La linea analitica dell'Olocausto
Luigi Pavan
English abstract
Entro lo sviluppo del magistero compositivo di Costantino Dardi il concorso per l'ex Risiera di Trieste assume un carattere del tutto particolare. Vi permangono motivi provenienti dalla formazione veneziana oltre che dai progetti della fase d'esordio ma, più di altro, sono riconoscibili i tratti di un'indagine sulla forma architettonica che lo accompagnerà per tutta la sua intensa, per quanto breve, carriera di architetto (Dardi infatti muore nel novembre del 1992 a 56 anni).
L'occasione di progetto riguarda un Museo della Resistenza nella compagine di edifici che, dalla fine dell''800, formava lo stabilimento per la pilatura del riso, complesso poi dolorosamente noto per essere stato l'unico campo di sterminio nazista sul territorio italiano (Fölkel 1990). L'area – a San Sabba, uno dei primi quartieri di edilizia popolare pubblica d'Italia – è compresa tra via Rio Primario e via Palatucci (già Ratto della Pileria): un intorno urbano attualmente caratterizzato dalla presenza dello stadio del calcio oltre che da un groviglio di strade sopraelevate, ferrovie e svincoli. L'epilogo della funzione originaria del complesso avviene dopo l'8 settembre 1943 quando la Germania sottrae alla Repubblica di Salò alcuni territori di frontiera, fra cui Fiume, Trieste e Udine col loro retroterra. Verso la fine di ottobre di quell'anno i nazisti ristrutturarono la Risiera a campo di detenzione, destinandola sia allo smistamento dei deportati, sia alla diretta eliminazione di partigiani, detenuti politici ed ebrei.
Nel cortile interno della Risiera sorgeva l'edificio destinato al forno crematorio, distrutto dai nazisti in fuga. Secondo alcune stime il numero delle vittime cremate in Risiera oscilla tra tre e cinquemila. Nel 1965 la Risiera di San Sabba venne dichiarata Monumento Nazionale con decreto presidenziale e l'area ceduta al comune di Trieste. L'anno seguente si avviarono le vicende del concorso nazionale che ha portato alla risistemazione del complesso: i gruppi partecipanti erano dieci – prevalentemente da Trieste e dal Friuli Venezia Giulia – tra cui i premiati Costantino Dardi, Gianugo Polesello e il vincitore, Romano Boico.
Nel bando del primo grado di concorso non si comprendeva – in quanto collocati fuori la perimetrazione di pubblica disponibilità – la parte terminale del fabbricato della pileria lungo via Rio Primario, parte di quello principale a partire dal corpo scala esterno e, infine, i depositi antistanti. Oltre a queste limitazioni i termini del bando rimanevano alquanto vaghi: vi erano indicazioni imprecise per il museo oltre a raccomandazioni generiche per l'area scoperta o per la conservazione delle celle dei prigionieri, nell'intento deliberato di favorire la massima libertà di espressione degli ideali della Resistenza.
In questa prima fase Dardi sembra procedere per accumulazione e assomma a precedenti prove progettuali, ancor vicine nel tempo, ulteriori elementi mettendo progressivamente a fuoco motivi e temi con spirito analitico. In alcune note introduttive egli si interroga su riferimenti congrui al progetto quale il similare concorso per il monumento alla resistenza di Cuneo (1962) o su tanta retorica presente in quelli del primo dopoguerra. Fin da subito il dato rilevante è il rifiuto della identificazione tra edificio e avvenimento luttuoso, la catastrofe del genocidio. Gli strumenti saranno quelli propri della disciplina – lo spazio, le geometrie, recinti e percorsi – non lo "stato di fatto". In uno schizzo, riguardante il retro della fabbrica laterizia della Risiera, Dardi individua le zone di intervento, delimita l'impronta del forno crematorio, oppure i possibili attraversamenti del fabbricato delle celle, contiguo a via Rio Primario, parzialmente messo a nudo o demolito.
Planimetricamente egli opera una perimetrazione del sito per figure riconoscibili: il muro di recinzione, previsto in setti cementizi, è chiamato a delimitare questa regolarità geometrica precisando il contermine della vicenda spaziale. Dardi opera, attraverso questo muro plasticamente inciso, una prima riconduzione a elementi razionali bilanciando due quadrati che si rimandano di fronte e dietro l'edificio principale della Risiera.
II suo progetto di museo-monumento si fa itinerario spirituale: dall'inaugurale fascia alberata a verde, un filtro che predispone alla meditazione, si procede attraverso le strette lame triangolari dell'accesso, puntate quale accelerazione visiva al fuoco compositivo ed emozionale del progetto, il portico che apre al cortile del forno. Nella sezione longitudinale sul corpo delle celle si mostra la sommità della recinzione, prolungamento a scala urbana del sottoportico quale segno d'ingresso al sistema museale.
