English abstract
Naufragio come codice iconologico
Abbozzo di una tavola à la Warburg
Barnaba Maj
Nel prezioso quanto concettualmente denso Brief von Fritz Saxl an den Verlag B. G. Teubner, documento pubblicato in Der Bilderatlas. Mnemosyne, di Aby Warburg [WARNKE 2008, pp. XVIII-XX], c’è una mirabile sintesi non solo dei motivi ispiratori delle Tavole di Warburg ma anche del senso complessivo di questo grandioso progetto. Nel definire tale senso e la sua portata anche dal punto di vista begriffsgeschtlich – termine che anticipa il nome con cui verranno riassunti negli anni cinquanta i programmi di ricerca storica convergenti di Erich Rothacker, Reinhart Koselleck e Hans Blumenberg – Saxl insiste naturalmente sulla centralità del Rinascimento italiano, sulla “lotta” fra immaginario nordico e immaginario meridionale e sulle trasfigurazioni (anche trasmigrazioni) dell’antico. Ma mette anche in luce che il progetto-Warburg mira a restituire nel profondo le forme della vita in movimento e le forme di pathos che l’accompagnano ed esprimono. Il che ha una corrispondenza con l’idea aristotelica dell’uomo come essere desiderante. E il desiderio è la radice del movimento. D’altra parte, l’antica coppia metafisica stasis-kinesis è un trasversale, che va dal pensiero greco delle origini – arcaico, se si preferisce – alla riflessione sulla moderna tecnologia e sulle sue applicazioni, che coinvolgono i concetti di velocità e poi di accelerazione. Una direzione del desiderio è anche la curiositas o Neugierde, movimento dello spirito umano che giustamente Hans Blumenberg pone alla base della modernità [BLUMENBERG 1992].
In questa direzione, proprio il tema del naufragio o Schiffbruch è sintomo di un passaggio o soglia epocale (Epochenschwelle). L’autore è niente meno che Dante. Il protagonista è niente meno che Odisseo, l’eroe che anticipa l’uno, nessuno e centomila di Pirandello e quindi non può che essere legato al mare, alla navigazione e alle tempeste provocate da Poseidone, il dio nemico che lo fa naufragare e ne provoca il fortunoso approdo nell’isola dei Feaci in un soggiorno da cui, secondo l’immaginosa teoria di Hannah Arendt [ARENDT 1999], ha origine la stessa idea della storia umana. Odisseo è qui in una delle sue più grandiose metamorfosi: l’Ulisse dantesco è un eroe condannato dalla sua curiositas a un oscuro e disperato naufragio. "De’ remi facemmo ali al folle volo" (Inferno, XXVI, 125) è una perfetta esemplificazione non solo dell’ideale medievale della metaphora antistropha [RAIMONDI 2008], cioè di una metafora basata sull’analogia aristotelica a quattro termini fra loro reversibili – matrice dei quadrati costruiti dalla poetica di Ludovico Castelvetro –, ma anche dei limiti che la concezione del mondo medievale poneva appunto alla curiositas. Non stupisce, quindi, che nel suo programma di ricerca metaforologica Blumenberg si sia concentrato anche sul tema del naufragio, identificato fra le metafore originarie e fondanti dell’esistenza umana [BLUMENBERG 2001]. Nella prospettiva begriffsgeschichtlich applicata alla storia del pensiero filosofico c’è, in questa ricostruzione, un dispositivo à la Warburg ma con un angolo visuale 'discontinuista', in cui sembra potersi riconoscere una certa influenza di Walter Benjamin. Notoriamente Blumenberg parte dalla celebre immagine lucreziana del naufragio con spettatore (De rerum natura II, 1-4):
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iocunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est.
E lo fa per delinearne tutte le trasformazioni concettuali, fino all’annullamento della separazione fra spettatore e naufragio come tratto tipico e costitutivo della modernità.
