I capelli delle ninfe fiorentine
Alessandra Pedersoli
Nella Firenze dell’ultimo trentennio del Quattrocento era in voga, presso le fanciulle in età da marito, acconciarsi ‘all’antica’: in abiti succinti e trasparenti, con i capelli sciolti o legati in code svolazzanti, così le giovani fiorentine amavano presentarsi in società, col benestare delle madri. Soprattutto le acconciature erano particolarmente curate, messe in risalto dalle veliere, veli sottili e leggeri annodati alle spalle o ai capelli, così da amplificare l’effetto seduttivo della chioma mossa dal vento. Già Giovanni Boccaccio nella Comedia delle Ninfe fiorentine, un componimento di carattere didattico-moraleggiante composto tra il 1341 e il 1342, anticipa il piacere e l’interesse che la chioma femminile scarmigliata, piuttosto che compostamente acconciata, suscita nei giovani uomini e soprattutto in Ameto, protagonista del poemetto:
Adunque tanta estima la degnità de’ capelli alle femine quanta se, qualunque si sia, di preziose veste, di ricche pietre, di rilucenti gemme e di caro oro circundata, proceda, sanza quelli in dovuto ordine posti, non possa ornata parere; ma in costei essi, disordinati, più graziosa la rendono negli occhi d’Ameto.
Giovanni Boccaccio, Comedia delle Ninfe fiorentine, cap. XII
L’apparente lascivia dei costumi femminili nella Firenze medicea trova larga eco nelle coeve produzioni artistiche, sia letterarie che iconografiche. Nelle Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano di Pietro de’ Medici, Angelo Poliziano esalta le virtù della giovane Simonetta Vespucci che seduce castamente il giovane e rustico Iulo (Giuliano) con le sole armi della leggiadria e del grazioso incedere, sottolineato dalle vesti mosse dal vento:
[…] sta come un marmo fisso, e pur considera
lei che sen va né pensa di sue pene,
fra sé lodando il dolce andar celeste
e ‘l ventilar della sua veste.
Angelo Poliziano, Stanze cominciate per la giostra del Magnifico Giuliano di Piero de’ Medici, I, v. 56
Vestire ‘all’antica’ serviva a esaltare la grazia della figura e del portamento: la Ninfa è l’essere seduttivo per eccellenza. Aby Warburg rintraccia le origini classiche di questa figura, che nel felice momento culturale della Firenze laurenziana vede la sua massima espressione (sul tema v. in "Engramma" la Tavola 46 dell'Atlante Mnemosyne).
Si tratta della figura 'ninfa' che nel corso del XV secolo (e nell'immaginario del Rinascimento italiano) incarnò un tipo particolare di bellezza femminile ispirato, più o meno legittimamente, ai modelli antichi:
La ninfa fu una di quelle attraenti creazioni, in cui il Quattrocento italiano seppe fondere in modo felice e tutto suo proprio, il genio dell'arte col sentimento dell'antichità.
Aby Warburg, I costumi teatrali per gli intermezzi del 158, p. 94
Le fonti iconografiche antiche per la figura della Ninfa, e dei suoi ‘accessori in movimento’, si possono rintracciare nelle figure minori del repertorio figurativo classico: menadi, ancelle, horae, tutte caratterizzate da un particolare moto ingrediente o estatico, sottolineato sia dal panneggio, come nel caso della figura di baccante raffigurata nel bassorilievo conservato a Roma presso i Musei Capitolini, ma soprattutto dal capello sciolto e scarmigliato, come risalta in un’altra figura di baccante da un rilievo ora conservato a Napoli nel Museo Nazionale in cui i capelli sciolti e ondeggianti ribadiscono il moto del panneggio.
È sempre Warburg a individuare le riemersioni della ninfa classica nelle espressioni artistiche della Firenze medicea:
La troviamo sottoforma di svelta fanciulla, che cammina leggiadramente coi capelli sciolti, con abito succinto all'antica e svolazzante, nelle opre delle arti rappresentative ed anche, come figura vivente, nei festeggiamenti.
