Berlino Sachsenhausen, la memoria ritrovata
Giacomo Calandra di Roccolino
English abstract
La cittadina di Oranienburg-Sachsenhausen si trova a circa 35 chilometri dal centro di Berlino a Nord-Est della città. Nell’estate del 1934, in seguito alla liquidazione delle SA (Sturmabteilung) da parte delle Schutzstaffel (SS) nella cosiddetta “notte dei lunghi coltelli”, si decise di chiudere il primo centro di internamento di Oranienburg. Il primo ‘campo’, dislocato in diversi edifici all’interno della cittadina, era stato creato l’anno precedente dalle SA ed era destinato prevalentemente alla detenzione degli oppositori politici del nazismo appena salito al potere. Il nuovo campo fu pianificato in scala molto maggiore a partire dalla primavera del 1936, in concomitanza con la costruzione della nuova sede della fabbrica di armamenti Heinkel. La Heinkel Flugzeugwerke, specializzata nella produzione di bombardieri e caccia da combattimento, utilizzò in seguito i prigionieri come forza lavoro.
La prossimità di Oranienburg con la capitale del Reich e con la sede centrale della Gestapo, fece sì che all’interno del nuovo Konzentrationslager (KZ) fosse collocato per un certo periodo l’ispettorato centrale di tutti i campi di concentramento. Come il campo di Dachau in Baviera, il KZ di Sachsenhausen fu progettato con l’intenzione di farne un campo modello per gli altri campi distribuiti in Germania e nei territori occupati: Hitler in persona aveva dato ordine ad Heinrich Himmler, di raggruppare gli internati in grandi Lager più facili da controllare e che, soprattutto, non fossero a diretto contatto con la popolazione.
Su un’area di circa dieci ettari si decise quindi di realizzare il nuovo campo, la cui forma venne stabilita a partire da alcune considerazioni di tipo economico e logistico. Il nuovo Konzentrationslager fu concepito secondo una geometria perfetta: all’area principale, destinata ai prigionieri, fu data la forma di un enorme triangolo equilatero di 555 metri di lato. Dapprima fu realizzata la rete elettrificata e nel 1938 venne innalzato un muro alto 2,70 m, interrotto da 8 torri di guardia più una torre principale d’ingresso, che si trovava alla metà geometrica del lato Sud, esattamente sull’asse principale del triangolo. Questa torre chiamata fin dall’inizio “Stazione A”, poiché da essa entravano i prigionieri, era la sede del comando del campo e si trovava di fronte alla piazza dell’appello dove ogni mattina venivano radunati tutti i prigionieri per il conteggio.
La torre A era, inoltre, il fuoco geometrico intorno al quale erano disposte a raggiera, su quattro diverse fasce concentriche, le baracche degli internati. Il motivo di una tale disposizione era il controllo dei corridoi tra le baracche, che non offrivano in questo modo alcun riparo allo sguardo e al fuoco di chi si trovava di guardia sulla torre centrale, sulla quale era collocata una mitragliatrice mobile in grado di colpire in tutte le direzioni. In realtà il significato della forma triangolare dell’intero complesso era puramente simbolico e aveva più a che fare con la pressione psicologica esercitata sugli internati che con una migliore efficienza nel controllo. La torre d’ingresso, in cui non manca la cinica scritta “Arbeit macht frei” e che ancora oggi domina l’intero campo, con la sua mitragliatrice bene in vista, era stata sicuramente pensata per far sentire i prigionieri ancora più inermi e rimarcare il potere di vita e di morte delle SS nei loro confronti.
Anche la convergenza dei due muri est e ovest, era stata pensata con questo scopo. Se osservata dall’asse centrale, essa accentua la sensazione di immensità dello spazio e crea ancora oggi un senso di forte disagio. In realtà la forma del campo pose in seguito non pochi problemi funzionali, soprattutto quando si rese necessario l’ampliamento della struttura, visto il numero sempre crescente degli internati. Fu infatti necessario demolire parte del muro sud e dar vita al cosiddetto “piccolo campo”, di forma rettangolare che constava di 16 baracche per lo più destinate ad ospitare gli internati speciali e gli ebrei.
