"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

117 | giugno 2014

9788898260621

Le ragioni del torto

Per una lettura delle Vespe di Aristofane.
Nota del traduttore per la messa in scena al Teatro greco di Siracusa (Fondazione Inda, 2014)

Alessandro Grilli

English abstract

Tra le undici commedie conservate di Aristofane, che per noi rappresentano purtroppo la quasi totalità dei documenti noti sulla fase più antica del teatro comico greco, Le Vespe sono segnate da un’ambiguità di fondo, un’ambiguità che di certo costituisce il loro tratto più specifico: il nucleo fantastico della vicenda mantiene infatti costantemente intrecciate due componenti strutturali in apparenza antagonistiche – la satira politica e lo studio di carattere. In altri testi il prevalere di un elemento comporta una riduzione più o meno marcata dell’altro: i personaggi dei Cavalieri, l’allegoria politica rappresentata da Aristofane nel 424 a.C., sono poco più che macchiette sul piano della costruzione del carattere; viceversa Le Nuvole, che noi conosciamo in una rielaborazione posteriore alla loro messa in scena nel 423, danno così tanto spazio all’analisi del protagonista e delle sue manie da comprimere la satira di costume ai danni di Socrate e delle nuove scuole filosofiche entro i limiti di luoghi comuni ben collaudati.

Le Vespe, del 422, si prestano invece a una lettura sistematica sia come coerente presa di posizione politica (la satira contro gli abusi del sistema giudiziario ateniese) sia come analisi dei tratti, dei tic, delle motivazioni che animano l’indimenticabile personalità di Vivacleone, il vecchio protagonista. L’elemento da valorizzare in primo luogo, però, è a mio giudizio proprio questa insolita polivalenza: è infatti nell’interazione tra le due componenti, nel loro rapporto incongruo, e così refrattario a un’analisi razionale, che si annidano indizi preziosi, i soli capaci di svelare in qualche modo l’essenza stessa della commedia di Aristofane, una commedia così originale rispetto al comico conciliatore e consolatorio che si è affermato dopo di lui.

La commedia di Aristofane è infatti in primo luogo – Le Vespe ne sono luminosa testimonianza – un compatto infaticabile discorso contro la ragione, contro i limiti e il peso di un ordine ottimale desiderabile necessario, e nondimeno faticoso. Ciò per cui la commedia si batte è uno spazio fantastico dove per una volta le pulsioni profonde e irragionevoli degli individui si possano dispiegare acquisendo statuto di realtà. In termini freudiani, Aristofane spalleggia l’Es nell’eterna battaglia contro il super-Io: e dunque le sue commedie esaltano la forza vitale, la passione, le idiosincrasie degli individui, che si manifestano nel loro desiderio di giocare, di godere, o anche – perché no? – di affermarsi sadicamente contro il prossimo. Nelle Vespe la contrapposizione non potrebbe essere più chiara: la ragione, in termini di lucida analisi politica, è dalla parte del figlio, il deuteragonista Abbassocleone, un conservatore ben pensante che non ha difficoltà a svelare le dinamiche di potere sottese al disfunzionale sistema giudiziario ateniese. Ma la commedia non fa il tifo per lui, bensì per il suo vecchio padre, esautorato e marginalizzato dall’età, che però si ostina a restare attaccato a una passione irragionevole cui affida la sua stessa sopravvivenza: fare il giudice nelle giurie popolari, e far sentire almeno lì che lui esiste ancora.

A noi spettatori, alla fine, non importa che abusare dell’autorità di giudice agli ordini dei demagoghi sia razionalmente deprecabile; a noi importa vedere sottolineato dall’azione scenica il nucleo ultimo della verità comica, portavoce e paladina della fiamma vitale che guizza in ciascuno di noi: ciò che conta, in qualsiasi circostanza, è esistere, essere vivi a dispetto di quello che ci viene presentato dal principio di realtà come ragionevole e normale (cioè la vecchiaia e la morte).

In questa prospettiva, è chiaro come il tema politico (la deprecata strumentalizzazione del sistema giudiziario ad opera degli esponenti della democrazia radicale) sembri sì l’orizzonte ultimo del discorso di Aristofane, ma si possa altrettanto bene, e forse addirittura meglio, leggere come lo sfondo tematico utile a far risaltare la dinamica privata della vicenda. Privata, cioè filosofica e universale: mai come in questo caso appare confermato l’abbagliante principio aristotelico che “la letteratura è più filosofica e più rilevante della storia” (Poetica, 1451, b5-6), perché essa focalizza l’attenzione sulle costanti universali dell’esistenza, mentre la storia sui tratti individuali di una circostanza specifica. E questo è anche un modo di spiegare la diversa adesione emotiva mobilitata dai due personaggi: Vivacleone ha dalla sua la vivezza universale della poesia, che, parlando di qualsiasi cosa, parla sempre di noi e di ciò che ci interessa; Abbassocleone è il semplice portavoce di un’impassibile (e giocoforza poco coinvolgente) analisi storiografica.

