Esempi archeologici per un'ipotesi interpretativa della lastra di S. Apollonia
Maddalena Bassani
English abstract
La lastra conservata nel chiostro della Chiesa di S. Apollonia, presso il Museo Diocesano di Venezia (una campagna fotografica inedita è pubblicata in questo stesso numero di "Engramma") pone una serie di problematiche sia per le sue ignote origini, sia per l'inaspettato fregio che presenta sulla faccia principale e su una delle due laterali.
Le dimensioni del manufatto sono le seguenti: altezza m 1,18, larghezza m 1,38, spessore pari a m 0,30, che arriva a m 0,40 ca. se si considera anche il rilievo. Quest'ultimo presenta sulla fronte maggiore un grande scudo circolare con la stella macedone al centro, una coppia di schinieri e una lunga lancia, mentre di lato sono visibili le tracce di una spada appesa a un balteo.
In assenza di dati circa la sua provenienza, Polito 1998 su base esclusivamente iconografica aveva ipotizzato che esso facesse parte di un edificio di III-II sec. a.C. del Mediterraneo orientale, giunto a Venezia con zavorra di nave.
Di contro, i dati offerti dalle analisi mineralogiche suggeriscono per la lastra, in pietra d'Aurisina, una datazione dal I sec. a.C. in avanti, nonché un'area di provenienza limitata all'area padana e all'Adriatico occidentale.
Restano comunque certi due dati che non possono essere messi in discussione: per prima cosa i soggetti rappresentati nel fregio costituiscono una vera e propria panoplia e non un generico gruppo di armi; in secondo luogo essi erano visibili da almeno due lati e anche da una certa distanza, viste le dimensioni: dunque occorre postulare che il monumento originario fosse di ampiezza considerevole e ubicato in un luogo frequentato.
Nel tentativo di offrire dati aggiuntivi per avvicinarsi a un'interpretazione verisimile della lastra in oggetto, si propongono qui alcuni raffronti tra il fregio di S. Apollonia e manufatti di età ellenistica e tardo-repubblicana. Da essi si tenterà di dedurre alcune valutazioni e ipotesi di carattere storico-interpretativo.
I confronti di età ellenistica
Molteplici sono i casi di manufatti di tipo funerario decorati da un motivo di tipo 'macedone' analogo a quello della lastra di S. Apollonia: dal tardo IV sec. a.C. in poi, infatti, sono noti diversi esemplari che recano il motivo della stella macedone come simbolo di valore, di potere, di forza e di sontuosità.
Si ricordano, fra i tanti, la tomba di Termessos (Pisidia), del tardo IV sec. a.C., oppure la tomba di Lyson e Kalikles presso Lefkadia: quest'ultima presenta le pareti e le lunette della camera dipinti con il grande scudo 'stellato', gli schinieri, la lancia, le spade appese al balteum e gli elmi, e risale al 200 a.C. Ancora, è possibile citare la tomba rupestre presso Pogradec, a Selce Posthme, che ai lati della porta presenta lo scudo macedone, l'elmo e la corazza, riconducibile al 280 a.C.; o anche una tomba di Alessandria d'Egitto, nella necropoli di Gabbari, con analoga decorazione, degli inizi del II sec. a.C.
Tutti questi manufatti, di aree diverse e di cronologia compresa fra lo scorcio del IV sec. a.C. e il primo quarto del II sec. a.C., hanno in comune la scelta di rappresentare non le armi strappate al nemico, ma quelle del defunto, che attraverso di esse esprime la propria areté nonché il proprio status sociale: non a caso molte delle tombe citate, cui se ne potrebbero associare altre, erano appartenute a personaggi d'alto rango che volutamente cercavano di stabilire un legame fra sé e la casata macedone.
I confronti italici della tarda età repubblicana
Accanto agli esempi ellenistici testé menzionati, esistono vari manufatti di I sec. a.C. che presentano analogie e differenze con i casi sopra esaminati.
