"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

81 | giugno 2010

9788898260263

Peter Behrens, Sulla questione del grattacielo

Zur Frage des Hochhauses

Traduzione di Giacomo Calandra di Roccolino

English abstract

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da “Stadtbaukunst alter und neuer Zeit”, vol. 3, 24, 15 marzo 1922, pp. 369-371. 

Il problema dei grattacieli non è solo di tipo economico o costruttivo. Questi aspetti, infatti, sono già stati trattati a sufficienza. Non può più essere messa in dubbio la praticità di concepire il centro città come città commerciale e dunque realizzarla in modo da facilitare il sorgere di esercizi commerciali, avvicinando contemporaneamente i quartieri residenziali. Chiunque si sia recato almeno una volta per affari a New York si ricorda sicuramente quanto sia stato semplice spostarsi, poiché tutti i luoghi in cui doveva andare si trovavano nelle immediate vicinanze, sebbene in piani diversi, spesso ai piani alti. In ogni caso non avrà sprecato mezze giornate sui mezzi di trasporto, come invece è necessario a Berlino. Scrupoli di tipo costruttivo, igienico e di ordine pubblico devono essere vinti. Ma la costruzione di grattacieli non è solo una questione di urbanistica, bensì di composizione urbana.

Per quanto riguarda la costruzione, nei progetti realizzati fino a oggi e che sono diventati famosi, si può notare che non ci siamo lasciati sfuggire gli insegnamenti derivati dal vantaggio temporale degli americani. Ma dall’America è stato anche tratto un profitto di tipo artistico? Salvo rare eccezioni tutto quello che sinora si è visto nei progetti, che fortunatamente ancora non sono stati realizzati, dimostra il contrario. Anche dal punto di vista artistico si può apprendere molto da New York, soprattutto cosa non si dovrebbe fare, ma anche come lo si dovrebbe fare. Non solo non sono replicabili le forme decorative gotiche o classiciste. Queste hanno infatti un ruolo secondario. Si tratta di tutt’altro. E, in particolare, dell’organizzazione arbitraria dei singoli edifici pensati come corpi isolati senza nessun rapporto con la fisionomia urbana. Ci sono degli edifici a New York, la maggior parte in realtà, che sorgono autolimitandosi, senza neanche tener conto del contesto. Tuttavia, in senso compositivo il singolo edificio non suscita alcun interesse, tutto infatti dipende dalla relazione che ha con l’intero insieme urbano. Da questo punto di vista le città americane sono caotiche ed è proprio perché questa caratteristica si manifesta in modo così evidente anche solo osservando delle fotografie che tali città dovrebbero rappresentare una chiara lezione. Ma accanto al disordine e all’arbitrarietà emergono, più per caso che per altro, delle impressioni opposte. Un po’ come la natura che, senza aver creato nulla con intento artistico, produce delle forme che ci incantano. Il marmo tagliato in lastre sottili spesso crea interessanti giochi di linee e colori, oppure in un muro in rovina vi sono macchie o crepe che nessuna mano d'artista riuscirebbe a realizzare in modo così sorprendente. Pertanto anche a New York ci si può trovare per caso di fronte a degli agglomerati tra gli innumerevoli grattacieli, che ci fanno avere davvero una notevole percezione del principio artistico alla base della composizione urbana.

Se si pensa che le nostre grandi città tedesche un giorno si potrebbero ingrandire ulteriormente espandendosi solo orizzontalmente in base alla crescita della popolazione, dal momento che verrebbe rispettato il limite massimo consentito sinora di 22 m per il valore del terreno, ci si può quindi immaginare che si verrebbero a creare delle città infinite, estremamente monotone e prive di qualsiasi profilo. Lasciare libera qualche piazza o far spuntare dei sottili campanili non sarà loro di alcun aiuto. Quanto più grande

sarà questa massa di edifici sviluppata come una grande tavola, tanto più difficilmente sarà definibile come città e qualsiasi relazione evidente di una parte della città con l’altra andrà perduta. Ora, per garantire più carattere e varietà all’aspetto di un tale organismo urbano in continua crescita, la cosa migliore è che dalla monotonia dello sviluppo orizzontale delle superfici sorgano in modo deciso delle masse verticali. L’architettura è l’organizzazione del corpo. Di conseguenza anche l’urbanistica non è compito del tecnigrafo del geometra, non si tratta dunque di una questione geometrica, bensì stereometrica. Evidenziare la terza dimensione ha un notevole valore dal punto di vista urbanistico-compositivo. Se partiamo dall’idea che la città non sia un conglomerato di singole unità, né una massa che può essere lavorata a piacere, bensì un insieme organizzato in modo uniforme ed in cui ogni superficie ed ogni singola dimensione dipende in modo preciso da tutte le altre parti e dall’intero corpo cittadino, allora potremo considerare una città come un grande rilievo modellato su di un piano di base, che come ogni rilievo si compone di vari strati e di livelli che hanno altezza diversa.

