Esplode in noi il desiderio di bellezza assoluta,
perchè a lungo andare la nuda esattezza non può soddisfarsi.
Peter Behrens (1911)
Peter Behrens svolge un ruolo preminente nella storia dell’architettura tedesca dell’inizio del Novecento nonostante la critica abbia posto in risalto soprattutto alcuni edifici realizzati da questo architetto e, in modo rilevante, quelli per la Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft di Berlino.
Grazie a una felice coincidenza, le idee di Behrens si sono intrecciate con gli scopi e gli interessi della Aeg, traducendo nella prassi quel legame ideale di arte e produzione industriale auspicato dal Werkbund. Egli progetta per la società elettrica il logo, gli edifici e i prodotti, tuttavia, la sua attività nel mondo delle arti è stata molto più prolifica. Ha infatti partecipato alle attività della Mathildenhöhe, la Colonia degli Artisti di Darmstadt (1900-1903), è stato docente e direttore della scuola di Düsseldorf (1903-1907) e ha preso parte attivamente al Deutscher Werkbund. Ha esplorato e definito il senso di un cammino coerente: con l’attività di pittore, scultore, grafico e architetto, ideando numerosissimi progetti, molti dei quali sono stati realizzati, oltre ad aver partecipato al dibattito culturale, pubblicando oltre cento articoli su quotidiani e riviste, sia tedesche che internazionali.
Poiché dopo la morte, avvenuta nel 1940, l’attenzione per Behrens si è affievolita – fino a essere praticamente cancellato dalla discussione sull’architettura del secondo dopoguerra – dei suoi scritti e del suo archivio, non se ne è curato più nessuno. Oggi, purtroppo, non esiste un archivio o una fondazione che conservi quanto sopravvissuto della produzione dell’architetto tedesco, e non esiste una ristampa sistematica dei suoi scritti.
Sono articoli che trattano per lo più considerazioni di carattere generale, e in alcuni casi di progetti specifici, ponendo molta attenzione nel mettere in relazione i problemi concreti del momento con la disciplina dell’architettura. Behrens pone l’accento sugli obiettivi socio-politici che si è prefissato – concretizzando le proprie aspirazioni nei progetti – intrecciando osservazioni sull’architettura progettata e costruita, con quelle sullo sviluppo della città, ma anche con le linee di fondo della cultura, la responsabilità degli architetti per il loro ruolo nella società, e altro ancora.
Perché dunque occuparsi oggi di Peter Behrens? Credo che la risposta stia nella validità operativa del suo lavoro, rispetto alle questioni che oggi pone il progetto. Infatti, se gli scritti di Behrens forniscono un apparato teorico notevole e mostrano quella teoria della progettazione che lui non ha mai esplicitato in un unico scritto metodologico, i progetti mostrano una verifica costante di questioni teoriche.
Le questioni s’intrecciano, si sovrappongono, si susseguono. Non sono mai da Behrens trattate singolarmente, in maniera analitica, enfatizzando così le molte stratificazioni che, nella loro totalità, costituiscono la materia specifica dell’architettura e, per l’architetto tedesco, il “progettare” nei più svariati campi delle arti.
La forte responsabilità morale verso il proprio tempo e verso la propria opera guida Behrens nei diversi campi dell’arte e particolarmente in quello dell’architettura, in una ricerca progettuale di opere in grado di trasformare una realtà apparentemente non significativa – qual è l’edificio industriale in quanto luogo connotato dalla funzione che deve assolvere – in una realtà che ha un chiaro valore simbolico.
Il processo progettuale, nel suo esito formale, frutto di un processo immaginativo, conserva il passato facendo riapparire delle architetture non la loro apparenza ma le loro qualità intrinseche.
Consapevole della differenza fra il pensiero conservatore e il concetto di tradizione, egli condivide l’idea che l’architettura sia sottoposta a un processo di continua trasformazione; sostiene che ogni architetto debba collocarsi all’interno del proprio tempo storico con la consapevolezza che il suo passato è altrettanto presente quanto ciò che sta avvenendo, nello stesso ambito culturale, nel tempo di cui è contemporaneo. La domanda che Behrens sembra porsi riguarda la possibilità di conciliare il patrimonio tipologico desunto dalla storia dell’architettura con la realizzazione di un’architettura moderna, in quanto espressione del tempo presente. L’“invenzione”, nell’opera di Behrens appare come un ritrovamento, una reinterpretazione di materiali esistenti, che preesistono al singolo edificio; su queste particolari invenzioni si fonda la sua ricerca di un’architettura del proprio tempo. L’innovazione, a questo punto pare evidente, può avvenire soltanto all’interno di un contesto preciso, per non diventare arbitraria. Il nuovo non è quindi un valore assoluto, ma si definisce rispetto a un precedente, da cui si differenzia, pertanto il concetto di modernità assume un valore relativo, in quanto muta con il cambiare dei tempi.
