Attraverso la storia. Le 'architetture archeologiche' di Carlo Scarpa
Giacomo Calandra di Roccolino
English abstract
Il tema del rapporto con il passato e con la preesistenza architettonica caratterizza tutta l'opera di Carlo Scarpa. Già nelle primissime opere veneziane e muranesi degli anni Venti, come anche nelle successive e più note realizzazioni del Museo di Castelvecchio o della sistemazione di Palazzo Querini-Stampalia, il manufatto antico diventa l'oggetto di un'appassionata analisi storica e filologica da cui scaturiscono i temi compositivi e formali, che conducono, non senza correzioni e ripensamenti, alla riqualificazione delle strutture e degli spazi esistenti, congiuntamente alla soluzione di problemi architettonici e funzionali. Nonostante questo stretto legame con il passato, che non verrà mai meno, Scarpa si accosterà al tema della progettazione in ambito archeologico solo in due casi e solo negli ultimi anni della sua attività.
Per comprendere la differenza tra i lavori 'archeologici' di Scarpa e gli altri progetti realizzati in luoghi comunque carichi di tracce della storia, è necessaria una breve riflessione. Scarpa si trova a lavorare con dei resti archeologici che hanno perso la loro funzione originaria e hanno assunto quella di 'testimoni', o 'prove', dell'evoluzione del luogo in cui si trovano. Mentre in altri lavori, ad esempio nel Museo di Castelvecchio o nelle Gallerie dell'Accademia, le tracce del passato sono parte integrante dell'edificio nel quale egli si trova ad operare e non possono essere considerate testimoni di un'altra memoria, nei progetti archeologici questa memoria si scinde e le tracce del passato si trasformano da soggetto in oggetto, da contenitore a contenuto dell'allestimento progettuale.
In questo senso, lo sforzo che egli compie in entrambi i progetti qui presentati, non è quello di restituire i manufatti ad un utilizzo che risponda ad esigenze pratiche, ma di integrarli all'interno del contesto urbano e architettonico al fine di far 'ricordare', e al tempo stesso di 'nobilitare', attraverso la storia. In entrambi i progetti, che si possono quindi assimilare a progetti di allestimenti museali, Scarpa si limita a creare dei percorsi che, attraverso continui cambi di quota, restituiscono al visitatore l'impressione di spostarsi da uno strato archeologico all'altro, percorrendo, in un certo senso, le diverse epoche che hanno visto la metamorfosi di quei luoghi.
La prima occasione di approccio al tema archeologico viene offerta a Scarpa nel 1971, quando il Comune di Brescia gli affida il progetto di allestimento del Museo delle Armi all'interno del castello cttadino. La rocca che domina la città, sito di grande valore storico e simbolico, è frutto di secolari trasformazioni: all'acropoli romana, che qui sorgeva, si sovrapposero la cittadella fortificata nel Medioevo, la roccaforte veneziana nel Cinquecento e infine il fortino militare francese e austriaco costruito tra il XVIII e XIX secolo. Scarpa si trova ad operare su un restauro già avviato dall'amministrazione che, attraverso alcuni saggi di scavo, aveva appena messo in luce le diverse stratificazioni della collina fino allo strato più antico, costituito dai resti di un tempio romano con la crepìdine parzialmente conservata.
Nel progetto Scarpa prevede il collegamento tra le sale superiori, destinate ad accogliere le armi, e la zona inferiore, dove i reperti archeologici emersi con gli scavi diventano l'oggetto dell'esposizione. Il cardine del progetto è rappresentato dal sistema dei percorsi. Alcune passerelle, distribuite a varie quote all'interno di un volume vuoto, permettono di osservare – sul fondo di questo – i resti delle antiche strutture romane, offrendo prospettive e visuali di volta in volta differenti. Si tratta di un percorso nella storia della rocca, che si svolge, via via, scendendo nelle diverse stratificazioni della collina.
Il progetto verrà bloccato dalla Soprintendenza a causa della prevista parziale demolizione di un muro antico; verrà completato postumo nel 1988, da Francesco Rovetta, che fin dall'inizio aveva collaborato con Scarpa alla progettazione. Il progetto di Brescia può essere in qualche modo considerato una tappa del percorso che porterà Scarpa al suo secondo progetto archeologico.
Ben più complesso e articolato, benché vi siano alcuni caratteri comuni con il progetto bresciano, è il progetto realizzato da Scarpa per gli scavi di Piazza Duomo a Feltre. Esso appartiene ad una tipologia fondamentale all'interno della tematica del rapporto tra architettura e memorie archeologiche, ossia quello della copertura/piazza che, pur ricavando uno spazio architettonico ipogeo, mantiene la funzione urbana dell'area archeologica messa in luce.
