Costellazioni tempestive: Warburg, Adorno, Benjamin
presentazione di un concerto filosofico e di "Aisthesis" n. 2/2010
Alice Barale
English abstract
Il 26 settembre 1940 Walter Benjamin, dopo un giorno di cammino per i monti che separano la Francia dalla Spagna, giunge alla cittadina di confine di Port-Bou. Qui, fallito il suo tentativo di lasciare per mare l’Europa, si toglie la vita. Per ricordare i settant’anni dalla morte, la rivista di estetica online Aisthesis, il Seminario Permanente di Estetica e la SIE hanno organizzato a Firenze, il 29 ottobre 2010, il convegno Immagini dialettiche e costellazioni tempestive: Warburg, Benjamin, Adorno. All’idea, comune ai tre autori, di un contenuto di verità che non si dà che nel suo concreto, istantaneo configurarsi, l'incontro ha voluto dar vita nella forma di un 'concerto filosofico', in cui si sono susseguiti per una giornata gli interventi di filosofi, filologi, storici dell’arte e dell’architettura. Ad esso è dedicato ora l'ultimo numero di Aisthesis, che ne restituisce nella sua parte monografica le voci.
È dalla figura di Aby Warburg che il 'concerto' prende le mosse. Con quest’ultimo Benjamin ebbe infatti un dialogo postumo che accompagna, e forse in parte puo’ contribuire a chiarire, quello che ebbe in presa diretta con Adorno. Ad aprire l'incontro è dunque il tema warburghiano, che Benjamin sin dalla sua indagine sulla malinconia barocca fa proprio, della migrazione delle forme pagane nel mondo cristiano. All'antichità la modernità attinge i propri demoni, che svelano nel passaggio dal Rinascimento al Barocco il loro carattere incontrollabile ed opaco. Al gesto della memoria spetta allora, per Benjamin come per Warburg, di restituire a questo vuoto interno all'immagine il proprio posto, come sospensione tra ciò che essa è e ciò che può ancora essere, come spazio che la separa e la unisce alle altre. Nel margine d'ombra che ne scandisce netto e sfuggente il profilo, il demone dell'immagine incontra la necessità del proprio oltrepassamento. L'accidia meridiana ritrova così il proprio movimento interno: il naufragio nel visibile diviene viaggio, passaggio incerto tra il proprio e l'estraneo, tra la partenza e il ritorno.
Ma proprio la possibilità di questo passaggio l'attuale scenario mediatico sembra insidiare. Il nesso tra tempo e immagine è indagato, nel procedere del convegno, alla luce di quella riproducibilità tecnica che rischia per alcuni di reciderlo. Alla tesi di un cumulo ipersaturo di immagini senza più tempo né vita si oppone tuttavia per altri la necessità di cogliere, in esso, quei punti di frattura da cui quest'ultima sempre di nuovo si affaccia. È sulla modalità di questa ricerca che il dialogo tra Benjamin e Adorno si fa più serrato. Se l'auraticità che occorre preservare consiste infatti per Adorno nella capacità dell'arte di rimandare, nella sua autonomia, al di là dell'esistente, l'incrinarsi dell'aura riapre al contrario, per Benjamin, il momento germinale e infantile del suo costituirsi. Quel momento in cui l'immagine ancora attende la parola e la parola l'immagine. Quella 'magia' che non è forse, come sembra credere Adorno, resa del pensiero alle cose, ma possibilità di sostare nel loro aspetto frammentato e disperso per riscoprirne, ridisegnati, i vincoli.
I contributi sono suddivisi nel numero in quattro sezioni. La prima è dedicata alla figura di Aby Warburg, la seconda e la terza al confronto tra Warburg e Benjamin, alla luce del rapporto tra immagine e tempo (seconda sezione), e al cospetto dell’attuale società dell’immagine (la terza). La quarta sezione indaga infine i punti di incontro e di tensione tra la riflessione di Benjamin e quella di Adorno.