In alcune pitture concentrate nel comparto vesuviano compaiono infatti forti richiami alla dinastia macedone: se all'interno della grande sala della Villa di Oplontis sono presenti nel registro superiore alcuni scudi macedoni, o un solo scudo appeso sopra una porta, nella villa attribuita a Fannio Sinistore presso Boscoreale compaiono due figure con in mezzo uno scudo macedone. Si è pensato potesse trattarsi della raffigurazione della famiglia imperiale, oppure della personificazione della Macedonia e della Persia. In esse, diversamente dai contesti funerari più sopra ricordati, prevale non tanto il riferimento al valore guerriero, quanto l'esaltazione della potenza macedone, e allo stesso tempo l'implicita volontà di stabilire un rapporto stretto fra il committente-proprietario delle residenze e la casata argeade.
Tale richiamo alla potestas e alla magnitudo di Alessandro sembra scaturire anche da un altro caso tardo-repubblicano, ossia dal gruppo statuario di cavalli e cavalieri da Lanuvio, che doveva abbellire il santuario di Giunone Sospita e che probabilmente fu commissionato da un membro della gens Licinia: esso rappresentava il Macedone con i suoi cavalieri caduti al Granico, ispirandosi al celebre gruppo scultoreo lisippeo sottratto da Q. Cecilio Metello Macedonico a Dion e trasportato a Roma.
I confronti architettonici di I sec. a.C.
Tentando di rintracciare un possibile modello architettonico cui ricondurre ipoteticamente la lastra di S. Apollonia, sembra lecito concentrare l'attenzione su due tipologie strutturali attestate in Italia: in prima istanza i monumenti a dado, secondariamente i recinti funerari.
I primi, ampiamente studiati alla fine degli anni Sessanta da Mario Torelli, presentavano un corpo parallelepipedo o cubico su un plinto modanato, il cui coronamento presentava un fregio dorico e sopra l'epistilio a dentelli pulvini o una struttura naomorfa. Famoso è senz'altro quello di Sarsina, di età augustea (l. m 3,55, h. m 3,45), sul cui corpo centrale risaltano i simboli del cursus honorum di P. Verginius Paetus: il subsellium, la sella curulis, le fasces, il clipeus e l'hasta.
Conosciuto è pure il monumento di Caius Maecius, con un dado ampio m 1,22 x 1,24 e un fregio di altezza pari a m 0,33, oppure quelli di Imola, della metà del I sec. a.C., decorati da scudi.
Ma nessuno tra i tanti altri confronti possibili presenta una composizione con armi, propriamente macedoni, simili a quelle scolpite sulla lastra di S. Apollonia: tutte le strutture funerarie 'italiche' che possono essere convocate come testimoni di confronto sono accomunate dalla raffigurazione di armi romane o di armi sottratte ai nemici.
Qualche elemento in più per tentare di comprendere a che tipo di edificio poteva essere pertinente la lastra studiata è ricavabile dai numerosi recinti funerari della Venetia, e soprattutto quelli allineati lungo la via Annia in uscita da Altino. Si trattava di porzioni di terreno destinato alla deposizione dei defunti che venivano delimitati da muretti costruiti solo sulla fronte, essendo di norma i lati non edificati e delimitati plausibilmente tramite materiali deperibili o siepi, per quanto qualche iscrizione documenti casi con muri su tutti e quattro i lati. Realizzati quasi tutti in pietra d'Aurisina o di Verona, presentavano la fronte sulla strada decorata da imagines clipeate oppure da teste ritratto, né mancavano gli altari, cilindrici o parellelepipedi, di varie dimensioni.
La quasi totalità dei recinti risale tra l'inizio del I sec. a.C. e la fine del I sec. d.C., dunque entro un arco cronologico assai vicino a quello della lastra di S. Apollonia.
L'orizzonte storico-geografico e alcune ipotesi sul committente della lastra
L'ipotesi Polito 1998 che faceva del fregio veneziano un manufatto ellenistico proveniente dal Mediterraneo orientale risulta meno verosimile rispetto a quella che riconosce nella lastra un manufatto di produzione locale, probabilmente della Venetia.
