[…] stile non è sovrapposizione d’una cifra e d’un gusto, ma scelta d’un sistema di coordinate essenziali per esprimere il nostro rapporto col mondo.
Italo Calvino
Nominare il mito, la fiaba, o qualunque altra espressione fantastica a proposito di Marco Bellocchio e della sua opera, può dar luogo a equivoci; troppo convinta è infatti l’adesione di questo autore al ‘senso di realtà’ proprio del cinema.
Sembra tuttavia innegabile che l’esperienza immaginaria a cui egli si affida richiami spesso, attraverso le libertà dell’inconscio, esperienze simili a quelle del mito e della fiaba; penso soprattutto, con la fase avviata alla fine degli anni novanta, al Principe di Homburg – dove il sogno kleistiano, dunque romantico e assai precoce rispetto agli sconvolgimenti della psicoanalisi, sfida la ragione (i codici dell’onore) e ne è sfidato – e all’Ora di religione, un film la cui valenza profetica è misurabile solo attraverso i tempi altri che l’intuizione presta alla psicologia di massa.
In ogni caso si potrebbe applicare a Bellocchio, consapevoli dell’azzardo, il metodo di analisi che talvolta si adopera con la letteratura e in particolare con la fiaba; un metodo che contempla le sorprese del significante lasciando aperte molte strade e non si preoccupa dell’ortodossia.
Alcuni esempi della tradizione, per accostarsi all’argomento, possono quindi tornare utili. Prendiamo la Cenerentola dei Grimm: è scandaloso supporre che nasconda il tema dell’adulterio o perfino dell’uxoricidio? La vedovanza del padre e la cattiveria della seconda moglie (la matrigna) che umilia impunemente la figlia di primo letto, potrebbero ‘coprire’ un tradimento e un assassinio. È infatti difficile spiegare la furia distruttiva con la quale il padre abbatte prima la colombaia poi l’albero di pere dove pensava che la figlia si fosse nascosta per sfuggire alla ricerca del principe. Eccesso di obbedienza verso il monarca, che spinge il vecchio a colpire ciecamente con la scure, o invece bisogno di occultare, nel momento in cui la giovinetta entra in società, una grave colpa del passato e con ciò eliminare l’unica possibile testimone?
La bella addormentata nel bosco di Perrault richiama il passato non per una grave colpa ma per nostalgia. L’incantesimo equivale a una giovinezza immobile, cioè allo splendore della classicità. La ‘resurrezione’ miracolosa che il bacio del principe determina, chiude la versione dei Grimm – il titolo della loro fiaba è Rosaspina – ma in quella di Perrault rappresenta solo un primo finale. Il passato, già inteso come giovinezza e immutabile bellezza, nella seconda parte del racconto – per il riemergere dell’istinto di orchessa nella ‘Regina-suocera’ – si trasforma in minaccia e paura, in arcaica quanto maligna e barbarica eredità.
Il secondo e lieto finale, prima delle poche e sbrigative parole moraleggianti, è reso possibile dalla disperazione malvagia e dal suicidio: “[…] l’orchessa, presa da una rabbia indicibile nel vedere quel che vedeva, si gettò da se stessa colla testa avanti nella vasca, dove in un attimo fu divorata da tutte quelle bestiacce, che c’erano state messe dentro per suo comando. A ogni modo il Re (principe ereditario nella prima parte, ndr) se ne mostrò addolorato, perché in fin dei conti era sua madre: ma trovò la maniera di consolarsene presto colla sua bella moglie e coi suoi bambini” [1].
Bellocchio sceglie il titolo Bella addormentata per sarcasmo, probabilmente, ossia per deridere con amarezza coloro che (in buona ma più spesso in malafede) pensavano a Eluana Englaro come a una giovane in attesa del prodigio, rimasta per i diciassette anni di coma irreversibile la stessa splendente creatura delle fotografie scattate prima dell’incidente. C’è quindi, nella sua scelta, un riferimento preciso alla fiaba, anche se pur sempre circoscrivibile nella superficie del senso comune.
Al di là di questo – ma sulla traccia del mito tornerò – Bella addormentata credo si possa considerare come un’opera di alta poesia civile. La cronaca e le complesse problematiche che porta alla luce sono sottoposte da Bellocchio al vaglio di una verifica metodologica e di stile dove il rigore dialettico scaturisce dalle più ardite scommesse della laicità. Dal dubbio, in altri termini, cioè dalla negazione estrema, dunque rischiosa, di ogni pregiudizio. Lo stesso cineasta lo ha confermato più volte: pensarla in un certo modo – stare dalla parte di Beppino Englaro – non significa smettere il confronto con chi la pensa diversamente, né rinunciare alle possibilità creative dell’ambiguità che sola, per via d’arte, permette di approfondire, interrogarsi e interrogare. E cogliere poi i sentimenti e le passioni che talvolta, da opposti versanti, giungono a parlarsi.
Il film, insomma, si avventura in vicende al cui fondo sta il labile confine fra la vita e la morte per lavorare di contrasto ed equilibrio stilistico, oltre che di ritmo, ed esporre una fenomenologia di precarietà: ogni soggetto si confronta con le proprie debolezze di individuo e, quando possibile, con inusitate forze di resistenza. Così l’autore recupera il materno, come già aveva cominciato a fare subito dopo la provocazione matricida dell’esordio, il rapporto fra reale e visionario, un senso del mondo che non può e non deve tradire i conflitti personali, cioè affrontare il rischio con i mezzi di una poetica mai appagata. Ecco allora che Bella addormentata – ben lungi da cedere all’equidistanza, come qualcuno ha creduto – propone con coerenza (gli stacchi, il detto e il non detto, una necessaria e illuminante fluidità) una visione del destino sempre precario che ci tocca e, al medesimo tempo, sa indicare i preziosi margini sentimentali da cui, talvolta, può venire un umanissimo soccorso.