Feltria, municipium ascritto alla tribù Maenia, era una città retica ovvero fondata, secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio, dai Rezi che abitavano la zona prima della conquista romana. Il centro abitato aveva goduto di una certa ricchezza tra I secolo a.C. e il I secolo d.C. poiché si trovava sul tracciato della via Claudia Augusta, un'importante via di traffico che, partendo da Altino e attraversando la valle dell'Adige e le Alpi, giungeva nel Norico, sulle rive del Danubio.
Nonostante si trovasse al centro di una rete di strade commerciali e avesse raggiunto una discreta dimensione, gli scavi e i ritrovamenti erano stati sporadici fino al 1970, quando, su pressioni dell'architetto Alberto Alpago-Novello, appassionato di storia locale, si decise di effettuare un saggio di scavo nella zona antistante il Duomo. La scelta non fu casuale: nel 1926, proprio davanti alla porta principale del Duomo, a una profondità di circa 2 metri, erano venute alla luce alcune lastre marmoree, da subito giustamente interpretate come i resti di una vasca battesimale ad immersione.
Le campagne di scavo, effettuate tra il 1970 e il 1973 e poi proseguite negli anni successivi, misero in luce un vasto complesso archeologico che comprendeva una larga strada romana, i resti di alcune abitazioni e botteghe coeve, alcuni grandi ambienti con pavimentazioni policrome in opus sectile – attribuiti più tardi alla schola dei dendrofori – alcune strutture altomedievali, ma soprattutto un grande battistero tardo antico (V-VII secolo d.C.) a pianta circolare che, vista la sua quasi perfetta sovrapposizione con il Duomo, attestava la continuità dell'utilizzo dell'area in senso cultuale e religioso e costituiva un esempio interessantissimo delle successive stratificazioni storiche che la città aveva vissuto nei lunghi anni di oblio dopo la caduta di Roma.
Anche a Feltre, dunque, Scarpa si sarebbe dovuto confrontare con le stratificazioni della città ma, in questo caso, con una difficoltà in più: la piazza dove erano stati effettuati gli scavi era un luogo centrale nella vita della comunità e come tale ne andava preservata la funzione. Si rendeva quindi necessario ricorrere ad una soluzione che permettesse ai fedeli della città di continuare a frequentare il Duomo, soprattutto in occasione delle feste religiose.
Oltre alle difficoltà legate alla morfologia del sito, a complicare l'intervento di Scarpa intervennero le diverse istituzioni coinvolte nell'attività di scavo e di progetto. Fin dall'inizio vi furono incomprensioni con i diversi enti: la Soprintendenza, il Comune di Feltre, la Fabbriceria del Duomo e, a Roma, la Pontificia commissione per l'arte sacra.
Lo stesso Alpago-Novello, che già nel 1926 aveva seguito gli scavi della piazza, su incarico della Fabbriceria del Duomo, aveva presentato un progetto alla Commissione Edilizia per la sistemazione del sagrato. La sua proposta prevedeva la netta separazione tra i resti del battistero, collegato alla cattedrale da una scala interna alla chiesa, e i resti 'pagani' per i quali aveva previsto una semplice struttura a pilastri, per nulla rispettosa degli scavi sottostanti. Tale soluzione fu fortunatamente bocciata in quanto giudicata "avulsa dall'ambiente e inadeguata all'importanza dei reperti archeologici".
Nel 1973 le due soprintendenze coinvolte, decisero di affidare l'incarico direttamente a Carlo Scarpa. Come si è visto anche nel progetto per il Museo delle Armi a Brescia, le incomprensioni tra i vari enti non erano una novità per l'architetto. Tali incomprensioni derivavano quasi sempre dalle scelte architettoniche, che scontentavano o i conservatori o le altre figure coinvolte. Il reale motivo per cui, alla fine, il progetto non fu realizzato non è stato ancora indagato fino in fondo e necessita di ulteriori approfondimenti, da condurre negli archivi delle Soprintendenze.
Il problema architettonico e urbanistico che Scarpa si trovò ad affrontare a Feltre era tutt'altro che semplice: era infatti necessario risolvere allo stesso tempo la questione conservativa, con una copertura che proteggesse l'area degli scavi, e quella funzionale, in modo che il sagrato continuasse ad essere utilizzato per le cerimonie liturgiche e le processioni che tradizionalmente utilizzavano l'accesso principale del Duomo.
