Meccanismi di citazione.
“The way things go”, from Fischli & Weiss to Honda
Alex Brunori
Dopo il contributo sullo spot Lancia Ypsilon Crashmaster Y: in retromarcia verso Efesto (pubblicato in “Engramma” 62, febbraio 2008), continua con questo breve saggio il viaggio alla scoperta delle fonti di ispirazione della creatività pubblicitaria: ancora una volta viaggeremo in macchina, e ancora una volta a ritroso (dall’ultimo atto al prologo), analizzando uno dei più celebri spot della Honda, il bellissimo “Cog”, creato nel 2003 dall’agenzia Wieden + Kennedy di Londra.
Atto III - Lo spot: Honda Accord (2003)
Lo spot in esame può essere visto nella pagina pubblicata in rete. Quello che non può essere visto è il disappunto che deve aver segnato i volti del team della Wieden + Kennedy di Londra al termine del Festival di Cannes del 2004, nel quale “Cog” non riuscì ad aggiudicarsi un – probabilmente più che meritato – Grand Prix a causa di una polemica piuttosto vivace scoppiata nel maggio del 2003.
Prima di scoprire cos’era successo di così grave da penalizzare “Cog” nella sua rincorsa al premio più ambito dai pubblicitari di tutto il mondo, però, vediamolo un po’ più da vicino. Lo spot, in onda per la prima volta il 6 aprile 2003, lungo due minuti (il doppio dello spazio pubblicitario più lungo usato fino ad allora dalla televisione inglese) e ideato per il lancio della Honda Accord vede una lunga e affascinante reazione a catena di eventi che hanno come protagonisti decine di pezzi smontati di una Accord. Le leggi della fisica (e quelle dell’ingegno) ci accompagnano in questa affascinante, incredibile, inesorabile catena di azioni e reazioni, cause ed effetti.
Lo spot inizia con una rondella dentata che rotola lungo un piano inclinato di legno, andando a colpire una rondella più grande che, rotolando a sua volta, cade dalla tavola su un piccolo piedistallo che tiene in equlibrio un altro pezzo, che a sua volta cade sul pavimento e, ruotando in cerchio su se stesso, avvia una perfettamente coreografata sequenza di spinte, urti, bilanciamenti, rotazioni, spostamenti, movimenti elettrici e meccanici, vibrazioni sonore e altro che, in un lungo e lento movimento laterale della macchina da presa, portano inesorabilmente verso la conclusione.
L’ultima azione ha luogo quando un pistoncino spinge su una chiave il pulsante del telecomando che fa chiudere il portello posteriore di una Accord, che scende da una pedana sulla quale era in equilibrio, per poi fermarsi morbidamente proprio sotto un’insegna Honda mentre una voce (quella dello speaker e autore USA Garrison Keillor) dice: “Isn’t it nice when things just... work?” (“Non è bello quando le cose funzionano davvero?”).
Lo spot è un unicum, a suo modo eccezionale non solo per la durata assolutamente inconsueta, ma soprattutto per i cosiddetti “fact & figures” che lo riguardano, alcuni dei quali hanno subito assunto lo status di leggenda metropolitana presso gli abitanti di ‘Advertown’: si è mormorato e si mormora tuttora con grande rispetto di un unico take buono, ottenuto dopo 605 tentativi andati a vuoto; dell’assenza totale di post-produzione e di computer-grafica; di tre mesi di tempo necessari per girare il film; di un costo di produzione, spropositato, di 6 milioni di dollari e così via. Come in tutte le leggende metropolitane, nella storia di “Cog” la realtà e la finzione si mischiano. A differenza delle altre leggende, però, in questo caso la realtà è sorprendente quasi quanto l’immaginazione e persino di più. Questi i fatti: lo spot fu ottenuto non con un singolo take, ma con due take di uguale durata, uniti da un editing brillante. Si decise di girarlo in due parti separate non tanto per la complessità dell’azione, ma perché non esisteva uno studio di posa grande abbastanza per ospitare l’intera sequenza.