Lungo l’asse centrale, all’altezza del primo cerchio di baracche, si trovava la forca per le esecuzioni per impiccagione, anch’essa collocata in una posizione centrale e visibile a tutti, mentre proseguendo si trovavano gli edifici delle cucine e della lavanderia. Nell’angolo Sud Ovest trovavano posto l’infermeria e la patologia, mentre nell’angolo Sud Est, circondato da un ulteriore muro era collocato il carcere interno al lager, un edificio a forma di “T”, nel quale venivano rinchiusi i prigionieri più ‘scomodi’, come ad esempio i più noti oppositori politici del nazismo.
Il KZ di Oranienburg-Sachsenhausen fu abbandonato nell’aprile del 1945, quando ormai l’armata rossa era alle porte di Berlino. Tutti i prigionieri in grado di camminare furono evacuati e condotti a piedi verso la città di Schwerin, dove arrivarono solo in pochi: moltissimi infatti morirono di stenti durante la marcia. L’armata rossa liberò il campo nella notte tra 22 e il 23 aprile 1945, ma già nell’agosto dello stesso anno i servizi segreti russi collocarono a Sachsenhausen il loro Lager speciale numero 7, che rimase in funzione dal 1945 al 1950. I prigionieri, per lo più piccoli funzionari del partito nazista, ma anche oppositori politici e persone condannate dai tribunali di guerra russi, furono circa 60.000. Anche fra questi 12.000 morirono di fame o malattia ma si trattava di circa un decimo di quelli che avevano perso la vita nel campo sotto il nazismo.
In seguito all’iniziativa di alcuni ex prigionieri, nel 1955, si decise di realizzare nell’ex campo di concentramento di Sachsenhausen un “Memoriale Nazionale del ricordo e della memoria”. A questo scopo fu istituito un Kuratorium per la costruzione dei memoriali nazionali e venne avviata una raccolta di fondi tra i prigionieri superstiti e privati cittadini, che raggiunse in breve tempo i due milioni di marchi.
Una prima serie di schizzi fu realizzata nello stesso anno dal paesaggista Reinhold Lingner. Pur rimanendo irrealizzata, la proposta fornì alcuni spunti progettuali che costituirono la base di partenza per la realizzazione definitiva. La principale caratteristica della proposta di Lingner era la capacità di tenere insieme il carattere “eroico” del memoriale, con la costruzione di un vero e proprio percorso del ricordo, una qualità che fu mantenuta anche nel memoriale realizzato. Egli aveva proposto di riutilizzare la piazza d’appello come fulcro del memoriale, collocandovi un monumento in forma di “muro” esattamente di fronte alla torre d’accesso. Allo stesso tempo aveva posto attenzione all’aspetto museale e documentario, grazie al mantenimento e alla parziale ricostruzione delle ‘reliquie’ architettoniche del Lager. Questi due elementi furono inoltre inseriti in un ambiente caratterizzato da un’estrema cura nelle scelte paesaggistiche, tanto che il progetto fu criticato e poi scartato poiché, a detta dei suoi detrattori, rendeva l’ex campo troppo simile ad un parco pubblico, smorzando il carattere alienante di quel luogo di sofferenza.
La realizzazione del memoriale fu infine affidata al Kollektiv-Buchenwald, un gruppo di progettazione di cui facevano parte tre giovani architetti: Ludwig Deiters, Horst Kutzat e Kurt Tausendschoen. Nella Germania socialista i progetti pubblici di rilievo erano sempre affidati a “collettivi” composti da più architetti afferenti a un’istituzione pubblica, come ad esempio la Bauakademie di Berlino o gli uffici tecnici comunali. Il collettivo prendeva il nome dal famigerato campo di concentramento nei pressi di Weimar, nel quale, a partire dal 1951, aveva già realizzato un grande memoriale.