In questa ricerca di continuità con la tradizione dell’arte di costruire, si trova l’elemento che accomuna, in maniera significativa, il lavoro di architetti europei del XX secolo quali Behrens, Perret, Tessenow, Loos. Per questi architetti le scelte che stanno alla base del processo progettuale devono essere legittimate dallo scopo per cui gli edifici sono costruiti, dall’attendibilità dei materiali e dall’adeguatezza al proprio tempo. Possiamo dunque dire che Behrens tenta di stabilire un legame di tipo concettuale con la tradizione, nel tentativo di rendere possibile la continuità di significati che appare perduta. Il senso della storia lo si ritrova dunque nell’ospitalità che l’opera nuova offre a un immaginario architettonico che diventa “coscienza” della cosa stessa, del precedente storico facendolo proprio. L’analogia diventa lo strumento con cui Behrens tenta di conferire un valore sovrastorico alle proprie architetture, nelle quali passato e futuro coincidono, bellezza originaria e nuova bellezza si fondono, formando un tutt’uno grazie alla semplicità della costruzione. L’uso di colonne e trabeazioni, come nella Turbinenhalle e nella Kleinmotorenfabrik, o di un ordine gigante che sorregge una trabeazione, a sua volta intervallato da un ordine secondario, come nella Nationale Automobil Gesellschaft, mostrano l’allusione all’architettura classica.
Nell’edificio per la Nationale Automobil Gesellschaft l’immagine dello svuotamento dello spazio interno (la corte coperta), si percepisce una ricerca intenzionale di forme che vengono evocate perché siano presenti per il loro valore simbolico, attraverso una precisazione geometrica di tutte le parti. Evoca luoghi che assumono nuovi significati in nuovi contesti.
Il mondo classico diventa l’ideale, in forma compiuta, di un universo di aspirazioni, pertanto l’adozione di mezzi espressivi di “precisione matematica”, quali la geometria e la proporzione, in modo che ogni parte, come si legge nel trattato di Alberti, “abbia dimensione e forma assolutamente definite”, è la conseguenza di un’arte liberata dall’imitazione, affinché l’immagine risultante sia insieme segno e significato.
Consapevole che il presente è indissolubilmente legato al passato, in quanto parte integrante di una storia costruita nel tempo dalla collettività, Behrens riconosce nella modernità una condizione da cui non ci si può sottrarre in un’arte legata alla vita. Se “Ogni uomo è anzitutto contemporaneo di se stesso e della sua generazione – come ha scritto Henri Focillon – è anche contemporaneo del gruppo spirituale di cui fa parte”, pertanto nella ricerca intenzionale dell’interpretazione autentica del tempo si trova il contributo di questo architetto tedesco alla costruzione di un corpus disciplinare.
È frequente nei suoi scritti il riferimento a edifici storici che egli ritiene esemplari, e che gli permettono di osservare quei principi permanenti e immutabili che, dato il loro carattere razionale appartengono a ogni tempo. Infatti, l’architettura italiana rinascimentale – con cui Behrens entra in contatto durante i suoi viaggi in Italia – diventa il paradigma di un’architettura composta, ordinata, in cui la concezione dei volumi e degli spazi, testimoniano una composizione controllata mediante misure e proporzioni.
Come ha ricordato Julius Meier-Graefe (Meier-Graefe 1905), amico e sostenitore di Behrens, critico d’arte e redattore della rivista di Monaco “Decorative Kunst”, nel periodo dell’Esposizione Internazionale delle arti decorative di Torino del 1902 in cui Behrens realizza l’Hamburger Vorhalle, questi stava studiando le proporzioni, gli effetti di superficie dell’architettura egiziana, tentando di comprendere da cosa dipendesse quella particolare bellezza che, a distanza di tanti secoli, agiva ancora con tanta potenza. Attraverso lo studio dell’architettura antica, Behrens cercava di scoprire l’anima elementare della forma, l’idea che aveva generato determinate composizioni, il concetto che sta alla base di ogni narrazione. Cercava, insomma, di individuare e decodificare jamesianamente la cifra segreta delle forme del bello di lunga durata.
Il conservare un sistema proporzionale uniforme in ogni parte di un edificio trova le sue radici nella definizione albertiana, fondata su Vitruvio, secondo cui la bellezza consiste nell’integrazione razionale delle parti “accomodate insieme con proporzione e discorso [...]; di maniera che non vi si possa aggiungere o diminuire, o mutare cosa alcuna”. Behrens, condividendo le indicazioni di Alberti, concepisce la bellezza come un’armonia insita nell’edificio, che non proviene dal capriccio individuale ma da un ragionamento obiettivo e razionale, e scrive che “il punto decisivo è l’unitarietà nella totalità dei fenomeni, non il carattere particolare o addirittura eccentrico di un’opera d’arte”. La proporzione, definita da Behrens “l’alfa e l’omega di ogni creazione artistica”, è dunque il primo e più alto principio figurativo, poiché permette di ricreare quella bellezza monumentale che caratterizza l’architettura classica.