Ora, questo è quello in cui si è trasformata l’esperienza in America, dove il tutto ha dato vita a dei progressi tecnico-pratici per lo studio; ho infatti trovato dei quartieri cittadini in cui queste stratificazioni erano chiaramente visibili. Quartieri di edifici della stessa altezza erano circondati da edifici più alti, tanto da avere l’impressione che i tetti costituissero un’enorme terrazza che in un certo senso fa librare uno spazio in una sfera più alta. Gli argini di questa illusione spaziale, però, danno vita a una seconda, più alta terrazza, sebbene chiaramente in modo non regolare, ma di nuovo circondata, o almeno sostenuta agli angoli o ai lati, da edifici ancora più alti. Quindi al di sopra del livello stradale e degli edifici più bassi sono sorti degli effetti volumetrici che non sono vincolati, come invece le nostre piazze del mercato, ai marciapiedi, bensì mettono in relazione più parti della città grazie alla loro enorme estensione. Ed è proprio qui che sta la grande forza organizzativa del grattacielo per l’arte urbanistica, e cioè che al di sopra delle strade e dei mercati la città può essere davvero percepita come un unico elemento concatenato. Se si volesse fare un confronto con la cultura antica, si potrebbe rivolgere l’attenzione alle città che sorgevano su un pendio, come ad esempio Genova che, senza i moderni grattacieli, devono l’imponente impressione che fanno alle qualità dell’ambiente naturale. Senza dubbio poi, durante il Medioevo, sia l’altezza delle navate delle cattedrali e dei campanili sia la loro collocazione spaziale venivano stabilite secondo il punto di vista di una grande proporzionalità urbana. Poi però, al di là di qualsiasi sentimento artistico, è puro vandalismo l’aver isolato gli enormi campanili delle nostre cattedrali attraverso il Domfreiheit [la creazione di una “zona di rispetto” intorno al duomo, ndt] togliendo loro la cosa più indispensabile del loro essere così imponenti, cioè il confronto con le piccole casette ammassate di fronte.

Temo proprio il fantasma di questa Domfreiheit per il futuro dei grattacieli della Germania. Già il nome “Turmhäuser” [=case-torre], che è entrato in uso, lo conferma. Certamente una casa, che ha circa 30 o 40 piani, deve essere collocata nello spazio in modo tale che non solo abbia luce a sufficienza per tutte le stanze, ma anche che non precluda agli edifici vicini un ingresso della luce adeguato. Per questo di solito sorgono su spazi liberi, sponde dei fiumi o angoli rientranti. Ma queste condizioni si possono soddisfare molto bene nell’ambito di un più elevato pensiero urbanistico-compositivo come pure nella mera considerazione della convenienza individuata. Una casa, ed in particolare una di queste dimensioni, può rovinare in modo grossolano e senza riguardo l’unità di un intero quartiere cittadino, quando l’innalzarsi di un’energica verticale non ha luogo dove invece è necessario dal punto di vista artistico per l’immagine della città, e anche quando nella sua divisione in piani non si uniforma al vicinato a causa di aggetti più bassi o così via. Case di questa ampiezza non dovrebbero rappresentare una figura indipendente, quasi armonica, bensì hanno tutte le ragioni per presentarsi come parte che serve e collabora all’intero organismo urbano e lo completa, principio che ha acquisito validità già da tempo nell’ambito della composizione urbana per i campanili.

Da noi vi sono una legge per le linee di fuga e un regolamento edilizio per zone, che sono inseriti nei piani regolatori di una città. Niente è più necessario che presentare una legge che imponga di progettare e realizzare gli stessi piani per le linee di fuga e il progressivo arretramento dei piani per il profilo verticale delle città, prima che si possano iniziare a costruire i grattacieli in modo arbitrario. Questi progetti, però, dovrebbero essere il risultato di riflessioni mature di tipo artistico e pratico, un successo di un modo di plasmare plastico.

Con coraggio e coerenza in tempi di grande necessità riprenderemo e applicheremo un sistema che riterremo legittimamente riconosciuto. Ma a cosa servono questa audacia e inflessibilità, se il principio viene colto in modo sbagliato alle sue basi, se ricominciamo con i primi errori dell’America, mentre questo paese ha già da tempo riconosciuto e superato nei suoi comitati edili i vecchi errori?

La Germania non può smettere di dare, come ha fatto per centinaia di anni, esempi di una volontà culturale mal interpretata? Si tratta però di questioni che riguardano il futuro remoto. Forse i nostri contemporanei più giovani prima o poi vedranno superato il nostro fardello della guerra e si troveranno di fronte ad una rifioritura del paese, i monumenti in pietra sorti nel periodo di difficoltà economiche continueranno ad esistere a lungo e pertanto dovrebbero essere i simboli della levatura spirituale di un’epoca e di un sapere lungimirante. 

English abstract

This essay contains the Italian translation, edited by Giacomo Calandra Di Roccolino, of the article Zur Frage des Hochhauses by Peter Behrens, published in Stadtbaukunst alter und neuer Zeit in March 1915. In it one can read some reflections on the question of high-rise buildings.

keywords | Peter Behrens; Germany; Skyscraper.

Per citare questo articolo / To cite this article: G. Calandra di Roccolino (a cura di), Peter Behrens: sulla questione del grattacielo. Zur Frage des Hochhauses, “La Rivista di Engramma” n. 81, giugno 2010, pp. 112-116  |  PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2010.81.0024