"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Oltre il memoriale

Museografia per il patrimonio dei conflitti*

Michela Bassanelli

 
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Un giorno in un liceo artistico di Roma affollatissimo di studenti, molto cortesi, che applaudivano civilmente e persino ridevano se raccontavo delle facezie, mi sono accorto che nulla di quello che raccontavo si fermava nella loro mente: potevano cogliere delle informazioni, ricavare anche qualche emozione, ma era come quando si va al cinema e si esce commossi, ma dopo dieci minuti la vita di ogni giorno riprende il suo dominio. Le cose che raccontavo erano risposte ai miei problemi (e magari a quelli della mia generazione), non erano risposte ai problemi loro. Soprattutto i giovani e i giovanissimi hanno insicurezze sconosciute alla mia generazione, insicurezze che rendono difficile progettare la vita e sembrano quindi rendere inutile la storia. Io non posso imporre, e nemmeno proporre loro le mie soluzioni. La cosa non riguarda solo i giovani, tocca un po’ tutti: come si richiama la memoria? Come si può ricordare il passato? Da quella riunione al liceo artistico quella domanda mi ha intrigato.
(Foa 1996, IX)

Il breve racconto tratto dal libro Questo Novecento di Vittorio Foa esprime in modo molto semplice un problema complesso: come rievocare la memoria, come ricordare il passato in modo che sia comprensibile a tutti, in particolare a chi quelle storie non le ha mai vissute direttamente. Il Novecento è stato il secolo del testimone (v. Wieviorka 1998; Di Castro 2008; Bidussa 2009), dell’uomo sopravvissuto che ha mostrato la veridicità di fatti sconvolgenti e insieme l’assoluta banalità del male. Hannah Arendt nella sua attenta e minuziosa disamina del processo Eichmann mette in luce la spaventosa normalità dell’individuo accusato di commettere i reati peggiori dell’umanità: “Ma il guaio di Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali” (Arendt [1963] 1964, 282). Il processo Eichmann e quelli di Francoforte, nei primi anni sessanta, hanno messo in evidenza la centralità del testimone nella costruzione di una storia condivisa. Il corpo del sopravvissuto diventa una sorta di corpo pubblico “memore dei tanti che non possono più parlare: che non hanno più occhi, orecchi, numeri da mostrare incisi sulla pelle” (Tarpino 2008, 15). Negli anni novanta altre memorie si aggiungono a quella dell’Olocausto: la tragedia dei Desaparecidos in Argentina e il massacro di Srebrenica in Bosnia. Il transito intergenerazionale fa sì che oggi gli ultimi testimoni vadano scomparendo lasciandoci il compito etico di tramandare le storie vissute dai nostri nonni e bisnonni alle nuove generazioni con il forte monito a non ripetere i drammi del passato, a non dimenticare.

In che modo allora è possibile oggi perpetuare il ricordo degli altri? I luoghi della memoria potrebbero rappresentare i nuovi testimoni (Tarpino 2008, 20) che con le loro tracce, tangibili o intangibili, diventano portatori di valori altri. Già Maurice Halbwachs, nelle sue riflessioni sulla memoria collettiva, definisce l’importanza del luogo come elemento catalizzatore degli aspetti di una società:

Il luogo occupato da un gruppo non è come una lavagna su cui si scrivono delle cifre e delle figure e poi si cancellano. Come potrebbe l’immagine della lavagna ricordare ciò che vi si è tracciato sopra, dal momento che è indifferente alle cifre, e sulla medesima lavagna si possono riprodurre tutte le figure che si vogliono? No. Il luogo invece accoglie l’impronta di un gruppo, e ciò è reciproco. Allora tutte le pratiche del gruppo possono tradursi in termini spaziali, e il luogo che occupa non è che la riunione di tutti i termini (Halbwachs 1950, 137).

Il tema della memoria in relazione allo spazio si amplifica alla fine del secondo conflitto mondiale quando le città e il paesaggio si presentano come resti dei teatri di guerra. È Pierre Nora che negli anni ottanta definisce il concetto di lieux de mémoire, titolo della sua imponente opera in sette volumi (1984-1992) dedicata ai luoghi fondanti della nazione francese: “Unità significativa, d’ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavoro del tempo ha reso un elemento simbolico di una qualche comunità” (Nora 1984-1992). Un luogo della memoria è quindi uno spazio, come un museo, un monumento, un particolare territorio o località caratterizzato da eventi storici o traumatici che lo hanno segnato fino a farlo divenire contenitore della memoria collettiva. Aleida Assmann ha dedicato un intero capitolo nel suo libro Ricordare, forme e mutamenti della memoria culturale alla “memoria dei luoghi”: i luoghi come le persone sono portatori di ricordi, palinsesti costituiti da una serie di strati che fanno riferimento a particolari momenti della storia (Assmann [1999] 2002, 333-334). In modo ancora più manifesto i "luoghi del trauma" (Tricoli 2009), ovvero i luoghi commemorativi per eccellenza, sono caratterizzati da molteplici e differenti stratificazioni dei ricordi legati a chi quelle esperienze le ha vissute direttamente. In continuità con le riflessioni appena citate, Elena Pirazzoli parla di "nudo luogo" sottolineando il rapporto biunivoco tra memoria ed evento: “Il nudo luogo è allora quel carattere che unisce tutti gli 'spazi', che siano essi luoghi o nonluoghi, è la presenza di stratificazioni d’uso, di passati, di residui, senza pretese di alta storicità, ma capaci di rendere vicende umane” (Pirazzoli 2010a, 46). Il concetto di nudo luogo rimanda a una realtà quasi astratta, a emozioni e sensazioni che nascono dall’attraversamento di un luogo colpito da catastrofi anche ove questo non presenti più le tracce dell’evento per lo scorrere incalzante del tempo.