In un momento storico in cui l’architettura è in procinto di eliminare ogni ornamento, l’unità non è più affidata alla ripetizione di ornamenti, ma a forme che sono espressione di un significato. È dunque l’intelligibilità delle forme, attraverso cui esprimerne il carattere, a diventare l’obiettivo, proprio e insostituibile di ogni edificio: “la grandezza monumentale non può giungere materialmente all’espressione, essa agisce con mezzi che ci raggiungono più profondamente. Il suo segreto è la proporzionalità, la conformità a leggi che si esprimono nei rapporti architettonici”. Espressione e forma sono complementari al punto che, se si trascura l’uno o l’altro termine, diventano entrambe incomprensibili. Per questo motivo il significato delle forme è tanto importante quanto la loro organizzazione tecnica e formale.
La forma dovrebbe determinare una identità e riconoscibilità degli elementi costruttivi, definendoli al di là del loro valore costruttivo. Essa dovrebbe essere sia impeccabile composizione di grande ed elegante semplicità, sia espressione purificata della complessità intrinseca e non una sopravvalutazione della forza espressiva delle risorse tecnologiche imposte dalla condizione contemporanea.
L’equilibrio che in architettura deve essere ricercato tra tecniche costruttive innovative e ruolo rappresentativo dell’architettura, è un altro tema cui Behrens attribuisce molta importanza, nella ricerca di una bellezza senza tempo. Dai suoi scritti, come dall’osservazione dei suoi edifici, si può constatare che la cultura del progetto si deve adeguare all’incessante progresso, in quanto essa stessa ne è parte: ciò nonostante, l’architettura non deve essere mera espressione di un fatto tecnico. Poiché l’ingegneria e la tecnica, quali fatti funzionali-pratici non possono essere direttamente responsabili della forma architettonica, l’architetto deve provvedere a tale mediazione, dando forma alla cultura moderna.
Il manufatto è dunque il risultato di un processo culturale che rende necessario, nel processo ideativo, il ricorso a una tradizione. Nei progetti di Behrens, utilizzando le parole di Walter Benjamin “la vera immagine del passato passa di sfuggita”, facendo riapparire le qualità intrinseche dei “materiali” appartenenti a un bagaglio culturale personale, applicando espedienti che sono stati usati in tutte le arti fin dalla più remota antichità “per strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla”.
La necessità formale degli elementi sembra essere valutata rispetto al fine rappresentativo, come appunto si apprende dagli antichi, piuttosto che dalla necessità statica. Infatti, negli edifici di Behrens non vi è, sempre e solo, una rigorosa coerenza fra sistema costruttivo e sistema rappresentativo; spesso si tratta di allusioni al sistema costruttivo, una metafora di questo, pur mantenendo comunque valido il principio della costruzione.
Nelle ricerche di regole generali, atte a far fronte a nuove destinazioni d’uso, Vitruvio ci ricorda che l’architettura è utilitas, firmitas e venustas e deve quindi rispondere a delle funzioni, deve garantire un’adeguata sicurezza strutturale e deve mostrarsi con appropriata bellezza. Behrens, condividendo le indicazioni di Alberti, concepisce la bellezza come un’armonia insita nell’edificio, che proviene da un ragionamento obiettivo e razionale. Il rispecchiarsi nelle epoche passate, nella memoria dell’antico, proprio degli edifici di Behrens, offre con la sintesi di bellezza ed esattezza una seducente prospettiva per la cultura. La necessità, non solo della memoria, ma anche della volontà di persuasione che governa i rapporti tra gli uomini e rende visibili i simboli guida, porta all’architettura “moderna”, della cui bellezza delle forme è responsabile l’architetto.
Riferimenti bibliografici
- Behrens 1908
P. Behrens, Was ist monumentale Kunst?, 1908. - Behrens 1911
P. Behrens, Kunst und Technik, 1911, 264. - Behrens 1912
P. Behrens, Berlins dritte Dimension: Zustimmung der Städtebauer, 1912. - Behrens 1914
P. Behrens, Über den Zusammenhang des baukünstlerischen Schaffens mit der Technik, 1914. - Benjamin 1982
W. Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino 1982, 77-78. - James 1986
H. James, La cifra nel tappeto, Firenze 1986. - Meier-Graefe 1905
J. Meier-Graefe, Peter Behrens-Düsseldorf, 1905, 381-390.
English abstract
Analogy is the instrument through which Behrens attempts to convey a value to his own architecture that transcends history. In his works the past and future merge, original and modern beauty meld into a whole, thanks to the simplicity of the form. The developing process of a design theory, a fundamental step in Behrens’ work, guarantees the transmission of the discipline by keeping research up-to-date due to its atemporal role as a medium. By studying ancient architecture Behrens tried to discover the essence of the form – the idea that had generated certain compositions and the concept that is the basis of its narration. He attempted to discover the secret of everlasting beauty. Proportion is used to convey the unity of the plan and elevation in all of Behrens’ works, which also constitutes the fundamental axiom of renaissance architecture. Behrens agreed with Alberti in that they both perceived beauty as a harmony that comes from the building itself and is the product of objective and rational reasoning.
keywords | Peter Behrens; Architecture; Design theory.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Moro, Bellezza senza tempo, “La Rivista di Engramma” n. 81, giugno 2010, pp. 49-56 | PDF