Ma è in altri schizzi, relativi al prospetto principale, che si condensa il senso dell'operazione: Dardi prevede di intervenire squarciando l'oscura fabbrica di mattoni rossi, alterandone completamente i rapporti formali in modo da far emergere dalle vecchie maglie nuovi elementi compositivi più espressivi del dramma racchiuso all'interno. Si fa strada l'ipotesi di costruire demolendo: una progettazione per negativo che nasce dalla volontà di controbilanciare, eticamente e formalmente, l'esprit geométrique nell'impossibilità di interpretare e raffigurare contenuti così drammatici entro linguaggi formali equilibrati, chiusi, cristallini.
II modello e il prospetto mostrano i ritagli slabbrati, brandelli di muro staticamente incerti e corrosi dai quadrati. Un altro foglio di schizzi
A questo aspetto è delegato l'irrompere espressionista di forme della cappella commemorativa mentre gli altri edifici restano muti rappresentanti di sé stessi. Questa ricerca di motivazioni, tutta interna al disciplinare architettonico, si avvale dell'esempio del mausoleo delle Fosse Ardeatine di Mario Fiorentino come riporta lo stesso Dardi nella relazione di progetto (cfr. Archivio Progetti Iuav, Fondo Dardi). Dardi ne ravvisa la valenza antiretorica nel modo in cui la forza tellurica del “monolite” di copertura si compone all'uso di una luce radente, quasi ad imporre il silenzio nel sacrario. É un riferimento sul quale impostare il discorso sul significato dell'architettura e sulla sua possibilità di rappresentare un valore, il ruolo simbolico che è possibile attribuirle.
Si avvia da qui la ricerca della conformazione della cappella, ambito genericamente destinato alla memoria in quanto non attribuita ad una specifica confessione religiosa. La cappella votiva è una sala circolare, sottesa alla copertura a capriate della pileria, la cui struttura si addossa al muro del forno crematorio e si sfrangia anche formalmente attraverso altre lame di cemento, fino ad offrire del muro del forno, centro focale dello spazio interno, un'immagine allusiva, controluce.
Dardi abbozza alcuni tentativi utili a comprendere la genesi della forma nella sua poetica architettonica: troviamo un primo impianto organico, un invaso, una linea sghemba che si chiude commentata da alcune nicchie circolari e gemmazioni che sembrano ancora debitrici – nonostante il salto di scala – dei modi inaugurati dal progetto per le Barene di San Giuliano di Quaroni, nel 1959. Successivamente la pianta della cappella si stabilizza su di una planimetria circolare sulla quale egli opera alcune corrosioni, ancora vicine a una maniera scarpiana, per giungere alla definizione dell'idea già contenuta nello schizzo iniziale, a cilindri concentrici e tagliati.
Nel dettaglio la cappella raccoglie, entro il cilindro sezionato obliquamente in sommità, un percorso semianulare in ascensione che rimanda con diverso significato alla rampa della corbusiana Maison La Roche
La rottura per 'corrosione' formale della convenzionale scatola muraria era già nelle corde di Dardi sin dalle sue precocissime prove, le case Fattor e Vidali per i familiari nella natia Cervignano. Nei progetti dei primi anni romani egli però matura le premesse del personale programma di sistematizzazione del proprio operare secondo un accordo tra lavoro teorico e progettuale.
Lo scontro tra espressività materica e spirito apollineo, di misura geometrica, è l'effetto del passaggio tra la maniera veneziana, in cui prevalgono ascendenze scarpiane, e quella romana; cultura, quest'ultima, cui Dardi sente di appartenere affascinato dall'ambiente artistico della capitale. Un fitto intreccio di interessi – familiari, biografici, disciplinari – si stavano istituendo tra Dardi e questo mondo: dagli esordi universitari – a contatto con il pittore Zigaina, fino al legame con la futura seconda moglie, la pittrice Elisa Montessori – si consolida una affinità poi confermata negli anni Settanta, particolarmente con Filiberto Menna e Achille Bonito Oliva. Già Antonio Banfi – nei suoi studi di estetica – aveva rilevato come la natura della riflessione analitica entri nel vivo del problema costitutivo dell'opera d'arte, un approccio che tenta di predeterminare la sua realtà, la struttura, gli aspetti di cui è costituita. La linea analitica dell'architettura, parafrasando Menna, rimanda alla riflessione di quest'arte su stessa, sui propri fondamenti.
