Laocoonte: variazioni sul mito
con una Galleria delle fonti letterarie e iconografiche
a cura del Centro studi classicA, coordinato da Monica Centanni
English abstract
Il gruppo scultoreo del Laocoonte rinvenuto a Roma nel 1506 è diventato, a partire dal Rinascimento, un mito per l'estetica moderna. Ma qual è il 'vero' mito di Laocoonte? A fronte della sua fama postuma, legata per lo più al marmo vaticano e all'episodio incluso da Virgilio nel secondo libro dell'Eneide, le fonti letterarie e iconografiche antiche della storia del disgraziato sacerdote troiano non sono invece affatto numerose.
Arctino
La versione letteraria più antica del mito di Laocoonte di cui sia rimasta notizia è in una Iliou Persis (Distruzione di Troia) del poeta epico Arctino da Mileto (VII sec. a.C.), di cui Proclo (V sec. d.C.) parafrasa un brano relativo al sacerdote troiano: mentre i Troiani discutono fra loro riguardo al dono votivo lasciato sulla spiaggia dagli Achei (bruciare il cavallo, gettarlo dalle mura, consacrarlo ad Atena), due serpenti apparsi improvvisamente dal mare uccidono Laocoonte e uno dei figli. Atterriti dal prodigio, Enea e i suoi si ritirano sul monte Ida. In questa versione del mito la comparsa dei serpenti e l'uccisione del sacerdote e del figlio, spaventando Enea e i suoi, producono l'effetto di salvarli dalla strage dei Troiani che avverrà nella notte, e quindi indirettamente garantiscono la vita e il futuro di Enea: Laocoonte è la vittima sacrificale per la fondazione di Roma.
Arctino, Iliou Persis, apud Proclo, Chrest. 92, 246
τραπέντες δὲ εἰς εὐφροσύνην εὐωχοῦνται (scil. Troiani) ὡς ἀπηλλαγμένοι τοῦ πολέμου. ἐν αὐτῷ δὲ τούτῳ δύο δράκοντες ἐπιφανέντες τόν τε Λαοκόωντα καὶ τόν ἕτερον τῶν παίδων διαφθείρουσιν. ἐπι δὲ τῷ τέρατι δυσφορήσαντες οἱ περὶ τὸν Αἰνείαν ὑπεξῆλθον εἰς τὴν Ἴδην.
Bacchilide
Secondo la testimonianza di Servio (V sec. d.C.) in un poema di Bacchilide (V sec. a.C.) sarebbe stata menzionata, accanto al sacerdote troiano, la moglie; inoltre i serpenti emersi dal mare sarebbero poi stati mutati in uomini.
Bacchilide, apud Servio, in Verg. Aen. II 201
Sane Bacchylides de Laocoonte et uxore eius vel de serpentibus a Calydnis insulis venientibus et in homines conversis dicit.
Sofocle, frammenti dal Laocoonte
La variazione secondo cui Apollo si sarebbe adirato con il suo sacerdote perché si era sposato, trasgredendo a un suo divieto, e si era congiunto alla moglie proprio davanti al suo tempio, era forse il nucleo mitico della tragedia Laocoonte di Sofocle (V sec. a.C.).
Sofocle, Laocoon, TrGF frr. 370-377 Radt
370 Harpocr. 8, 8 Dind
λάμπει δ᾽ἀγυιεὺς βωμὸς ἀτμίζων πυρὶ
σμύρνης σταλαγμούς, βαρβάρους εὐοσμίας
371 Σ VE Ar., Ran. 665
Πόσειδον, ὃς Αἰγαίου νέμεις
πρῶνας ἢ γλαυκᾶς μέδεις εὐανέμου
λίμνας ἐφ᾽ὑψηλαῖς σπιλάδεσσι †στομάτων†
372 Serv., in Verg. Aen. II 204
horum sane draconum (sc. qui Laocoontem petierunt) nomina Sophocles in Laocoonte dicit
(cfr: Σ ss Lycophr. 347 Πόρκις καὶ Χαρίβοια ὀνόματα δρακόντων, οἳ πλεύσαντες ἐκ τῶν Καλυδνῶν νήσων ἦλθον εἰς Τροίαν καὶ διέφθειραν τοὺς παῖδας Λαοκόωντος ἐν τῷ τοῦ Θυμβραίου Ἀπόλλωνος νεῷ).
373 Dion. Hal., Ant. Rom. 1, 48, 2
Σοφοκλῆς μὲν ὁ τραγῳδοποιὸς ἐν Λαοκόωντι δράματι μελλούσης ἁλίσκεσθαι τῆς πόλεως πεποίηκε τὸν Αἰνείαν ἀνασκευαζόμενον εἰς τὴν Ἴδην, κελευσθέντα ὑπὸ τοῦ πατρὸς Ἀγχίσου κατὰ τὴν μνήμην ὧν Ἀφροδίτη ἐπέσκηψε καὶ ἀπὸ τῶν νεωστὶ γενομένων περὶ τοὺς Λαοκοωντίδας σημείων τὸν μέλλοντα ὄλεθρον τῆς πόλεως συντεκμηραμένου. Ἔχει δὲ αὐτῷ τὰ ἰαμβεῖα ἐν ἀγγέλου προσώπῳ λεγόμενα ὧδε·
ΑΓΓΕΛΟΣ
νῦν δ᾽ἐν πύλαισιν Αἰνεας ὁ τῆς θεοῦ
πάρεστ᾽, ἐπ᾽ὤμων πατέρ᾽ ἔχων κεραυνίου
νώτου καταστάζοντα βύσσινον φάρος,
κύκλῳ δὲ πᾶσαν οἰκετῶν παμπληθίαν·
συνοπάζεται δὲ πλῆθός οἱ πόσον δοκεῖς,
οἳ τῆσδ᾽ ἐρῶσι τῆς ἀποικίας Φρυγῶν.
374 Stob. 3, 29
πόνου μεταλλαχθέντος οἱ πόνοι γλυκεῖς.
375 Stob. 3, 29, 37
μόχθου γὰρ οὐδεὶς τοῦ παρελθόντος λόγος.
376 P= 369a Phot. Berol. 136, 28
ἀνηλόκισμαι
377 Hsch. Κ 1369 Latte
καταρράκτης (de aquila dictum)
Dai pochi frammenti del dramma sofocleo conservati per tradizione indiretta, si recuperano i seguenti dati:
– il nome dei due draghi marini "Porkis" e "Charibea" (il dato si ricava dalla lettura incrociata di Servio, In Verg. Aen. II, 204 e discholium ad Lycophr. 347 e);
– l'uccisione dei due figli del sacerdote, ma non di Laocoonte, da parte degli stessi serpenti (da scholium ad Lycophr. 347 e);
– il collegamento tra il sacrificio di Laocoonte e la salvezza di Enea (Dion. Hal., Ant. Rom. I, 48, 2).
Vaso Jatta e Vaso Basilea
Sono stati messi in relazione alla tragedia i frammenti di due vasi, datati l'uno, appartenente alla Collezione Jatta, agli ultimi decenni del V sec. a.C., il secondo, conservato a Basilea, al primo quarto del IV a.C. Da entrambe le testimonianze si ricava una scena pressoché identica, in cui una donna irrompe con una scure, impugnandola con entrambe le mani alta sopra la testa, e aggredisce una statua di Apollo a cui sono avvinghiati dei serpenti. Sia nel vaso Jatta sia nel vaso Basilea ai piedi della statua giacciono i resti sbranati del corpo di un giovinetto.
Entrambi i vasi presentano anche lo stesso dio Apollo che assiste alla scena (dietro la sua statua nel vaso Jatta, con accanto la sorella Artemide; di fronte ad essa, dopo le figure femminile e maschile, nel vaso di Basilea). Nel vaso Jatta accanto alla statua si trova anche un tripode.
La postura aggressiva della figura femminile riproduce una ben riconoscibile Pathosformel, tipica dell'aggressione femminile, violenta e inconsulta (vedi la Nota: Pathosformeln dell'aggressione, della difesa e della disperazione.
Dal più completo cratere di Basilea si recupera anche la presenza di una figura maschile, che segue dietro alla figura irruente femminile e porta la mano alla testa, in segno di dolore e disperazione.
