Dal linguaggio analogico al linguaggio digitale
Autonomia linguistica del web
Pierfilippo Pozzi
English abstract
Convegno Luminar 3. Internet e Umanesimo. Web_Musei | Fondazione Querini Stampalia, Venezia, 29-30 gennaio 2004
Vorrei partire dal peccato originale che ha segnato la nascita dell’era digitale: la perdita di informazione che avviene durante la traduzione dal linguaggio analogico a quello, appunto, digitale. Non tutti i linguaggi hanno subito questa sorte: un romanzo non cambia se è stampato su carta o pubblicato su supporto elettronico, ma un quadro, una sinfonia, una pellicola, subiscono il passaggio dallo spazio continuo dell’esperienza analogica allo spazio discreto dell’esperienza digitale: una soluzione di continuità che stabilisce fino a dove possiamo spingere la traduzione di un colore, per esempio, dalla tela allo spazio coloristico RGB.
È una perdita che viene utilizzata sia dai detrattori sia dai sostenitori della causa digitale. Ma una contrapposizione non ha alcun senso. Per comprendere con chiarezza la faccenda, si confrontino un musicofilo ed un ascoltatore occasionale: per il primo solo il vinile è degno di trasmettere la musica perché il suono è pieno e profondo, per il secondo solo il cd, con la sua promessa di quasi-eternità, è degno di essere acquistato. Alla radice del problema c’è la distinzione tra linguaggio analogico e digitale: le onde sonore, gli hertz, le curve che descrivono l’andamento di un suono possono essere trasposte così come sono su un disco di vinile, ‘analogamente’, il quale riprodurrà il medesimo andamento, senza chiedersi per ogni istante di suono quale sia il valore numerico della frequenza corrispondente. Per tradurre una sinfonia in linguaggio digitale, invece, occorre assegnare un numero a ogni ‘nota’: essendo il cd un oggetto finito, anche i numeri, per essere economici e stringersi nell’angusto spazio del supporto fisico, devono limitarsi a pochi posti ‘dopo la virgola’. Ciò significa un restringimento dello spazio acustico e la perdita di sonorità.
Alla perdita di informazione, naturalmente, si affiancano numerose conquiste. Le più note sono:
1) l’accessibilità alle informazioni – un vantaggio di carattere politico;
2) potenti mezzi di archiviazione – un vantaggio pratico con importanti ricadute sulla ricchezza informativa;
3) la nascita di linguaggi in parte innovativi rispetto al passato.
Oltre ai vantaggi propri del linguaggio digitale, la caratteristica più lodata è l’interattività. Se con un libro possiamo girare pagina e con un quadro gli occhi, di fronte a un prodotto informatico possiamo scegliere tra un set di azioni molto più ampio, diventando attori della scena e partecipando alla costruzione stessa dell’esperienza, in forma analoga a quanto facciamo normalmente per organizzare i dati percettivi allo scopo di decidere un’azione.
Quando poi si aggiunga la ricostruzione di ambienti virtuali, nasce la ‘realtà virtuale’ che, come ogni linguaggio, subisce l’equivoco di essere autonomo e allo stesso tempo riferito a una realtà reale a cui esso si riferirebbe, e, come la proiezione di un film, ci illudiamo di guardare attraverso lo schermo mentre invece stiamo guardando lo schermo stesso. L’equivoco si scioglie quando consideriamo che il riferimento alla realtà reale non è necessario per produrre la realtà virtuale: ci sono infatti musei virtuali che non hanno alcun oggetto corrispondente nella realtà, e persino le opere esposte sono nate in forma digitale. Probabilmente la realtà virtuale avrà la stessa funzione che nel Novecento ha avuto l’arte astratta, che ha eliminato qualunque riferimento agli oggetti reali per mostrare la propria autonoma realtà: una conquista dagli effetti retroattivi e liberatori, tanto che abbiamo potuto smettere di chiederci quale fosse la collina che avrebbe ispirato Leopardi per la composizione dell’Infinito: abbiamo capito che il colle nasce sulla pagina e non è la proiezione di una collina nei dintorni di Recanati.