La post-produzione c’è, ma è ininfluente, essendo limitata alle luci dello sportello alla fine dello spot. I mesi necessari alla preparazione ed escuzione dello spot furono cinque, dei quali solo gli ultimi quattro giorni (e, molto probabilmente, notti) furono dedicati allo shooting vero e proprio. Per le riprese furono letteralmente fatti a pezzi due degli unici sei prototipi di Honda Accord all’epoca esistenti al mondo, con somma disperazione degli ingegneri Honda. Il costo di produzione effettivo non è mai stato reso noto, ma sembra che i 6 milioni (non di dollari, ma di sterline) siano stati il costo dell’intera campagna, comprensivo degli esorbitanti costi di acquisto degli spazi televisivi. “Cog”, fin dal primo on air, pareva gridare senza dubbio alcuno: “Guardatemi, sono il prossimo Grand Prix del Festival di Cannes”. Perché dunque “Cog” non è riuscito ad aggiudicarsi il premio? Quale polemica aveva scatenato?
Atto II - l’opera d‘arte: Der Lauf der Dinge, di Fischli e Weiss (2003)
La polemica era insorta perché nel maggio del 2003 gli artisti e filmmaker svizzeri Peter Fischli e David Weiss avevano minacciato di portare in tribunale Honda per l’evidente – a loro dire – caso di plagio tra il commercial della Wieden + Kennedy per la Accord e la loro opera di video-arte (un film di 30 minuti) intitolata Der Lauf der Dinge (“È così che vanno le cose”) del 1987, che aveva come sottotitolo “100 piedi di interazione fisica, reazioni chimiche e caos orchestrato con precisione degna di Rube Goldberg o di Alfred Hitchcock” (una parte dell’opera è pubblicata in rete). Il film presenta una lunghissima serie di reazioni a catena filmate all’interno di un capannone, reazioni che impiegano oggetti d’uso quotidiano come corde, sapone, palloni, scarpe, bottiglie, barattoli, materassi e molto altro, spinti avanti dalla gravità, dalla meccanica, dal fuoco e dal gas, in un gioco del domino tanto sporco e materico quanto spettacolare e avvincente.
La somiglianza di “Cog” con l’opera di video-arte è palese, in particolar modo in una sequenza presente in entrambe le opere nella quale una serie di ruote risalgono lungo un’asse inclinata grazie a dei pesi posti all’interno per determinarne l’eccentricità: e sarà proprio questa sequenza, molto riconoscibile, che alla fine costerà ai creativi della Weiden + Kennedy una confessione più o meno esplicita dell’influenza dell’opera di Fischli e Weiss sulla loro idea.
Il film dei due artisti svizzeri, che si era subito messo in luce a Kassel come l’opera più interessante all’ottava edizione di “Documenta”, aveva vinto poi anche premi al Festival del cinema di Berlino e al Festival di Sydney, ed era stato definito dal New York Times come “un capolavoro”. Lo scambio dinamico tra stati di ordine e caos di “Der Lauf der Dinge“, che continua ad affascinare pubblico e critica, è stato certamente un propulsore importante nella carriera di Fischli e Weiss stessi, che si sono poi aggiudicati anche il Roswitha Haftmann Prize (novembre 2006) e che hanno visto una retrospettiva a loro dedicata, “Flowers and Questions“ viaggiare dalla Tate di Londra – per la quale era stata prodotta – a Zurigo nel 2007, e ad Amburgo e Milano nel 2008.
Ora, se a livello formale le due opere hanno senza dubbio alcuni punti di contatto, altri punti di differenza sono altrettanto evidenti. Uno è ‘deontologico‘: i creativi della Wieden + Kennedy hanno alla fine dovuto ammettere con estrema riluttanza il loro peccato originale (cioè l’aver fatto una citazione non dichiarata di un’opera protetta dal diritto d‘autore); al contrario, molto più correttamente, Fischli e Weiss hanno citato subito, a partire dal sottotitolo, due delle loro fonti di ispirazione: Hitchcock e (lo vedremo più sotto) Rube Goldberg. l’altro punto di differenza, però, è molto più importante: in “Cog” la sequenza mira a esplicitare la perfezione tecnica e meccanica che solo una Honda può avere, nonché l’estrema competenza dei suoi ingegneri. Ci riesce benissimo, ma perde inesorabilmente in alchimia e in senso dell’ironia, che sono invece due componenti fondamentali e sempre presenti nell’opera di Fischli e Weiss, dove il caos rincorre l’ordine e viceversa.
La conseguenza è chiara: per “Cog” non ci sono dubbi, “Things just work“; per “Der Lauf der Dinge“ ce ne sono sempre, anzi sono un metodo ermeneutico. L’opera pubblicitaria ha la finalità di asserire una verità dogmatica, la video-opera è un sistema aperto che pone domande e invita alla partecipazione. Il primo è traditional advertising, il secondo è arte.