Tuttavia la costruzione di un codice iconologico del naufragio sembra percorrere vie piuttosto diverse dalla storia interna della Daseinsmetapher descritta da Blumenberg. Ne è già un sintomo il fatto stesso che l’episodio dantesco del naufragio di Ulisse non gode di una ricca illustrazione. Alla fine spicca ancora l’immagine dell’Anonimo fiorentino, dipinta intorno al 1390 (fig. 1). La parte alta del quadro suggerisce ancora l’idea del vortice, da sinistra verso destra, in cui fluttuano teste senza corpo in una curiosa posizione simmetrica, che forma un triangolo con l’albero spezzato, centro del quadro e in definitiva unico motivo iconografico che suggerisce l'idea di naufragio, evidentemente già accaduto, se l’onda appare ormai di riflusso e tutta la parte bassa, in cui appaiono anche pesci morti, mostra un mare che si va acquietando. Forse per una reminiscenza del celebre episodio di Odisseo e le sirene, alla base dell’albero spezzato è abbozzata una figura umana che vi si appoggia. È fin troppo facile constatare la distanza da un dipinto quale Shipwreck of the Minotaurus (fig. 2), realizzato circa quattro secoli dopo (1793) da William Turner e considerato un archetipo assoluto della pittura di naufragi, citato in genere in coppia con il posteriore (1818) e celeberrimo Le Radeau de la Méduse di Jean Louis Théodor Géricault. Da un punto di vista strettamente formale, sia compositivo che plastico, questo dipinto (fig. 3) a lungo indagato anche da Peter Weiss [WEISS 1988] è tutto fuorché “rivoluzionario”, tanto corposa ed evidente è l’ispirazione dalla statuaria classica greca. Per questa ragione, l’accoppiamento Turner-Géricault andrebbe sciolto, poiché agisce in effetti in Turner una sensiblerie romantica che appare estranea al classicista Géricault.
Ma il nostro scopo non è ricostruire il codice attraverso la storia delle metamorfosi di questo motivo iconografico. Allo stesso ruolo dello spirito romantico arriveremo per altra via. Come si accenna nel titolo, ciò che tentiamo è un esperimento à la Warburg, ove il punto di partenza è costituito da un episodio moderno di naufragio, cioè dall’episodio che costituisce per antonomasia il paradigma stesso del naufragio nell’epoca della prima modernità tecnologica: il Titanic. Cercheremo di dimostrare che si tratta di una storia che ubbidisce a un codice mitologico, poiché vi si narra di vicende di guerra fra titani e giganti e della vendetta del dio del mare che punisce una hybris dell’uomo. Una storia che tuttavia fa emergere una nuova potenza. Ma non potremmo procedere senza accennare a un altro sfondo e a un altro codice mitico – The Great Code, secondo la definizione di Northop Frye [FRYE 1986] –, cioè alla Meistererzählung di Genesi 1, 1-10. La citiamo nella stupenda versione di Martin Luther:
1 Am Anfang schuf Gott Himmel und Erde. 2 Und die Erde war wüst und leer, und es war finster auf der Tiefe; und der Geist Gottes schwebte auf dem Wasser. 3 Und Gott sprach: Es werde Licht! Und es ward Licht. 4 Und Gott sah, dass das Licht gut war. Da schied Gott das Licht von der Finsternis 5 und nannte das Licht Tag und die Finsternis Nacht. Da ward aus Abend und Morgen der erste Tag. 6 Und Gott sprach. Es werde eine Feste zwischen den Wassern, die da scheide zwischen den Wassern. 7 Da machte Gott die Feste und schied das Wasser unter der Feste von dem Wasser über der Feste. Und es geschah so. 8 Und Gott nannte die Feste Himmel. Da ward aus Abend und Morgen der zweite Tag. 9 Und Gott sprach: Es sammle sich das Wasser unter dem Himmel an besondere Orte, dass man das Trockene sehe. Und es geschah so. 10 Und Gott nannte das trockene Erde, und die Sammlung der Wasser nannte er Meer. Und Gott sah, dass es gut war [DIE BIBEL 2006].
Sia la differenza fra i verbi che la stessa successione narrativa rivelano il fatto più volte notato e tuttavia sempre sorprendente che la creazione sembra presupporre l’esistenza dell’acqua, per cui è grazie all’azione di separazione fra le acque che ha luogo la separazione fra terra e cielo e poi grazie a un’azione di raccolta delle acque ha luogo la separazione fra terra e mare. In altre parole, l’origine delle acque e quindi del mare rimane oscura. I due verbi creativi schaffen e sprechen non si riferiscono alle acque e al mare.