Rispetto ai due memoriali di Ravensbrueck e di Buchenwald - gli unici grandi campi di concentramento che si trovavano sul territorio della neonata Repubblica Democratica Tedesca - la situazione a Sachsenhausen era differente: erano rimaste solo poche tracce degli edifici originali: le baracche in legno erano quasi tutte crollate o erano state distrutte dalla Volkspolizei durante il quinquennio 1950-55, che vide la “polizia del popolo” prendere in consegna l’intero complesso e destinarlo a zona per esercitazioni militari. Ciò che rimaneva a testimonianza del campo di concentramento e di sterminio fu censito e risultò subito chiaro che gli unici edifici recuperabili erano le baracche destinate ai malati con la vicina patologia, i due edifici della lavanderia e delle cucine e la torre “A”, oltre ad alcuni altri edifici in muratura che facevano parte della zona destinata all’alloggiamento delle SS, i guardiani del campo. Gli altri edifici tra cui il carcere interno e la “stazione Z”, dove si trovavano i forni crematori, erano ridotti a rovine. Anche le torri di guardia erano gravemente danneggiate, benché fossero ancora riconoscibili nelle loro forme originarie.
Lo scopo da raggiungere attraverso l’architettura, era quello di creare un luogo per ricordare, ma che avesse al tempo stesso il ruolo di un ammonimento, che consentisse da un lato di onorare coloro che lì avevano sofferto ed erano morti, dall’altro di far riflettere le nuove generazioni su che cosa aveva significato il nazismo e di quali metodi si era servito. Naturalmente il principale interesse della SED il partito socialista unitario che governava la Germania est dalla sua fondazione, aveva come obiettivo in primo luogo la commemorazione dei perseguitati politici e delle vittime straniere internate per gli stessi motivi. Solo in seconda istanza il memoriale era dedicato alle vittime di religione ebraica e agli altri internati. Il collettivo partì dal presupposto che bisognava conservare e rendere riconoscibili le due forme principali del campo: il grande triangolo e il piazzale semicircolare dell’appello. Per far ciò era necessario innanzitutto ricostruire il muro di cinta e risanare le torri di guardia, anche integrandole dove necessario. Il filo spinato elettrificato che originariamente circondava l’intera area venne ricostruito solo in parte, poiché si considerava fuori luogo un eccessivo realismo.
Per quanto riguarda invece la piazza dell’appello il problema era più complesso. Gli edifici del primo cerchio erano stati demoliti e se ne erano salvati solamente tre, i due dell’infermeria e un’unica baracca dei prigionieri, la prima a destra della torre d’ingresso. Il bisogno di “ricreare le sensazioni di quel luogo orribile” fu oggetto di molte differenti ipotesi da parte dei progettisti. Per gli architetti era però fondamentale ricostruire il limite spaziale dell’Appelplatz, originariamente costituito dalla serie dei fronti delle baracche disposte a raggiera. La ricostruzione ex novo degli interi alloggiamenti fu scartata e si decise di realizzare al suo posto un muro semicircolare, con fori in forma di croci, ma pieno in corrispondenza degli alloggiamenti originari degli internati. Il muro forato, che a una certa distanza appare pieno, permette via via che che ci si avvicina di percepire l’immensità dello spazio retrostante, aumentando il pathos dell’intero percorso.
Un altro elemento centrale per il progetto e di forte impatto simbolico è il monumento che fu realizzato in forma di stele sull’asse principale, in corrispondenza del terzo cerchio delle baracche, verso il vertice settentrionale del triangolo. Il monumento prende spunto da diversi esempi coevi, non ultimo il già citato memoriale di Buchenwald. La grande stele in pietra costituisce ancora oggi la dominante verticale del Lager e fu innalzata di fronte e in diretta contrapposizione con la torre di accesso, la “Stazione A”. Se questa era divenuta il simbolo principale della privazione della libertà e della sopraffazione nazista, il memoriale/stele era pensato come simbolo di libertà e autodeterminazione. La grande stele fu decorata con triangoli rossi, segno distintivo nel campo dei prigionieri politici, che durante il socialismo erano la categoria di internati su cui era incentrato il messaggio politico del memoriale socialista.