In base al tipo di soggetto scelto per il rilievo, posto a confronto con gli esempi similari, pare lecito affermare che il monumento cui doveva appartenere il pezzo era di tipo cerimoniale-funerario, ispirato alle tombe macedoni ma rispetto a quelle piuttosto lontano dal punto di vista tipologico e cronologico.
Di certo, comunque, la struttura di appartenenza doveva poter essere visibile da almeno due lati (se non da tre), altrimenti non si spiegherebbe la spada appesa al balteum sul lato corto sinistro, e in maniera analoga occorre postulare che sulla parte destra mancante comparisse il resto della lunga lancia e il secondo schiniere, se non anche l’elmo e la corazza: ipotizzando dunque una panoplia completa, la fronte principale del rilievo poteva misurare in larghezza quasi m 3. L’altezza complessiva invece è particolarmente complessa da stabilire, perché tra la base, il fregio centrale e il coronamento (di cui non si conosce la forma) le dimensioni potevano essere tanto limitate quanto assai più estese.
Ancora, occorre annotare che le dimensioni considerevoli dei singoli elementi fanno immaginare una visione del monumento anche da una certa distanza: nell’ipotesi che esso vada datato al I sec. a.C., questo potrebbe ben spiegarsi con il fatto che in quella fase in Cisalpina i monumenti funerari aristocratici erano pochi, isolati lungo le vie principali o nei praedia privati, non 'accatastati' uno vicino all’altro come doveva presentarsi, ad esempio, il tratto nord-orientale della via Annia prossima ad Altino nella prima età imperiale.
Per l'iconografia prescelta e per il livello qualitativo del rilievo il committente dovette essere necessariamente un personaggio altolocato, che riprendendo i simboli guerrieri della casata macedone intendeva richiamarsi ad Alessandro e alla sua areté guerriera; ma doveva essere anche un personaggio benestante, che aveva potuto affidare il lavoro a maestranze in grado di realizzare un prodotto di tale qualità.
Fra le personalità di spicco presenti nella Venetia in età tardo-repubblicana è possibile ricordare C. Asinius Pollio, che in qualità di legato di Cesare in Cisalpina compì gesta importanti presso Altino, come scrive Velleio Patercolo:
Nam Pollio Asinius cum septem legionibus, diu retenta in potestate Antonii Venetia, magnis speciosisque rebus circa Altinum aliasque eius regionis urbes editis, Antonium petens, vagum adhuc Domitium, quem digressum e Brutianis castris post caedem eius praediximus et propriae classis factum ducem, consiliis suis illectum ac fide data iunxit Antonio. (Vell., II, 76, 2)
Senza peraltro evitare di crearsi numerosi nemici fra i cittadini di Patavium, secondo Marziale:
Asinio etiam Pollione acerbe cogente Patavinos ut pecuniam et arma conferrent, dominisque ob hoc latentibus, praemio servis cum libertate proposito qui dominos suos proderent, constat servorum nullum victum praemio dominum prodidisse. (Mart., Sat., I, 11, 22)
Vicino agli intellettuali del tempo, Pollione, accumulata una grande ricchezza dalle imprese seguite in area balcanica, a Roma fece realizzare la prima biblioteca pubblica provvista di sculture note come Monumenta Pollionis, che furono realizzate dai maggiori artisti del tempo, fra cui Kleomenes e Praxiteles. Proprio i due nomi di questi due scultori sono stati letti su due frammenti di sculture presenti a Piacenza e a Verona, che Mansuelli riconobbe quali opere neoattiche del I sec. a.C. Così, la presenza in Cisalpina di artisti neoattici al servizio della nobiltà locale e forse al seguito dei grandi imperatores tardo-repubblicani fornirebbe un elemento in più a favore dell'ipotesi che il frammento di S. Apollonia sia un manufatto originario della Venetia, realizzato durante il proconsolato di Pollione o negli anni immediatamente successivi.
