Il centro della Casa della Luce a nove stanze: dal Lo-Shu al Sudoku
Roberto Milazzi | Università Iuav di Venezia
Il Lo-Shu simboleggia l’organizzazione spazio-temporale dell’Impero Cinese e dei suoi riti stagionali. La Casa della Luce ne riprende orientamento e composizione. Ad esso e al suo centro rinviano echi letterari persiani ed ebraici. Nel suo migrare verso Occidente è ridotto a talismano, a gioco e infine a passatempo: il Sudoku.
Anticamente erano considerati numeri solamente gli interi positivi, che i matematici moderni hanno compreso nell'insieme dei numeri naturali includendovi lo zero. Le figure con le quali venivano rappresentati questi numeri li rendevano suscettibili di operazioni diverse da quelle a noi rese abituali dall'impiego delle cifre arabe per il calcolo: operazioni che tenevano conto delle loro differenti qualità. Fino all'età moderna, infatti, la “quantità” non era che uno fra i molteplici attributi di ogni numero: ad esempio tra i pitagorici i numeri pari e dispari erano considerati rispettivamente femminili e maschili. Una distinzione dei numeri per genere è riscontrabile in Cina fin dal primo dei testi classici: l'I-Ching (Libro dei mutamenti).
La Cina, per identificare la quale si impiega tuttora l'espressione “Impero del Centro”, affonda le proprie radici nel mito. Questo lavoro tenta di seguire lo sviluppo di una di queste radici. Si narra che all’indomani del diluvio l’imperatore Yu interrogasse le acque del Fiume alla ricerca di un segno che indirizzasse la sua condotta in un frangente così drammatico. Il responso si offrì in forma di nove cifre sul guscio di una tartaruga. Il quadrato che include quelle cifre è detto Lo-Shu, ovvero “Decreto del Fiume”: su questo disegno l’imperatore divise l'Impero in nove province, otto delle quali circondavano quella regale. Procedendo ricorsivamente con la suddivisione si arrivava al centro dell'Impero: il Ming Tang o “Padiglione della Luce”.
Non è chiaro se il messaggero che ispirò l'imperatore Yu fosse un drago o una tartaruga: ambiguità apparente che si rivela ottimo indizio per interpretare il mito in chiave cosmologica. La tartaruga-serpente è infatti una delle quattro costellazioni polari, a ciascuna delle quali è assegnata una direzione, un colore, una stagione. L'imperatore aveva il monopolio delle osservazioni astronomiche e solo a lui, in quanto Figlio del Cielo, spettava il privilegio di stabilire il calendario. Ecco che allora il “Fiume” per antonomasia è l'Asse del Mondo, come già Gangâ fu ed è per gli Hindu sia dea celeste che fiume terrestre (per quanto in Occidente si insista comunque a chiamarla “il” Gange). Che cosa significa dunque l'uscita dal fiume della tartaruga?
Nel suo capolavoro The Hamlet's Mill Giorgio de Santillana argomenta con esempi tratti dal patrimonio folklorico di quasi tutti i popoli della Terra un'idea originale quanto audace: il racconto del diluvio non sarebbe stato ispirato da una catastrofe idrogeologica, ma dalla constatazione di un disordine celeste – il cielo non ruotava più concordemente a quello che fino ad allora era stato considerato il suo perno. Questa ipotesi è fondata su un dato astronomico reale: la precessione degli equinozi. L'asse terrestre è inclinato rispetto al piano dell'eclittica: in poco meno di ventiseimila anni esso descrive – come una colossale trottola – due grandi cerchi nelle regioni polari del cielo traguardando ciascuno dei punti delle due circonferenze.
Una raffigurazione della volta celeste di area mediterranea risalente ai primi secoli della nostra era offre un'interessante spunto per l'interpretazione del segno che caratterizza la stanza centrale del Ming Tang, ovvero il Taiji (“Grande Culmine”). Si tratta del Planisfero Bianchini (da Francesco Bianchini, allora sovrintendente delle antichità di Roma presso lo Stato Pontificio), del quale furono trovati alcuni frammenti sull'Aventino all'inizio del Settecento. In esso il polo coincide con il punto di flesso dei due meandri del corpo del Drago, ciascuno dei quali abbraccia un asterismo riconoscibile: l'Orsa Maggiore dalla parte della coda e l'Orsa Minore da quella della testa. Una stilizzazione riflessa di questa figura richiama il Taiji.
L'analogia astronomica non basta comunque ad esaurire la ricchezza di un simbolo che – in quanto cosmologico – attraversa tutti i livelli della realtà. Assai significativo a questo riguardo è un brano del Daxue (“Grande Insegnamento”), messo in particolare risalto tanto dal Granet che dal Graham. Vi s'illustra lo spirito dell'Arte che consentiva agli antichi sovrani di ripristinare e mantenere la “Grande Pace”, quella che si estende alle cose oltre che agli uomini. Essa è descritta come un doppio movimento, il cui fulcro è la conoscenza spinta al suo massimo grado. La vera intelligenza risiede infatti nel cuore, al cui interno – riporta il capitolo sulla disciplina interiore del Guanzi – si trova un altro cuore, che “intende anticipando le parole”.
L'immagine del cosmo, il palazzo e la conoscenza perfetta che garantiva al sovrano di non venire meno al mandato celeste riemergono in due opere che segnano altrettante tappe fondamentali della migrazione del tema verso occidente: Le praterie d'oro dello storico persiano del decimo secolo Mas'ÅdÄ e il Libro della porta del desiderio di Yochanan Alemanno, cabalista ebreo italiano del quindicesimo secolo. In entrambi viene descritto un palazzo mirabile edificato in Cina in tempi remotissimi (Alemanno lo attribuisce a Iafet, figlio di Noè), capace di illustrare al saggio la natura delle cose celesti. Corbin lo identifica col castello descritto da SuhrawardÄ, per penetrare il quale occorre “invertire le regole del giorno e della notte”.
Da questa parte del Mediterraneo il Lo-Shu fu infine trascritto nelle cifre a noi familiari, riprodotto e diffuso come primo di una lunga serie di quadrati di ordine crescente, ma ancora associati a metalli, colori e pianeti. Dürer forse fu il primo a lasciarsi tentare dal ‘gioco’ con un quadrato di ordine quattro, per indicare l'anno in cui fu realizzata l'incisione Melencholia I. Due secoli dopo il matematico svizzero Leonhard Paul Euler si dilettò con gli aspetti geometrico-matematici legati alla costruzione di queste figure e Benjamin Franklin poté vantarsi di essere riuscito nell'impresa di costruire un “quadrato magico” di ordine sedici. Di gioco in gioco il palazzo meraviglioso e la sua stanza centrale sono svaniti senza lasciare traccia.
Bibliografia di riferimento
H. Corbin, L'immagine del Tempio [1980], a cura di C. Jambet, tr. it. Torino 1983
R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia. Studi su storia della filosofia naturale, medicina, religione e arte [1964], tr. it. Torino 1983
R. Patai, Alchimisti Ebrei. Storia e Fonti [1994], tr. it. Genova 1997
G. de Santillana, H. von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo [1969], tr. it. Milano 1983
A. Snodgrass, Architettura, Tempo, Eternità. Il simbolismo degli astri e del tempo nell'architettura della Tradizione [1988], tr. it. Milano 2004