Aby Warburg, I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589, p. 94
Già qualche decennio prima, però, la Ninfa aveva iniziato a manifestarsi — dopo una latenza millenaria — in contesti sacri, come elemento estraneo e straniante: nell’affresco con la Nascita della Vergine che Paolo Uccello dipinge nel ciclo dedicato alle storie della vita della Madonna nel Duomo di Prato tra il 1433 e il 1436, una giovane levatrice è ritratta ‘di corsa’ mentre scende una scala con le vesti e i capelli al vento, ma anche attorno alla metà del secolo, sempre in un contesto sacro, ossia in un episodio delle storie della vita di San Francesco, una giovane ninfa è ritratta danzante da Benozzo Gozzoli coi capelli sciolti e ondulati.
Sempre Filippo Lippi, negli stessi anni colloca alle spalle della Madonna con bambino (ora conservata a Palazzo Pitti a Firenze) l’episodio del parto di Sant’Anna in cui si muove a passo di corsa una giovane dal ricco panneggio ondulato.
Qualche anno dopo, siamo nel 1460-1462, sempre Benozzo Gozzoli ritrae Salomè danzante al cospetto di Erode, con una chioma ricciuta e ondulata, e così ancora Filippo Lippi nelle Storie del Battista del Duomo di Prato raffigura la giovane principessa in un turbine di nastri e svolazzi, con la chioma riccamente acconciata, già in parte scomposta.
In scultura, Donatello aveva già espresso nella Salomè del Banchetto di Erode, ora conservato al Musée des Beaux-Arts di Lille e datato 1439, la volontà di dare particolare risalto al moto suadente che solo una veste sottile e panneggiata 'all’antica' poteva rendere appieno.
La Ninfa riemerge lentamente, ma a passo deciso muove verso la definitiva consacrazione negli anni '70 e '80 del Quattrocento. Il tipo iconografico della fanciulla scarmigliata e vestita all’antica (o poco vestita) compare un po’ ovunque, dai cassoni, ai deschi da parto, alle pitture di contesto sacro e mitologico-allegorico. Antonio del Pollaiolo realizza nel 1470 i cartoni per un paliotto d’altare a ricamo raffigurante una Salomè giovinetta che corre col desco in mano verso la madre (fig. 9), dove lo slancio della figura è esaltato sia dalla veste che dai nastri nei capelli.
Su tutti è però Sandro Botticelli a insistere maggiormente sul tema: nelle Storie di Mosè che realizza per le pareti della Cappella Sistina raffigura due giovani fanciulle dalle chiome fluenti e indomabili e, poco lontano, nell’episodio delle Tentazioni di Cristo una giovane che incede con passo deciso portando delle fascine di legna con i capelli sciolti e mossi dal vento.
Ancora Botticelli nel Ritorno di Giuditta a Betulia, mostra l’eroina biblica mentre incede riccamente drappeggiata nelle vesti, ma con la bella e artificiosa acconciatura scomposta e libera in soffici riccioli.
Sandro Botticelli, Il ritorno di Giuditta a Betulia, olio su tavola, 1472 ca., Firenze, Uffizi.
Nella celebre Primavera le acconciature delle Grazie si scompongono a causa della danza, mentre i capelli della Ninfa Chloris si muovono liberi e scomposti nella fuga da Zefiro; così nella Nascita di Venere tutti i personaggi sono caratterizzati da una chioma libera e fluente, soprattutto Venere nascente che ne fa uso per coprire/scoprire la propria nudità.
Anche Domenico Ghirlandaio insiste sul particolare del capello in movimento: in quasi tutti gli affreschi delle Storie della Vita del Battista in Santa Maria Novella a Firenze, realizzati negli anni '80 del Quattrocento, l'artista colloca una o più ninfe in veste di ancella o levatrice: è il caso ad esempio dell’episodio della Visitazione in cui colloca nello sfondo una giovane che corre con un desco in testa: la figura è delineata nei suoi tratti salienti 'all'antica', i capelli e la veste svolazzante.
La figura più nota di Ninfa dipinta da Ghirlandaio è però quella che compare nel riquadro con la Nascita del Battista (fig. 16): la giovane entra in fretta nella stanza con una veste leggera e svolazzante; dall’acconciatura, ferma ed elaborata, sfugge però un ricciolo che si confonde nella ruota della veliera gonfiata dal vento nella corsa.