Atto I - Le origini: le macchine (non particolarmente intelligenti) di Rube Goldberg
Abbiamo scoperto quindi che uno degli spot più belli della storia dell’advertising ha un debito molto forte con l’opera di due artisti svizzeri e che questi, a loro volta, dichiarano di avere lo stesso debito di riconoscenza con un certo ‘Rube Goldberg’. Ma chi è quest’uomo, e perché Fischli e Weiss praticamente gli dedicano la loro opera? Reuben Garret Lucius Goldberg, nato il 4 di luglio 1883 e morto il 7 dicembre del 1970, è stato uno scultore, autore, cartoonist, regista, inventore (e altro) americano. Ha ricevuto un premio Pulitzer nel 1948 ma è diventato famoso più che altro per la sua serie di cartoon che raffigurano le Rube Goldberg machines, apparati meccanici (dei quali spesso fa parte un animale vivo) molto complessi che, alla fine di lunghe reazioni a catena, portano a conclusione compiti estremamente semplici. La fama delle sue macchine era tale che nel 1930, in USA, l’espressione “Rube Goldberg machine“ era entrata nel linguaggio comune per raffigurare qualsiasi processo involuto, complesso e poco intuitivo.
Prologo - Le contraptions di Heath-Robinson
Prima ancora di Rube Goldberg, però, c’è un primo antenato illustre da mettere in cima all’albero genealogico di “Cog”: si tratta di William Heath Robinson (1872 - 1944), un cartoonist inglese illustre e di grandissimo talento, che divenne famoso per le sue vignette, pubblicate regolarmente su “The Sketch” e su “The Tatler”, raffiguranti invenzioni assurde, che non mancavano mai di affascinare i lettori. Nelle sue vignette (che evidentemente anche Rube Goldberg conosceva bene), Heath-Robinson faceva satira sull’epoca della macchina, raffigurando complesse invenzioni e macchinari che ottenevano in modo assurdamente complicato risultati paradossalmente semplici, sempre circondati da persone in solenne e attenta contemplazione. Il successo di queste vignette fu tale che, nel 1912, entrò ufficialmente nei dizionari dell’epoca il termine “Heath-Robinson contraption“.
Tornando ad oggi, anche questo viaggio in retromarcia è finito: quando si parte molto leggeri, portando con se stessi solo una buona dose di curiosità, un minimo di cultura e il giusto metodo di reverse engineering (no pun intended) si finisce in posti e tempi sempre nuovi e sempre interessanti, dove si scopre che non sempre quello che sembra nuovo e interessante lo è. “Cog” – nonostante la genealogia davvero illustre e i riconoscimenti della critica – non è riuscito a trovare una sua collocazione nei dizionari o, almeno, nell’elenco dei vincitori del Grand Prix a Cannes, mentre ha rischiato di trovare spazio negli archivi di un tribunale di Londra.
Peccato. Ma, dopo tutto, forse è proprio così che debbono andare le cose.
Riferimenti bibliografici (in ordine cronologico)
- Quentin Letts, Lights! Camera! Retake!, “The Daily Telegraph”, 13 aprile 2003.
- Peter York, Click-Start: Honda’s chain reaction is poetry in motion, “The Independent”, 13 aprile 2003.
- Michael Christie, Take 606, “The Daily Record”, 14 aprile 2003.
- Rob Walker, Honda’s incredible driving contraption, “Slate”, 21 aprile 2003.
- Jeff Manning, Mechanical Marvel, “The Portland Oregonian”, 29 aprile 2003.
- Claire Cozens, Acclaimed Honda ad in copycat row, “The Guardian”, 27 maggio 2003.
- Bob Garfield, Honda’s two-minute “Cog” spot is an instant classic, “Advertising Age”, 28 aprile 2003.
- Emma Hall, Honda ad generates global buzz, “Automotive News”, 5 maggio 2003.
- Alok Jha, Did they really make the Honda advert in one take?, “The Guardian», 1 maggio 2003.
- Randall Rothenberg, Cog and the auteur fantasies of creative directors, “Advertising Age”, 12 maggio 2003.
- Jeremy Millar, Fischli and Weiss: the way things go, in One Work, Afterall Books, 2007.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Brunori, Meccanismi di citazione. The way things go, from Fischli & Weiss to Honda, “La Rivista di Engramma” n. 73, luglio/agosto 2009, pp. 14-20 | PDF