scientists – you have been given a privilege. You get to feed at this banquet of knowledge while the rest of the world is locked out. But you need not – indeed, morally, you cannot – keep this privilege for yourselves. You have a duty to share it with the world. And you have: trading passwords with colleagues, filling download requests for friends.
Meanwhile, those who have been locked out are not standing idly by. You have been sneaking through holes and climbing over fences, liberating the information locked up by the publishers and sharing them with your friends.
But all of this action goes on in the dark, hidden underground. It’s called stealing or piracy, as if sharing a wealth of knowledge were the moral equivalent of plundering a ship and murdering its crew. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative. Only those blinded by greed would refuse to let a friend make a copy.
Large corporations, of course, are blinded by greed. The laws under which they operate require it – their shareholders would revolt at anything less. And the politicians they have bought off back them, passing laws giving them the exclusive power to decide who can make copies.
There is no justice in following unjust laws. It’s time to come into the light and, in the grand tradition of civil disobedience, declare our opposition to this private theft of public culture.
We need to take information, wherever it is stored, make our copies and share them with the world. We need to take stuff that’s out of copyright and add it to the Archive. We need to buy secret databases and put them on the Web. We need to download scientific journals and upload them to file sharing networks. We need to fight for Guerilla Open Access.
With enough of us, around the world, we’ll not just send a strong message opposing the privatization of knowledge – we’ll make it a thing of the past.
Will you join us?
Manifesto della Guerilla Open Access
Aaron Swartz, luglio 2008, Eremo, Italia
L’informazione è potere. Ma come con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme a editori come Reed Elsevier.
C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d’autore e pubblichino invece su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.
Questo è un prezzo troppo alto da pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è oltraggioso ed inaccettabile.
“Sono d’accordo,” dicono in molti, “ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente legale – non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.
Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete – anzi, moralmente, non potete – conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare gli articoli per gli amici.
Tutti voi che siete stati chiusi fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufolerete attraverso i buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.
Ma tutte queste azioni sono condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è immorale – è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità rifiuterebbe di concedere una copia a un amico.
E le grandi multinazionali, ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte richiedono che siano accecate dall’avidità – se così non fosse i loro azionisti si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare copie.
Non c’è giustizia nel rispettare leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica.
Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access.
Se in tutto il mondo saremo in numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.
Vuoi essere dei nostri?
English abstract
This contribution presents the Guerilla Open Access Manifesto by scholar and activist Aaron Swartz. The introductory essay explores Swartz’s life and work, highlighting his dedication to open access and the democratization of knowledge, and examines his controversial action of downloading the JSTOR database of academic articles and the ensuing legal prosecution that ultimately contributed to his suicide.
keywords | Aaron Swartz; JSTOR; Internet Archive; Open Access; Civil Disobedience; Freedom of Knowledge.
Per citare questo articolo / To cite this article: Aaron Swartz, Guerilla Open Access Manifesto, con una Presentazione di Giulia Zanon, “La Rivista di Engramma” n. 222, marzo 2025.