Questa lettura delle strutture profonde del testo ha orientato le mie scelte traduttive in modo consapevole e costante, al di là delle consuete pratiche della resa per la scena. Questo ha implicato conferire il massimo risalto ai tratti psicologici del personaggio di Vivacleone, e, per converso, ridimensionare per quanto possibile i contenuti specifici occasionali del discorso politico delle Vespe, fatto di nomi e di circostanze di interesse in prevalenza antiquario. Nell’enfatizzare la costruzione del personaggio, peraltro, non mi sono limitato a tralasciare o comprimere, nella necessaria sintesi richiesta al traduttore scenico, i contenuti meno funzionali, ma ho voluto altresì inscrivere già nel testo stesso una rete coerente di micro-segnali che finiscono poi per funzionare quasi come indicatori di regia. Per fare solo un esempio: il protagonista viene presentato, nel prologo, da un servo che ne descrive la natura maniacale, e mostra la radice passionale di questa mania (vv. 89-90):

ἐρᾷ τε τούτου τοῦ δικάζειν, καὶ στένει ἢν μὴ ’πὶ τοῦ πρώτου καθίζηται ξύλου.

Alla lettera, più o meno:

“È innamorato del giudicare, e sospira se non si siede al primo banco”.

In greco, come in italiano, il linguaggio traslato del desiderio amoroso mantiene sì la sua carica semantica, ma tende spesso a smussarsi nel fraseologismo lessicalizzato: espressioni come “amo molto”, “mi piace”, “è la mia passione” e simili possono dunque veicolare l’idea del profondo coinvolgimento emotivo, ma rischiano facilmente, a motivo dell’uso molto frequente, di finire neutralizzate. Cosa che invece nelle Vespe non deve assolutamente succedere, per non compromettere la resa e la leggibilità del personaggio. Ecco perché ho scelto di dilatare la traduzione di στένει (“geme”, “sospira”) esplicitando in modo inequivocabile la radice latamente ‘amorosa’ del desiderio di Vivacleone:

Fare il giudice nella giuria popolare per lui è una vera passione e, se non riesce a sedersi al primo banco, sospira, sospira – non fa altro che sospirare.

Il testo, come si intuisce, orienta la recitazione dell’attore rendendo possibile una ‘caccola’ (non avrei voluto dirlo, ma come faccio? nella lingua del teatro è così che si chiamano le enfatizzazioni di facile comicità a volte necessarie ad attirare o rinforzare l’attenzione dell’uditorio): non male per il copione, che ne guadagna in brio, ma addirittura indispensabile per la giusta caratterizzazione del personaggio, che fin dalla prima descrizione viene così memorabilmente inquadrato nell’ambito connotativo più corretto.

Se dunque le tematiche ‘private’ esigono che dal testo emerga col massimo risalto il carattere del protagonista, proprio il contrario è richiesto dal discorso sui temi politici.

Ciò che qui è utile alla messa in scena, in un contesto di due millenni e mezzo posteriore a quello originario, è la sottolineatura non dei tratti specifici del contesto ateniese di epoca classica (godibili ormai solo con l’ausilio di traduzioni annotate), ma, al contrario, di quegli elementi che, pur senza falsare il dato storico con accattivanti e inopportune attualizzazioni, siano idonei a valorizzarne in primo luogo la dimensione astratta e universale. Questo impone al traduttore delle Vespe di vincere due difficoltà specifiche di questa commedia: da un lato la straordinaria densità dei riferimenti a persone concrete e fatti di attualità del 422 a.C.; dall’altro la tentazione di cedere alla facile (ma falsa!) analogia che si può scorgere tra la critica al sistema giudiziario ateniese del V sec. a.C. e le attuali polemiche italiane sul ruolo della magistratura.

Nel primo caso il traduttore deve procedere con estrema cautela: cancellare dal testo qualsiasi riferimento concreto a personaggi storici, qualsiasi nome proprio, sterilizzerebbe la commedia e la renderebbe ipso facto ingessata e poco verosimile; viceversa, molto pericolosa per la godibilità della messa in scena risulterebbe una resa letterale senza criterio, che finirebbe per incastonare nei dialoghi una serie di segmenti opachi. La soluzione sta in un’attenta valutazione dei singoli casi; i nomi propri sono stati mantenuti quando la loro evocazione è di per sé funzionale alla vivacità espressiva del testo, senza richiedere un supplemento informativo che gli spettatori di Aristofane avevano e noi non abbiamo più:

SOSIA Ecco, guarda lì Aminia figlio di Pronape, dice che [Vivacleone] ha la mania dei gioco d’azzardo.
SANTIA Risposta… errata! Gli è venuto in mente solo perché è la mania che ha lui.