Kenzo Tange, Memoriale della Pace, Hiroshima (fotografia di Michela Bassanelli)

Alcuni artisti si servono dei luoghi della memoria come materia del loro lavoro, creando azioni artistiche che mettono in evidenza il valore simbolico e di memoria rimossa di questi patrimoni particolari, in grado di sostenere la produzione di sensi e di valori che superano il dolore della memoria traumatica. Magdalena Jetelova e Ejdrup Hansen hanno realizzato delle installazioni su alcuni tratti dell’Atlantic Wall per sottolineare il carattere dei reperti e stimolare un invito alla riflessione su queste presenze ingombranti che definiscono un tratto di costa transnazionale. La coppia di fotografi José María Rosa e María Bleda lavora con le immagini cercando di cogliere, negli scatti sui campi di battaglia più importanti della Spagna, il passaggio del tempo, lasciando all’immaginazione la libertà di ricostruire l’evento. Nello stesso modo il gruppo di archeologi di Recent ruins usa la fotografia per registrare – attraverso le tracce ma anche le assenze – le memorie intangibili dei luoghi.

I due conflitti mondiali, i genocidi e la bomba atomica hanno lasciato, sul territorio europeo, segni indelebili nelle città e nel paesaggio. Nuove tracce del passato marchiano la terra, là dove le vecchie impronte si sono ormai volatilizzate per incuria o abbandono. Bunker, forti, trincee, gallerie ma anche memorie, storie, ricordi costellano il paesaggio fisico dei luoghi e il paesaggio mentale delle persone che hanno preso parte ai conflitti bellici e costituiscono una parte, difficile e traumatica, del nostro patrimonio culturale. Il Novecento è stato il "secolo della paura" (Pinzani 1998), quello che ha conosciuto i maggiori drammi dell’intera storia universale:

Prima guerra mondiale: otto milioni e mezzo di morti sui fronti, quasi dieci milioni nella popolazione civile, sei milioni di invalidi. Durante lo stesso periodo: genocidio degli Armeni, un milione e mezzo di persone messe a morte dal potere turco. Russia sovietica, nata nel 1917: cinque milioni di morti a causa della guerra civile e della carestia del 1922, quattro milioni di vittime della repressione, sei milioni di morti durante la carestia organizzata del 1932-33. Seconda guerra mondiale: più di trentacinque milioni di morti nella sola Europa, di cui almeno venticinque in Unione Sovietica. Durante la guerra, sterminio degli ebrei, degli zingari, degli handicappati mentali: più di sei milioni di vittime. Bombardamenti alleati della popolazione civile in Germania e in Giappone: parecchie centinaia di migliaia di morti. Senza parlare delle sanguinose guerre condotte dalle potenze europee nelle loro colonie, come la Francia in Madagascar, Indocina, Algeri (Todorov 2001, 15).

Tzvetan Todorov inizia così il capitolo di Memoria del male, tentazione del bene intitolato Le nostre democrazie liberali, sottolineando per contrasto il male prodotto dagli stati europei e non solo, oggi democrazie liberali. Marco Revelli considera questo numero spropositato di vittime come “una delle forme della più generale tendenza alla massificazione che ha caratterizzato l’epoca” (Revelli 2006, 10). Il Novecento è stato il secolo dell’homo faber, dell’uomo ridotto esclusivamente alla sua funzione produttiva e al completo assoggettamento ai regimi totalitari. Secolo dal carattere ossimorico, caratterizzato dalla contraddittorietà tra mezzi e fini che si è espressa in tre vicende esemplari: dal comunismo novecentesco, ad Auschwitz come “luogo di estrema caduta” (Revelli 2006, 10) dove i corpi degli uomini sono stati usati e distrutti come cose, fino alla bomba atomica dove l’uomo ha creato la sua distruzione.

Nel panorama complesso e devastante prodotto dalle guerre la prima azione commemorativa è stata quella di porre nei luoghi monumenti e memoriali con lo scopo di fungere da monito all’oblio. Il monumento, in particolare, conosce una trasformazione radicale nei suoi caratteri intrinseci a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, tanto da essere a poco a poco sostituito dal termine 'memoriale'. 'Monumento' deriva dal latino monumentum e da monere, ricordare, e ha il significato di opera per conservare la memoria degli uomini illustri o di grandi avvenimenti. L’enciclopedia Treccani parla di “segno che fu posto e rimane a ricordo di una persona o di un avvenimento: porre, erigere, costruire un monumento. In particolare opera di scultura o di architettura decorativa, che si colloca nelle aree pubbliche a celebrazione di persone illustri o in memoria di avvenimenti gloriosi. Oppure che sovrasta o contiene una tomba: m. funebre, sepolcrale”. In particolare il monumento commemorativo, inteso come una delle sottodeclinazioni del monumento, ha “la funzione di ricordare a nome di una collettività eventi storici dolorosi e le loro vittime” (Pethes, Ruchatz [2001] 2002, 356).

Parco della Memoria Storica, mostra all'interno delle rovine di San Pietro Infine (© Fondazione Parco della Memoria Storica)

Nel Novecento il monumento è stato scelto come una delle forme di espressione dei regimi totalitari e per questo motivo dopo il 1945 assistiamo a un lento passaggio verso il memoriale. Tra le due forme di commemorazione non c’è solo uno slittamento semantico ma anche un cambiamento nei caratteri. Gli aspetti costitutivi del monumento sono infatti permanenza, lunga durata, eternità, grande dimensione, ieraticità; aspetti che vengono successivamente rifiutati per l’assoluta mancanza di senso delle tragedie del secondo conflitto mondiale come l’Olocausto e la bomba atomica. I caratteri che iniziano a comparire sono astrazione, afasia, rapporto molto stretto con il luogo dell’evento: “Nel corso della storia del XX secolo si afferma in Europa una chiara trasformazione dei monumenti di guerra che sorgevano in gran numero soprattutto ancora dopo la prima guerra mondiale a opera dei monumenti commemorativi astratti nella forma e universalisti nella retorica, eretti per ricordare la catastrofe della seconda guerra mondiale” (Pethes, Ruchatz [2001] 2002, 357).