Ad aprire la prima sezione della parte monografica – I. Warburg: Trauerspiel dell’immagine – è il tema warburghiano del migrare delle forme pagane nel cuore del mondo cristiano, filo conduttore del saggio in cui Gioachino Chiarini indaga la trasmissione, dai Sumeri a Dante attraverso la Grecia antica, del modello della scala planetaria. La potenza dell’immagine non si manifesta però nella sua magica invarianza, ma nelle relazioni in cui essa di volta in volta si pone: nel secondo saggio della sezione, Monica Centanni richiama l’attenzione sui margini neri che nella versione originale dell’Atlante Mnemosyne scandiscono lo spazio tra le immagini (percorsi attraverso il Bilderatlas in "Engramma" n. 35; e in generale, su Mnemosyne, vedi i contributi indicizzati sezione tematica di questa stessa rivista). È questo vuoto che, come interna sospensione, si fa strada nell’arte di Rembrandt, a cui Warburg si avvicina nei suoi ultimi studi sul Seicento. Ad essi, e all’emergere, in Warburg come in Benjamin, della riflessione sul barocco è dedicato il terzo saggio, di Claudia Cieri Via. Chiude la sezione il confronto, da parte di Alice Barale, tra il concetto warburghiano e quello nietzschiano di tragico. Alla circolarità del divenire, di cui il rito si appropria, sembra infatti contrapporsi nella riflessione dell’ultimo Warburg una circolarità più interna, in cui il divenire incontra il suo istantaneo trattenimento, l’estasi la necessità dell’in-stare.
Il tradursi della dimensione circoscritta del rito in quella intensiva della temporalità profana è oggetto anche del saggio di Guglielmo Bilancioni, che apre la seconda sezione della parte monografica – II. Benjamin/Warburg: Bildraum e Denkraum. La memoria è indagata da Bilancioni nel suo farsi 'metodo', possibilità di sottoporre il cumulo delle immagini a un’interpretazione che è ogni volta, come il rito, atto mimetico. Passato e presente non si succedono dunque lungo una linea retta, ma si determinano continuamente l’un l’altro. È questo il tema del secondo contributo, di Giuseppe Di Giacomo, che definisce l’immagine in Warburg e in Benjamin come “immagine-tempo”, in cui il già stato ritorna come ancora possibile. Possibile in cui vibra tuttavia, indissolubile, l’eco di ciò che di volta in volta si perde: come mostra Marco Bertozzi nel terzo contributo, è alla luce della riflessione sulla malinconia che il legame di Benjamin con Warburg è più direttamente osservabile. All’accidia, che dal medioevo al barocco si protende sulla modernità come immedesimazione inerte nel corso del divenire, fa fronte, sulle orme di Warburg, l’essenza dialettica della malinconia come capacità di dare voce a ciò che a quest’ultimo di volta in volta si oppone. Il pensiero si fa così memoria, “pensiero-viaggio”, come mostra Raul Kirchmayr nel quarto contributo, che abita la frontiera tra noto ed ignoto, tra attesa e rimpianto.