Analogamente, il nome del demagogo per eccellenza, quel Cleone che Aristofane attacca ripetutamente nelle sue commedie, e che nelle Vespe è inscritto fin anche nell’identità dei due personaggi principali, è stato reso sempre in modo da evidenziarne la natura di etichetta passepartout, leggibile facilmente come metafora dell’uomo di potere che affligge coi suoi abusi ogni sistema politico, quello ateniese come quello del contesto presente. Questo ha quindi implicato non solo non cancellare il nome Cleone quando esso compare nel testo, ma addirittura esplicitarlo enfaticamente quando il testo ha solo allusioni oblique, che solo i contemporanei potevano decifrare. È il caso di un altro passo del prologo:

SOSIA […] Mi ero appena addormentato e ho visto un gregge di pecore riunito sul colle del parlamento: pensa, tutte con mantelli e bastoni! Le arringava una balena sfondata, di quelle che mangiano qualunque cosa – dalla voce sembrava una maiala in calore.
SANTIA Blah!
SOSIA Che c’è?
SANTIA Smetti di raccontare: il tuo sogno sa troppo di satira politica. Non vorrei che si offendesse coso, lì, come si chiama… l’onorevole… Cleone.

Il cincischiamento del personaggio sul nome di Cleone traduce un’espressione del testo originale che suona: “Il tuo sogno puzza troppo di cuoio marcio” – espressione sapida e comicissima per gli Ateniesi di allora e completamente oscura per lo spettatore di oggi. Il riferimento è alle concerie di proprietà del demagogo Cleone e della sua famiglia. Certo, per il traduttore italiano oggi sarebbe facilissimo sostituire al “cuoio marcio” un’allusione ad aziende e imprese capaci di individuare in modo inequivocabile uomini politici della scena odierna. Questo però è esattamente ciò che non va fatto: se nel testo si può riconoscere senza incertezze uno specifico uomo politico di oggi, allora la traduzione è falsante; se invece dietro al nome antico si può riconoscere facilmente un certo tipo di uomo politico ancora esistente, allora la traduzione ha raggiunto il suo scopo, che è mettere in luce le forme di continuità esistenti a più livelli tra noi e il contesto antico. Questo non significa che le analogie tra passato e presente vadano evitate a tutti i costi: in alcuni casi (e questo è il secondo versante delle difficoltà che ostacolano il traduttore delle Vespe) il problema principale è modulare la resa in modo da suggerirne di possibili, ma sempre in modo indiretto e cercando di salvaguardare le specificità storiche originarie. L’esempio macroscopico di queste false analogie, dove una somiglianza superficiale nasconde grandi differenze, è proprio il tema di fondo della commedia, la critica al sistema giudiziario.

Secondo Aristofane (osservatore tutt’altro che neutro dello scenario politico a lui contemporaneo), l’attività giudiziaria ateniese era troppo direttamente compromessa con il potere politico, cui finiva per offrire supporto a buon mercato; gli esponenti di parte democratica avevano promosso misure che incentivavano nei ceti economicamente più deboli la dipendenza dal ruolo di giudice popolare, retribuito su base giornaliera; in tal modo i tribunali finivano per garantire a quegli stessi leader democratici un comodo strumento di rimozione degli avversari politici. Viceversa, nell’Italia di oggi le critiche alla magistratura tendono soprattutto a enfatizzare la necessità di una maggiore connessione tra il potere esecutivo e quello giudiziario – come a dire il contrario delle critiche di Aristofane.

Nel quadro di un’affinità così delicata e problematica, la traduzione si pone al servizio della messa in scena, e asseconda le scelte di regia che, mantenendo il testo il più possibile fedele all’originale, ne esplicitano però in più punti le risonanze familiari allo spettatore contemporaneo. Con un effetto paradossale: che proprio quando si cerca di essere il più possibile fedeli alla lettera del testo originale, magari in ambiti del tutto specifici della cultura greca antica, come nell’esilarante scena delle canzoni simposiali, l’evocazione allusiva della messa in scena evidenzia forme di sorprendente continuità, che investono le contrapposizioni politiche e il loro radicamento in vere e proprie costanti psichiche e antropologiche: una conferma stupefacente della dinamica di ‘eterno ritorno’ che così spesso spiega il nostro rapporto con l’antico.   

English abstract

This is the translator's note to Aristophanes' Wasps, performed this year at the Greek Theatre in Syracuse. In the whole corpus of Aristophanic comedies, Wasps displays the most balanced mixture of political comedy and psychological insight. This deeply affects the translator's task, who has to choose which aspect is more suitably enlivened for the modern audience. Finally, some examples are discussed.

 

keywords | Aristophane; Greek theatre; Syracuse; INDA; Translation.

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Grilli, Le ragioni del torto. Per una lettura delle Vespe di Aristofane. Nota del traduttore per la messa in scena al Teatro greco di Siracusa (Fondazione Inda, 2014), “La Rivista di Engramma” n. 117, giugno 2014, pp. 135-143 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2014.117.0003