Fin dall’origine, dunque, il mare è una potenza oscura. Ma né l’iconologia cristiana, come nel caso del magnifico pannello del polittico di Gentile da Fabriano che illustra un importante episodio della vita di san Nicola di Bari (fig. 4), né i grandi dipinti di naufragio sopra citati sono in grado di catturare la natura mitica e teologica di questa potenza. A rivelarla è stato appunto l’episodio del 15 aprile 1912: un grande transatlantico salpato da Southampton alla volta degli Stati Uniti incontra nella notte un iceberg. L’urto non è frontale ma laterale. L’effetto è quello di una scatoletta aperta lateralmente. Per la storia e le implicazioni che qui ci interessano rinviamo al capitolo relativo di un saggio di Stephen Kern [KERN 2007]. Usando in maniera molto libera una linea di ricerca di Hermann Usener [USENER 2008], partiamo dal nome Titanic e dall’immagine (fig. 5). La foto della nave in mare è già la base della sua illustrazione pittorica (fig. 6). La foto di un giornale italiano dopo il naufragio sceglie il tagliente profilo frontale, quasi a evocare una prua che sembra(va) in grado di spezzare il ghiaccio (fig. 7). L’illustrazione del celebre Achille Beltrame è già narrativa, la nave è tremendamente inclinata e i supersiti sulle scialuppe volgono disperatamente le braccia verso di essa (fig. 8). Il gesto ricorda il dipinto di Géricault, rispetto al quale la massa oscura della nave che affonda nella sua spaventosa inclinazione (una delle scene clou del film di James Cameron, spettacolare occasione mancata rispetto alla portata mitologica della storia, (fig. 9) ha preso il posto dell’onda minacciosa collocata alla destra della zattera. Si potrebbe chiamare in causa la storia dei film sul naufragio del Titanic ma le varianti sul tema non finirebbero più. Qui non è rilevante.
La domanda essenziale è la seguente: che cos’era il Titanic e che cosa è accaduto nella struttura profonda di questo naufragio, tale da renderlo il paradigma? La risposta: si tratta di una storia mitica, che ha per sfondo la potenza oscura del mare. Guardando ai motivi ispiratori del Bilderatlas di Warburg, si potrebbe parlare di titanomachie e gigantomachie. Quanto al procedimento, la nostra tavola presenterebbe qualche affinità con la sorprendente Tafel 78: Kirche und Staat. Geistliche Macht unter Verzicht auf weltliche [WARNKE 2008, 130-131] che comprende la foto ufficiale della firma dei Patti lateranensi dell’11 febbraio 1929, le foto della precedente ratifica dei Patti stessi, la riproduzione del primo telegramma inviato dal Papa Pio XI al Re Vittorio Emanuele III (la didascalia indica erroneamente Vittorio Emanuele II) dalla nuova stazione del telegrafo della Città del Vaticano, la foto della visita del Cardinale Arcivescovo Maffei allo stabilimento FIAT a Torino nel giugno 1929. Non sappiamo quanto sia intenzionale l’oggettiva ironia del titolo, che rovescia il significato storico dei Patti Lateranensi, dato che il riconoscimento dello stato fascista da parte della Chiesa implicava nel profondo la riaffermazione del primato politico-teologico della chiesa stessa. Ciò che qui ci interessa è tuttavia la semplice analogia del motivo ispiratore, che potrebbe essere definito come il rapporto fra potenze (Mächte), esattamente come nel titolo di Warburg.
Già dalla breve sequenza di immagini sopra indicate risulta evidente che questa nave corrisponde al suo nome, cioè è un 'Titano del mare'. Che cos’è un Titano abbattuto è quanto mostra una foto dell’Andrea Doria, un altro Titano del mare di nuova generazione, presa dall’alto nel momento altamente patetico della sua agonia (fig. 10). In questo caso ebbe un ruolo determinante la nebbia. Il particolare è essenziale, poiché vedremo che il ghiaccio e la nebbia hanno una provenienza iconografica comune. Anche se meno noto e comune di quello del ghiaccio, infatti, il ruolo della nebbia non è meno determinante. Per mostrarlo, con un salto indubbiamente vertiginoso ricorriamo all’immagine di un film horror di John Carpenter, che porta proprio questo titolo: The Fog (fig. 11). Aperto da una citazione poetica da Edgar Allan Poe (che con Una discesa nel Maelström ha peraltro scritto uno spaventoso racconto di mare), il film si basa su simmetrie numeriche. Il paese californiano di San Antonio Bay si appresta a festeggiare il centenario della fondazione (1880-1980). Ma accadono fatti strani. In mare sparisce un peschereccio, avvolto in una nebbia che si appresta a raggiungere la costa. Padre Malone scopre un diario del nonno, da cui risulta che sei cospiratori del paese fecero intenzionalmente naufragare fra gli scogli della costa una nave con a bordo un gruppo di lebbrosi, allo scopo di impedire che si stabilissero in una colonia vicino al paese. Il successo era stato doppio: non solo la nave era naufragata, ma nel relitto era stato trovato anche un carico d’oro. Un tale delitto ha portata quasi 'teologica' e l’immagine mostra appunto come una gigantomachia il gruppo di lebbrosi che 'ritorna', per vendicarsi esattamente dopo cento anni e colpire esattamente sei persone, il numero dei cospiratori del passato. Ritornano nella nebbia e lo spazio non a caso è quello di una chiesa.