Nel complesso, dalle due testimonianze vascolari si ricava dunque una scena che consente di ricostruire la seguente successione drammatica:
– uno dei figli di Laocoonte viene aggredito dai serpenti all'interno del tempio del dio Apollo, accanto alla stessa statua del dio;
– il giovinetto giace sbranato ai piedi della statua e i serpenti si avvinghiano alla statua di Apollo;
– irrompe la madre e aggredisce i serpenti (e quindi la stessa statua del dio a cui sono avvinghiati) con una scure che brandisce aggressivamente con entrambe le mani;
– dietro di lei segue Laocoonte che porta una mano alla testa, in segno di disperazione;
– assiste alla scena Apollo, con in mano un alberello di alloro e accanto la sorella Artemide con arco (Jatta); ovvero con in mano l'alloro che gli corona anche il capo e nell'altra mano l'arco (Basilea).
Dai frammenti letterari e iconografici del V e del IV secolo a.C. pare quindi che il nucleo tragico su cui Sofocle impostava l'azione del suo dramma fosse la colpa di Laocoonte: forse, stando alle testimonianze mitografiche successive di Euforione e di Igino, si trattava di una trasgressione compiuta dal sacerdote contro la proibizione divina di generare figli, e in questo senso il mito tragico del Laocoonte sofocleo sarebbe assimilabile al mito del Laio di Eschilo e dell'Edipo re dello stesso Sofocle.
Laocoonte nella tragedia verrebbe punito da Apollo non direttamente nella sua persona (o in quella della moglie, complice del sacrilegio), ma pagherebbe la sua hybris con il sangue dei figli (frutto del sacrilegio), e sopravvivrebbe alla loro fine.
Se la raffigurazione presente su entrambi i vasi Jatta e Basilea è davvero riferibile al dramma sofocleo, è possibile ricostruire una scena della tragedia in cui la moglie di Laocoonte si scaglia, impugnando una scure bipenne, contro la statua del dio dei serpenti, evidentemente in un impeto d'ira sacrilega causata dalla morte del figlio, il cui corpo giace a brani ai piedi dell'agalma di Apollo.
Dal frammento più consistente della tragedia di Sofocle si ricostruisce un episodio, forse successivo, del dramma: un àggelosracconta, in trimetri giambici, la scena della fuga di Enea con il padre Anchise sulle spalle. Dunque nella tragedia di Sofocle si conferma che, come nella versione di Arctino, l'episodio di Laocoonte è in qualche modo collegato alla fuga, e quindi alla salvezza, di Enea.
Un'ultima testimonianza vascolare, collegabile in modo meno certo al dramma sofocleo, è la scena che compare su un altro vaso, un kantharos del British Museum, datato verso la metà del V secolo a.C. Un uomo barbato, con in pugno una spada sguainata, appoggia il ginocchio a un altare, in posizione di difesa; un serpente lo aggredisce alla spalla sinistra. Intanto una figura alata e barbata (Thanatos) solleva il cadavere di un giovinetto (non barbato) che giace presso l'altare.
Nell'ipotesi che anche questo vaso sia ispirato a una scena della tragedia sofoclea, risulta più difficile – rispetto alle altre due, omogenee e coerenti, raffigurazioni vascolari – la ricostruzione della successione drammaturgica che vedrebbe qui Laocoonte aggredito anch'esso direttamente dai draghi marini e impegnato a difendere se stesso e, invano, uno dei figli.
Resta comunque da evidenziare il dato che tutti i reperti vascolari che presentano una scena con l'aggressione (consumata o in atto) dei serpenti contro il figlio di Laocoonte (Jatta, Basilea, British) o contro lo stesso 'Laocoonte' (British) sono datati tra l'ultimo quarto del V secolo a.C. e il primo del IV: tutti quindi cronologicamente vicini a una possibile data di rappresentazione del dramma sofocleo.
Euforione
In età ellenistica il direttore della Biblioteca di Antiochia, Euforione di Calcide (III sec. a.C.), secondo una testimonianza che Servio (V sec. d.C.) produce nel suo ricco commento all'Eneide virgiliana avrebbe riportato una versione complicata del mito: Laocoonte, sacerdote di Apollo, sarebbe stato chiamato in causa dai Troiani, poiché, quando i Greci erano sbarcati sul lido di Troia, avevano lapidato il sacerdote di Poseidone per non aver impedito quello sbarco con i suoi sacrifici.
Euforione, apud Servio, in Verg. Aen. II 201
Ut Euphorion dicit, post adventum Graecorum sacerdos Neptuni lapidibus occisus est quia non sacrificiis eorum vetavit adventum. Post abscedentibus Graecis, cum vellent sacrificare Neptuno, Laocoon Thymbraei Apollinis sacerdos sorte ductus est, ut solet fieri, cum deest sacerdos certus. Hic piaculum commiserat ante simulacrum numinis cum Antiopa sua uxore coeundo, et ob hoc inmissis draconibus cum suis filiis interemptus est.
Laocoonte verrebbe quindi chiamato come sacerdote supplente, in mancanza del "sacerdos certus". Euforione (iuxta Servio) è anche il primo che riporta esplicitamente la notizia (forse derivata dalla versione sofoclea) della colpa di Laocoonte: si tratta del "piaculum" che il sacerdote commise congiungendosi con la moglie 'Antiopa' (in Euforione compare per la prima volta questo nome) davanti alla statua del dio, che provocò poi la punizione dei serpenti, mandati a uccidere Laocoonte stesso e i suoi figli.
Apollodoro/ps. Apollodoro
Dall'opera mitografica del direttore della Biblioteca di Alessandria Apollodoro di Atene (II sec. a.C.), deriva il compendio contenuto nell'Epitome, databile al II-III secolo d.C. Nel testo di Apollodoro il racconto relativo a Laocoonte è così riassunto: Cassandra e Laocoonte "sostenevano che il cavallo era pieno di guerrieri armati e i Troiani stavano discutendo se darlo alle fiamme o buttarlo giù da un dirupo". Ma i più pensano di consacrarlo come offerta votiva ad Atena: allora "Apollo invia loro un segno: dalle isole vicine giungono attraverso il mare due serpenti che divorano i figli di Laocoonte" (ps.Apollodoro, Ep. V, 16-19). La sintesi dell'episodio riprende, nell'elemento narrativo dell'uccisione dei soli figli, la versione sofoclea, ma non fa menzione della 'colpa' del sacerdote: l'attenzione è tutta puntata sull'ambientazione troiana, epica, della vicenda – compaiono infatti Cassandra e il tema della diffidenza nei confronti del cavallo.
ps.Apollodoro, Epitome V, 16-19
Ἡμέρας δὲ γενομένης ἔρημον οἱ Τρῶες τὸ τῶν Ἑλλήνων στρατόπεδον θεασάμενοι καὶ νομίσαντες αὐτοὺς πεφευγέναι, περιχαρέντες εἷλκον τὸν ἵππον καὶ παρὰ τοῖς Πριάμου βασιλείοις στήσαντες ἐβουλεύοντο τί χρὴ ποιεῖν. Κασάνδρας δὲ λεγούσης ἔνοπλον ἐν αὐτῷ δύναμιν εἶναι, καὶ προσέτι Λαοκόωντος τοῦ μάντεως, τοῖς μὲν ἐδόκει κατακαίειν, τοῖς δὲ κατὰ βαράθρων ἀφιέναι˙ δόξαν δὲ τοῖς πολλοῖς ἵνα αὐτὸν ἐάσωσι θεῖον ἀνάθημα, τραπέντες ἐπὶ θυσίαν εὐωχοῦντο. Ἀπόλλων δὲ αὐτοῖς σημεῖον ἐπιπέμπει˙ δύο γὰρ δράκοντες διανηξάμενοι διὰ τὴς θαλάσσης ἐκ τῶν πλησίον νήσων τοὺς Λαοκόωντος υἱοὺς κατεσθίουσιν.
Virgilio
La più nota e fortunata versione del mito di Laocoonte è contenuta nei versi 40 ss. del II libro dell'Eneide di Virgilio (I sec. a.C.).