Chi tra voi ha frequentato la critica formalista può richiamare due concetti ancora efficaci per esplicare questa funzione artistica dei linguaggi: l’eterotelismo, per cui il fine di un messaggio si trova all’esterno di un messaggio (se ti dico “attento”, tu non stai lì a dirmi quanto bene ho pronunciato la parola “attento”, ma cerchi di capire a cosa devi stare attento – la funzione che rende il linguaggio simile alla carta moneta, secondo Mallarmé, perché sta per qualcosa di altro rispetto a sé) e l’autotelismo, per cui il valore proprio del messaggio deve essere trovato all’interno del linguaggio (se ti dico “sbatti le sfere nel contorno” tu sarai più attratto dalla frase che non – ahimé – dal cane che ti sta per travolgere sul fianco).
La potenza espressiva dei linguaggi informatici, però, oggi è quasi sempre sfruttata solo per la sua capacità di mettere insieme altri linguaggi (scrittura, musica, video), sostituendo il riferimento alla realtà con il riferimento ad altri linguaggi, come se l’informatica fosse la mera somma dei linguaggi che tradizionalmente siamo abituati a usare: e questo è ciò che generalmente intendiamo con multimedialità. I linguaggi informatici sono ancora dei minorenni sotto tutela, poiché cerchiamo di fargli esprimere solo ciò che esprimono altri linguaggi considerati adulti. Dopo aver generato l’impressione che i linguaggi artistici dicano in maniera complicata ciò che è semplice (motivo per cui le note a un testo poetico spesso ‘traducono’ un termine espressivo con uno banale invece di sviluppare il senso proprio indicato dal poeta), ora facciamo l’opposto con la multimedialità, considerandola un linguaggio che ci permettere di esprimere con più facilità ciò che esprimeremmo con i singoli linguaggi. Invece di portarci dietro libri, dischi e pellicole, basta un cd-rom. È solo questa la funzione del linguaggio multimediale?
Dobbiamo adesso chiederci quali caratteristiche abbia aggiunto all’informatica la telematica in generale e il web in particolare:
1) l’universalità, eliminando i limiti imposti dai diversi sistemi operativi;
2) la disponibilità, rendendo accessibile la conoscenza a molte più persone.
3) l’interconnessione con la rete, contestualizzando un oggetto con un sistema ricchissimo di altre informazioni, anche se poco dominabili.
Ci sono naturalmente anche dei limiti che il web ha introdotto: la struttura materiale della rete e delle connessioni, per quanto in continuo aggiornamento, rappresenta un limite per la trasmissione di oggetti complessi, e la realtà virtuale non può certo essere fruibile, al momento, attraverso il web, se non attraverso delle pallide copie. Dobbiamo inoltre considerare che le stazioni, i PC, non sono sotto il controllo dell’autore e dell’editore, lasciando alle strutture informatiche del fruitore la capacità di riprodurre la stessa qualità del prodotto di partenza: se pensiamo alla visualizzazione delle immagini, a quanto sforzo facciamo per calibrare i colori, e pensiamo poi ai monitor più disparati attraverso i quali i colori vengono riprodotti diversamente, abbiamo un’idea degli importanti limiti materiali fuori dal nostro controllo.
C’è però un aspetto, già presente prima della nascita del web, a cui il web ha dato nuova vita e un nuovo senso: il link nel contesto della Rete. Chi tra voi maneggia i computer da più di dieci anni, forse ricorderà HyperCard, un programma che girava su Apple e permetteva a chiunque di produrre ipertesti. Imparammo così a costruire un percorso non sequenziale all’interno di un testo. Il web ha rivoluzionato il link perché ci ha aperto lo sguardo sulla rete, sulla massa di informazioni fornite dagli altri: oggi le relazioni non sono più solo all’interno di un singolo testo, ma possono essere stabilite tra più testi, aumentando in maniera esponenziale il numero di relazioni possibili.
Per comprendere l’originalità e la portata della faccenda, possiamo immaginare la differenza tra le relazioni interne a una mente e queste stesse relazioni collegate alle relazioni interne di un numero enorme di altre menti. L’originalità del link sta anche nel fatto che mentre le altre funzioni linguistiche dei linguaggi informatici sono spesso analoghe a ciò che possiamo fare, la funzione del link è analoga a ciò che possiamo pensare. E questa è propriamente una funzione cognitiva. Quando costruiamo una rete semantica attorno ad un termine o ad un oggetto, questa differenza tra rete singolare e rete plurale rende completamente diversa - e anche meno dominabile - la rete semantica stessa: provate a visitare il sito del MOMA di New York e a contare i links interni al sito che partono da un’opera d’arte e confrontateli con quelli che ottenete digitando su un qualunque motore di ricerca il titolo dell’opera: avrete un esempio concreto di questa differenza. Ho provato con le Les Demoiselles d’Avignon.