Ferruccio Franzoia, che fu collaboratore di Scarpa durante l'intero iter progettuale, ricorda che la prima cosa rilevata dall'architetto, quando, nel 1973, si recò a Feltre per il primo sopralluogo, era stata la disomogeneità dell'area e il senso di incompiutezza e casualità dato dall'aspetto anonimo della facciata del Duomo, dall'incombenza del terrapieno ottocentesco a Nord della piazza e dalla grande fossa archeologica a cielo aperto.
Scarpa sviluppò il progetto a partire dal problema dell'accessibilità all'area. Egli operò da un lato riflettendo sul rapporto visuale tra la piazza e via Roma, la principale strada di accesso alla chiesa, dall'altro cercando di risolvere il problema del dislivello tra la quota del sagrato e del terrapieno a nord. L'architetto cominciò quindi a ragionare sull'area, ipotizzando una struttura a due livelli che con una salita graduale mettesse in connessione il Duomo e la cittadella.L'intento perseguito era quello di riqualificare un'area di così alto interesse storico per la città e al tempo stesso renderne più immediata la fruizione.
Scarpa dovrà ben presto abbandonare l'idea di una copertura gradonata, che avrebbe di fatto negato la funzione della piazza, e preferire a questa una soluzione che meglio rispondesse alla duplice funzione di solaio praticabile e copertura della sottostante 'cripta' archeologica.
Parallelamente all'approccio urbano al tema, Scarpa affrontò il problema architettonico in due principali direzioni: dal punto di vista strutturale e dal punto di vista dell'illuminazione naturale. L'obiettivo che si prefiggeva era di riuscire a creare una struttura non invasiva per i reperti, senza punti d'appoggio nell'area di scavo, ma ancorata unicamente al limite settentrionale e meridionale della fossa; allo stesso tempo voleva riuscire ad ottenere un'illuminazione naturale che filtrasse nella 'cripta' attraverso le travi della copertura. Tale suggestione era scaturita durante la prima visita allo scavo, quando aveva potuto osservare i resti archeologici coperti da una serie di assi sconnesse, tra le quali filtrava la luce smaterializzata dai teli di nylon stesi a protezione dello scavo.
Il primo progetto, realizzato nel 1976, di cui ci sono rimasti molti disegni nell’Archivio Scarpa di Treviso, prevedeva un solaio relativamente sottile, inclinato verso il lato Sud della piazza e realizzato con un getto di calcestruzzo su cassero ligneo, destinato a rimanere a vista all’intradosso della soletta. Le travi, realizzate con un sistema in acciaio e cemento e dotate di tiranti, poggiavano, a loro volta, su una doppia trave in acciaio portata da mensole in calcestruzzo armato inserite nel terrapieno che limita lo scavo. Come si vede chiaramente dalla sezione trasversale, il progetto era stato elaborato senza prestare troppa attenzione alle quote. Per dare quindi maggior respiro allo spazio interrato e per permettere una visione d’insieme degli scavi e del ritmo irregolare delle travi in copertura, Scarpa elaborò un secondo progetto.
La seconda versione prevedeva la sostituzione delle travi in acciaio con elementi in calcestruzzo armato di grande spessore che, emergendo di oltre un metro rispetto al vecchio piano di calpestio del sagrato, avrebbero reso necessario l'accesso alla cattedrale tramite un serie di gradini. Alle grandi travi, Scarpa dà la forma di E rovesciata, per alleggerirle dal punto di vista figurativo e, al tempo stesso, ricreare quel ritmo che aveva ricercato già nella prima versione del progetto. I gradini concludevano un percorso posto in asse con l'ingresso centrale della chiesa e, proprio per sottolineare ancora di più dal punto di vista simbolico il legame tra chiesa e piazza, Scarpa portò il percorso rialzato fin dentro il Duomo, attirandosi il giudizio negativo della Pontificia Commissione, che non esitò a parlare di "manufatto sgradevole" che sarebbe "penetrato con effetto di violenza" all'interno della chiesa. Questo secondo progetto, non ancora giunto ad una versione definitiva, verrà inviato a Roma al Consiglio Superiore Antichità e Belle Arti che però non lo approverà, giudicandolo tecnicamente ed economicamente "eccessivo" rispetto alla consistenza archeologica e che arriverà addirittura a suggerire il rinterro dello scavo di cui ormai era stato acquisito un rilievo completo.