Virgilio, Aen. II, 40-56, 199-245
Primus ibi ante omnis, magna comitante caterva,
Laocoon ardens summa decurrit ab arce,
et procul: "O miseri, quae tanta insania, cives?
Creditis avectos hostis? Aut ulla putatis
dona carere dolis Danaum? Sic notus Ulixes?
aut hoc inclusi ligno occultantur Achivi,
aut haec in nostros fabricata est machina muros
inspectura domos venturaque desuper urbi,
aut aliquis latet error; equo ne credite, Teucri.
Quicquid id est, timeo Danaos et dona ferentis".
Sic fatus, validis ingentem viribus hastam
in latus inque feri curvam compagibus alvum
contorsit: stetit illa tremens, uteroque recusso
insonuere cavae gemitumque dedere cavernae.
Et, si fata deum, si mens non laeva fuisset,
impulerat ferro Argolicas foedare latebras,
Troiaque, nunc stares, Priamique arx alta, maneres.
[...]
Hic aliud maius miseris multoque tremendum
obicitur magis atque improvida pectora turbat.
Laocoon, ductus Neptuno sorte sacerdos,
sollemnis taurum ingentem mactabat ad aras.
Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
– horresco referens – immensis orbibus angues
incumbunt pelago, pariterque ad litora tendunt;
pectora quorum inter fluctus arrecta iubaeque
sanguineae superant undas; pars cetera pontum
pone legit, sinuatque immensa volumine terga.
Fit sonitus spumante salo; iamque arva tenebant,
ardentisque oculos suffecti sanguine et igni,
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.
Diffugimus visu exsangues: illi agmine certo
Laocoonta petunt; et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat, et miseros morsu depascitur artus;
post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati, superant capite et cervicibus altis.
Ille simul manibus tendit divellere nodos,
perfusus sanie vittas atroque veneno,
clamores simul horrendos ad sidera tollit:
quales mugitus, fugit cum saucius aram
taurus, et incertam excussit cervice securim.
At gemini lapsu delubra ad summa dracones
effugiunt saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur.
Tum vero tremefacta novus per pectora cunctis
insinuat pavor, et scelus expendisse merentem
Laocoonta ferunt, sacrum qui cuspide robur
laeserit, et tergo sceleratam intorserit hastam.
Ducendum ad sedes simulacrum orandaque divae
numina conclamant.
Dividimus muros et moenia pandimus urbis.
Accingunt omnes operi, pedibusque rotarum
subiciunt lapsus, et stuppea vincula collo
intendunt: scandit fatalis machina muros,
feta armis. Pueri circum innuptaeque puellae
sacra canunt, funemque manu contingere gaudent.
Illa subit, mediaeque minans inlabitur urbi.
O patria, o divum domus Ilium, et incluta bello
moenia Dardanidum, quater ipso in limine portae
substitit, atque utero sonitum quater arma dedere:
instamus tamen inmemores caecique furore,
et monstrum infelix sacrata sistimus arce.
L'episodio di Laocoonte è collocato all'interno del racconto della caduta di Troia che Enea ricapitola su invito di Didone: i Troiani sono stanchi di guerra e vogliono credere che il cavallo sia un segno della fine dell'assedio. Si apprestano quindi a trascinare il presunto dono votivo dei nemici in città, quando interviene dalla rocca Laocoonte ("Laocoön ardens summa decurrit ab arce") che cerca di scuotere i suoi concittadini e di renderli accorti dell'inganno ("equo ne credite, Teucri"). Per dare consistenza alle sue parole colpisce il cavallo con l'asta e il ventre del micidiale cavallo rimbomba, comprovando la fondatezza dei sospetti del sacerdote. Ma né la percezione della cavità del ventre del cavallo, né il rumore delle armi dei Greci nascosti nel suo grembo, che risuoneranno quando il gigantesco giocattolo ligneo inciamperà sulla soglia delle porte della città, bastano a far rinsavire gli incauti Troiani, ottenebrati dal desiderio di vedere finita la guerra: a convincerli definitivamente interviene il furbo Sinone, che con le sue menzogne li persuade che il cavallo e lui stesso sarebbero stati lasciati sul lido di Troia dai Greci come offerte sacrificali ad Atena, per risarcire la dea del furto del Palladio. Mentre i Troiani vacillano nella decisione da prendere, dal mare emergono i draghi che attaccano e uccidono i figli del sacerdote, prima, e poi lui stesso.
Affreschi di Pompei
La descrizione della lotta tra Laocoonte e i serpenti proposta dal testo virgiliano si trova illustrata in due affreschi pompeiani (I sec. a.C.) in cui vengono sintetizzate le scene del sacrificio del toro che il sacerdote stava compiendo sul lido, la fuga della vittima ("Quales mugitus, fugit cum saucius aram / taurus, et incertam excussit cervice securim"), lo sbigottimento dei Troiani che assistono alla scena ("Diffugimus visu exsangues"), l'uccisione per sbranamento dei due figli ("Parva duorum / corpora natorum serpens amplexus uterque / implicat, et miseros morsu depascitur artus"), la resistenza disperata di Laocoonte ("Ipsum... corripiunt, spirisque ligant ingentibus; et iam / bis medium amplexi, bis collo squamea circum / terga dati, superant capite et cervicibus altis. / Ille simul manibus tendit divellere nodos, / perfusus sanie vittas atroque veneno, / clamores simul horrendos ad sidera tollit").
Gli affreschi pompeiani sono da mettere in relazione con il rilancio del mito troiano nel clima generale della nouvelle vaguemitologica della prima età augustea. Ma nello specifico costituiscono la risposta figurativa alla coeva fortuna letteraria dell'episodio virgiliano, che decide per una versione tutta particolare del mito: al centro della storia è un Laocoonte del tutto incolpevole, obiettivo innocente della violenza divina e, implicitamente, vittima sacrificale indispensabile per l'inverarsi del destino che vuole la caduta di Troia, in previsione della futura nascita di Roma. Da evidenziare però il fatto che nel testo dell'Eneide, a differenza che nella versione più antica, presente ad esempio in Arctino e in Sofocle, non viene messo in rilievo il nesso eziologico tra il sacrificio di Laocoonte e la ritirata di Enea sull'Ida che garantisce la salvezza del progenitore di Roma.
Laocoonte nel ms. Vat Lat. 3325
In dipendenza diretta dal testo di Eneide II è l'illustrazione dell'episodio di Laocoonte contenuta nel preziosissimo manoscritto Vat. Lat. 3325 (V sec. d.C.) che, alla carta 18v, presenta una illustrazione della scena virgiliana.
All'esemplare dell'illustrazione vaticana – e indi, per quella via, al racconto virgiliano – è accostabile, quanto alla composizione e alla postura delle figure, un'altra testimonianza iconografica del Basso Impero: una piccola serie di contorniati (IV sec. d.C.). Della medaglia che porta sul verso l'immagine del Laocoonte, esistono tre varianti che presentano sul verso la stessa figura, con minime varianti, e recano sul recto il profilo di Nerone o di Vespasiano o di Traiano.
Rispetto all'illustrazione del manoscritto vaticano, le figure appaiono più mosse e agitate, ma notevoli sono le concordanze nella composizione e nella postura del sacerdote (con il ginocchio puntato sull'altare) e dei figli (quasi appesi al petto del padre). L'immagine di Laocoonte sulla medaglia, anche in relazione ad altre raffigurazioni di episodi del ciclo troiano presenti su altri contorniati, è da interpretare alla luce del rilancio del mito troiano in età post-costantiniana, e, secondo parte della critica, forse anche da considerare nel senso di un valenza ideologica che avrebbero avuto questo particolare tipo di oggetti, come mezzo di propaganda culturale dell'"aristocrazia pagana del IV secolo" (vedi: Nota sui 'contorniati').
Proprio nell'età di Virgilio, nella temperie culturale del saeculum augustum, si colloca invece la creazione della più celebre opera monumentale: il gruppo scultoreo che sarà ritrovato a Roma il 14 gennaio 1506, in una 'vigna' presso Santa Maria Maggiore, noto come Laocoonte vaticano (I sec. a.C.) poiché fin dall'epoca del suo ritrovamento appartiene alla collezione dei Musei Vaticani.