All’inizio degli anni ottanta viene proclamata la rottura definitiva del monumento con quelli che James Young definisce "counter-monuments", ovvero l’antimonumento o monumento al contrario (Young 1992; Harris 2010). Una serie di artisti incaricati di erigere monumenti ai drammi dell’Olocausto propone strade alternative che seguono “la mutazione, il deperimento e la scomparsa” (Pirazzoli 2010b, 241) e dove centrale diventa il rapporto tra oggetto e visitatore, che viene stimolato a riflettere in prima persona sull’evento. Il Vietnam Memorial di Maya Lin si presenta quale caso paradigmatico del passaggio verso il counter-monument. Il muro colmo di nomi delle vittime della guerra scompare nel terreno come una ferita inflitta nel corpo dell’uomo. Il contatto con il muro per cercare e ricordare i proprio cari diventa un gesto di passaggio da memoria collettiva a memoria personale, creando una relazione più intima con la memoria. Jochen Gerz ed Esther Shalev-Gerz, due artisti di origine ebraica, realizzano ad Amburgo un Monumento contro il fascismo, la guerra e la violenza – e per la pace e i diritti umani. Esso consiste in una colonna, un pilastro cavo di alluminio, dove i visitatori sono invitati a scrivere i propri nomi o commenti. La peculiarità consiste nella lenta scomparsa della colonna nel terreno, aspetto che tradisce i caratteri propri del monumento. Il contro-monumento segna, come ha osservato alcuni anni fa Luca Borello, “una prassi mnemonica nuova più che un veicolo innovativo, concentrandosi sui significati e sui concetti, sullo sforzo necessario per fare ‘il passo oltre’, per interiorizzare le tragedie del passato, senza respingerle o negarle”. Se gli anni ottanta sono segnati dal dibattito scatenato dalle opere provocatorie degli artisti, è dall’inizio degli anni novanta che assistiamo a una vera esplosione di memoriali, musei della memoria e centri di documentazione, sia sui siti investiti direttamente dall’evento che fuori, inaugurando la 'stagione della commemorazione'. Il memento, ricordare di nuovo e con forza, specie con la dipartita delle voci narranti dei sopravvissuti, è diventato il rinnovato imperativo del 'mai più', perseguito da memoriali, musei della memoria e monumenti commemorativi sorti di recente in tutta Europa.

Parco della Memoria Storica, mostra all'interno delle rovine di San Pietro Infine (© Fondazione Parco della Memoria Storica)

Negli stessi anni l’archeologia ha ampliato i suoi orizzonti d’interesse verso le tracce dei conflitti bellici del ventesimo secolo. La nascita di questa nuova disciplina si colloca tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta negli Stati Uniti per poi affermarsi in Europa e in particolar modo in Inghilterra. L’attenzione posta dall’archeologia su reperti come bunker, trincee e linee fortificate ha sollecitato molte riflessioni riguardo all’importanza e al valore di questo patrimonio diffuso che caratterizza il paesaggio e le città europee. Questi siti sono oggetto di un vasto fenomeno turistico che ha assunto il nome di 'dark tourism' o 'black tourism' e indica la pratica di visitare luoghi legati alla sofferenza e al dolore. Il maggior interesse che si è sviluppato verso il patrimonio dei conflitti, suscitato anche da questi recenti fenomeni, ha portato alla necessaria elaborazione di un nuovo processo progettuale in grado di svolgere, insieme all’azione musealizzante, anche una terapeutica.

I parchi della memoria rappresentano un possibile approccio alla volontà di andare oltre la commemorazione classica, promuovendo un superamento delle tradizionali modalità di trasmissione dei ricordi. Abbiamo visto come il contro-monumento presenti alcune caratteristiche dell’andare oltre: uno degli aspetti costitutivi del nuovo approccio è proprio il coinvolgimento diretto delle persone con l’obiettivo di far loro interiorizzare e superare il trauma. Antonella Tarpino parla di passaggio dal “patto testimoniale,” quale paradigma della memoria novecentesca legato all’esibizione del corpo, al “patto di compassione” come condivisione e ri-narrazione del passato. In questo senso si colloca un nuovo filone di progetti, i 'parchi della memoria', che hanno l’obiettivo di ricucire le cicatrici presenti sul territorio attraverso un coinvolgimento diretto delle persone nei luoghi e di promuovere un ritorno di reperti e tracce nel circuito della vita delle cose e delle persone per andare oltre il trauma, diventando un’occasione per costruire delle memorie condivise a scala transnazionale.

Le tracce dei conflitti costellano le nostre città e il paesaggio, in alcuni casi i segni sono ancora evidenti (una casa bruciata, gli scavi delle bombe nel paesaggio), in altri il trascorrere del tempo ha cancellato i segni visibili ma non la memoria. Alcuni progetti sorti negli ultimi anni propongono un nuovo approccio servendosi dei luoghi della memoria come testimoni del passato e del rapporto attivo con il visitatore. Progetto anticipatore è il Memoriale della Pace di Hiroshima, proprio per il carattere della tragedia che ha investito l’intera città e che ha provocato la necessità di 'memorializzare' tutta l’area a testimonianza dell’evento.

