"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Materiali per lo studio dell'Arco di Giano

Marco Paronuzzi, Laura Zanchetta

Morfologia e collocazione

Nell’elaborazione della tipologia monumentale dell’arco, avvenuta in epoca imperiale romana, può essere interessante notare la varietà di soluzioni sperimentate per quanto riguarda l’inserimento dell’arco nel contesto urbano. L’ubicazione può avvenire in un’area già di per sé significativa, oppure il monumento stesso, tramite la sua evidenza tipologica, può essere destinato a qualificare uno spazio urbano. Nella prima ipotesi la componente celebrativa del monumento è associata a luoghi di pubblica utilità: fori, ma anche strade, mura e luoghi di commercio.

A eccezione degli archi collocati nel foro, l’arco svolge funzione di transito dal dentro al fuori. Una particolare sfumatura nel concetto di passaggio è costituita dall’arco quadrifronte: una soluzione architettonica che permette di annodare due percorsi, facendo scomparire il margine, e ospitando nello spazio delimitato dai quattro fornici l’alternativa di direzione.

Come esempio di questa tipologia si può citare l’Arco di Giano, l’unico tetrapilo in buono stato di conservazione che si può ancora vedere a Roma, se si esclude l’Arco di Malborghetto, presso ponte Milvio, anch’esso tetrapilo ma completamente murato e trasformato in casale già dal medioevo.

L’arco è situato nel Velabro, una zona compresa fra il Foro Romano, le pendici occidentali del Palatino e il Foro Boario. Tale zona era conosciuta col nome di Velabrum, che può essere tradotto, con buona approssimazione, come valle paludosa, in seguito prosciugata e bonificata grazie alla costruzione della Cloaca Maxima, di cui un pezzo passa proprio sotto l’arco. Questa zona era adibita a mercato in quanto congiunzione tra il foro e lo scalo fluviale. Probabilmente l’arco, in un contesto come quello descritto, diventava punto di aggregazione dei mercanti e di distribuzione dello spazio.

Collocazione topografica dell’Arco

Dedicazione e datazione

La consuetudine di chiamare questo arco 'di Giano' non deriva dall'ipotesi, del tutto inverosimile, di una dedicazione dell'arco al dio Giano: si tratta di un errore interpretativo probabilmente risalente all’epoca medioevale. Il termine ianus è strettamente imparentato a ianua, e in questo caso lil riferimento è al passaggio, alla vera e propria 'porta' creata dai quattro fornici incrociati dell’arco (tetrapylon). L’errore della dedicazione è ovviamente ingenerato dal fatto che Giano era la divinità delle porte (ianua) e dei passaggi, e ne custodiva l’entrata e l’uscita.

Per quanto riguarda datazione e dedicazione due solo le ipotesi più accreditate. La prima lo farebbe risalire a Costantino. Nei Cataloghi Regionari, infatti, viene citato un monumento, l’Arcus (Divi) Costantini, localizzato presso il Velabro nella Regio XI, che con ogni verosimiglianza fa riferimento proprio alla fabbrica in questione. Un altro indizio a favore di questa ipotesi sarebbe rappresentato, secondo Jordan 1970, da una scritta in greco incisa nella faccia interna di uno dei piloni la quale avrebbe recato il nome dell'imperatore, ma tale scritta oggi non è più visibile. La seconda ipotesi, sostenuta sia da Coarelli sia da Torrelli, attribuisce l’arco a Costanzo II. Sono stati interpretati come resti dell’iscrizione dedicatoria alcuni frammenti conservati nella vicina chiesa di San Giorgio in Velabro, che sembrano far riferimento alla vittoria su Magnenzio dell’imperatore. Ma tale iscrizione, probabilmente in seguito all’attentato del 1993, oggi non si trova più nella chiesa: in quella rovinosa occasione, a causa dell’esplosione di un ordigno, vennero distrutti il portico e parte dell’interno. Tra le due ipotesi, la prima è quella maggiormente condivisa.

Secondo entrambe le ipotesi, l’arco dovrebbe essere datato ai primi sessant’anni del IV secolo d.C. La tecnica edilizia descritta da Lugli, e in particolare il modo di alleggerire la volta a crociera interna con olle fittili e pignatte in laterizio, sembra far riferimento a una pratica in uso all’epoca degli imperatori Massenzio e Costantino. Anche il rivestimento marmoreo, visibilmente di spoglio, riconduce all’epoca costantiniana, assieme al particolare stile delle figure rappresentate sulle chiavi di volta, che ricorda quello utilizzato per i rilievi dell’Arco di Costantino. Se invece fosse accertata l’ipotesi di attribuzione a Costanzo II, la datazione dell’arco dovrebbe essere spostata e l'arco sarebbe stato innalzato in occasione della visita a Roma dell'imperatore nel 357 d.C.