Plinio e la riscoperta rinascimentale
La scultura è datata agli ultimi decenni del I secolo a.C. ed è con tutta probabilità opera dei tre scultori rodii citati un secolo più tardi da Plinio – Agesandro, Polidoro, Atanadoro – che firmano anche il gruppo di Scilla nella grotta di Sperlonga (vedi: Nota sul ciclo di Sperlonga)
La prima ricognizione sul reperto venne eseguita da due esperti di eccezione, inviati in ispezione dal papa Giulio II: Giuliano da Sangallo e Michelangelo Buonarroti. Secondo una testimonianza resa molti anni dopo da Francesco da Sangallo (in una lettera a Vincenzo Borghini, del 28 febbraio 1567), il padre Giuliano, vista la statua ancora parzialmente interrata, avrebbe esclamato:"Questo è Hilaoconte, che fa mentione Plinio":
Io era di pochi anni la prima volta ch'io fui a Roma, che fu detto al papa che in una vigna presso Santa Maria Maggiore s'era trovato certe statue molto belle. El papa commandò un palafreniere: 'Va' e di' a Giuliano da S.Gallo che subito là vadia a vedere'. Et così subito s'andò. Et perché Michelangelo Bonarroti si trovava continuamente in casa che mio padre l'haveva fatto venire et gli aveva allogata la sepoltura del papa et volle che ancor lui andasse; ed io così in groppa a mio padre, et andammo. Et scesi dove erano le statue, subito mio padre disse: "Questo è Hilaoconte, che fa mentione Plinio" et si fece crescere la buca, per poterlo tirare fuora. Et visto, ci tornamo a desinare et sempre si ragionà delle cose antiche.
Anche in una lettera scritta a pochi giorni dal ritrovamento (24 gennaio 1506) da Bonsignore Bonsignori a Bernardo Michelozzi compare il riferimento alla citazione pliniana:
A questi giorni un romano di chi non mi ricordo il nome a una sua vigna presso alle Carocce ha trovato una scultura antica bellissima di marmo, chosa più nobile che havessino i romani in quelli tempi e di che fane menzione Vergilio e Plinio, cio(è) un Laocoonta con li figli e con li serpenti tutto chome pone Vergilio in secondo Eneados [...]. Ora tutta tal chosa è sculta in questo marmo, e se bene ho a mente, Plinio dice tal chossa essere nella casa di Severo o vero d'Antonino Pio. Voi meglio lo potrete vedere in Plinio libro 36 [...] Quivi troverete la memoria di tal chosa e di chi epsa è mano, e certamente è chosa mirabile a vederla e tutte le figure paiono vive. El vice cancelliere ne ha voluto dare al padrone uno ufficio di ducati 10 o 20, non l'à voluta dare; ora li Romani la vorrebbero in Capitolio e il papa anche la volle. Vedemo quello che se ne farà; anchora è in chasa del padrone, ove sta con reputazione assai.
Il riferimento è al passo del libro XXXVI della Naturalis Historia di Plinio (I sec. d.C.) che costituisce l'unica testimonianza letteraria antica riferibile a questa opera.
Plinio, Naturalis Historia XXXVI, 37
Quorundam claritati in operibus eximiis obstante numero artificum, quoniam nec unus occupat gloriam nec plures pariter nuncupari possunt, sicut in Laocoonte, qui est in Titi imperatoris domo, opus omnibus et picturae et statuariae artis praeferendum. Ex uno lapide eum ac liberos draconumque mirabiles nexus de consilii sententia fecere summi artifices Hagesander et Polydorus et Athenodorus rhodii.
Plinio introduce la menzione del Laocoonte come caso esemplare della difficile gloria del nome dell'artista nel caso dei capolavori che siano opera di più autori: non è il soggetto mitologico, la vicenda del sacerdote troiano, a interessare l'autore, ma il pretium tecnico dell'opera d'arte. Dal testo di Plinio si ricavano alcuni dati essenziali:
– il nome e la provenienza rodia degli autori "summi artifices Hagesander et Polydorus et Athenodorus rodii";
– il fatto che l'opera fu eseguita "in collaborazione e di comune accordo" (così interpreta Settis il discusso "de consilii sententia");
– il fatto che l'opera di cui si parla è fatta "ex uno lapide";
– la collocazione dell'opera "in Titi imperatoris domo";
– un giudizio di eccellenza sul capolavoro, da preferirsi a tutti gli altri (si intende forse dello stesso soggetto) eseguiti in pittura o in statuaria (scultura in bronzo) "opus omnibus et picturae et statuariae artis praeferendum".
Il passo pliniano è stato oggetto di diverse interpretazioni (vedi: Nota sull'interpretazione del passo di Plinio). Comunque il fortunato rinvenimento a Sperlonga della firma degli stessi tre scultori nominati da Plinio e il confronto stilistico tra le sculture di Sperlonga e il Laocoonte vaticano hanno confermato l'identificazione del Laocoonte pliniano con l'opera rinvenuta a Roma nel 1506 (vedi: Nota sul ciclo di Sperlonga).
È comunque ancora da sottolineare il fatto che l'opera menzionata come eccelsa da Plinio non è citata da nessun'altra fonte antica, e che non sono state rinvenute copie, repliche o deduzioni significative eseguite in epoca antica dal modello del Laocoontevaticano: nonostante fosse ordinaria a Roma la prassi della riproduzione da sculture importanti e famose, il pur celebre gruppo del Laocoonte rimane insomma un unicum.
Subito dopo la scoperta, il Laocoonte vaticano divenne presto un oggetto di desiderio, perfetta incarnazione di quell'antico 'patetico' di cui i collezionisti rinascimentali erano instancabilmente alla ricerca (sulla questione, vedi, in Engramma: Lorenzo Bonoldi, Il desiderio del Laocoonte): nel corso del Cinquecento la scultura fu il modello per diverse repliche, in materiale vario e in scala diversa, alcune delle quali di ottima fattura.
Repliche cinquecentesche del Laocoonte vaticano
Tra le prime copie cinquecentesche, la versione in bronzo di Primaticcio (eseguita intorno al 1540) sarà destinata ad avere un ruolo importante nell'ultima integrazione novecentesca, dopo il rinvenimento del "braccio Pollack".
Il gruppo rinvenuto nel 1506 fu sottoposto nel corso dei secoli a diversi restauri, di riassemblaggio, di ripristino e di integrazione.
Restauri del Laocoonte vaticano
Igino
Tornando alle variazioni sul mito del sacerdote troiano, ancora in età augustea, a ridosso della versione virgiliana (ma distante da essa per diversi dettagli mitografici) si colloca il riassunto di Igino (I sec. d.C.), che nella Fabula 135 ripropone la storia del sacerdote troiano.
Igino, Fabula 135
Laocoon Acoetis filius Anchisae frater Apollinis sacerdos contra voluntatem Apollinis cum uxorem duxisset atque liberos procreasset, sorte ductus ut sacrum faceret Neptuno ad litus. Apollo occasione data a Tenedo per fluctus maris dracones misit duos qui filios eius Antiphantem et Thymbraeum necarent, quibus Laocoon cum auxilium ferre vellet ipsum quoque nexum necaverunt. Quod Phryges idcirco factum putarunt quod Laocoon hastam in equum Troianum miserit.
In rilievo i seguenti dati:
– la parentela di Laocoonte con Anchise ("Laocoon Acoetis filius, Anchisae frater, Apollinis sacerdos");
– il motivo della punizione dei draghi marini che vengono inviati dallo stesso Apollo a vendicare il sacrilegio compiuto dal sacerdote con il matrimonio e la procreazione dei figli;
– il nome dei due figli: "Antiphantem et Thymbraeum";
– l'uccisione dei due figli, e solo in seguito l'uccisione dello stesso Laocoonte che tentava di portare aiuto ai fanciulli ("Quibus Laocoon cum auxilium ferre vellet ipsum quoque nexum necaverunt");
– il collegamento secondario (e quasi accidentale) con la storia del cavallo di legno: Igino sostiene che i Troiani avrebbero interpretato erroneamente la punizione dei serpenti, come una punizione divina per il fatto che Laocoonte aveva sferrato un colpo di lancia contro il cavallo di legno ("Quod Phryges idcirco factum putarunt quod Laocoon hastam in equum Troianum miserit"). Nella versione di Igino l'accoglienza del cavallo a Troia da parte degli stolti Troiani viene presentata, implicitamente, come una sorta di eterogenesi del fine della punizione apollinea sul suo sacerdote, che in realtà si era reso colpevole personalmente di hybris contro uno specifico divieto divino.