Le sorprese del significante, come dicevo poco sopra, grazie alla superiore dialettica messa in scena restano vive e variabili. Se nell’Ora di religione la misteriosa maestra poteva apparire come un angelico fantasma – e Moro, in Buongiorno notte, perfino risorgere – non va trascurata, anche nelle opere successive, la tendenza al recupero che per Bellocchio è ormai una forma di fedeltà. Recupero del materno, già dicevo, a cui si aggiungono il senso pascoliano di Sorelle Mai, o l’immaginario cattolico con cui il regista continua, attenuando il vecchio furore, a misurarsi.
Senza deviare da una convinzione laica da tempo acquisita, e anzi dimostrando un nuovo e sempre più maturo equilibrio critico, egli riesce in Bella addormentata a giostrare col dubbio fino a spingersi nel ‘campo avverso’. Il mito della parola evangelica, quindi, si affaccia sia direttamente che indirettamente. La controversa e un po’ secolare parabola dei talenti dal vangelo di Matteo (ex-gabelliere, non a caso, XXV,3), viene evocata dall’aspirante attore per protestare contro lo spreco cui la madre e attrice famosa costringe se stessa nell’attesa del miracolo; sempre da Matteo, in altro momento, il film menziona l'episodio della bambina resuscitata: “Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse: Ritiratevi perché la fanciulla non è morta, ma dorme”
Il terzo richiamo evangelico di Bella addormentata – da Giovanni (XII,16), questa volta, ma indirettamente [2] – credo con qualche prudenza si possa avvertire nella bellissima scena finale.
[…] Gesù andò a Betània – recita il testo di Giovanni – dove si trovava Lazzaro, che egli aveva resuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota […] disse: perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?
Il primo gesto di amicizia – o amore, compassione o desiderio – che la ragazza compie verso il medico deciso a impedirle di gettarsi nel vuoto, è togliergli le scarpe perché abbia sollievo e riposi. La ragazza, che era emblematicamente apparsa sullo schermo all’inizio, subito dopo i titoli di testa, ha lunghi capelli ed è commossa dal suo provvisorio salvatore nel momento in cui lo vede abbandonato nel sonno come se fosse morto. Disperata come la Maddalena, come l’adultera, come tutte le donne che il Cristo preferisce e perciò saranno le prime testimoni della sua resurrezione, ella è libera dal suo benigno guardiano ma rinuncia al suicidio: torna al suo letto d’ospedale, si corica e si addormenta.
Note
- P. Angelini, C. Codignola (a cura di), Fiabe sui “ruoli sessuali”, Roma 1978, 77. La versione di La bella addormentata nel bosco di Perrault è di Carlo Collodi.
- L’episodio di Betània compare anche nel Vangelo di Marco, XIV, 34 e, con altra collocazione, dettaglio, titolo e protagonista femminile in quelli di Matteo (XXVI, 77) e di Luca (VII, 35). Vorrei aggiungere, riguardo al desiderio avvertibile nell’episodio ci cui sopra, che in Bella addormentata appare come prodigio, miracolo o magia lo slancio improvviso e incontenibile dei due giovani che si fronteggino alla partenza di Eluana Englaro per la clinica di Udine. Della ragazza, in particolare: cattolica integralista, dunque sessualmente e amorosamente timorata.
English abstract
Marco Bellocchio chose Bella addormentata as the title of his last film. It is a title which refers to a classical fairy tale (see Perrault’s and Grimm Bros versions) to address the story of Eluana Englaro, an Italian girl in state of coma for seventeen years. Despite the irony, this title is perfectly in line with the fantastic and mythological dimension Bellocchio has been expressing since the late 1990s with Il principe di Homburg. Also Bella addormentata reflects Bellocchio’s evangelic memories, which are well detectable in some episodes referring for instance to the parables of the minas, that of the resurrected child, and maybe – somewhat implicitly in the final part – that of the supper in Betania.
keywords | Marco Bellocchio; Bella addormentata; Sleeping Beauty; Movie; Perrault; Grimm Bros; Eluana Englaro.
Riferimenti bibliografici
- A. Aprà (a cura di), Marco Bellocchio. Il cinema e i film, Venezia 2005.
- J. Baldeschi, T. Masoni (a cura di), Un sogno, che altro... Film di Marco Bellocchio, Castelfiorentino 2011.
- S. Bernardi, Marco Bellocchio, Milano 1998.
- P. Caproni, Lo sguardo inquieto. Marco Bellocchio tra immaginario e realtà, Recco 2009.
- E. Elia, A. Minuz, Bella addormentata, “Segnocinema”, 178 (novembre-dicembre 2012).
- B. Roberti, Bella addormentata: icona del sonno e del risveglio, “Filmcritica”, 629 (novembre 2012).
- Speciale Bella addormentata, “Cineforum”, 518 (ottobre 2012).
Per citare questo articolo / To cite this article: T. Masoni, Una traccia del mito, forse. Bella addormentata di Marco Bellocchio, “La Rivista di Engramma” n. 108, luglio/agosto 2013, pp. 69-74 | PDF di questo articolo