Quando l’arte si fa moda e la moda diviene arte. Reminescenze del passato nelle innovazioni del presente
Adriana Bianco | Università Ca' Foscari, Venezia
Una indagine attenta e puntuale del fenomeno “moda”, nell’attuale mondo consumistico, ci porta a scoprire quanto la tendenza a guardare sempre al futuro con continui cambi di stile e con la costante vocazione all’innovazione abbiano in realtà profonde radici nel nostro passato e si manifesti in forme e metodi di lavoro spesso considerati dimenticati.
Qualsiasi creazione dell’uomo che infonda emozioni e sappia far vivere nella dimensione del ‘sogno’ può essere considerata un’opera d’arte. Tale creazione presuppone l’unicità dell’attimo in cui l’idea viene posta in atto e diviene elemento fisico e tangibile passando da concetto a oggetto, percepibile non solo dal suo creatore ma da un pubblico più vasto che dalla sua visione riesca a trarre un giovamento emozionale. Ovviamente ogni artista agisce secondo uno stile proprio, una personale maniera di sentire e plasmare, caratteristica questa per cui la sua opera si distingue dalle altre e porta in sé il segno autografo, e pertanto riconoscibile e univoco, del suo creatore.
La moda si può paragonare a una forma di arte nel momento in cui l’ideatore riesce a estraniarsi dal sistema consumistico e a trasformare il suo lavoro in pura essenza stilistica tenendo in minor conto le esigenze vestimentarie. Ciò comporta un allontanamento definitivo dalla realizzazione dell’abito come prodotto, sottoposto alla ritualità della concretizzazione in serie, alle scadenze impellenti delle presentazioni stagionali, al battage pubblicitario della carta stampata, alle leggi di consumo del mercato dettate dalle ricerche di marketing. L’abito si fa arte, quindi, quando entra nel campo della sperimentazione assoluta, quando diviene un modo per produrre comunicazione dando al ‘fenomeno modai una apparenza diversa, più colta. È il momento in cui l’arte e la creatività proiettano il vestito oltre i confini della moda, come nei lavori di Roberto Capucci, divenuto lo “scultore del tessuto” per antonomasia che dagli esordi, con la sfilata-evento del ’51 a Firenze, ha continuamente stupito l’haute-couture con la sua “architettura del corpo”, fino agli anni ’80, quando si è volutamente separaro dalle strutture istituzionalizzate della moda, liberandosi così dai condizionamenti del mercato e scegliendo di disegnare una sola collezione all’anno. Ogni sfilata diviene così un atteso evento culturale.
La continua sperimentazione è la caratteristica essenziale che lega, anche nel settore dell’abbigliamento, il vecchio col nuovo, l’antico col moderno, dando vita a delle creazioni che sanno coniugare fogge del passato a materiali innovativi, come per l’abito realizzato da Calugi e Giannelli ed esposto alla mostra L’abito oltre la moda. Proposte per un museo tenutasi nelle sontuose sale di Palazzo Fortuny a Venezia nel 1991. La foggia settecentesca viene reinterpretata attraverso l’utilizzo di materiali inusuali come le piume di struzzo, marabù e pavone assemblate e rielaborate con tagli e ridipinture in una moderna rappresentazione dello stretto bustier e della gonna con forma a cupola definita dall’ampiezza e dalla rigidità in ricordo di antichi panieri e crinoline. La moda inoltre si relaziona di continuo col mondo dell’arte mimetizzandosi in modo camaleontico con le tendenze e gli stili caratteristici dei coevi movimenti culturali, entrando a far parte a pieno titolo di quel substrato tipico di ogni incisiva corrente artistica.
Tra le più forti tendenze dell’arte che hanno influenzato con il loro stile le fogge vestimentarie, senza stravolgere la vestibilità, sino al punto però da renderle un tutt’uno con il rispettivo movimento artistico, si possono annoverare sicuramente lo stile Bauhaus e lo stile Déco – il primo caratterizzato da linee morbide e dalla ricerca di liberare il corpo dalle rigide costrizioni del passato, il secondo con una netta tendenza alla geometrizzazione dei tagli, ai particolari accostamenti di colori e alla originalità degli accessori.
In assai stretta relazione con il mondo dell’arte è il fenomeno, molto diffuso nella moda, del revival. A volte lo si può cogliere dalla fedele riproposta di una foggia o di un dettaglio, altre volte dalla modellatura o dalla struttura di una particolare parte dell’abito. In alcuni casi si tratta di sottili riferimenti all’arte e all’oggettistica del passato decontestualizzate dal loro originale impiego e riutilizzate con funzioni di decoro. Nessuno stilista, nel mondo attuale della moda, è esente dalla tentazione di proporre, rivisitando e reinterpretando con tecniche sempre più innovative, quanto già trasmesso ai posteri attraverso le immagini di famosi dipinti. Il fenomeno del revival è tanto più adottato quanto più i tempi di creazione e di uscita delle collezioni sono ristretti. La necessità di soddisfare in modo rapido il capriccio e il desiderio di novità del consumatore conduce spesso a rivolgersi al passato per trovare quegli spunti di rinnovamento che sono stati codificati attraverso innumerevoli studi come ‘persistenza dell’abitudine’. Il passato diviene pertanto non solo spunto per l’elaborazione di nuove idee da parte degli addetti ai lavori, ma anche motivo di rassicurazione nei confronti dei fruitori della moda che, senza il persistere di elementi conosciuti, si sentirebbero particolarmente disorientati davanti a dei cambiamenti troppo drastici.
Come già detto, innumerevoli sono i creatori che hanno dato un grande contributo alla moda con le loro personali elaborazioni e le loro originali capacità di rapportarsi col passato, basti pensare alla collezione primavera-estate 1996 di Givenchy con la sua rivisitazione del periodo neoclassico o alla collezione autunno-inverno 1998 di Lacroix con il revival della moda settecentesca. Tra gli stilisti contemporanei che più vivacemente sanno coniugare con il loro spirito creativo modernità e retaggio storico si può collocare senza ombra di dubbio John Galliano con la sua predilezione per il costume del XVIII e XIX secolo, che sfocia a volte in autentica ossessione. Divenuto dal 1997 direttore creativo della maison Dior, in occasione del 60° anniversario del marchio egli ha presentato a Parigi una eccezionale sfilata per la primavera-estate 2007, in cui ha saputo coniugare creatività nella ricostruzione storica e gusto per la teatralità, in un connubio, sul filo della ricerca dell’eccesso, di genio e sregolatezza. Il bagaglio culturale che abbiamo ereditato dal passato ovviamente non si evidenzia solo nella rielaborazione e attualizzazione di fogge antiche, ma anche nelle varie tecniche di lavorazione collegate alla filiera produttiva del settore dell’abbigliamento, tanto che le innovazioni continue rivoluzionano modi e tempi per rispondere sempre più efficacemente alle esigenze del mercato.
Bibliografia di riferimento
J. A. Black, M. Garland, Storia della moda [1975], Novara 1986
D. Calanca, Storia sociale della moda, Milano 2002
G. Dorfles, Mode & Modi, Milano 1979
Roberto Capucci. Arte e creatività oltre i confini della moda, catalogo della mostra (Gorizia 2 luglio-2 ottobre 2004), a cura di R. Sgubin, Gorizia 2004
L’abito oltre la moda. Proposte italiane per un museo, catalogo della mostra (Venezia 1991), a cura di M. Tosa, Milano 1991