Ancora una trasmigrazione della ninfa, fra giocattoli, merci, gioielli, transformer
Recensione a Gabriels and the Italian Cute Nymphet
Antonella Sbrilli
English abstract
Bisogna armarsi di un dizionario ludico e ricco di prestiti orientali per muoversi nella materia del catalogo Gabriels and the Italian Cute Nymphet (Mazzotta, 2012). Il volume, che raccoglie le opere di Paolo Gabrielli (in arte Gabriels) – oggetti smontabili in bronzo lucido, dalle insolite e perturbanti forme biomorfe, esposti al Museo Canonica di Roma – accompagnate da un saggio interpretativo di Giancarlo Carpi e da 'postille' dello stesso artista alle singole opere, è un'escursione fra antico e postmoderno, Stati Uniti e Giappone, filosofia e filologia, giochi di parole in molte lingue. Intanto, già nel titolo, si presenta l'aggettivo cute: letteralmente grazioso (ma anche tenero, carino, cuccioloso), il termine sta a indicare un complesso fenomeno estetico che riguarda dapprima l'illustrazione, il cinema d'animazione, la produzione di giocattoli, per poi sconfinare in esperienze artistiche tout-court, in cui si riveli la predilezione per tratti infantili, neonatali (personaggi dagli occhi grandi e dalle forme arrotondate, secondo un tipico Kindchenschema).
Passati dal mondo di Walt Disney ai manga giapponesi, questi tratti aggraziati, e al tempo stesso deformi, hanno prodotto un universo di forme peculiari, che ha avuto un'interpretazione di successo nelle figure di Takashi Murakami, esponente della corrente Superflat (dove confluiscono pop, cartoni animati, linguaggi pubblicitari, invenzione oggettistica). Subito dopo il cute, il catalogo ci presenta i kewpies, esserini inventati al principio del '900 dall'illustratrice americana Rose Cecil O'Neill. Da un'accorta trasformazione degli eroti e cupidi della tradizione classica, nasce il kewpie (deformazione di Cupid), una figura adatta a illustrare storie per l'infanzia ma anche, e questa è la novità, a pubblicizzare (e contestualizzare) le merci del dirompente mercato capitalista.
Fenomenicamente diverse fra loro – argomenta Giancarlo Carpi – le merci “trovano nell'unità del valore di scambio una loro identità noumenica”, apparendo “accanto a una figura cute, a un soggetto/non-soggetto”. Figurine attraenti e disturbanti, questi esseri – così marginali in apparenza – rivelano, alla luce di questi studi, una loro importanza nella storia della cultura visiva moderna, nei suoi intrecci con la società mercantile, i mass-media, l'idea di famiglia e di bambino. Dal punto di vista della storia dell'arte, si diffondono proprio nell'epoca dell'art-nouveau, stilizzando e sterilizzando l'attenzione per la natura in forme mercificabili e riproducibili.
Un'altra parola con cui familiarizzare per affrontare le opere di Gabrielli è il giapponese otaku, che indica i fanatici dei fumetti e dei giochi, disconnessi dalla vita reale, attivi in un mondo sostituito; e soprattutto Dunny, un giocattolo a forma di coniglietto prodotto dalla Kidrobot: testa enorme, corpo minuscolo, orecchie dritte.
Una versione bronzea e 'aumentata' di Dunny campeggia non senza ironia sulla copertina del volume, perché l'opera a cui presta la sua aura è un concentrato di significati, di riferimenti, di richiami, il cui titolo completo suona: Ninfa moderna (Etant Dunny). Nel sottotitolo c'è un gioco di parole fra il Dunny e l'opera di Marcel Duchamp Etant donnés (Essendo dati), celebre installazione visibile, al museo di Philadelphia, attraverso una porta con due spioncini, che rivelano, al di là, un manichino di donna nuda, una lampada a gas, una cascata d'acqua. Nel titolo Ninfa moderna il richiamo esplicito è ad Aby Warburg e – come ci informa lo stesso artista – ai saggi sulla ninfa di Giorgio Agamben e Georges Didi-Huberman. Leggiamo il titolo Ninfa moderna: ma quello che vediamo è un coniglietto in bronzo lucido, con dei segni labirintici sulla superficie e delle calottine trasparenti da cui sono visibili una vagina, un ano, dei piccoli seni realizzati in cyberskin e lattice. È in questo che – secondo Gabrielli – si è trasformata la ninfa, “creaturella femminile misteriosa, seducente e immortale (non invecchia) ... sempre scintillante (al pari del bronzo polito e dello specchio)”.
Per quali strade la fanciulla dipinta dal Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni, descritta da Warburg come un'apparizione flagrante dell'antico, è finita incapsulata in una tuta metallica, con i dettagli iperrealistici del sesso e della carne dietro un vetro? Il percorso indicato da Gabrielli (e da Carpi) è ostico, leggermente perverso, ma non privo di risonanze. Intanto, nella mostra, tenutasi nelle sale del Museo Canonica di Roma, una specie di fortino (la Fortezzuola) dentro la Villa Borghese, la Ninfa moderna di Gabrielli era collocata davanti a un gesso dello scultore Pietro Canonica, uno studio per un monumento funerario del 1924, dal titolo La raffica. Una fanciulla dalle vesti e dai capelli ventilati sembra l'estrema espressione tardo liberty e simbolista di quella teoria degli “accessori in movimento” che polarizzano la dialettica fra giovinezza e morte, promessa e perdita, evidenza della vita e sua cristallizzazione. Davanti a questo grande gesso dannunziano, ecco lì il robottino lucido, piccolo e misterioso.