Parque de la Memoria, Buenos Aires (fotografia di Gustavo Marquez, CC)

Si è concluso nel gennaio 2011 il concorso bandito dalla Provincia di Gorizia per la progettazione dell’area del Carso che ha ospitato le più cruenti battaglie del primo conflitto mondiale sul fronte italiano. Identificate tre aree ritenute di notevole importanza per il loro carattere di memoria storica, il Sacrario di Redipuglia, il Monte San Michele e il lago di Doberdò a Castellazzo, il progetto prevede interventi puntuali per ognuno dei tre ambiti collegati da un unico percorso della memoria. L’aspetto innovativo del progetto riguarda il tipo di approccio che si serve del paesaggio e delle sue tracce come elementi della narrazione. L’uomo è così spinto a conoscere il passato, comprenderlo e rielaborarlo attraverso un’esperienza diretta. Le tracce presenti nell’area del Carso goriziano diventano segni da valorizzare, le trincee ferite da ricucire, i percorsi di guerra circuiti per conoscere e vivere. Il progetto possiede un ruolo didattico-narrativo che valorizza la conoscenza e la scoperta di una parte di storia traumatica nazionale. Più recente è il progetto, non ancora realizzato, per Porto Palermo in Albania di Elisabetta Terragni, Jeffrey Schnapp e Daniele Ledda. Una base sottomarina per sommergibili della Guerra Fredda viene trasformata in uno spazio museale che narra le vicende della Guerra Fredda attraverso due prospettive: una dedicata alla storia locale dell’Albania e l’altra relativa alla storia delle superpotenze mondiali. Anche in questo caso una traccia così ingombrante, non solo per le dimensioni (un tunnel lungo 650 metri, alto 12, per 4 Whiskeys di 70 metri ciascuno) ma anche per la memoria legata a un momento molto particolare della storia dell’Albania, viene reinserita all’interno del circuito della vita per conoscere e rielaborare il passato.

In Italia sono tre i parchi storici istituiti su territori colpiti da rastrellamenti ed eccidi dall’inizio degli anni novanta: il Parco della memoria storica di Cassino, il Parco nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema e il Parco storico di Monte Sole. Il primo sorge nell’area compresa all’interno della provincia di Cassino colpita durante il secondo conflitto mondiale dalla furia devastatrice della guerra tra alleati e nazi-fascisti. L’intero borgo di San Pietro Infine venne completamente distrutto dai bombardamenti delle forze alleate, tanto da prendere l’appellativo di 'Pompei del Novecento'. Proclamato monumento nazionale nel 2008, oggi vi è presente un museo che si sviluppa tra i ruderi dell’abitato con l’obiettivo di offrire uno squarcio sulla tragedia che lo aveva colpito. È inoltre possibile effettuare dei percorsi della memoria che mettono in comunicazione le tracce relative alla guerra come i cimiteri ai caduti e i monumenti diffusi nel paesaggio. Con gli stessi obiettivi del primo, non dimenticare, mantenere viva la memoria, viene fondato il Parco nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema (2000), un piccolo paese colpito da un eccidio da parte delle truppe tedesche il 12 agosto 1944 in cui erano stati massacrati 560 innocenti, in particolare bambini, donne e anziani. È possibile visitare il Museo storico della resistenza, i luoghi e i monumenti eretti appena terminato il conflitto in memoria delle persone scomparse. Con un carattere maggiormente didattico-narrativo, il Parco storico del Monte Sole nella provincia di Bologna è uno dei primi progetti che si siano preoccupati di istituire nel 1989 un’area protetta con l’obiettivo, oltre alla tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, di diffondere una cultura di pace rivolta soprattutto alle giovani generazioni. Quest’area subì l’eccidio del 1944 da parte delle truppe naziste che uccisero 770 persone tra partigiani e civili. Nel 2002 nasce la Scuola di pace Monte Sole con lo scopo di promuovere iniziative “di formazione ed educazione alla pace, per la convivenza pacifica tra popoli e culture diverse, per una società senza xenofobia, razzismo ed ogni altra violenza verso la persona umana ed il suo ambiente”. L’aspetto più interessante di questa iniziativa risiede nella volontà di rielaborazione del trauma, raccogliendo le storie, i racconti dei testimoni, creando percorsi attraverso i reperti fisici che restano delle stragi.

In Europa e in particolare all’interno dell’International Coalition of Sites of Conscience, un network di siti storici come musei, memoriali e centri di documentazione dedicati al ricordo di eventi traumatici sta studiando un nuovo approccio basato sull’opportunità di educare i giovani al ragionamento e al rispetto dei diritti umani, in modo da evitare il ripetersi di stragi, razzismo, dittature e deportazioni. Un progetto interessante, che si colloca al di fuori dell’Europa, è il Parque de la Memoria realizzato a Buenos Aires nel 1999 per ricordare la tragedia dei Desaparecidos, vittime del terrorismo di stato in Argentina dal 1976 al 1983 (Di Cori 2000, 111). Il parco sorge in un’area particolarmente significativa, vicino alle coste del Rio de la Plata in cui i militari gettavano i corpi di persone innocenti. Il monumento alle vittime del terrorismo di Stato, presente all’interno del parco, viene realizzato nel 2007 ed è un muro, dove sono segnati tutti i nomi delle persone scomparse, che taglia la striscia di terra che scende verso il mare. Il monumento simboleggia la ferita lasciata nella società dalla violenza del terrorismo di stato, è uno spazio di riflessione e di ricordo. Sparse in tutto il parco sono diciotto opere, sculture di artisti argentini che affrontano il tema del terrorismo e della liberazione. Una parte consistente del progetto riguarda l’educazione come strumento di rielaborazione del trauma.

Parque de la Memoria, Buenos Aires (fotografia di Gustavo Marquez, CC)

Accanto a progetti sui luoghi fisici e reali della memoria, da qualche anno stanno sorgendo numerosi Geoblog, ovvero siti che hanno l’obiettivo di creare mappe virtuali della memoria. La scrittura è stata la prima forma per fissare informazioni, oggi il web costituisce un archivio di dati fruibile in qualsiasi momento da chiunque. In Italia un primo esperimento è stato fatto con la Mappa Emozionale dei Luoghi della Memoria Antifascista a Torino. Nel sito è possibile visualizzare i luoghi della memoria con una breve descrizione degli eventi che li hanno caratterizzati fino a condividere le informazioni e con la possibilità di commentarle. Marco Tabbia di Performing Media Lab afferma che “il dato originale e caratteristico del geoblog è l’incisività dell’esperienza individuale e reale sopra i luoghi della memoria: non soltanto perché ciascuno può scrivere un pezzo della storia di quel luogo ma perché visitando o vivendo quel luogo, la mia vita e la mia storia si incrociano con la storia di quel luogo” (Tabbia 2008). Il progetto europeo Paths of Memory ha creato una piattaforma online in cui è possibile conoscere tutti i luoghi della memoria in Europa legati al primo conflitto mondiale, alla guerra civile spagnola e al secondo conflitto mondiale. Si tratta di un lavoro di ricerca molto approfondito che ricostruisce la storia servendosi delle nuove tecnologie.