Scarpa però prosegue nella progettazione, determinato a far approvare la propria idea. Il passo successivo consiste nell'abbassamento del livello di imposta delle travi di sostegno alla copertura. Così facendo, riesce ad eliminare diversi gradini che scendono verso il portale della chiesa con l'intento di trovare il consenso delle autorità ecclesiastiche, che avevano espresso fino a quel momento parere negativo, considerando l'eccessiva altezza della piazza un ostacolo allo svolgimento delle funzioni religiose, oltre che alla visibilità dell'ingresso della chiesa che, a loro avviso, sarebbe stata disturbata dalla copertura. Mentre si lavora alacremente alla definizione degli andamenti in sezione, anche la pianta cambia aspetto: si definisce sempre più l'idea di un percorso posto in asse con l'ingresso principale che attraversa la piazza e che Scarpa decide di pavimentare con blocchi squadrati in pietra di Verona, alternata a botticino bianco, così da riproporre una sorta di legame con l'interno della chiesa, pavimentata nello stesso modo.
Siccome, anche dopo le modifiche, l'altezza del sagrato risultava ancora eccessiva, Scarpa decise di tornare alla prima ipotesi strutturale, che vedeva la realizzazione di travi a capriata rovescia le quali, pur non diminuite nello spessore, potevano essere collocate molto vicino ai ruderi poiché permettevano comunque di traguardare l'intero scavo.
La soluzione definitiva, accompagnata da una relazione dettagliata sulla consistenza dei resti archeologici, venne infine approvata dal Consiglio Nazionale per i Beni Culturali. Ciononostante, il progetto, ormai definito in ogni suo dettaglio, non verrà mai realizzato, a causa dell’ostracismo subìto da Scarpa da parte del nuovo Soprintendente, che preferirà far realizzare una copertura piana, priva di illuminazione naturale e sostenuta da pilastri.
La piazza del Duomo di Feltre si presenta oggi simile a quella di molti piccoli centri del Veneto. Nulla all’esterno fa presagire la presenza di uno scavo archeologico così ampio e di così grande interesse. Dopo essere scesi al livello archeologico, dove è assolutamente vietato scattare fotografie, ci si fa strada su passerelle che costringono a camminare piegati. La percezione dello scavo è inoltre interrotta da poderosi pilastri in cemento armato che, seguendo una griglia regolare, interrompono la visuale sul complesso.
Se oggi, dunque, di questa straordinaria architettura scarpiana non ci rimane che il progetto, è comunque di grande interesse poter riflettere su come Scarpa sia riuscito, nonostante tutte le difficoltà incontrate, a elaborare una soluzione che valorizza il grande vuoto costituito dagli scavi. Al tempo stesso, rileggendo il progetto per Feltre, è possibile comprendere il punto di vista metodologico e compositivo di Scarpa sul difficile rapporto tra architettura e archeologia in ambito urbano.
ringraziamenti/aknowledgments
l’autore e la redazione di Engramma ringraziano il prof. Alberto Ferlenga e il prof. Kurt Forster per l'attenzione e la cura che hanno dedicato alla revisione di questo testo.
Si ringrazia l'Archivio Scarpa di Treviso ed in particolare la Dott.ssa Maria Pia Barzan per il prezioso aiuto nella selezione delle tavole dei progetti in corso di catalogazione.
Riferimenti Bibliografici
Pollifrone 1984
Luciano Pollifrone, Progetto per la protezione e la valorizzazione dei reperti romani, Feltre, in Carlo Scarpa. L'opera Completa, a cura di F. da Co e G. Mazzariol, Milano 1984
Franzoia 1981
Ferruccio Franzoia, Feltre, progetto per il museo archeologico sotterraneo in "Rassegna" n. 7, 1981, II, 58-64
Lanza 2000
Fabrizia Lanza, "Copertura degli scavi archeologici di piazza Duomo, Feltre 1973-78" in Carlo Scarpa. Mostre e musei, (a cura di) G. Beltrami, K.W.Forster, P. Marini, Milano 2000
English abstract
The relationship between past and present is a prominent trait in Carlo Scarpa’s architecture. It manifests through various gestures, adapting to different contexts and revealing the complex interplay between visible architecture and invisible archaeology. Scarpa views this relationship as an opportunity to 'remember' and 'nobilitate' history. Projects like the Castelvecchio Museum in Verona and the Galleries of Accademia in Venice are treated as direct spatial translations of archaeological layers. Others, like the project for protecting archaeological excavations under the Piazza del Duomo in Feltre, underwent design iterations that never materialised but uniquely portrayed Scarpa's sensitivity to the role of archaeology in modern architectural projects.
Keywords: Architecture; Archeology; Carlo Scarpa; Ruins; Feltre.
Per citare questo articolo / To cite this article: G. Calandra di Roccolino, Attraverso la storia. Le 'architetture archeologiche' di Carlo Scarpa, “La Rivista di Engramma” n. 96, gennaio/febbraio 2012, pp. 21-29 | PDF