La Venezia Felix e il maggio francese: due eredità del passato, due miti dell’oggi
Antonio Benci, Massimo Tomasutti | Università Ca' Foscari Venezia
La fine di qualcosa che non è mai esistito se non nelle rielaborazioni postume come la Venezia Felix, s’intreccia con l’inizio di qualcosa che non si è mai realizzato come la Rivoluzione del Maggio in Francia nelle percezioni successive, attraverso un immaginario che porta a creare un vissuto irreale, un altrove mitico e irraggiunto.
La Serenissima Repubblica scompariva nel 1797, dopo più di mille anni di storia, mentre la convulsa e chiassosa esperienza rivoluzionaria del maggio francese durò solo il breve spazio di pochi mesi. Ma per gli intellettuali e i cantori di questi due particolari passati, che videro improvvisamente ‘morire’ quelle realtà, la gloriosa Venezia aristocratica e la Parigi sessantottina dei facili entusiasmi libertari si presentavano – e si presentano ancora – come due ‘esperimenti del mondo’ felici e irripetibili, come due eredità storiche vissute, percepite e raccontate attraverso un forte e condiviso sentimento nostalgico. Nelle loro memorie quelle sono state, infatti, esperienze da ricordare e far conoscere. L’antica Repubblica come “singolare aristocrazia”, “fine politica”, “nerbo marittimo”, “immensità del commercio”, “profonda pazienza” – per dirla con Giustina Renier Michiel – e la Comune parigina come luminosa “possibilità rivoluzionaria” oltre che trainante “suggestione culturale” per dirla con Ennio Abate; così nelle postume stagioni del ‘lutto’ si ricorda che allora, alla caduta del Serenissimo Veneto Governo, le popolazioni dalmate avevano bagnato con il loro “dolorosissimo pianto” il glorioso vessillo di San Marco. Allo stesso modo, con uguale trasporto, non si perde l’occasione di ricordare, in relazione al maggio parigino, l’amara e corale delusione per la “trasformazione negata” suggellata dal discorso finale del Generale.
Narrare, coltivare ed esplicitare queste due particolari eredità del passato, renderle evidenti, percepibili e fruibili all’immaginario collettivo ha rappresentato – e tuttora rappresenta – l’infedele trasmissione, traslata nel tempo, di una duplice e costante costruzione identitaria. Da un lato, infatti, queste memorie hanno mostrato il loro profilo più marcatamente umano e culturale, più intimamente nostalgico dei loro interpreti. Dall’altro lato, hanno costretto i loro stessi autori a concepirsi in modo nuovo, spingendoli ad esprimere un’identità che non poteva (e non può) che essere il prodotto di una consapevole, sofisticata ri-elaborazione di quelle esperienze, di una consapevolezza storica e sociale dei nuovi termini in cui si poteva rappresentarle (Venezia) e/o ri-viverle (il maggio francese).
Costruire una ‘rappresentazione’ della propria vita passata e presente, come della propria storia (lo hanno notato tanto Goffman quanto Berger e Luckmann), costruire socialmente il proprio passato, la propria identità, ri-definire l’immagine ed il vissuto stesso dei luoghi in cui si vive, o si è vissuti, ha significato, infatti, produrre un linguaggio suggestivo che ha ‘teatralizzato’ le sovradeterminazioni mnemoniche di questi due passati, rendendoli così non solo assimilabili alle esperienze mentali delle proprie, personali rappresentazioni storiche, ma anche comunicabili al diverso ‘sentire’ dell’Altro. Questo ‘linguaggio’ non ha, tuttavia, rappresentato solo l’immaginaria costruzione di un disegno identitario, di esperienze mediate e comunicate attraverso personali processi di autocoscienza. Ha rappresentato – e rappresenta – anche un‘Altrove’ mentalmente intenso, cangiante. Ha rappresentato, dunque, anche un’appartenenza e un ‘pensare’: una particolare sensibilità nostalgica che ha prodotto importanti conseguenze sul piano delle sollecitazioni psicologiche e delle relative fruizioni ideologiche. Un ‘Altrove’ che ha, così, continuamente ri-adattato le sue diverse eredità, cercando un nuovo equilibrio, cercando un sé, un noi e un ‘luogo’ in cui ri-definirsi.
Narrare e rivivere gli anni e i mesi della rivolta contro l’ineluttabilità dei destini ‘di fabbrica’, contro le ideologie dell’integrazione capitalistica e/o della ‘repressione di Stato’, ‘fare la rivoluzione’ ha significato, così, cercare una forma mentale capace di reggere sia la complessità e le contraddizioni delle questioni presenti che l’ineliminabile eredità dei propri percorsi di vita. Così come coltivare le memorie dei ‘congedi eroici’ delle popolazioni dalmate verso la defunta Serenissima ha certamente reso, per così dire, nostalgicamente più leggibile la cifra storica, sociale e umana complessiva della ex civiltà dogale veneziana. L’‘Altrove’ di queste due eredità del passato ha, dunque, avuto a che fare con queste plurime ‘intenzioni’ culturali dei suoi evocatori e con i cangianti desideri della loro anima nostalgica. Memorie – plurimi ‘Altrove’, dunque – che hanno forzato, squilibrato sensazioni, proiezioni, immagini e che, forse, hanno rivelato e rivelano quell’“anima straniera sulla terra” che secondo lo studioso di emozioni collettive Eugenio Borgna costituirebbe “la cifra insondabile che sta alla base di ogni nostalgia: di ogni dolore per la patria del cuore e per la patria in carne e ossa, che si è allontanata e che sopravvive nella memoria”.
Bibliografia di riferimento
A. Benci, Il vento di Parigi. Percezione, trasposizione, memoria del maggio francese in Italia, tesi di laurea, relatore R. Petri, correlatore M. Isnenghi, Università di Venezia 2007
P. L. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale [1966], Bologna 1969
E. Borgna, L’arcipelago delle emozioni, Milano 2001
E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione [1959], Bologna 1969
M. Tomasutti, Perasto 1797: luogo di storia, luogo della memoria, tesi di laurea, relatore R. Petri, correlatore M. Isnenghi, Università di Venezia 2006