Petronio, Satyricon
A metà tra testimonianza letteraria e descrizione iconografica si colloca il Satyricon di Petronio (I sec. d.C.), nel quale il poeta Eumolpo si produce in una recita in versi epici che trae spunto da un dipinto, una tabula che raffigura diversi episodi della conquista di Troia.
Petronio, Satyricon 89
Sed video te totum in illa haerere tabula,
quae Troiae halosin ostendit.
Itaque conabor opus versibus pandere:
Iam decuma maestos inter ancipites metus
Phrygas obsidebat messis, et vatis fides
Calchantis atro dubia pendebat metu,
cum Delio profante caesi vertices
Idae trahuntur, scissaque in molem cadunt
robora, minacem quae figurarent equum.
Aperitur ingens antrum et obducti specus,
qui castra caperent. Huc decenni proelio
irata virtus abditur, stipant graves
recessus Danai et in voto latent.
O patria, pulsas mille credidimus rates
solumque bello liberum: hoc titulus fero
incisus, hoc ad fata compositus Sinon
firmabat et mendacium in damnum potens.
Iam turba portis libera ac bello carens
in vota properat. Fletibus manant genae,
mentisque pavidae gaudium lacrimas habet.
Quas metus abegit. Namque Neptuno sacer
crinem solutus omne Laocoon replet
clamore vulgus. Mox reducta cuspide
uterum notavit, fata sed tardant manus,
ictusque resilit et dolis addit fidem.
Iterum tamen confirmat invalidam manum
altaque bipenni latera pertemptat. Fremit
captiva pubes intus, et dum murmurat,
roborea moles spirat alieno metu.
Ibat iuventus capta, dum Troiam capit,
bellumque totum fraude ducebat nova.
Ecce alia monstra: celsa qua Tenedos mare
dorso replevit, tumida consurgunt freta
undaque resultat scissa tranquillo minor,
qualis silenti nocte remorum sonus
longe refertur, cum premunt classes mare
pulsumque marmor abiete imposita gemit.
Respicimus: angues orbibus geminis ferunt
ad saxa fluctus, tumida quorum pectora
rates ut altae lateribus spumas agunt.
Dat cauda sonitum, liberae ponto iubae
consentiunt luminibus, fulmineum iubar
incendit aequor sibilisque undae tremunt.
Stupuere mentes. Infulis stabant sacri
Phrygioque cultu gemina nati pignora
Lauconte. Quos repente tergoribus ligant
angues corusci. Parvulas illi manus
ad ora referunt, neuter auxilio sibi,
uterque fratri; transtulit pietas vices
morsque ipsa miseros mutuo perdit metu.
Accumulat ecce liberum funus parens,
infirmus auxiliator. Invadunt virum
iam morte pasti membraque ad terram trahunt.
Iacet sacerdos inter aras victima
terramque plangit. Sic profanatis sacris
peritura Troia perdidit primum deos.
Viene presentato Laocoonte che si precipita "crinem solutus" a cercare di sventare l'inganno dei Greci, e quindi nell'atto di sferrare invano un colpo con un'ascia bipenne contro il ventre del cavallo di legno pieno di guerrieri; viene evocata poi l'apparizione terrificante dei draghi marini, che fanno tremare e risuonare il mare, e l'aggressione contro i figli del sacerdote, l'avvilupparsi delle spire intorno ai corpi, i vani tentativi dei fanciulli di soccorrersi a vicenda "parvulas illi manu / ad ora referunt, neuter auxilio sibi / uterque fratri"); e infine la morte dello stesso Laocoonte "infirmus auxiliator", che si era precipitato in soccorso dei figli. I versi, enfatici e iperpatetici, del poetastro Eumolpo sembrano trarre espressamente spunto dalla versione virgiliana dell'episodio di Laocoonte, al tempo già divenuta topica.
In un'ultima testimonianza figurativa, un rilievo di arte gandharica (II sec. d.C.), esemplare di una fase tarda dello stile inaugurato dalla conquista di Alessandro, sono raffigurati simultaneamente diversi momenti narrativi della storia del cavallo di Troia: i Troiani spingono il cavallo dentro la porta della città; Laocoonte affronta il cavallo e lo colpisce con la lancia; Cassandra si staglia sulla porta alzando le braccia, in segno di agitazione, per avvertire i Troiani e quasi a voler impedire fisicamente l'entrata del cavallo in Troia.
Si tratta di un compendio sintetico di diversi episodi del racconto epico, che sembrano riferirsi direttamente al canone narrativo fissato dal testo virgiliano e che, nella traduzione nel linguaggio stilistico ibrido dell'arte indo-ellenica, comprovano la fortuna e la diffusione, ben oltre l'area mediterranea, del tema epico e dei motivi iconografici connessi al ciclo troiano e, quindi, anche alla storia di Laocoonte.
Una rappresentazione iconograficamente isolata è un bronzetto romano (di datazione incerta) che rappresenta una figura maschile stante, rivestita soltanto di un corto mantello allacciato al collo.
Le spire del serpente che si avvolgono sul torso e sul braccio dell'uomo e il gesto della mano sinistra che afferra la bestia riproducono movenze e gesti presenti nel dipinto della 'Casa di Laocoonte' a Pompei e consentono l'identificazione della figura con il sacerdote troiano.
Quinto di Smirne, Posthomerica
L'ultima versione letteraria del mito di Laocoonte è nel tardo poema epico Posthomerica di Quinto di Smirne (IV sec. d.C.), che amplifica ed enfatizza, in chiave patetica, l'episodio.
Quinto di Smirne, Posthomerica XII, 389-497
Τῷ (sc. Sinon) δ᾽οἱ μὲν πεπίθοντο κατὰ στρατόν, οἱ δ᾽ ἄρ᾽ ἔφαντο
ἔμμεναι ἠπεροπῆα πολύτροπον, οἷς ἄρα βουλὴ
ἥνδανε Λαοκόωντος˙ ὁ γὰρ πεπνυμένα βάζων
φῆ δόλον ἔμμεναι αἰνὸν ὑπ᾽ἐννεσίῃσιν Ἀχαιῶν,
πάντας δ᾽ ὀτρύνεσκε θοῶς ἐμπρησέμεν ἵππον,
ἵππον δουράτεον καὶ γνώμεναι εἴ τι κεκεύθει.
Καί νύ κέ οἱ πεπίθοντο καὶ ἐξήλυξαν ὄλεθρον,
εἰ μὴ Τριτογένεια, κοτεσσαμένη περὶ θυμῷ
αὐτῷ καὶ Τρώεσσι καὶ ἄστεϊ, γαῖαν ἔνερθεν
θεσπεσίην ἐλέλιξεν ὑπαὶ ποσὶ Λαοκόωντος.