Alla pagina del MOMA dedicata all’opera trovate due links: uno vi apre l’immagine ingrandita, l’altro vi spedisce nello shopping center del museo. Poi ho aperto Google e ho digitato “Les Demoiselles d’Avignon”, ottenendo 7220 risultati: i primi 200 risultati sono tutti collegati all’opera di Picasso, certamente con parecchie ridondanze.
Io penso che dobbiamo trovare il modo di rappresentare una rete semantica che consideri questi risultati. Certo, i motori di ricerca sono tutto sommato pieni di informazioni inutili, come, d’altra parte, i nostri cervelli, ma il nostro compito sta proprio nel costruire consapevolmente una rete semantica eliminando le ridondanze e gli oggetti inutili, esattamente come facciamo quando pensiamo in modo strutturato. È un compito molto più difficile da svolgere sulla rete web che non su un singolo sito, ma non possiamo rinunciare, altrimenti rinunciamo a una delle caratteristiche più importanti del web, e offriremo un semplice catalogo in forma elettronica a minor costo e a più persone di prima: che è gia molto ma, secondo me, non abbastanza. Il nemico principale non è la pigrizia o l’insufficienza delle nostre capacità: è il web marketing, quelle regole scritte dai pubblicitari che ci vorrebbero imporre di non far uscire il visitatore dal nostro sito, una specie di gelosia telematica che rende morto un linguaggio vivo. Il marketing vuole indirizzare secondo i propri scopi anche il web, appiattendo la poliedricità delle persone per guardarne solo una faccia, l’essere clienti: ciò può cinicamente funzionare quando dobbiamo solo vendere un prodotto, non quando cerchiamo di dare rilievo anche alla diffusione della cultura. Utilizzare il web solo come vetrina aziendale sarebbe come utilizzare il Louvre solo per vendere cartoline.
Arriviamo ora al futuro museo web dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico: noi abbiamo, in questo caso, oggetti reali, maschere, disegni, plastici localizzati a Siracusa. La tentazione di assegnare al web-museo una funzione pubblicitaria è forte e, naturalmente, non occorre rinunciarvi. Il web, come ogni linguaggio, permette di stratificare diversi livelli di comunicazione. Il nostro compito sarà dunque quello di esporre le ragione per le quali può valere la pena di fare un viaggio a Siracusa. A un livello differente, vogliamo offrire la possibilità di guardare le immagini degli oggetti e di leggere i contenuti del museo, sfruttando l’ubiquità del web per poter raggiungere il pubblico e la multimedialità permessa dal linguaggio informatico per offrire diversi tipi di informazione. A un altro livello ancora, possiamo incrociare le informazioni interne al museo per arricchire il contenuto informativo, sfruttando l’archiviazione elettronica permessa dall’informatica. Quando le infrastrutture di rete e l’equipaggiamento medio degli utenti lo permetterà, potremo mettere a disposizione una visita virtuale del museo. Ma la proprietà cognitiva caratteristica del web dovrà essere il livello più ricco di informazione e di suggestione: dovremo costruire una rete semantica per ogni oggetto, una rete semantica dinamica, capace di mostrare tutta la potenza creativa del web. Il linguaggio lo permette facilmente, tocca a noi scegliere i criteri per discriminare un’informazione inutile da una utile.
Concludo ricordandovi che in un futuro prossimo le particolarità del web si integreranno con le più complesse produzioni informatiche. Ma anche allora ci troveremo di fronte a ciò che abbiamo lasciato indietro, il peccato originale, quella perdita di esperienza e di informazione causata dal passaggio dall’analogico al digitale. E continueremo a passeggiare per le vie di Roma consumando le scarpe.
English abstract
A novel does not change if it is printed on paper or published on electronic media, but a painting, a symphony, a film undergo the transition from the continuous space of analogue experience to the discrete space of digital where we can push the translation of a color, for example, from the canvas to the RGB color space. The loss of information, of course, is accompanied by numerous achievements. this contribution aims to talk about it without falling into easy binary contrasts. Luminar 3 conference. Internet and Humanism. Web_Museums | Querini Stampalia Foundation, Venice, January 29-30, 2004.
keywords | Luminar 3; Internet; Umanesimo; Analogue; Autonomy; Information; Web.
Per citare questo articolo: P. Pozzi, Dal linguaggio analogico al linguaggio digitale. Autonomia linguistica del web, “La Rivista di Engramma” n.33, maggio 2004, pp. 25-30 | PDF