Arco di Giano: fronte ovest

Struttura e ornamento

Il monumento è costruito in opera a sacco e completamente rivestito con lastre di marmo bianco in gran parte di spoglio, viste le copiose fratture ai margini delle lastre stesse, segno inequivocabile delle leve che le hanno tratte da edifici preesistenti. La struttura si innalza su quattro zoccoli massicci, terminanti con una cornice in forte aggetto. Ogni pilone inquadra un fornice, la cui volta è costruita da cunei di diversa dimensione. L'archivolto è costituito da tre fasce, che si apoggiano su alte cornici. Queste cingono completemente i piloni. La chiave di volta è a mensola, tangente alla cornice superiore. All’interno la volta è a crociera, rinforzata da costolatura in laterizio, e impiega, come inerte, olle vuote per l’alleggerimento della struttura. L’arco misura 12 metri in lunghezza e 16 metri in altezza. I quattro fornici sono larghi 5,70 metri ed alti 10,60 metri.

Arco di Giano. Dettaglio della volta

L’apparato figurativo giunto sino a noi si limita a quattro figure scolpite sulle chiavi di volta, fortemente degradate. Due di queste figure rappresentano divinità femminili sedute, riconosciute da Jordan come Roma e Giunone, e sono collocate rispettivamente a est e a ovest. A nord e sud troviamo altre due figure, molto più danneggiate, che potrebbero essere Minerva e Cerere.

Sul fronte di ciascun pilone sono ricavati due ordini sovrapposti di tre nicchie ciascuno, con semicupola a conchiglia terminante con un riccio. Le nicchie che decorano i piloni est e ovest e quelle centrali dei due rimanenti sono reali, mentre per le altre, laterali, del fronte nord e sud è utilizzato un artificio: finte nicchie ottenute mediante un leggero incavo della lastra di marmo monolitica. È plausibile che le vere nicchie ospitassero statue delle quali però non c’è giunta traccia, e che non sono riprodotte in alcuna incisione anteriore al XIX secolo. L'unico documento in cui si fa menzione delle statue è l'ipotesi ricostruttiva dell'arco, proposta da Luigi Rossini. In un’incisione di Giovanni Antonio Dosio risalente al XVI secolo si possono notare i resti di alcune colonnine che inquadravano le nicchie. Esse poggiavano sopra uno sporto alla base delle nicchie stesse e terminavano, quelle inferiori, all’altezza della cornice d’imposta degli archivolti e, quelle superiori, all’altezza della cornice di imposta dell’attico.

Giovanni Antonio Dosio, Arco di Giano, incisione, XVI secolo

Luigi Rossini, Pianta dei quattro piloni e pianta dell'attico a scala ridotta,
tavola LXIV in Gli archi trionfali, onorari e funebri degli antichi romani, 1816

Vicende successive

La particolare morfologia di questo arco ha permesso il suo riutilizzo in epoca medievale. Il fatto che il tetrapilo non delinei solamente un margine ma crei un vero e proprio spazio, ha permesso le modifiche che trasformarono l'arco in una torre, che probabilmente era parte delle numerose fortificazioni che proteggevano la città. Numerose incisioni, disegni e vedute già del XVI secolo, ci mostrano l’arco sormontato dalla rovina di una struttura in laterizio, merlata alla sommità e con aperture che ricordano la forma di feritoie. Probabilmente si trattava dell’attico, spogliato del rivestimento marmoreo e modificato per poter ospitare degli ambienti per la difesa del territorio circostante.

Etienne du Pérac, Veduta della chiesa di San Giorgio in Velabro e Arco di Giano, 1575, incisione

Oltre alle testimonianze di stampe e disegni, l’unica vera e propria notizia di un riutilizzo del monumento risale al XIII secolo, quando papa Gregorio IX dà ordine di demolire la torre di Egidio Boezio costruita proprio al di sopra dell’arco in questione. Forse la storia del riutilizzo del monumento inizia ancor prima, nel XII secolo, quando la famiglia Frangipane dispone di alcuni possedimenti nel Velabro tra cui un forte, che si fa corrispondere, secondo una tradizione storiografica tutta da verificare, proprio all’Arco di Giano. La famiglia Frangipane aveva già utilizzato gli spolia di molti monumenti dell'antichità per creare fortificazionni atte a proteggere i propri possedimenti sul Palatino: l'arco di Tito era stato inglobato nelle mura, mentre sopra le rovine del tempio di Esculapio era stata eretta la turris Chathularia.

Oggi il monumento si presenta privo dell’attico, nonché di strutture appartenenti a fasi costruttive successive a quella romana. La struttura in laterizio che si vede nelle fonti iconografiche venne eliminata nel 1827 perché considerata nel suo complesso una aggiunta medievale. L’unico elemento che ancora ci dà evidenza dell’esistenza, in epoche passate, di ambienti al di sopra del monumento, è una scala ricavata nel pilone nord, accessibile tramite una porta che si apre nella nicchia centrale inferiore.