τῷ δ᾽ἄφαρ ἔμπεσε δεῖμα˙ τρόμος δ᾽ἀμφέκλασε γυῖα
ἀνδρὸς ὑπερθύμοιο˙ μέλαινα δέ οἱ περὶ κρατὶ
νὺξ ἐχύθη˙ στυγερὸν δὲ κατὰ βλεφάρων πέσεν ἄλγος,
σὺν δ᾽ ἔχεεν λασίῃσιν ὑπ᾽ὀφρύσιν ὄμματα φωτός˙
γλῆναι δ᾽ ἀργαλέῃσι πεπαρμέναι ἀμφ᾽ ὀδύνῃσι
ῥιζόθεν ἐκλονέοντο˙ περιστρωφῶντο δ᾽ ὀπωπαὶ
τειρόμεναι ὑπένερθεν˙ ἄχος δ᾽ἀλεγεινὸν ἵκανεν
ἄχρι καὶ ἐς μήνιγγας ἰδ᾽ ἐγκεφάλοιο θέμεθλα˙
τοῦ δ᾽ ὁτὲ μὲν φαίνοντο μεμιγμένοι αἵματι πολλῷ
ὀφθαλμοί, ὁτὲ δ᾽αὖτε δυσαλθέα γλαυκιόωντες˙
πολλάκι δ᾽ ἔρρεον οἷον ὅτε στυφελῆς ἀπὸ πέτρης
εἴβεται ἐξ ὀρέων νιφετῷ πεπαλαγμένον ὕδωρ˙
μαινομένῳ δ᾽ ἤικτο, καὶ ἔδρακε διπλόα πάντα
αἰνὰ μάλα στενάχων. καὶ ἔτι Τρώεσσι κέλευεν,
οὐδ᾽ἀλέγιζε μόγοιο˙ φάος δὲ οἱ ἐσθλὸν ἄμερσε
δῖα θεά˙ λευκαὶ δ᾽ἄρ᾽ ὑπὸ βλέφαρ᾽ ἔσταν ὀπωπαὶ
αἵματος ἐξ ὀλοοῖο˙ περιστενάχιζε δὲ λαὸς
οἰκτείρων φίλον ἄνδρα, καὶ ἀθανάτην Ἀγελείην
ἐρριγώς, μὴ δή τι παρήλιτεν ἀφραδίῃσιν,
καὶ σφιν ἐς αἰνὸν ὄλεθρον ἀνεγνάμφθη νόος ἔνδον,
[δειδιότων, μὴ δή σφι καὶ αὐτοῖς ἄλγος ἕπηται]
οὕνεκα λωβήσαντο δέμας μογεροῖο Σίνωνος
ἐλπόμενοι κατὰ θυμὸν ἐτήτυμα πάντ᾽ ἀγορεύσειν˙
τοὔνεκα προφρονέως μιν ἄγον ποτὶ Τρώιον ἄστυ
ὀψέ περ οἰκτείραντες. ἀγειρόμενοι δ᾽ ἅμα πάντες
σειρὴν ἀμφεβάλοντο θοῶς περιμήκεϊ ἵππῳ
δησάμενοι καθύπερθεν, ἐπεί ῥά οἱ ἐσθλὸς Ἐπειὸς
ποσσὶν ὑπὸ βριαροῖσιν ἐΰτροχα δούρατ᾽ ἔθηκεν,
ὄφρα κεν αἰζηοῖσιν ἐπὶ πτολίεθρον ἕπηται
ἑλκόμενος Τρώων ὑπὸ χείρεσιν. οἱ δ᾽ ἅμα πάντες
εἷλκον ἐπιβρίσαντες ἀολλέες, ἠΰτε νῆα
ἕλκωσιν μογέοντες ἔσω ἁλὸς ἠχηέσσης
αἰζηοί, στιβαραὶ δὲ περιστενάχουσι φάλαγγες
τριβόμεναι, δεινὸν δὲ τρόπις περιτετριγυῖα
ἀμφὶς ὀλισθαίνουσα κατέρχεται εἰς ἁλὸς οἶδμα˙
ὣς οἵ γε σφίσι πῆμα ποτὶ πτόλιν ἔργον Ἐπειοῦ
πανσυδίῃ μογέοντες ἀνείρυον˙ ἀμφὶ δ᾽ἄρ᾽ αὐτῷ
πολλὸν ἄδην στεφέων ἐριθηλέα κόσμον ἔθεντο˙
αὐτοὶ δ᾽ἐστέψαντο κάρη˙ μέγα δ᾽ ἤπυον αὐλοι
ἀλλήλοις ἐπικεκλομένοι˙ ἐγέλασσε δ᾽ Ἐνυὼ
δερκομένη πολέμοιο κακὸν τέλος˙ ὑψόθι δ᾽ Ἣρη
τέρπετ᾽˙ Ἀθηναίη δ᾽ ἐπεγήθεεν˙ οἱ δὲ μολόντες
ἄστυ ποτὶ σφέτερον μεγάλης κρήδεμνα πόληος
λυσάμενοι λυγρὸν ἵππον ἐσήγαγον˙ αἱ δ᾽ ὀλόλυξαν
Τρωιάδες, πᾶσαι δὲ περισταδὸν εἰσορόωσαι
θάμβεον ὄβριμον ἔργον˙ ὃ δέ σφισιν ἔκρυφε πῆμα.
Λαοκόων δ᾽ἔτ᾽ἔμιμνεν ἐποτρύνων ἑτάροισιν
ἵππον ἀμαλδῦναι μαλερῷ πυρί˙ τοὶ δέ οἱ οὔτι
πείθοντ᾽, ἀθανάτων γὰρ ὑποτρομέεσκον ὁμοκλήν.
τῷ δ᾽ ἔπι κύντερον ἄλλο θεὰ μεγάθυμος Ἀθήνη
δυστήνοις τεκέεσσιν ἐμήδετο Λαοκόωντος.
δὴ γάρ που πέλεν ἄντρον ὑπὸ στυφελώδεϊ πέτρῃ
ἠερόεν, θνητοῖσιν ἀνέμβατον, ᾧ ἔνι θῆρες
σμερδαλέοι ναίεσκον ἔτ᾽ οὐλομένοιο γενέθλης
Τυφῶνος νήσοιο κατὰ πτύχας, ἥν τε Καλύδνην
λαοὶ ἐπικλείουσιν ἔσω ἁλὸς ἀντία Τροίης.
ἔνθεν ἀναστήσασα βίην καλέεσκε δρακόντων
ἐς Τροίην˙ οἱ δ᾽ αἶψα θεῆς ὕπο κινηθέντες
νῆσον ὅλην ἐτίναξαν˙ ἐπεσμαράγησε δὲ πόντος
νισσομένων, καὶ κῦμα διΐστατο˙ τοὶ δ᾽ ἐφέροντο
αἰνὸν λιχμώωντες˙ ἔφριξε δὲ κήτεα πόντου˙
ἀμφὶ δ᾽ ἄρα στενάχοντο μέγα Ξάνθοιο θύγατρες
Νύμφαι καὶ Σιμόεντος˙ ἀπ᾽ Οὐλύμποιο δὲ Κύπρις
ἄχνυτο˙ τοὶ δ᾽ ἄφαρ ἷξον ὅπῃ θεὸς ὀτρύνεσκε,
θήγοντες βλοσυρῇσι γενειάσι λοιγὸν ὀδόντων
δυστήνοις ἐπὶ παισί˙ κακὴ δ᾽ ἐπενίσσετο φύζα
Τρῶας, ὅτ᾽ εἰσενόησαν ἀνὰ πτόλιν αἰνὰ πέλωρα˙
οὐδέ τις αἰζηῶν οὐδ᾽εἰ μένος ἄτρομος ἦεν
μεῖναι ἔτλη˙ πάντας γὰρ ἀμείλιχον ἄμφεχε δεῖμα
θῆρας ἀλευομένους, ὀδύνη δ᾽ ἔχεν˙ ἂν δὲ γυναῖκες
οἴμωζον˙ καὶ πού τις ἑῶν ἐπελήσατο τέκνων
αὐτὴ ἀλευομένη στυγερὸν μόρον˙ ἀμφὶ δὲ Τροίη
ἔστεν᾽ ἐπεσσυμένων˙ πολλοὶ δ᾽ ἄφαρ εἰς ἓν ἰόντες
γυῖα περιδρύφθησαν˙ ἐνεστείνοντο δ᾽ ἀγυιαῖς
ἀμφιπεριπτώσσοντες. ἔλειπτο δὲ μοῦνος ἄπωθεν
Λαοκόων ἅμα παισί˙ πέδησε γὰρ οὐλομένη Κὴρ
καὶ θεός. οἱ δὲ οἱ υἷας ὑποτρομέοντας ὄλεθρον
ἀμφοτέρους ὀλοῇσιν ἀνηρείψαντο γένυσσι
πατρὶ φίλῳ ὀρέγοντας ἑὰς χέρας˙ οὐδ᾽ ὅ γ᾽ἀμύνειν
ἔσθενεν˙ ἀμφὶ δὲ Τρῶες ἀπόπροθεν εἰσορόωντες
κλαῖον ὑπὸ κραδίῃσι τεθηπότες˙ οἱ δ᾽ἄρ᾽ Ἀθήνης
προφρονέως τελέσαντες ἀπεχθέα Τρωσὶν ἐφετμὴν
ἄμφω ἀϊστώθησαν ὑπὸ χθόνα˙ τῶν δ᾽ ἔτι σῆμα
φαίνεθ᾽, ὅπου κατέδυσαν ἐς ἱερὸν Ἀπόλλωνος
Περγάμῳ ἐν ζαθέῃ. προπάροιθε δὲ Τρώιοι υἷες
παίδων Λαοκόωντος ἀμείλιχα δῃωθέντων
τεῦξαν ἅμ᾽ ἀγρόμενοι κενεὸν τάφον, ᾧ ἔπι δάκρυ
χεῦε πατὴρ ἀλαοῖσιν ὑπ᾽ ὄμμασιν˙ ἀμφὶ δὲ μήτηρ
πολλὰ κινυρομένη κενεῷ ἐπαΰτεε τύμβῳ
ἐλπομένη τι καὶ ἄλλο κακώτερον, ἔστενε δ᾽ ἄτην
ἀνέρος ἀφραδίῃς, μακάρων δ᾽ ὑπεδείδιε μῆνιν˙
ὡς δ᾽ ὅτ᾽ἐρημαίην περιμύρεται ἀμφὶ καλιὴν
πολλὰ μάλ᾽ ἀχνυμένη κατὰ δάσκιον ἄγκος ἀηδών,
ἧς ἔτι νήπια τέκνα, πάρος κελαδεινὸν ἀείδειν,
δάμναθ᾽ὑπὸ γναθμοῖσι μένος βλοσυροῖο δράκοντος,
μητέρι δ᾽ἄλγεα θῆκε, καὶ ἄσπετον ἀσχαλόωσα
μύρεται ἀμφὶ δόμον κενεὸν μάλα κεκληγυῖα˙
ὣς ἥ γε στενάχιζε λυγρῷ τεκέων ἐπ᾽ ὀλέθρῳ
μυρομένη κενεῷ περὶ σήματι˙ σὺν δέ οἱ ἄλλο
πῆμα μαλ᾽ἀργαλέον πόσιος πέλεν ἀμφ᾽ ἀλαοῖο.