Questo coinvolgimento è testimoniato da Giulio Dubbini che, studente di Dardi in quegli anni, ricorda come la versione italiana de L'oggetto ansioso di Harold Rosenberg – edito da Bompiani, nel 1967 – fosse fin da subito tra i testi più importanti del corso di composizione di Dardi: Informale, Pop art, Pollock, De Kooning, l'arte concettuale e l'oggetto (Dubbini 1997).
Non a caso Dardi aveva terminato, a ridosso della prova per la Risiera, il progetto di concorso per l'ospedale psichiatrico di Salorno nel quale avviava alcune riflessioni in questo senso, un primo passo nella personale ricerca di una nuova oggettualità architettonica: è presente, a Salorno, un impianto quasi organico, tra cerniere e ali protese nel paesaggio su di una base compatta di corpi cilindrici sormontati da una complessa volumetria ad alveoli cubici su base radiale che nega la possibilità di una compattezza consolatoria, da forma conclusa. Dardi parla esplicitamente di oggetto architettonico e a Salorno si dichiara debitore delle suggestioni plastiche di Gianni Colombo, esponente del Gruppo T dei primi anni Sessanta nel campo dell'arte gestaltica.
A Trieste la Commissione giudicante, nel dichiarare senza esito il primo grado di concorso per la Risiera, avvia una situazione di stallo che si risolve solo nel 1968 con l'indizione di una seconda fase, ristretta ai tre progettisti già citati. Durante il riesame degli elaborati di concorso, a partire dal progetto Boico e di un sopralluogo effettuato alla Risiera, la Commissione si convince di mantenere il più possibile inalterati i luoghi del martirio, conservando il carattere di grande squallore su cui risiede la memoria dell'evento. Tra gli aspetti cospicui del nuovo bando vi è l'estensione pressoché raddoppiata dell'area d'intervento (fino a 7680 mq), la definitiva 'museificazione' allo status quo delle celle e altre richieste più generiche per spazi destinati alla raccolta di reperti.
Dardi, nella nuova soluzione, modifica solo in parte la strategia precedente lasciando pressoché immutata la definizione degli edifici esistenti ma interviene sensibilmente nelle parti esterne amplificando il significato complessivo dell'operazione. La nuova conformazione planimetrica nasce essenzialmente da una rimeditazione del citato concorso di Cuneo, cui Dardi non aveva partecipato, ma nel quale erano presenti molti riferimenti seminali per la sua opera. Se da una parte, inizialmente, per la rottura “esplosiva” della parete egli aveva considerato l'opera di Umberto Mastroianni – una lastra metallica sconvolta con intento espressionistico cui lo scultore lavorava già dal 1966 – in seguito l'indizio più fecondo sarebbe giunto da una delle prime prove concorsuali di Aldo Rossi la cui soluzione, di diagrammatica asciuttezza, diverrà copertina di un celebre numero di Casabella: un cubo scavato, sezionato su giaciture esatte, in cui l'elementarismo illuminista accomuna Ledoux e Loos senza concessioni a manierismi gestuali.
A controbilanciare l'emotiva esplosione figurativa dello squarcio murario della cappella, Dardi dunque assume la Geometria in senso plastico, volumetrico, nel suo ruolo più immediato di portatrice di razionalità connesso all'atto primigenio di determinazione spaziale, il recinto: "Ho scelto di concentrare su questo l'interesse perché tutto il resto della preesistenza non poteva essere recuperato a spazio utile. Si sarebbe commesso un'imperdonabile traslato: le fabbriche di mattoni debbono rimanere così vuote, con le finestre senza serramenti come le occhiaie vuote di uno scheletro squallido ed allucinante".
In alcuni schizzi indaga la natura formale di un solido scomposto da pareti oblique e poi, via via, disarticolato in lunghe maniche prismatiche che divengono elemento di riunione di altre forme, percorso ordinatore di edifici. I setti cementizi, che meramente racchiudevano il lotto del primo grado, sono così sostituiti da spalti cavi a sezione triangolare, percorsi coperti che cingono estesamente il luogo come un fortilizio.
Dardi, per quanto veneziano di formazione, sembra già elettivamente propenso ai modi romani mostrando di prediligere all'analisi urbana la plasticità scultorea, quali i volumi inclinati, a scala urbana, del coevo progetto quaroniano per la Casbah di Tunisi (1966–67). II nuovo ingresso è la premessa a un nuovo itinerario che si fa promenade architecturale: attestato direttamente su via Palatucci l'accesso all'area è più defilato e si colloca nella zona d'attacco tra preesistenza e nuovo intervento con due alte lame triangolari di cemento sulle quali è distesa una vertiginosa pensilina ad anticipare, nella sua inclinazione, la sezione degli spalti. II muro-spalto è dunque percorso museale, sala di convegni, serie di sale attrezzate e illuminate dall'alto da un taglio zenitale che lascia trasparire una luce radente. Entro tale grande prisma un percorso offre, infatti, allo spettatore una prima visione delle varie parti del complesso. II taglio delle sezioni allora diviene determinante. Questo spazio è contemporaneamente aperto all'aria, ai venti, ma è coperto, è luogo di costrizione fisica, canale guidato, piccolo – nelle corbusiane misure 2,26 per 2,26 – e al contempo grande nella incombente tesa triangolare che precipita.