Sia reali che virtuali, i parchi della memoria sono una delle possibili risposte alla volontà di andare oltre la semplice commemorazione. Dopo la stagione dei monumenti e dei memoriali, che segnano il primo atto di fissare la memoria entro forme stabilite, oggi si apre una nuova stagione dove le azioni implicano una riappropriazione dei luoghi, delle memorie e delle storie per rielaborare il trauma. I luoghi, con o senza tracce, consentono un rapporto diretto con la memoria che scaturisce dalle emozioni che si generano nell’attraversamento. Jochen Gerz nel 2004 realizza, per la città di Coventry, il Future Monument e The Public Bench, due opere d’arte pubblica che dialogano con la storia della città e con il tema della costruzione di un’identità condivisa. Il primo, il Future Monument, consiste in un semplice obelisco, tipica forma dei monumenti di guerra, accompagnato da alcune placche collocate sul piano di calpestio indicanti i nomi di quei gruppi che in passato erano i 'nemici' e oggi sono diventati 'amici'. L’aspetto rilevante di queste due opere risiede nella volontà del progettista di proporre un monumento che vuole andare oltre il significato espresso dai monumenti passati e che si propone di diventare elemento di dialogo interculturale. Osservando meglio l’opera è evidente come tutti i riferimenti, dalla forma dell’obelisco, che non è affatto monumentale ma ha delle proporzioni umane, al materiale utilizzato (vetro), che la rende smaterializzata, mostrano un nuovo concetto di monumento che si basa su temi quali l’identità, la storia e il dialogo. Il Future Monument racchiude quindi tutti quei valori e quegli ideali che dovranno costituire la base di futuri approcci per i progetti che si occupano di memorie scomode a scala transnazionale: “The idea behind this monument is one of tolerance and reconciliation, peace and change. As often the enemies of the past become, over time, the friends of today”.

In quest’ottica il progetto museografico per i patrimoni scomodi dovrà fungere da strumento per rielaborare e superare il trauma e fornire occasioni di scambio interculturale, eliminando i confini nazionali e aprendosi a una permeabilità sia geografica che politica. La memoria va intesa, quindi, come un processo evolutivo e continuo che unisce passato, presente e futuro e il museo, da “cripta nazionale e cimitero commemorativo”, diventa “una rete migrante di tracce e memorie” (Chambers 2012, 7).

* Questo testo è l'introduzione a Re-enacting the Past. Museography for Conflict Heritage, a cura di M. Bassanelli, G. Postiglione, Siracusa 2013, 12-29

Bibliografia

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A. Wieviorka, L’ère du témoin, Paris 1998.

English version

Beyond the Memorial

Museography for the Heritage of Conflicts*

Michela Bassanelli

         One day, in an art school in Rome, crowded with very polite students, who clapped their hands in a civil way and even laughed if I made witticisms, I realized that nothing of what I was telling them was getting fixed in their minds: they probably caught some information, felt some emotions, but it was as when you go to the cinema and you get out of it feeling emotional, but, after ten minutes, life goes back to its own routine. The things I told them were answers to my problems (and maybe, to those of my generation), they were not answers to their own problems. Especially, the young and the very young have uncertainties which are unknown to my generation, uncertainties which make it difficult to make plans about their own lives and, consequently, they seem to make history useless. I can neither impose my solutions to them, nor propose them. This does not concern only the youth, it pertains to everybody: how can we recall memory? How can we remember the past? This question has intrigued me since that meeting at the art school.
(Foa 1996, IX)

This anectode, taken from the book Questo Novecento by Vittorio Foa, expresses a complex problem in a very simple way: how to recall memory, how to remember the past in a way which is understandable by everybody, and in particular by those who have never directly lived those histories. The 20th century was the witness century of the survivor man (Wieviorka 1998; Di Castro 2008; Bidussa 2009), who showed the veracity of overwhelming facts and, at the same time, the absolute banality of evil. In her accurate and meticulous analysis of the Eichmann trial, Hannah Arendt highlights the dreadful normality of the individual who is accused of committing the worst human crimes: “However, Eichmann’s problem was that there were many men like him and these men were neither pervert, nor sadistic; on the contrary, they were, and still are, terribly normal” (Arendt [1963] 1964, 282). During the first 1960s, the Eichmann trial and the Frankfurt trials emphasized the importance of the witness in the construction of a shared history. The body of the survivor becomes a sort of public body “mindful of the many who cannot speak anymore, who have no eyes, ears, or numbers inscribed on their skin anymore” (Tarpino 2008, 15). In the 1990s other memories are added to those of the Holocaust: the tragedy of the Desaparecidos in Argentina and the massacre of Srebrenica in Bosnia. Nowadays, the intergenerational passage is causing the last witnesses to disappear, leaving us with the ethical task of passing on the stories lived by our grandparents and great-grandparents to the new generations, giving them a 'stern warning' not to repeat the tragedies of the past, and not to forget.

Thus, how can we possibly hand down the memories of others? The places of the memory could represent the new witnesses that, with their traces – whether tangible or intangible – become bearer of others’ values. In his reflections on collective memory, Maurice Halbwachs defines the importance of the place as a catalyzing element of the aspects of one given society:

The place a group occupies is not like a blackboard, where one may write and erase figures at will. No image of a blackboard can recall what was once written there. The board could not care less what has been written on it before, and new figures may be freely added. But place and group have each received the imprint of the other. Therefore every phase of the group can be translated into spatial terms, and its residence is but the juncture of all these terms (Halbwachs 1950, 137).