Laocoonte tenta di distogliere i Troiani dal proposito di accogliere il cavallo ma Atena (in questa versione del mito diretta responsabile dei prodigi che colpiscono il sacerdote) fa tremare la terra sotto i suoi piedi, incutendo terrore nei Troiani e in Laocoonte stesso (XII, 396-410). Dopo l'intervento di Sinone, Laocoonte riprende a incitare i concittadini affinché diano alle fiamme il micidiale cavallo (XII, 444-445), ma ancora la stessa dea Atena interviene e scatena i serpenti dall'antro marino che scuotono il mare e la terra (XII, 449-458); l'apparizione dei draghi è accompagnata dal pianto delle ninfe delle acque e, sull'Olimpo, dal gemito di Afrodite (XII, 459-461); i Troiani fuggono presi dal panico, resta solo Laocoonte con i figli e i serpenti aggrediscono i fanciulli che tendono le mani verso il padre (XII, 463-476). Laocoonte sopravvive alla morte dei figli: l'episodio si conclude con il pianto e la disperazione della madre (XII, 485-487). Da notare che secondo questa ultima variazione sul mito di Laocoonte, il sacerdote (come nella versione virgiliana) è del tutto innocente, ma cade vittima della dea Atena impegnata a collaborare attivamente alla riuscita dell'inganno di Odisseo per la rovina di Troia.
Temi e relazioni delle principali fonti letterarie e iconografiche greche e latine sul mito di Laocoonte
Si propongono qui di seguito, in uno schema riassuntivo, i temi e le varianti delle fonti letterarie e iconografiche sul mito di Laocoonte.
FONTI LETTERARIE
|
Fuoco del racconto
|
Responsabilità di Laooconte
|
Motivo dell'aggressione dei serpenti
|
Vittime
|
FONTI ICONOGRAFICHE |
Soggetto
|
Relazioni con fonti letterarie
|
VII sec. a.C.
Arctino |
scenario troiano/episodio cavallo
|
L. è vittima eccellente, ma innocente
|
spaventare Enea, convincerlo a ritirarsi (e quindi salvarlo>Roma)
|
L. e uno dei figli
|
V sec. a.C.
Bacchilide |
L. e la moglie;
i serpenti sono tramutati in uomini |
---
|
---
|
---
|
V sec. a.C.
Sofocle, Laocoonte |
Laocoonte e la sua hybris (trasgressione ordine Apollo)
|
L. è colpevole di hybris
|
punire Laocoonte, eliminando i frutti dell'hybris
|
entrambi i figli di L.
|
Vaso Jatta (400 a.C. ca.)
|
morte di uno (o due) dei figli; intervento della madre
|
Sofocle, Laocoonte
(?Arctino, Iliou Persis) |
Cratere Basilea (400 a.C. ca)
|
morte di uno (o due) dei figli; intervento della madre/impugna ascia; presenza di L.
|
Sofocle, Laocoonte
(?Arctino, Iliou Persis) |
Khantaros British
(400 a.C. ca) |
morte di un figlio (con Thanatos); L. aggredito da un serpente, spada sguainata, ginocchio puntato sull'altare
|
Sofocle, Laocoonte
(?Arctino, Iliou Persis) |
III sec. a.C.
Euforione |
Laocoonte e il suo sacrilegio
|
L. è colpevole di hybris contro Apollo
|
punire L. e i frutti del sacrilegio
|
L. ed entrambi i figli
|
II sec. a.C.
Apollodoro |
scenario troiano/episodio cavallo
|
L. è innocente: con Cassandra dice la verità sul cavallo
|
convincere i Troiani a non ascoltare L. e Cassandra
|
i figli di L.
|
I sec. a.C.
Virgilio, Eneide |
scenario troiano/episodio cavallo
|
L. è innocente: dice la verità sul cavallo
|
convincere i Troiani a non ascoltare L.
|
prima i figli e poi L. stesso che cerca di aiutarli
|
Affresco Pompei 1 (I sec. a.C.)
|
L. aggredito da un serpente, spada sguainata, ginocchio puntato sull'altare; toro in fuga; oggetti a terra; un figlio morto, l'altro aggredito (ginocchio puntato a terra)
|
Virgilio, Eneide
|
Affresco Pompei 2 (I sec. a.C.)
|
L. aggredito da un serpente, spada sguainata, ginocchio puntato sull'altare; toro in fuga; oggetti a terra; un figlio morto, l'altro aggredito (ginocchio puntato a terra)
|
Virgilio, Eneide
|
Marmo vaticano (I sec. a.C.)
citato in Plinio, Nat. Hist. |
L. e i figli avviluppati dalle spire dei serpenti; uno dei figli moribondo (o già morto), l'altro tende una mano verso il padre
|
Virgilio, Eneide
|
I sec. d.C.
Igino |
Laocoonte e la sua hybris (trasgressione alla prescrizione di Apollo); contesto troiano introdotto a posteriori
|
L. è colpevole di hybris
|
L. è fratello di Anchise; punizione di L. da parte di Apollo "occasione data" del sacrificio a Nettuno
|
i figli di L., e quindi lui stesso che interviene per cercare di aiutarli
|
IV sec. d.C.