Anzi, recuperando l'ipotesi di Denti 1991, si può ricordare che proprio ad Altino i due frammenti di Giganti (ispirati, si crede, alla Gigantomachia di Pergamo), sarebbero opera di maestranze greche (o fortemente ellenizzate) attive negli anni del comando di Pollione: esse sarebbero state eseguite in memoria di un grande personaggio defunto, o per celebrare un’impresa militare di grande portata.
Alla luce di tali premesse e considerazioni, prendono corpo ulteriori elementi che consentono di stabilire un pur labile filo di congiunzione tra la Venetia, Pollione, l'area balcanica e la lastra di S. Apollonia. Sul piano storico è noto come negli anni Quaranta del I sec. a.C. varie operazioni belliche interessarono la zona posta fra la Macedonia e l'Illiria: se già nel 48 Cesare aveva battuto Pompeo a Farsalo, nel 42 Antonio sconfiggeva a Filippi i cesaricidi Bruto e Cassio; e ancora, fra il 40 e il 39, rivestendo il consolato, lo stesso Pollione si portava fra la Dalmazia e l'Albania, sconfiggendo i Parthini in Illiria, da cui ricavò il bottino usato per realizzare la nuova biblioteca (Dio, XLVIII, 41, 7; App., V, 75, 320; Plin., Nat. Hist., VII, 115.).
Ma altri elementi ancora accomunano Pollione, Alessandro e la Macedonia. È cosa risaputa infatti che Pollione garantì la sua protezione allo storico alessandrino Timagene, autore del Perì Basilèon. In quest'opera, marcatamente antiromana, si esaltava la superiorità delle monarchie ellenistiche e nello specifico quella di Alessandro sui nuovi padroni del mondo, qual era Augusto: il pensiero e le posizioni di questo scomodo personaggio avrebbero addirittura portato lo stesso princeps a vietargli la frequentazione della domus palatina (Sen., Ira, III, 23, 4-8), cosa che avrebbe indotto Pollione ad ospitare lo storico in casa propria e Timagene a 'espungere' dal proprio trattato il principato di Augusto (così Zucchelli 1983).
Al di là dell'aneddotica, vanno evidenziati due elementi: per un verso la presenza di una storiografia filoellenistica durante la tarda età repubblicana e l’età augustea che poneva a modello il dominio macedone nonché Alessandro stesso; per un altro il fatto che proprio Pollione aveva indirettamente avallato questa posizione proteggendo Timagene di fronte a Ottaviano, e ribadendo in questo modo una certa sua presa di distanza dalla politica augustea di quegli anni.
In conclusione, all’interno di una lettura tanto problematica quale appare quella della lastra di S. Apollonia, è legittimo che possa trovare spazio anche l’ipotesi che qui si avanza: che si possa individuare un collegamento del manufatto con C. Asinio Pollione e specificamente con il recupero da lui promosso di Alessandro Magno nella Venetia tardorepubblicana-augustea, e pensare dunque a una committenza 'alta' del monumento cui apparteneva la panoplia: o del proconsole stesso o di qualche personaggio di alto rango della sua cerchia, a lui così vicino da condividere l’ammirazione per il Macedone al punto da far decorare un edificio o un monumento funerario con i simboli argeadi.
Le suggestioni che accompagnano i dati probativi dell’ipotesi amplificano vieppiù – si crede – l’orizzonte di ricerca sul manufatto.