Anche nel romanzo del 1941 Ritorneranno di Giani Stuparich [STUPARICH 2009], uno fra i più importanti della letteratura italiana sulla Prima guerra mondiale, si dice che da un punto più alto in montagna la massa della nebbia appare come un mare, in cui guglie e vette assumono la forma di scogli. Gli scogli sono giganti del mare, come gli impressionanti faraglioni di origine vulcanica di Acitrezza, sfondo della narrazione dei Malavoglia (certamente un romanzo di naufragio), per non parlare degli spaventosi scenari della costa irlandese occidentale. Ma in proposito è interessante confrontare due celebri dipinti di Claude Monet, legati al suo soggiorno a Étretat, paese dell’Alta Normandia (figg. 12-13). Nei due dipinti il punto roccioso (Les Falaises) della costa è palesemente lo stesso, visto da sinistra e poi da destra (poiché il mare sta a nord: visto da occidente e da oriente). Segno di riconoscimento: l’arco naturale aggettante scavato nella pietra. Il tono quasi idilliaco della prima immagine mette ancora più in luce a contrasto la potenza delle due masse rocciose. Per ragioni di prospettiva, nel secondo dipinto lo scoglio non appare e il promontorio roccioso a sinistra è più distante. La memoria lucreziana è evidente, anche se il gruppo di spettatori che guarda lontano non sembra tanto scorgere alcun naufragio, quanto piuttosto 'cercarlo'. Qui, protagonista assoluto è il mare. In termini estetici è il sublime, ciò che obbliga a inclinare lo sguardo. Un significativo esempio del ruolo degli scogli è l’illustrazione di François-Nicolas Chifflart (fig. 14) al romanzo del 1866 di Victor Hugo Les Travailleurs de la mer, scritto in omaggio all’isola di Guernesey [HUGO [1866] 2007] – anch’essa legata alla Normandia – ove Hugo si trovava nel periodo di esilio. A questo periodo sembra risalire un disegno di Hugo stesso, variante di naufragio quasi sul modello del vascello fantasma (fig. 15).
Utilizzando slittamenti metaforici nello stile di Elias Canetti [CANETTI 2010] ma di chiara ispirazione shakespeariana (Macbeth: “una foresta che si muove”) si può allora dire che le possenti navi sono 'Titani del mare' e un iceberg come nel caso del Titanic è un 'gigante del mare' ovvero uno 'scoglio che fluttua'. Ma cos’altro può esserci dietro o sotto la potenza del mare se non una possente divinità in grado di scatenare i venti e sollevare le acque come montagne (quanto alla scala di questa furia basta affidarsi al racconto Typhoon del comandante Joseph Conrad), nome mitologico della sua potenza oscura? Nebbia come mare (e guglie come scogli), naufragio nei ghiacci e visione dei ghiacci sono motivi iconografici tutti presenti nella pittura di Caspar David Friedrich, il rappresentante più estremo e paradigmatico della sensiblerie romantica. Il primo riferimento è Der Wanderer über dem Nebelmeer del 1818 (fig. 16), talmente celebre da non richiedere commento. Gli altri due sono Schiff im Eismeer (fig. 17) e il molto più tardo Das Eismeer (fig. 18). I biografi dell’artista spiegano la sua ossessione angosciosa per il ghiaccio con la morte di un fratellino mentre pattinava sul ghiaccio (motivo che torna nell’episodio Dekalog jeden del 1988 di Krzysztof Kieslowski) e che i due dipinti dei ghiacci si riferiscono a fallite esplorazioni artiche. Il confronto fra il dipinto del naufragio del 1798 e la foto del tre alberi Endurance (fig. 19) che dette il nome allo Imperial Transartactic Expedition (1914-1917) è alquanto impressionante. Ma il punto essenziale da osservare è che la scena del primo quadro mostra la nave ormai inclinata, dopo essersi bloccata contro la massa dei ghiacci, mentre nel secondo quadro appare chiaro che il ghiaccio ha incorporato la nave stessa. Così la seconda immagine stabilisce una sequenza con la prima. La lotta dei titani è finita con la sconfitta.