La riflessione di Warburg e di Benjamin è interrogata nel saggio di Alessandra Campo, che apre la terza sezione – III. Benjamin oggi: sopravvivenze dialettiche – in rapporto all’attuale diffusione mediatica dell’immagine. Nei confronti di quest’ultima uno dei limiti dell’indagine warburghiana consiste per l’autrice nel suo essere circoscritta all’ambito di quell’arte, intesa in senso tradizionale, di cui l’immagine dialettica benjaminana costituisce piuttosto il superamento. Anche per Manuela Pallotto, nel secondo contributo, la costellazione melanconica in cui si rispecchia per Benjamin la contemporaneità è rischiarata da una scintilla di redenzione finale che manca, invece, al Trauerspiel che si rappresenta nelle pagine dell’Atlante warburghiano come cumulo irredimibile di relitti fotografici. La tesi di un’immagine priva in Warburg del rapporto con il proprio oltre, accidiosamente chiusa su se stessa, è contestata da Silvia Ferretti nell’intervento successivo. All’idea della frontiera tra parola e immagine come ciò che separa Benjamin da Warburg l’autrice contrappone infatti il tentativo, comune a entrambi, di restituire all’una e all’altra la loro originaria coappartenenza, come unità instabile a cui l’esperire affida di volta in volta il proprio significato. La redenzione non attenderebbe così al di là della storia, ma in ogni suo istante: nell’ultimo intervento della sezione, Elisabetta Villari invita, sulle orme dell’ultimo libro di Georges Didi-Hubermann, a riflettere sulla “sopravvivenza delle lucciole” (sul saggio di Didi-Huberman e sul tema della 'luce necessaria' delle lucciole vedi i contributi di "Engramma" n. 84). Se queste ultime possiedono infatti, in virtù del loro balenare, un carattere benjaminano, il passato a cui additano non può allora contrapporsi come per Pasolini al presente, ma continua ad abitarlo come speranza ancora disattesa, come scrive molto prima di Didi-Hubermann, a pochi mesi dalla morte di Pasolini, Leonardo Sciascia “una gioia… doppia… La gioia di un tempo ritrovato – l’infanzia… – e di un tempo da trovare, da inventare. Con Pasolini. Per Pasolini”.
La quarta sezione, dedicata al rapporto tra Benjamin e Adorno – IV. Adorno/Benjamin: fisiognomiche affinità – si apre con la continuità tra i due filosofi che si mostra, per Antonio Valentini, nell’interpretazione adornianana del 'realismo' di Kafka come capacità di far emergere nel visibile l’invisibile, nell’esistente i suoi punti di frattura e le sue crepe. La propensione all’allegorico e al frammentario a cui la lettura adorniana di Benjamin sembra così additare è messa in dubbio nel secondo contributo, in cui Andrea Pinotti si interroga sulla chiave interpretativa che, da Gadamer a Solmi, fa dell’allegoria l’oggetto e il metodo della ricerca benjaminana, bandendo da quest’ultima il concetto di simbolo. Il contributo di Elena Tavani si concentra invece sulle differenze che l’'esperienza di immagini' lascia emergere in Benjamin e Adorno in rapporto al concetto di aura. Alla tesi benjaminana del declino dell’arte auratica Adorno sembra infatti opporre la possibilità di una specie diversa di aura, legata non alla chiusura rituale dell’immagine, ma alla possibilità da parte di quest’ultima di rimandare, nella propria autonomia dall’esistente, al di là di esso. Proprio l’interpretazione di quest’ultimo come un tutto univocamente determinato, quello del sistema di produzione capitalistico, è però ciò che rimprovera Giovanni Gurisatti, nell’ultimo contributo, alla fisiognomica adorniana. Nella capacità di esporsi a quella 'magia' delle cose da cui Adorno, in nome della totalità della teoria, mette in guardia Benjamin sembra infatti essere riposta per quest’ultimo la possibilità di fare scaturire, dalla “rappresentazione stupita” di quello che esse sono, quello che possono ancora essere.
English abstract
On 26 september 1940 Walter Benjamin, after a one day walk on the mountains separating France from Spain, reaches the border village of Port-Bou. Here, having failed his attempt to leave Europe by sea, he takes his own life. In order to celebrate the seventieth anniversary of his death, the conference "Dialectic images and sudden constellations: Warburg, Benjamin, Adorno" was held in Florence. The idea, common to the three authors, of a truth content that can only be realised in its concrete and istantaneous configuration, was embodied in the form of a "philosophical concert", where contributions by philosophers, philologists and historians of arts and architecture succeeded each other for the whole day. The latest issue of the aesthetics review Aisthesis is dedicated to the conference, including such contributions in its monographic section.
keywords | Warburg; Adorno; Benjamin; Dialectic images and sudden constellations.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Barale, Costellazioni tempestive: Warburg, Adorno, Benjamin. Presentazione di un concerto filosofico e di Aisthesis n. 2/2010, “La Rivista di Engramma” n. 89, aprile 2011, pp. 21-23 | PDF di questo articolo