The theme of the memory in relation with space is broadened at the end of World War II, when cities and landscapes look like remains of theatres of war. In the 1980s, it is Pierre Nora who defines the concept of 'lieux de memoire', which is also the title of his impressive work in seven volumes (1984-1992) dedicated to the founding places of the French country: “significant units, of either material or ideal order, from which the will of men or the effect of time has created a symbolic element of the memorial patrimony of a community” (Nora 1984-1992). Therefore, a place of memory is a space, such as a museum, a monument, a particular territory or site characterized by historical or traumatic events, which have marked it to the point of making it a container of collective memory. In her book Remembering spaces, forms and changes of the cultural memory, Aleida Assmann has dedicated an entire chapter to “the memory of the places:” places, as people, are bearers of memories, palimpsests made of a series of layers which refer to specific historical moments (Assmann [1999] 2002, 333-334). In an even more evident way, "places of trauma" (Tricoli 2009), that is, the memorial places par excellence, are characterized by multiple and different stratifications of memories linked to those people who have actually lived those experiences. In line with the above mentioned reflections, Elena Pirazzoli talks about a 'naked place', emphasizing the one-to-one relationship between memory and event: “The naked place is the feature which joins all 'spaces', either places or non-places; it is the presence of stratification of uses, of past times, of remains, with no pretence of high historicity, but capable of recalling human events” (Pirazzoli 2010a, 46). The concept of naked place refers to an almost abstract reality, to emotions and sensations that originate from walking through a place hit by a catastrophe, even if it does not present any trace of the event, owing to the relentless passing of time.

Some artists exploit the places of the memory as material for their works. They create artistic actions that highlight the symbolic value and the value of removed memory of these peculiar monuments, capable of triggering the production of meanings and values that overcome the pain of traumatic memory. Both Magdalena Jetelova and Ejdrup Hansen have performed installations on some parts of the Atlantic Wall. Their aim is to underline the peculiarity of the remains and stimulate a reflection on such uncomfortable presences that define a stretch of transnational coast. Photographers José María Rosa and María Bleda, instead, work with images; they try to catch the passing of time in their pictures, taken on the most important Spanish battlefields, leaving the watcher free to imagine the event. Similarly, the group of archaeologists named Recent ruins use photographs to record – through traces, but also through absences – the intangible memories of places.

The two world wars, the genocides, and the atomic bomb have left indelible signs in the European cities and landscapes. New traces of the past mark the land, where the old imprints have vanished by now, due to neglect or desertion. The physical landscape of the places and the mental landscape of the people who took part in the wars are dotted with bunkers, fortresses, trenches, galleries, but also memories, stories, and reminiscences. They form a difficult and traumatic part of our cultural heritage. The 20th century was the century of fear (Pinzani 1998), the century that witnessed the worst tragedies of the entire universal history:

World War I: eight and a half million casualties on the front lines, almost ten million among civilians, six million disabled. During that same period of time: genocide of the Armenians: one and a half million people killed by the Turk government. In the Soviet Russia, founded in 1917: five million deaths owing to civil war and the 1922 famine, four million victims of repression, six million deaths during the organized famine of 1932-33. World War II: over thirty-five million losses only in Europe, at least twenty-five of which in the Soviet Union. During the war, over six million victims due to the extermination of Jews, Romani, mentally handicapped. Allied bombardments on civilians in Germany and Japan: several hundreds of thousand casualties. Not to mention the bloody wars fought by the European powers in their colonies, such as France in Madagascar, Indochina, Algiers (Todorov 2001, 15).

This is how Tzvetan Todorov starts a chapter of his book Mémoire du mal, tentation du bien entitled Our liberal democracies, highlighting, by contrast, the evil produced by the European countries, and not only them, which are now liberal democracies. Marco Revelli considers this huge number of victims as “one of the forms of the general tendency to massification of that epoch” (Revelli 2006, 10). The 20th century was the century of the homo faber, the man who only had to perform his productive function and to completely submit himself to totalitarian regimes. It was a century with an oxymoronic character, characterized by the inconsistency between purposes and tools which is evident in three events: from the twentieth-century communism, to Auschwitz seen as a “place of extreme capitulation” (Revelli 2006, 10), where people's bodies were used and destroyed as if they were things, to the atomic bomb, where men created their own destruction.

In the complex and devastating post-war panoramas, the first commemorative action was to place monuments and memorials as warnings against oblivion. Since the end of World War II, the monument, in particular, has completely changed its intrinsic features, to the extent that its name has gradually been replaced by the term 'memorial'. The word 'monument' comes form Latin monumentum and monere, meaning 'to remember' and it refers to an artwork whose aim is to preserve the memory of illustrious men, or great events. Encyclopaedia Treccani talks about a “sign placed to remember a person or an event: to place, to put up, to build a monument. In particular, a sculpture or a work of decorative architecture, set in public areas to celebrate illustrious people or in memory of glorious events. In some cases it rears over or contains a grave: a funerary, sepulchral monument”. In particular, the commemorative monument, meant as one of the realizations of the monument, has “the role of reminding, in the name of a community, of painful historical events and their victims” (Pethes, Ruchatz [2001] 2002, 356).

In the 20th century the monument was chosen as one of the forms of expression of totalitarian regimes, and, consequently, after 1945, we can observe a slow shift to the memorial. The shift from one commemorative form to the other does not only imply a semantic transformation, but also a change in its features. Indeed, the fundamental elements of the monument are: permanence, long duration, eternity, big dimensions, solemness. Such features are subsequently refused because of the absolute meaninglessness of the tragedies of World War II, such as the Holocaust and the atomic bomb. Thus, the elements which start to characterize the monument are: abstraction, aphasia, very close relationship with the place of the event: “Over the 20th century, it is possible to observe in Europe an evident transformation of the war monuments which had been largely put up especially after World War I; commemorative monuments built to remember the catastrophe of World War II, indeed, are abstract in their form and universalist in their rhetoric” (Pethes, Ruchatz [2001] 2002, 357).