Quinto di Smirne |
scenario troiano/episodio cavallo
|
L. è innocente: dice la verità sul cavallo
|
convincere i Troiani a non ascoltare L.
|
i figli di L.
|
Bassorilievo Gandhara (II sec. d.C.) |
entrata del cavallo a Troia; Cassandra sulla porta alza le braccia; Laocoonte colpisce il cavallo con la lancia
|
Virgilio, Eneide (o altre versioni epiche) |
Bronzetto Louvre etrusco-romano |
Laocoonte stante; serpente come Pompei 2
|
---
|
Contorniati (IV sec. d.C.) |
Laocoonte aggredito dai serpenti, con i due figli (postura: ginocchio puntato sull'altare)
|
Virgilio, Eneide (o altre versioni epiche) |
Virgilio Vaticano (V sec. d.C.) |
Laocoonte aggredito dai serpenti, con i due figli (postura: ginocchio puntato sull'altare)
|
Virgilio, Eneide |
In sintesi:
Motivo dell'aggressione dei serpenti marini
– convincere i Troiani a non ascoltare Laocoonte (Apollodoro, Virgilio, Quinto di Smirne)
– spaventare Enea e convincerlo a ritirarsi sull'Ida, e quindi a salvarsi (>Roma) (Arctino)
– punire i frutti del sacrilegio di Laocoonte (Sofocle, Euforione)
– punire Laocoonte del sacrilegio e anche i suoi figli (Igino)
Vittime di sacrificio e morte
– soltanto i due figli di Laocoonte (Sofocle, Apollodoro, Quinto di Smirne)
– Laocoonte e uno dei due figli (Arctino)
– i due figli prima e poi Laocoonte che cerca di aiutarli (Apollodoro, Virgilio, Igino).
Come risulta evidente da questa ricognizione, il mito di Laocoonte ebbe nell'antichità una fortuna letteraria e iconografica relativamente scarsa. Nella rarefatta serie iconografica è da notare, sotto il profilo cronologico e tematico, una concentrazione di reperti in corrispondenza delle due più importanti fonti letterarie: la tragedia sofoclea e l'Eneide virgiliana.
In appendice alla galleria di immagini e testi antichi sul mito di Laocoonte, pubblichiamo anche una serie di reperti archeologici di incerta identificazione o di dubbia autenticità.
Di dubbia autenticità e incerta identificazione uno scarabeo etrusco, la cui datazione più alta è al V secolo (ma fino al 300), conservato a Londra, British Museum. Vi sono raffigurate tre figure virili, due giovani ai lati, una più anziana (barbata) al centro; serpenti allacciano le loro spire alle braccia e alle gambe dei tre uomini.
La critica avanza seri dubbi sull'autenticità del cammeo e ipotizza che si tratti di un falso rinascimentale. Anche dal punto di vista del soggetto l'identificazione con Laocoonte e i figli è assai labile: sarà da riconoscere piuttosto una triade bacchica, in cui la figura centrale più anziana e barbata si appoggia a due giovani 'satiri' del corteo dionisiaco.
Di dubbia identificazione un rilievo da Arlon, di datazione incerta, in cui forse è riconoscibile un Laocoonte con le braccia avviluppate dalle spire dei serpenti, alzate verso l'alto in segno di disperata reazione (nel gesto della Cassandra del rilievo di Gandhara) .
Incerta identificazione del soggetto anche per due frammenti di terracotta da Tarsos, che presentano membra umane intrecciate con spire di serpenti, e per un rilievo dal Museo di Nora in cui è rappresentato un giovane con un serpente che gli si avviluppa lungo il corpo. Salvatore Settis sostiene la pertinenza di questi frammenti a gruppi con Laocoonte: più prudentemente si può ipotizzare l'identificazione di queste figure con dormienti, rappresentati in riti di incubazione.
Galleria delle fonti testuali e figurative antiche sul mito di Laocoonte, in ordine cronologico (VII sec. a.C. / IV sec. d.C.)
a cura del Centro studi classicA, coordinato da Monica Centanni
VII a.C. |
Arctino, Ilioupersis, apud Proclo Chrest. 92, 246 τραπέντες δὲ εἰς εὐφροσύνην εὐωχοῦνται (scil. Troiani) ὡς ἀπηλλαγμένοι τοῦ πολέμου >>> |
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V a.C. |
Bacchilide, apud Servio, in Verg. Aen. II 201 Sane Bacchylides de Laocoonte et uxore eius vel de serpentibus a Calydnis insulis venientibus et in homines conversis dicit.>>> |
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Sofocle, Laocoon, TrGF fr. 370-377 Radt λάμπει δ᾽ἀγυιεὺς βωμὸς ἀτμίζων πυρὶ σμύρνης σταλαγμούς, βαρβάρους εὐοσμίας >>> |
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III a.C. |
Euforione, apud Servio, in Verg. Aen. II 201 Ut Euphorion dicit, post adventum Graecorum sacerdos Neptuni lapidibus occisus est quia non sacrificiis eorum vetavit adventum. >>> |
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II a.C. |
Apollodoro, ex ps.Apollodoro, Epitome V, 16-19 Ἡμέρας δὲ γενομένης ἔρημον οἱ Τρῶες τὸ τῶν Ἑλλήνων στρατόπεδον θεασάμενοι καὶ νομίσαντες αὐτοὺς πεφευγέναι >>> |
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I a.C. |
Virgilio, Aen. II, 40-56, 199-245 Primus ibi ante omnis, magna comitante caterva/ |
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I d.C. |
Plinio, Naturalis Historia XXXVI, 37 Quorundam claritati in operibus eximiis obstante numero artificum, quoniam nec unus occupat gloriam nec plures pariter nuncupari possunt, sicut in Laocoonte >>> |
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Laocoon Acoetis filius Anchisae frater Apollinis sacerdos contra voluntatem Apollinis cum uxorem duxisset atque liberos procreasset, sorte ductus ut sacrum faceret Neptuno ad litus >>> |
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Sed video te totum in illa haerere tabula/ |
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datazione incerta |
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II d.C. |
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IV d.C. |
Quinto di Smirne, Posthomerica XII, 389-497 Τῷ (sc. Sinon) δ᾽οἱ μὲν πεπίθοντο κατὰ στρατόν, οἱ δ᾽ ἄρ᾽ ἔφαντο/ ἔμμεναι ἠπεροπῆα πολύτροπον, οἷς ἄρα βουλὴ/ ἥνδανε Λαοκόωντος˙ ὁ γὰρ πεπνυμένα βάζων/ >>> |
Riferimenti bibliografici essenziali
Bernard Andreae, Laocoonte e la fondazione di Roma, Milano 1989
Salvatore Settis, Laocoonte. Fama e stile, Roma 1999
Erika Simon, Laokoon, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, vol. VI, t. 1, Zürich und München 1992, pp. 196-201
Altri contributi su Laocoonte in Engramma
Il Laocoonte: desiderio di una formula patetica antica e fortuna del soggetto. Scheda, percorsi, letture di Bilderatlas Mnemosyne, Tavola 41a
a cura del Seminario di Tradizione Classica
n. 25, maggio/giugno 2003
[IMPAGINAZIONE ORIGINALE]
Monica Centanni
L'originale assente. Il Laocoonte in tav. 41a dell'Atlante Mnemosyne di Aby Warburg
in Appendice: L'attrazione psicologica di Warburg per il Laocoonte. Un esempio di cattiva lettura di Ernst Gombrich
n. 25, maggio/giugno 2003
Lorenzo Bonoldi
Il desiderio del Laocoonte alla corte di Mantova alla luce della tavola 41a dell'Atlante Mnemosyne di Aby Warburg
n. 25, maggio/giugno 2003
Nota sulle interpretazioni del passo di Plinio, Nat. Hist. XXXVI, 37
a cura del Centro studi classicA
n. 50, luglio/settembre 2006
Nota sul ciclo di Sperlonga e sulle relazioni con il Laocoonte vaticano: le ipotesi di B. Andreae e di S. Settis
a cura del Centro studi classicA
n. 50, luglio/settembre 2006
Scheda cronologica dei restauri del Laocoonte
a cura di Marco Gazzola
n. 50, luglio/settembre 2006
Nota sui 'contorniati'
a cura del Centro studi classicA
n. 50, luglio/settembre 2006
Pathosformeln dell'aggressione, della difesa e della disperazione in documenti iconografici relativi a Laocoonte
a cura del Centro studi classicA
n. 50, luglio/settembre 2006
Alessandra Pedersoli
Comics spolia: Laocoonte, Asterix & co.
n. 50, luglio/settembre 2006
English abstract
This contribution focuses on the textual and iconographic sources of the myth of Laocoön.
keywords | Laocoön; literary sources; iconographic sources.
Per citare questo articolo / To cite this article: Centro Studi ClassicA coordinato da M. Centanni, Laocoonte: variazioni sul mito; con una Galleria delle fonti letterarie e iconografiche, “La Rivista di Engramma” n. 50, luglio/settembre 2006, pp. 16-39 | PDF