Anche nella scena con la danza di Salomè il capello della principessa vuole essere composto, ma cede al moto della giovane e si scompone in piccoli riccioli.
Ancora nella Giuditta della Gemäldegalerie di Berlino (fig. 18), datata 1489, l’acconciatura è elaboratamente scomposta in riccioli ribelli sulle spalle.
Tutte queste giovani scarmigliate collocate all’interno delle storie sacre non piacciono affatto a Savonarola, che nelle sue prediche si scaglia contro i Fiorentini e i loro costumi corrotti e lascivi. In un sermone il predicatore domenicano se la prende anche con le madri che consentono alle figlie di mostrarsi in pubblico vestite all’antica, con veli a sottolinearne la licenziosità, o peggio ancora con i capelli legati in code svolazzanti:
La vacca è uno animale insulso, e grosso, e proprio come un pezzo di carne colli occhi. Donne, fate che le vostre fanciulle non siano vacche; fate che le vadino coperte il petto, non portino la coda, come le vacche; fatele posar queste veliere. Io non dico già che voi andiate col velo torto e mal acconcio, ma assestate come donne da bene, e oneste.
Fra' Girolamo Savonarola, Predica XII "sopra Amos" (28 febbraio 1496)
Gli strali savonaroliani e la fine dell’età aurenziana segnano il definitivo, inesorabile declino della Ninfa: all'inzio del Cinquecento romano, nel contesto degli stessi soggetti biblici trattati pochi anni prima dagli artisti della Firenze medicea, gli abiti si impaludano e 'solidificano', i capelli si legano e si contengono, peggio ancora si coprono in cuffie: così Michelangelo ritrae l’eroica Giuditta nella volta della Cappella Sistina e anche Raffaello contiene, quasi a raggelarne lo slancio, la ninfa canefora nell’Incendio di Borgo.
Savonarola ha vinto, dunque, pur in maniera postuma, e Andrea del Sarto nella Nascita della Vergine in SS. Annunziata a Firenze, del 1513, ritrae tutte le fanciulle in abiti composti e castigati, col capo opportunamente coperto e i capelli celati da una cuffia monacale.
Le aggraziate movenze della Ninfa torneranno in voga nella Firenze di fine XIX secolo, da dove Rainer Maria Rilke apocalitticamente si troverà ad ammonire:
Savonarola ritorna sempre. State in guardia dinanzi al suo ritorno. Se scegliete la rinuncia vi rinnegate. Egli vi vuole poveri, ma la vostra arte vuole invece rendervi più lieti, ricchi e grandi.
Rainer Maria Rilke, Diario fiorentino, a cura di Giorgio Zampa, Milano [1898] 1990, p. 107
Fonti
Prediche di F. Girolamo Savonarola, a cura di Giuseppe Baccini, Firenze, Adriano Salani, 1889
Giovanni Boccaccio, Comedia delle Ninfe fiorentine, in Giovanni Boccaccio, Tutte le opere, vol. III, a cura di Vittore Branca, Milano 1964
Angelo Poliziano, Stanze cominciate per la giostra del Magnifico Giuliano di Piero de’ Medici, in Angelo Poliziano, Stanze, Orfeo, Rime, a cura di Davide Puccini, Milano 1992
Riferimenti bibliografici
Giovanna Lazzi, Paola Ventrone, Simonetta Vespucci. La nascita della Venere fiorentina, Firenze 2007 (v. in retel'estratto di Paola Ventrone, Simonetta Vespucci e le metamorfosi dell’immagine della donna nella Firenze dei primi Medici, prima parte e seconda parte
Rainer Maria Rilke, Diario fiorentino, a cura di Giorgio Zampa, Milano [1898] 1990
Aby Warburg, I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589. I disegni di Bernardo Buontalenti e il Libro di conti di Emilio de' Cavalieri, in La rinascita del paganesimo antico, a cura di Gertrud Bing, Firenze [1895] 1966
Mnemosyne Atlas, Tavola 46 con commento del Seminario Mnemosyne in "Engramma" n. 3, novembre 2000
Per citare questo articolo / To cite this article: Alessandra Pedersoli, I capelli delle ninfe fiorentine, “La Rivista di Engramma” n. 68, dicembre 2008, pp. 100-111 | PDF dell’articolo