In the first 1980s, the definite break-off of the monument was established with what is defined by James Young as counter-monument, that is, the anti-monument or the opposite monument (Young 1992; Harris 2010). A series of artists in charge of building monuments dedicated to the tragedies of the Holocaust propose alternative approaches, characterized by “alteration, deterioration, and disappearance” (Pirazzoli 2010b, 241). The relationship between the object and the visitor – who is prompted to think about the event – becomes crucial. The Vietnam Memorial by Maya Lin is a paradigmatic example of the shift to the counter-monument. The wall, filled with the names of the war victims disappears into the ground, as a wound inflicted to the man’s body. The visitors’ contact with the wall, while looking for and remembering their loved ones, becomes an action which signals the passage from collective memory to personal memory, creating a more intimate relationship with the memory. Jochen Gerz and Esther Shalev-Gerz, two artists with a Jewish origin, have built a monument in Hamburg “against Fascism, war and violence – and for peace and human rights”. It consists of a column, an aluminium hollow pillar, on which visitors are invited to write their own names or comments. Its peculiarity lies in the slow disappearance of the pillar into the ground, an element which reveals the monument's distinguishing features. The counter-monument, as Luca Borello says, represents “a new mnemonic practice rather than an innovative vehicle, focusing on meanings and concepts, on the effort which is necessary in order to make a ‘step further’ to internalize the tragedies of the past, without rejecting or denying them”. The 1980s are indeed marked by the debate triggered by the provocative works of artists; however, it is at the beginning of the 1990s that we can observe a real explosion of memorials, memory museums, and documentation centres, both on the places directly involved in the events, and outside of them, starting the “season of commemoration”. The memento, the action of remembering again, with strength, especially since the disappearance of the survivors’ narrative voices, has turned into the renewed imperative “never again” pursued by memorials, memory museums, and commemorative monuments recently built all over Europe.

In the same years, archaeologists have expanded their interests to the traces of the conflicts fought in the 20th century. This new discipline originates in the United States between the end of the 1980s and the beginning of the 1990s and later spreads in Europe, particularly in England. Archaeology of conflicts focuses its attention on remains such as bunkers, trenches, and front lines, thus stimulating reflections on the importance and the value of this widespread heritage, which characterizes the European landscape and cities. These sites are the target of a wide touristic phenomenon called 'dark tourism' or 'black tourism', which refers to the practice of visiting places linked to pain and sufferance. The increasing interest towards the heritage of conflicts, which has been stirred also by these recent phenomena, has led to the necessity to elaborate a new planning process capable of performing both a museumizing and a therapeutic action.

Memory parks represent an attempt to go beyond the classic commemoration, fostering a supersession of traditional modalities of passing on memories. We have seen how the counter-monument presents some features typical of going beyond: one of the peculiarities of this new approach is the direct involvement of people, with a view to interiorizing and overcoming the trauma. Antonella Tarpino talks about a shift from a “witness agreement”, as the paradigm of the memory of the 20th century, linked to the display of the body, to a “compassion agreement” meant as sharing and re-telling the past. A new series of projects – the “memory parks” – has the aim of healing the scars present on the territory through people’s direct involvement, and of fostering a reappearance of remains and traces in objects’ and people’s life cycles. Its purpose is to help go beyond the trauma, thus becoming an opportunity to build shared memories on a transnational scale.

Our cities and landscapes are dotted with traces of conflicts. In some cases the signs are still evident (a burnt house, bomb craters in the landscape); in others, the passing of time has cancelled the visible signs, but not the memory. Some projects of the latest years propose a new approach, using the places of the memory as witnesses of the past or of the active relationship with the visitor. Hiroshima Peace Site is a precursory project, because of the peculiarity of the tragedy that hit the entire city and caused the necessity to 'memorialize' the whole area in witness of the event.

In January 2011, a competition announced by the Province of Gorizia was concluded. The purpose of the competition was to design the planning of the Carso area, which saw the bloodiest battles of World War I. Three areas have been identified, three zones that are considered remarkably important in terms of their features linked to the historical memory: Redipuglia war memorial, Monte San Michele and Doberdò Lake at Castellazzo. The project provides for interventions for each of the three areas, which are connected by a single path of the memory. The project is innovative because of its approach, which exploits the landscape and the trenches as narrative elements. Consequently, people are prompted to know the past, understand it, and elaborate it through a direct experience. Traces in the Carso area in the Gorizia province become signs whose value has to be increased, trenches are wounds to be healed, war paths are routes whose aim is to spread knowledge and life. The project has a didactic-narrative role which values the knowledge and the discovery of a part of national traumatic history. Porto Palermo in Albania, by Elisabetta Terragni, Jeffrey Schnapp and Daniele Ledda, is a more recent project, which has not been realized yet. A Cold War submarine base is to be transformed into a museum space that tells the events of the Cold War through two perspectives: one will be dedicated to the local history of Albania and the other one to the history of the earth superpowers. Also in this case, the trace is impressive, not only for its dimensions (it is a 650 metres long tunnel, 12 metres high, for 4 Whiskey-class submarines, each of them 70 metres long), but also for the memory linked to a very peculiar moment in the history of Albania. Such a trace is re-inserted in the life cycle, in order to know and elaborate the past.