Trasferito nel contesto storico del 1912 questo intreccio iconografico subisce una metamorfosi. La millenaria battaglia antropologica per la conquista degli elementi naturali ha conosciuto un’accelerazione improvvisa. Il citato volume di Kern [KERN 2007] racconta una parte di questa storia. Il motivo spaziale del dipinto Der Wanderer sembra trovare un equivalente nella poesia di Rainer Maria Rilke citata da Hannah Arendt a proposito del tempo che, dice il testo, pare avere trovato rifugio sotto le stelle sulle cime dei monti ma è talmente incalzato dal nuovo ritmo della vita degli uomini, spinta alla conquista della potenza della natura, che scende a valle cercando rifugio nel (baudelairiano: questa è una nostra aggiunta) cuore degli uomini (commento collaterale: malgrado Einstein, circa il tempo umano Agostino non è mai stato superato). E proprio il tempo è il fattore chiave. Grazie a un prodigioso periodo di sviluppo, la tecnica moderna – che è tutt’altro che un sapere secondario ma ha al contrario un intreccio complesso con la scienza – è entrata in un processo di crescente accelerazione. L’esito di questo processo storico è la formazione di una potenza tecnologica che ha condotto alla conquista di tutti gli elementi: terra, fuoco, acqua e aria. Il transatlantico Titanic era un simbolo di questo processo e per questa ragione è diventato una matrice iconologica. Ma dietro questa iconologia c’è l’acuta sensibilità romantica di Friedrich. Nel commentare in modo durissimo l’accaduto, l’ex comandante Conrad non ebbe la minima esitazione: “sciagurati, volevate battere il record di velocità dell’attraversamento dell’Atlantico e avete percorso una rotta troppo a nord. In altre parole, non avete avuto misura, siete stati colpevoli di hybris”. In termini teorici ciò ricorda la posizione di Benjamin, quando nel Passagenwerk commenta Le Paysan de Paris di Louis Aragon, criticando la sua fretta nel costruire una “mitologia del moderno” [TIEDEMANN 2000]. Anche il Titanic è stato vittima di un’affrettata mitologia del moderno, cui tuttavia ha dato un impulso decisivo. La nave inaffondabile incontra nella notte lo scoglio che cammina, la montagna di ghiaccio, che lo lavora ai fianchi per farlo crollare, come nella boxe. Nei particolari anche molto sfortunati dell’episodio, come la chiusura degli apparati della nave più vicina che non può quindi ricevere l’SOS del Titanic, c’è tutta l’ambivalenza antropologica verso la nuova potenza tecnologica, in una gamma che va dall’incomprensione della sua portata (anche distruttiva) all’eccesso di fiducia (lo scarso numero di scialuppe di salvataggio). Friedrich esprime la precoce angoscia romantica verso l’incipiente modernità. Il naufragio del Titanic richiama potenze dell’antica mitologia ma è anche un index della necessità di riflettere sulla nuova potenza che si è affacciata, una nuova mediazione fra uomo e natura che si rovescia in potenza padronale – Master, Herr – in un’inedita versione della dialettica hegeliana servo-padrone.
Se tutto ciò ha un qualche fondamento, la conferma della formazione di un codice viene dalla parte finale del film che per antonomasia simboleggia questa fase culminante della prima, grande trasformazione tecnologica: Metropolis di Fritz Lang. Il repertorio di immagini ricavabili da questo film è sterminato. Particolarmente significativa l’immagine della cosiddetta Nuova Torre di Babele (fig. 20). L’omaggio a Pieter Bruegel der Alte (fig. 21) è evidente. Ma è essenziale notare che nella Grande Torre di Babele la costruzione è lambita dal mare. La nuova Torre di Lang è significativamente inserita in un contesto urbano che ricorda i meravigliosi progetti futuristi di Antonio di Sant’Elia. Le suggestioni americane della seconda immagine qui riportata non hanno bisogno di commento. Qualche anno prima, basandosi su semplici racconti di emigrati praghesi, nel secondo capitolo di Amerika Kafka aveva colto il senso di vertigine metropolitana dei grandi grattacieli americani. Tutto ciò sembra lontanissimo dalle immagini del mare, della nave e del naufragio. La verticalità dei palazzi suggerisce piuttosto una sfida verso l’aria e il cielo. Invece l’antico particolare della presenza del mare nel dipinto di Bruegel ci deve indurre in sospetto. Il codice costruttivo della metropoli in realtà sembra corrispondere alla prima stanza della poesia Manche freilich di Hugo von Hofmannsthal:
Manche freilich müssen drunten sterben
wo die schweren Ruder der Schiffe streifen,
andere wohnen bei dem Steuer droben,
kennen Vogelflug und die Länder der Sterne.
