L’immagine di Ebe tra fonti antiche e ritratti allegorici del XVIII secolo: una galleria
Claudia Solacini
English abstract
Scheda mitologica e iconografica di Ebe
L’aggiornamento della galleria iconografica dedicata a Ebe, dea greca della giovinezza, (la prima edizione è pubblicata nel n. 34 di "Engramma", giugno/luglio 2004) è un'occasione per avanzare alcune considerazioni sull’evoluzione iconografica della figura del mito, a partire dall’età arcaica fino al XVIII secolo. Si è scelto quindi di proporre due serie di immagini che non presentino in modo completo la lunga tradizione dell’immagine di Ebe dall’antichità ai nostri giorni, ma in cui siano in evidenza due segmenti cronologici parziali e ben definiti. La galleria si presenta quindi suddivisa in due sezioni: la prima presenta la nascita e lo sviluppo iconografico del mito nell'arte greca e romana; la seconda l’importante ripresa e fortuna dell’immagine nel corso del Settecento, quando l’usanza di farsi ritrarre in vesti mitologiche pone Ebe tra le divinità maggiormente apprezzate dalle giovani aristocratiche europee.
Sin dalle pitture vascolari del VI secolo a.C. Ebe compare nelle feste olimpiche accanto a Zeus, Era o Eracle, ed è facilmente riconoscibile grazie alla coppa e l’ampolla: questi attributi la identificano nel ruolo di coppiera degli dèi incaricata di servire l’ambrosia, o il nettare dell’eterna giovinezza, durante le libagioni divine. In mancanza di attributi specifici, la vicinanza ad altre divinità consente di individuare Ebe in relazione al mito che affianca: la sua emancipazione è infatti molto tarda e nell’arte classica viene solitamente raffigurata come ancella di Era, figlia di Zeus, o compagna di Eracle.
Tra le nuove integrazioni alla galleria, la coppa del 480 a.C. conservata al Louvre rappresenta un esempio eloquente. Non viene illustrata alcuna specifica vicenda mitologica e l’artista si limita a modellare su recto e verso il volto di un eroe e quello di una giovane fanciulla: la leonté che avvolge l’effigie maschile ci permette di individuare facilmente la personificazione di Eracle, ma è solo grazie a quest’ultimo che è possibile riconoscere Ebe, altrimenti priva di qualsiasi dettaglio utile alla sua identificazione. Questa dipendenza figurativa da miti che possiedono una storia più complessa non è solo superficiale, ma svolge un ruolo essenziale nel significato intrinseco di Ebe. Figlia devota e amorevole compagna, Ebe non cerca l’indipendenza, è anzi venerata in virtù della sua devozione alla famiglia e agli affetti: Ebe dimostra la stessa accondiscendenza che ogni donna dovrebbe riservare al padrone di casa, sia esso il padre o il marito. Non una serva dunque, ma semplicemente una giovane donna la cui miglior virtù è quella dell’ubbidienza.
Munita di grandi ali, Ebe è spesso confusa con Iris o Nike: dal punto di vista iconografico la presenza delle ali, attributo non conforme al suo racconto mitico, potrebbe aver incoraggiato una certa assimilazione a Zeus nelle sembianze di aquila. A partire dal IV secolo a.C. infatti, Ebe rapita dall’aquila di Zeus viene identificata con Ganimede, assumendo il nome di Ebe-Ganimeda. Tuttavia questo evento non ha alcuna attinenza con la sua storia mitologica e in seguito, forse per distinguerla da Ganimede evitando ulteriori sovrapposizioni iconografiche, la troviamo semplicemente affiancata all’aquila di Zeus: insieme alla coppa e all’ampolla, l’aquila sarà quindi sistematicamente adottata come nuovo attributo della dea.
L’importanza di Ebe-Ganimeda non è meramente iconografica e porta in nuce uno degli aspetti principali della dea in ambito romano. L’accezione politica diventa la sua principale virtù nella Roma imperiale, dove assume una nuova identità e viene chiamata Iuventas: staccandosi gradualmente dall’ambito degli affetti familiari, Iuventas si lega al contesto marziale quale rappresentante di uno Stato giovane e forte [vedi Scheda mitologica e iconografica]. Eccola quindi diventare protagonista di alcune monete coniate nel 140 d.C. durante il regno di Antonino Pio, come dimostrano gli esempi conservati al British Museum di Londra.
L’usanza di sovrapporre il volto di illustri esponenti della società contemporanea su corpi statuari di derivazione greca era già fortemente radicata in epoca romana: i ritratti dei patrizi potevano così vantare la perfetta fisicità di divinità olimpiche incarnando le gesta di eroi meritevoli o condottieri valorosi [cfr. FRANCHI VICERÈ 2008, schede 71, 72]. Plinio stesso riporta un esempio dello stile eclettico che si esprime attraverso i ritratti compositi: “Questi due quadri Augusto con modesto apprezzamento li dedicò nella parte più nobile del suo Foro; ma Claudio li stimò di maggior pregio e, fatta tagliare su ambedue la testa di Alessandro, vi sostituì quella di Augusto” [Plinio, Naturalis Historia XXXV, 94]. Questa prassi aveva lo scopo di avvicinare l’evento narrato alla sensibilità del pubblico e rendeva più efficaci i messaggi propagandistici che le classi agiate desideravano diffondere.
Similmente, le dame del XVIII secolo chiedono agli artisti di essere ritratte come dea della giovinezza senza rinunciare a parrucca, gioielli e accessori che nulla hanno di filologico, ma che permettono alla committenza di manifestare il proprio status. Nel Settecento Ebe conosce una fortuna iconografica del tutto inedita, ma la considerevole rassegna di ritratti in veste di Ebe presenta ormai soluzioni ripetitive e prive di originalità. Il corpus più sostanzioso afferisce all’area inglese e francese, mentre le rare opere eseguite da artisti italiani e tedeschi si limitano a replicare posture ed espressioni che imitano gli esempi più celebri: il ritratto di Giovanni Battista Lampi sembra infatti emulare la postura di Miss Nailer ritratta da Robert Edge Pine, Anna Dorothea Therbusch trova probabilmente una fonte di ispirazione nel ritratto della marchesa d’Epinay eseguito da Pierre Santerre, il ritratto della marchesa di Simiane ricorda quello di Pierre Gobert commissionato dalla duchessa di Modena, e così via.
Privata ormai di ogni significato politico e apprezzata solo in virtù della sua valenza semantica, Ebe viene eletta dalle giovani aristocratiche quale proprio alter ego, dea fanciulla eternamente giovane, bella e accondiscendente (sul tema vedi, in questo stesso numero di "Engramma", Il mito di Ebe: da allegoria della temperanza a simbolo della libertà.
Un grazie particolare a Silvia Galasso per l’integrazione dei materiali archeologici e la revisione delle relative didascalie.
English abstract
The article provides an update of the iconographic gallery dedicated to Hebe, the Greek goddess of youth.
keywords | Myth; Hebe; Temperance; Iconography; ancient pottery