Oltre a questi tre elementi principali, altri elementi facevano parte del progetto memoriale socialista. Tra questi, la valorizzazione degli edifici superstiti del campo, in particolare i resti dei forni crematori, distrutti dopo la liberazione e l’edificio del carcere, dove erano stati detenuti alcuni ‘eroi’ del comunismo tedesco come Ernst Taehlmann. La cosiddetta fossa delle esecuzioni, utilizzata durante l’ultima fase di vita del campo e direttamente collegata ai forni crematori, fu coperta da una struttura in cemento armato, mentre il carcere che nella prima relazione del ’56 viene descritto come rovina, fu parzialmente ricostruito e utilizzato come parte del percorso memoriale.
Questo monumento, realizzato con l’intento di rappresentare e dare voce a quegli uomini tedeschi e stranieri che si erano opposti al nazismo, e quindi solo a una parte delle vittime del campo, fu inaugurato con una cerimonia solenne nella primavera del 1961, solo pochi mesi prima della costruzione del Muro di Berlino. Dopo l’unificazione delle due Germanie, nel 1993, il campo è passato sotto la giurisdizione della Fondazione dei memoriali del Brandeburgo. Da subito sono stati avviati i lavori di risanamento del memoriale socialista e sono stati indetti concorsi di progettazione finalizzati a rinnovare l’architettura avvicinandola ad un modo diverso di concepire il tema memoriale. I concorsi indetti dalla fondazione puntavano inoltre ad accentuare la funzione museale e didattica di questo luogo e soprattutto a rendere nota ai visitatori la vita del campo dopo la fine della guerra, quando, come si è sottolineato all’inizio, continuò ad essere usato dai servizi segreti russi nelle sua funzione originaria.
Oltre al nuovo ingresso per i visitatori, i due luoghi che hanno visto un nuovo intervento architettonico sono stati la “Stazione Z”, ovverosia il luogo degli ex forni crematori, che come abbiamo visto era già stato musealizzato nel 1961 dal Kollektiv-Buchenwald, e il nuovo padiglione dedicato al Lager speciale sovietico, che si trova in prossimità del vertice principale del triangolo e che si sviluppa lungo il lato Est del campo originario. Le due architetture sono differenti per funzione e materiali ma hanno una caratteristica comune, che è quella di astrarsi per quanto possibile dal contesto per concentrare l’attenzione del visitatore su un particolare aspetto o edificio che espongono.
Il nuovo edificio realizzato dallo studio HG Merz è di fatto una copertura archeologica per i resti dell’edificio denominato cinicamente dai Nazisti “stazione Z” in contrapposizione alla stazione A, l’ingresso al campo. Costruito nel ’42 il complesso a forma di U consisteva di un luogo di esecuzioni singole e di massa, con un passaggio diretto al luogo dove venivano raccolte le salme per la cremazione, uno spazio per le fucilazioni, la camera a gas e quattro forni crematori. In seguito all’occupazione dell’area da parte dell’esercito della DDR l’edificio fu fatto saltare ed è per questo che oggi restano visibili solo alcuni resti delle fondamenta dei forni. Il complesso si trova al di fuori del perimetro del campo e vi si accede dopo aver percorso il muro ricostruito attraverso pannelli di cemento liberi che riprendono l’antico tracciato. Questo muro discontinuo, che lascia aperti degli intervalli da cui è possibile intravvedere la copertura permette di entrare tra i pannelli nel vuoto dell’area. Superfici di ghiaia recintate segnano a terra i contorni delle vecchie strutture; mentre altre aree delimitate a terra da fasce di pietra bianca, indicano le fosse comuni con la cenere di coloro che qui furono cremati. Questo è un cimitero e allo stesso tempo un luogo di atrocità e ricordo.
La nuova struttura, appare come una scatola bianca con i bordi smussati che ingloba le rovine dell’edificio dei forni e rimane sospesa, quasi fluttuante a poca distanza dalla fossa delle esecuzioni. Soltanto l’ombra della struttura interna alla membrana bianca in materiale plastico suggerisce la sua materialità. Una profonda incisione sulla facciata centrale forma la bassa entrata. La veduta diretta sull’interno è schermata da un muro libero di cemento con una citazione da una poesia di un ex prigioniero di nazionalità polacca. Sospeso compatto e leggero, il materiale che avvolge la struttura non è immediatamente riconoscibile. Il basso soffitto limita e definisce l’interno e trasmette un senso di oppressione. Le forme semplici lasciano però immaginare la complessità strutturale che si cela sotto questa “pelle” candida. Oltre alla protezione delle fondamenta della stazione Z, l’edificio prevede uno spazio che doveva essere dedicato al ricordo e alla riflessione silenziosa. Questo spazio è l’unica area non coperta e ha al centro la scultura “pietà” realizzata per il primo memoriale del ’61 e riprende la struttura originaria.