Luigi Rossini, pianta dei quattro piloni e pianta dell'attico a scala ridotta,
dettaglio della tavola LXIV in Gli archi trionfali, onorari e funebri degli antichi romani, 1816

Il riutilizzo come fortificazione ha consentito all’arco di conservare le sue strutture e quindi di essere visibile per molto più tempo rispetto ad altri monumenti di epoca romana che erano stati oggetto di spoglio, o rimossi o sprofondati sotto detriti. Grazie a una veduta di Marteen van Heemskerk si può affermare con una certa sicurezza che l’arco era visibile dagli inizi del XVI secolo, e si può ipotizzare altresì che fosse ancora visibile nel XII-XIII secolo, epoca in cui viene fortificato. L’arco era con tutta probabilità ben conservato dall’epoca di costruzione della chiesa di San Giorgio in Velabro (VI secolo d.C.): si nota infatti che il piano di calpestio su cui si impostano le due strutture è più o meno il medesimo. Con tutta probabilità, dunque, l'Arco di Giano rimase visibile ininterrotamente dal IV secolo d.C. all'età moderna, ed è da includere nel novero dei non numerosi monumenti della Roma imperiale di cui possiamo affermare, con una certa sicurezza, che, pur trasformati e inclusi in altre edificazioni, rimasero visibili anche nel corso del Medioevo.

Marteen van Heemskerk, Veduta della chiesa di San Giorgio in Velabro e Arco di Giano, particolare,
1532, Berlin, Staatlichemuseen, Kupferstichkabinett

Bibliografia
  • 1932
    E. Amadei, Le torri di Roma, Ugo Sofia Moretti editore, Roma 1932
  • 1957
    G. Lugli, La tecnica edilizia romana, Edizioni Giovanni Bardi, Roma 1957
  • 1970
    G. Lugli, Itinerario di Roma antica, Edizione Periodici scientifici, Milano 1970
  • 1970
    H. Jordan, Topographie der Stadt Rom im Alterthum I, L’Erma di Bretschneider, Roma 1970
  • 1984
    Commissione archeologica di Roma, Bullettino della commissione archeologica di Roma, L’Erma di Bretschneider, Roma 1984
  • 1988
    F. Coarelli, Il foro boario. Dalle origini alla fine della repubblica, Edizioni Quasar, Roma 1988
  • 1990
    N. Pirazzoli, Luigi Rossini 1790-1857 Roma antica restaurata, Essegi, Ravenna 1990
  • 1996
    A. Augenti, Il Palatino nel Medioevo: archeologia e topografia, Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma, Supplementi, L’Erma di Bretschneider, Roma 1996
  • 1997
    F. Coarelli, Roma, Guide archeologiche, Mondadori, Milano 1997
  • 2000
    L. Ficacci, Giovanni Battista Piranesi.The complete Etchings, Taschen, Colonia 2000
Galleria di immagini

Scorcio del fronte sud dell’Arco di Giano e della vicina chiesa di San Giorgio in Velabro

Arco di Giano: dettaglio di uno dei quattro piloni

Arco di Giano: dettaglio delle nicchie a conchiglia

Francesco de Paoli, Pianta di Roma, particolare, 1623

Giovanni Battista Piranesi, Una delle due fornici di Stertinio nel foro Boario,
da Le antichità romane I, prima edizione 1753

Giovanni Battista Piranesi, Tempio detto volgarmente di Giano,
da Vedute di Roma, prima edizione 1778

Arco di Giano Quadrifronte a S. Giorgio in Velabro,
Nuova Raccolta delle più interessanti vedute di Roma e sue vicinanze come si vedono al presente, Roma 1826

Luigi Rossini, Arco di Giano, tavola LXIII,
in Gli archi trionfali, onorari e funebri degli antichi romani, 1834

English abstract

The Arch of Janus is the only tetrapylon in a good state of conservation that still exists in Rome, if we exclude the Arch of Malborghetto, near the Milvian bridge, which, however, has been completely walled up and transformed into a farmhouse since the Middle Ages.
The arch is located in the Velabro, a marshy area, which was later drained and reclaimed thanks to the construction of the Cloaca Maxima. At the time of the construction of the arch, in the first sixty years of the fourth century AD, this area of conjunction between the Forum Boarium and the river port was used as a market. There are two hypotheses about its dating and dedication: the first would trace it back to Constantine, while the second, supported by both Coarelli and Torrelli, attributes the arch to Constantius II. In medieval times the arch was transformed into a tower

keywords | Roman triumphal arch; Roman Empire; arch of Janus; Rome.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Paronuzzi, L. Zanchetta, Materiali per lo studio dell'Arco di Giano, “La Rivista di Engramma” n. 66, settembre/ottobre 2008, pp. 145-154 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2008.66.0020