In the first 1990s, three historical parks were established in Italy, on territories hit by the roundups and slaughters: Cassino History Memorial, the National Park of Peace Memorial at Sant’Anna di Stazzema, and Monte Sole Historical Park. The first one lies in the area, within the province of Cassino, which was hit by the devastating fury of the war between the allies and the Nazi-Fascists during World War II. The whole hamlet of San Pietro was completely destroyed by the allied bombings and this is why it is called 'the Pompeii of the 20th century.' In 2008, it was declared national monument and today it houses a museum, which spreads over the remains of the village, with the aim of offering a glimpse of the tragedy that hit it. Moreover, it is possible to walk through some paths of the memory that link the traces of the war, such as the cemeteries to the fallen and the monuments spread all over the landscape. The National Park of Peace Memorial at Sant’Anna di Stazzema was founded in 2000 with the same aim: not forgetting, keeping memory alive. Sant’Anna was a small village slaughtered by the German troops on the 12th August 1944: 560 innocent people were massacred, most of whom were children, women, and elderly. In the park it is possible to visit the Historical Rebellion Museum, the places, and the monuments built in memory of the dead people soon after the end of the war. The Historical Park of Monte Sole, in the province of Bologna, is characterized by a more didactic-narrative nature. It is one of the first projects which, in 1989, founded a protected area with the aim of spreading the culture of peace, especially among the younger generations, besides preserving and respecting the value of environmental heritage. In this area, in 1944 the Nazi troops killed 770 people, both partisans and civilians. In 2002, the School of Peace of Monte Sole was established, with the aim of promoting initiatives “for peace training, for peaceful relationships among different peoples and cultures, for a society free from xenophobia, racism, and all other forms of violence towards human beings and their environment”. The most interesting aspect of this initiative lies in the wish to elaborate the trauma, collecting stories and accounts from witnesses, creating paths through the physical remains of the slaughters.

In Europe, and in particular within the International Coalition of Sites of Conscience, a network of historical sites such as museums, memorials, and documentation centres targeted at reminding traumatic events are working out a new approach. Such approach is based on the opportunity of educating young people so that they reflect on and respect human rights, in order to prevent disasters such as racism, dictatorships, and deportations from happening again. An interesting project outside Europe is represented by the Parque de la Memoria, founded in Buenos Aires in 1999 to remind people of the tragedy of Desaparecidos, the victims of state terrorism in Argentina from 1976 to 1983 (Di Cori 2000, 111). The park lies in a meaningful area, close to river Rio de la Plata, where soldiers threw the bodies of innocent people. The monument to the victims of state terrorism was built inside the park in 2007. It consists of a wall that divides the stretch of land that runs down to the sea; the names of all the missing people are written on the wall. The monument symbolizes the wound inflicted on society by the violence of state terrorism, and it is a space of reflection and memory. Eighteen sculptures by Argentine artists are spread all over the park; the artworks interpret the theme of terrorism and liberation. A considerable part of the project deals with education as a means of elaboration of trauma.

Apart from the projects realized on the real places of the memory, in the latest years many Geoblogs have been founded, that is, websites that have the aim of creating virtual maps of the memory. Writing has been the first form of fixing information, and today the Internet is a database which can be used by anybody at any time. The Emotional Map of Antifascist Memory in Turin represents a first attempt within this field in Italy. In this website it is possible to visualize the places of the memory, with a brief description of the events that took place there, and you can also share the information and comment it. Marco Tabbia from Performing Media Lab states that “the original and characteristic element of the geoblog lies in the incisiveness of the individual and real experience over the place of the memory: not only because anybody can write a piece of history related to that place, but also because when I visit or live that place, my life and my history intersect with the history of that place” (Tabbia 2008). The European project Paths of Memory has created an online platform which offers the possibility to know all the European places of the memory connected with World War I, the Spanish Civil War, and World War II. It is the result of an in-depth research work, which reconstructs history through new technologies.

Whether real or virtual, memory parks are one of the possible answers to the wish of going beyond mere commemoration. After the time of monuments and memorials, which mark a first action of fixing memory in established forms, today a new time has come, where actions imply a re-possession of places, of memories, and of stories, in order to elaborate the trauma. Places, with or without war traces, enable a direct relationship with the memory that is triggered by the emotions felt when walking through the parks. In 2004, Jochen Gerz realized the Future Monument and the Public Bench in Coventry, two public artworks that interact with the history of the town and with the theme of the reconstruction of a shared identity. The former, Future Monument, consists of a simple obelisk – the typical shape of war monuments – with some plaques on the walking floor reporting the names of the groups that used to be considered as 'enemies' and are now 'friends'. The importance of these two artworks lies in the designer’s wish to propose a monument that goes beyond the meaning expressed by monuments of the past, and aims at becoming an element of intercultural dialogue. If we observe the work more carefully, it is clear how all its elements – from the obelisk shape (which is not monumental at all, but has human proportions) to the material (glass) which makes it dematerialized – show a new concept of monument, based on themes such as identity, history, and dialogue. The Future Monument contains all those values and ideals that will be the basis for future approaches for those projects which deal with uncomfortable memories on a transnational scale.

In this perspective, the museographic project for uncomfortable heritage will act as a tool to elaborate and overcome the trauma; it will provide with opportunities for intercultural exchange, eliminating national boundaries, and opening up to geographical and political permeability. Therefore, memory has to be meant as an evolutionary and continuous process that connects past, present and future, and the museum, which was once a “national crypt and a commemorative cemetery” is now “a migratory network of traces and memories” (Chambers 2012, 7).

* This text is the introduction of Re-enacting the Past. Museography for Conflict Heritage, edited by M. Bassanelli, G. Postiglione, Siracusa 2013, 12-29

English abstract

In the 20th century the monument was chosen as one of the forms of expression of totalitarian regimes, and, consequently, after 1945, we can observe a slow shift to the memorial. The shift from one commemorative form to the other does not only imply a semantic transformation, but also a change in its features. Indeed, the fundamental elements of the monument are: permanence, long duration, eternity, big dimensions, solemness.
In this essay Michela Bassanelli focuses on memory parks as one of the possible answers to the wish of going beyond mere commemoration.

keywords | War; Memory; Memorial; Memory park; Architecture; Museography.

Per citare questo articolo/ To cite this article: Michela Bassanelli, Oltre il memoriale. Museografia per il patrimonio dei conflitti, in “La Rivista di Engramma” n. 113, gennaio/febbraio 2014, pp. 81-91| PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2014.113.0009