Caduti i panneggi e spentesi le aure – dicono Gabrielli e Carpi, portando a sostegno una bibliografia sull'estetica postmoderna – la ninfa attuale non attende più la rappresentazione esteriore di un fenotipo: destinata a rimanere embrione mai pienamente sviluppato, è rappresentata da un giocattolo in pelle in un involucro scintillante, da osservare come in un peep-show, da smontare pezzo a pezzo e da ricomporre, se si è in grado di farlo. “[...] la ninfa moderna è un Dunny: un'immagine stereotipata e archetipica, nata come stereotipo-prototipo di un desiderio originario, che qui viene esibito in forma un tantino disturbante e ironica – le prospettive tradizionali in cui può rendersi in qualche modo visibile l'origine divenuta ovvio, l'immediato invisibile, la rivelazione fattasi cuteness, l'idea depotenziata nel grazioso” (Gabrielli).
Da un punto di vista tecnico, Gabrielli progetta tutte le parti dell'oggetto, compresi gli ingranaggi, le ghiere, gli incastri, prepara i calchi, che vengono poi realizzati in fonderie italiane. Si tratta di un procedimento lungo, costoso, accurato, che fa di ciascuna di queste creazioni un oggetto da Wunderkammer, un pezzo di oreficeria inattuale, un “giocattolo per malinconici”.
Considerato un esponente del neo-pop italiano, Gabrielli ha esposto soprattutto negli Stati Uniti, e le sue opere sono state definite “illuminazioni rispetto al mondo di sogno dei feticci industriali, preziosi soprassalti, improvvisi risvegli di auratica ironia dall’interno della fantasmagoria della merce”. In mostra e in catalogo è possibile vedere i componenti smontati, per esempio delle opere dedicate a Elena e a Paride, due congegni che possono a loro volta incastrarsi fra loro (come se Paride fosse “l'anima segreta di Elena”) o di quelle dedicate alle figure mitiche giapponesi Izanami e Kagututi. Appoggiati su legno o velluto, sotto il vetro di una teca, i pezzi smontati sembrano reperti ora archeologici, ora zoologici, di ere e popolazioni non del tutto terrestri. Nei vari stadi di montaggio, proprio come transformer di lusso, le opere assumono diverse facce e sensi.
Il Pulcinsirena passa dalla forma chiusa, embrionale, a quella aperta, trasformandosi – attraverso meccanismi a molla interni – in una sirena appoggiata a un fondale marino (in bronzo patinato), come in una metamorfosi insieme barocca e surrealista, che ricorda anche le fantasie materiche di Savinio. Al pari dei meccanismi formali, anche i titoli alludono alla natura ibrida, evolutiva e complessa dell'ispirazione da cui hanno origine.
Abbondano i giochi di parole (Oggetto di cultro), gli ircocervi (Heliogabriels), i calembours (Lolli-pope), i doppi sensi (Eroina Anadiomene), strettamente connessi ai singoli dettagli dell'opera. Il gioco di parole Pulci-Nona sintetizza la forma del pulcino con il suono della Nona sinfonia prodotto da un carillon interno al pulcino stesso. A meccanismi simili si rifanno i gioielli in oro bianco: l'anello Heliogabriels, che cambia faccia ruotando una ghiera collegata a una ruota dentata; gli orecchini in forma di pulcino che si chiamano Chick too Chick, un pendaglio che richiama il pendolo di Edgar Allan Poe. A Poe, Gabrielli dedica un'opera dai tratti essenziali, quasi optical: P(O)endulum (Ritratto di Edgar Allan Poe) e una serie di riflessioni teoriche, rivelando la sua predilezione per lo scrittore statunitense, che seppe coniugare orrore e bellezza, tracce di ninfe e paure ancestrali, intravedendo sempre, dietro a qualunque forma, la struttura del congegno narrativo, a incastro, che la rende possibile.
English abstract
The volume Gabriels and the Italian Cute Nymphet (Rome, Museo Canonica, Mazzotta 2012) presents a selection of artworks by Italian artist Paolo Gabrielli, prefaced by a dense essay by Giancarlo Carpi and postscripts on single works by the artist himself. Carpi's essay deals with the concept of cute, its connections with goods and communication; the transformation of classical Cupid in “kewpie” in American illustrations in the beginning of 20th C; the importance of cuteness in Art Nouveau style, in cartoon design, and its transmigration in Japanese art. All these items have a role in explaining Paolo Gabrielli's works, shiny refined bronze figures transformable through internal mechanical articulations. Titles, too, are the product of assemblage of words and concepts, evoking multiple meanings dealing with classical, modern and post-modern culture. The most relevant artwork (as far as Engramma researchs are concerned), is Ninfa moderna, a bronze toy with cyberskin sexual details, referring to nympha in scientific, artistic, literary, philosphical and critical ways.
keywords | Gabriels and the Italian Cute Nymphet; Paolo Gabrielli; Giancarlo Carpi; Contemporary art; Sculpture; Modern Nymph; Japanese art; Bronze; Art Nouveau.
Per citare questo articolo: Ancora una trasmigrazione della ninfa, fra giocattoli, merci, gioielli, transformer. Recensione a Gabriels and the Italian Cute Nymphet, a cura di A. Sbrilli, “La Rivista di Engramma” n. 104, marzo 2013, pp. 5-10 | PDF dell’articolo