Bibliografia
Bernard Andreae, Rekonstruktion des grossen Oecus der Villa des P. Fannius Synistor in Boscoreale, in Neue Forschungen in Pompeji, Recklinghausen 1975, 71-92
Lorenzo Braccesi, L’Alessandro Occidentale. Il Macedone e Roma, Roma 2006
Filippo Coarelli, Alessandro, i Licini e Lanuvio, in L'art decoratif à Rome à la fin de la république et au début du Principat, Table Ronde, Rome, 10-11 mai 1979, Roma 1981, 229-284
Carla Compostella, Ornata sepulcra. Le “borghesie” municipali e la memoria di sé nell’arte funeraria del Veneto romano, Firenze 1995
Alfonso De Franciscis, La villa romana di Oplontis, in Neue Forschungen in Pompeji, Recklinghausen 1975, 9-38
Mario Denti, Ellenismo e romanizzazione nella X Regio. La scultura delle élites locali dall'età repubblicana ai Giulio-Claudi, Roma 1991
Giorgio Jackson, La figura di Asinio Pollione in Velleio Patercolo, in "Riscontri", luglio-settembre 1983, 1-16
Katerini Lampi, Der makedonische Schild, Bonn 1998.
Andrea Mazzer, I Recinti Funerari in Area Altinate. Le Iscrizioni con Indicazione di Pedatura, Fondazione “Antonio Colludo”, Gruaro (VE) 2005
Stella G. Miller, The tomb of Lyson and Kallikles: a painted macedonian tomb, Mainz-Rhein 1993
Jacopo Ortalli, Monumenti e architetture sepolcrali in Emilia Romagna, in "AAAd" XLIII, 1997, 313-394
Marta Pedrina, Tra supplica e oltraggio, tra “beau mort” e “belle mort”. Segni, gesti e posture nel riscatto del corpo di Ettore, in Isabella Colpo, Irene Favaretto, Francesca Ghedini (a cura di), Iconografia 2006. Gli eroi di Omero, Atti del Convegno Internazionale (Taormina, Giuseppe Sinopoli Festival, 20-22 ottobre 2006), Roma 2007, 231-239
Eugenio Polito, Fulgentibus armis. Introduzione allo studio dei fregi d’armi antichi, Roma 1998
Francesca Rohr Vio, Le voci del dissenso. Ottaviano Augusto e i suoi oppositori, Padova 2000
Marta Sordi, Timagene di Alessandria: uno storico ellenocentrico e filobarbaro, in "ANRW", 30.1, 1982, 775-797
Giovannella Cresci Marrone, Margherita Tirelli (a cura di), “Terminavit sepulcrum”. I recinti funerari nella necropoli di Altino, Atti del Convegno, Venezia 3-4 dicembre 2003, Roma 2005
Margherita Tirelli, I recinti della necropoli dell'Annia: l'esibizione di status di un'élite municipale, in "Terminavit sepulcrum" 2005, 251-273
Mario Torelli, Monumenti funerari romani con fregio dorico, in "Dialoghi di Archeologia", II, 1, 1968, 32-54
Henner von Hesberg, Monumenta. I sepolcri romani e la loro architettura, Milano 1994
Giuseppe Zecchini, Asinio Pollione: Dall’attività politica alla riflessione storiografica, in "ANRW" II, 30.2, 1982, 1265-1296
Bruno Zucchelli, Una tagliente battuta di Asinio Pollione (Macr., Sat., 2, 4, 21) e il suo atteggiamento di fronte al pricipato, in "Vichiana", n. s., 12, 1983, fasc. I-III, 326-336
English abstract
From within such a problematic reading as that of the S. Apollonia slab, it is legitimate that the hypothesis put forward here can also find space: that one can individuate a connection of the artefact with Caius Asinius Pollio, specifically with the recovery he sought of Alexander the Great in late Republican-Augustan Venice, and therefore lead one to think of a ‘high’ patronage of the monument to which the panoply belonged. This patronage would have either been by the proconsul himself or by some high-ranking figure in his circle so close to him as to share admiration for the Macedonian leader to the point of having a building or funerary monument decorated with Argead symbols.
keywords | Venice; Museum Santa Apollonia; stone slab; Caius Asinius Pollio.
Per citare questo articolo / To cite this article: M. Bersani, Esempi archeologici per un'ipotesi interpretativa della lastra di S. Apollonia, “La Rivista di Engramma” n. 67, novembre 2008, pp. 26-35 | PDF