Per certi aspetti, questo testo sembra riferibile anche al differente destino dei viaggiatori del Titanic. Ma qui è la coppia drunten/droben che ci interessa, la coppia che indica il ponte e il 'sotterraneo' della nave. Nel film l’inondazione della parte sotterranea della città – memoria del Sintflut o diluvio universale – produce il naufragio della ribellione per evitare il naufragio della metropoli e della sua moderna organizzazione. Alludendo all’immagine della nave il codice costruttivo unifica qui il motivo del naufragio in una nuova combinazione, insieme iconologica e metaforologica. Ma ciò appunto conferma che per il suo innovativo carico mitologico il naufragio ha a che fare con la lotta fra una potenza nuova e una potenza antica, in cui è in gioco il destino dell’uomo. Ecco perché Sofocle ha legato la riflessione sull’essere dell’uomo al suo destino nel rapporto con le potenze della natura.
Bibliografia
- ARENDT 1999
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Die Bibel nach der Übersetzung Martin Luthers, Stuttgart 2006 - FRYE 1986
N. Frye, Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, trad. di G. Rizzoni, Torino 1986 - HUGO [1866] 2007
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E. Raimondi, Metafora e storia: studi su Dante e Petrarca, Torino 2008 - ROMANI 1978
L. Castelvetro, Poetica d’Aristotele volgarizzata e sposta, a cura di W. Romani, Roma-Bari 1978 - SCHMITT 2006
C. Schmitt, Il nomos della terra: nel diritto internazionale dello Jus Publicum Europaeum, a cura di E. Castrucci, Milano 2006 - STUPARICH 2009
G. Stuparich, Ritorneranno, Milano 2009 - TIEDEMANN 2000
W. Benjamin, I passages di Parigi, a cura di R. Tiedemann, Torino 2000 - USENER 2008
H. Usener, I nomi degli dei: saggio di teoria della formazione dei concetti religiosi, Brescia 2008 - WARNKE 2008
A. Warburg, Gesammelte Schriften, vol. II, parte I, Der Bilderatlas. Mnemosyne, a cura di M. Warnke, Berlin 2008 - WEISS 1988
P. Weiss, Die Ästhetik des Widerstandes, Frankfurt am Main 1988
English abstract
The shipwreck has been illustrated as a literary and at the same time historical theme-issue by a wide iconography that this essay tries to build up as an iconological code according to the patterns suggested by the Aby Warburg’s Bilderatlas. The different representations of the shipwreck are considered as the sign of a transition from an historical age to the other, as one can see looking at the first illustrations of Ulysses’ figure from the Dante’s Inferno in comparison to the great shipwreck paintings by Géricault or Turner in the romantic age. This semiotic shift was explained by Blumenberg through the Lucretius’ existence-metaphor called “shipwreck with spectators”. But the way the essay goes along is quite different. Through the histories of the famous ships Titanic and Andrea Doria and through the analysis of a movie like Carpenter’s The Fog and some paintings by Claude Monet and Caspar David Friedrich emerges the iconological code of a new technological power, which has deeply transformed the time-dimension and given rise to a new mythology. A new interweaving that is at work in the imagery of the famous expressionistic film Metropolis (1926) by Fritz Lang, that is a hidden case of shipwreck.
keywords | Warburg; Iconography; Bilderatlas; Shipwreck; Ulysses; Dante's Inferno; Carpenter; Lang.
Per citare questo articolo / To cite this article: B. Maj, Naufragio come codice iconologico. Abbozzo di una tavola à la Warburg, “La Rivista di Engramma” n. 100, settembre-ottobre 2012, pp. 173-183 | PDF