Tra i motivi anticipatori, nel progetto per la Risiera, troviamo la soluzione per la nuova sala-convegni: lo schizzo mostra
Tra le due fasi di concorso Dardi dunque passa progressivamente dalla disgregazione espressionista delle forme a una modalità diversa: un approccio analitico affine al senso inteso da Menna laddove l'arte realmente moderna è quella che si fa carico della riflessione su se stessa, che fa esercizio di analisi delle proprie forme e contenuti in un continuo esercizio di astrazione che la distingue dalla quotidianità. Come ha fatto notare Ariella Zattera nel progetto per la Risiera sono contenuti in nuce quasi tutti i temi della ricerca dardiana: simbolo, luce, risignificazione dell'oggetto, creazione del luogo (Zattera 1997). É al contempo un discorso di aderenza alla natura della disciplina architettonica, ai suoi strumenti formali, alle tecniche compositive, l'analisi delle relazioni spaziali, indagine sulle icone oltre che scavo della struttura formale dell'immagine architettonica, ben sintetizzate nella grande sezione longitudinale del complesso
Memore del motto platonico-pitagorico per il quale "Sempre geometrizza il Dio", Dardi è fortemente coinvolto con quella stagione della Nuova Architettura che egli stesso contribuì a indagare nelle pagine di II Gioco Sapiente: corbusianamente, "la Geometria è il nostro principio fondamentale. Essa dà forma ai simboli che rappresentano la perfezione, il divino. E ci procura le sottili soddisfazioni della matematica".
Bibliografia
- Archivio Progetti Iuav, Fondo Dardi
- Bilò 2012
Federico Bilò, Figura, sfondo, schemi configurazionali: due saggi sull'architettura di Costantino Dardi, Roma, 2012. - Costanzo, Giorgi 1992
Costantino Dardi: testimonianze e riflessioni, a cura di M. Costanzo e V. Giorgi, Milano, 1992 . - Dardi 1971
C. Dardi, Il gioco sapiente. Tendenze della nuova architettura, Padova, 1971. - Dardi 1987
C. Dardi, Semplice, lineare, complesso. L'acquedotto di Spoleto, Roma, 1987. - Dubbini 1997
G. Dubbini, Nella memoria di ognuno, in Costantino Dardi. Una valenza che si fa valore, atti del seminario, a cura di A. Tonicello, atti del seminario, Venezia, 1997, 176-186. - Fölkel 1990
F. Fölkel, La risiera di San Sabba, Milano, 1990. - Pavan 1987
Costantino Dardi 1936-1992. Inventario analitico dell'archivio Iuav, a cura di L. Pavan, Venezia, 1987. - Tafuri 1969
M. Tafuri, Dardi, “Lotus” 6/1969, pp. 163 e segg. - Tonicello 1997
Costantino Dardi. Una valenza che si fa valore, atti del seminario, a cura di A. Tonicello, atti del seminario, Venezia, 1997. - Zattera 1997
A. Zattera, Paesaggi plastici tra Venezia e Roma, in Costantino Dardi. Una valenza che si fa valore, a cura di A. Tonicello, atti del seminario, Venezia, 1997.
English abstract
The competition for the Museum of the Resistance in the former Trieste's Risiera (Rice Mill) takes on a special role within the architectural history of Costantino Dardi. His artistic theory evolved remarkably in the second half of the Sixties and, on the occasion of the Trieste's competition, symptoms of steadiness are clearly disclosed. In such contest the architects called to the final stage have produced a second project. Here Dardi pursues, overall, in his two solutions an “analytical” way for architecture as a unconventional response to the theme of the contest: a museum-monument in the same place of the nazist lager on Italian soil.Dardi passes from a first project, closer to the manner of Scarpa - where prevails an expressionistic formalization of the architectural object that is placed to disrupt the existing building -, to a second project, more likely to dialogue with the urban environment through geometry and abstraction. The examination of the design documents allow to rebuild a route that it will prove fruitful for the work of the friulian architect.
keywords | Architecture; Memory; Risiera di San Sabba; Trieste; World war II; Museum of Resistance; Nazi Lager; Dardi; Scarpa.
Per citare questo articolo/ To cite this article: Luigi Pavan, La linea analitica dell’Olocausto, in “La Rivista di Engramma” n. 123, gennaio 2015, pp. 49-62 | PDF