Con la loro soluzione di struttura a membrana, che fluttua astrattamente sul precedente edificio gli architetti sono riusciti a sviluppare un edificio che interpreta con grande suggestione la funzione di contenitore e luogo di raccoglimento. La coperture e le pareti appaiono come un’entità unica, che si interrompe soltanto in corrispondenza del cortile che potrebbe essere accostato all’impluvio di una domus romana. L’interno illuminato naturalmente attraverso la membrana tralucente permette all’aspetto della costruzione di variare con l’incidenza della luce.
Per quanto riguarda invece il padiglione realizzato dagli architetti Schneider e Schumacher nello Speziallager N. 7 esso è decisamente più complesso, anche perché si tratta di un edificio che svolge funzioni espositive. Esso si sviluppa in pianta come un unico setto, che circonda un rettangolo di 660 metri quadrati di superficie. Anche in questo caso non vi sono pilastri interni, ma la struttura è formata dal muro in cemento e dalla copertura costituita da una fitta serie di travi in acciaio che lasciano filtrare la luce attraverso gli spazi interstiziali lasciati liberi tra di esse. Al di sopra il padiglione è chiuso da lucernari continui che danno l’impressione della mancanza di una copertura. Il parallelepipedo nero, che eccettuato la ‘fessura’ dell’ingresso appare impenetrabile dall’esterno, è basso per non sovrastare le baracche in muratura del Lager sovietico, ma recupera spazio scendendo di un metro all’interno. Qui sono raccolti in numerose bacheche anch’esse in forma di solidi scuri, documenti e oggetti che raccontano episodicamente la vita all’interno del lager sovietico.
Un ultimo piccolo memoriale, quasi invisibile, si trova nel lato orientale del muro di cinta del Lager. Si tratta dell’integrazione in mattoni del muro in grandi blocchi di cemento che divideva il campo nazista da quello sovietico. Questo ‘restauro’ apparentemente privo di importanza è forse il più significativo di tutto il memoriale. Questo era infatti uno degli accessi al Lager speciale e fu chiuso contemporaneamente alla realizzazione del memoriale del 1961 per cercare di cancellare la memoria del riutilizzo del campo da parte dei Russi tra il 1945 e il 1950.
Come appare evidente confrontando il memoriale socialista con il lavoro degli ultimi anni, la concezione dell’architettura memoriale a Sachsenhausen è radicalmente cambiata dal 1961 ad oggi. Oggi tende a colpire l’immaginazione del visitatore presentandogli direttamente gli oggetti della vita quotidiana dei prigionieri. Ciò non significa che il memoriale socialista, che puntava di più sull’aspetto emotivo e simbolico dell’architettura abbia perso il suo valore e la sua funzione. Sachsenhausen è in questo senso uno dei memoriali più interessanti da questo punto di vista, poiché qui più che altrove è stato possibile sperimentare allo stesso tempo diversi modi di interpretare il tema del ricordo. Queste due differenti poetiche invece di contrapporsi l’una all’altra contribuiscono a creare un’atmosfera particolare, che alterna alla riflessione interiore un approfondimento delle proprie conoscenze e delle tragedie di cui questo luogo fu teatro.
Bibliografia
DETAIL 2003
Schneider + Schumacher, “Museum Sowjetisches Speziallager in Sachsenhausen”, "Detail", 2003, n. 4 (aprile), 332-335.
FIBICH 1998
P. Fibich, “Gedenkstätte Sachsenhausen. Wettbewerb Zentraler Gedenkort "Station Z"”, in Bauwelt, Vol. 89, n. 46, 2562.
HARTUNG 1994
U. Hartung, Gestalterische Aspekte von NS-Konzentrationslagern unter besonderer Berücksichtigung des SS-Musterlagers Sachsenhausen, Düsseldorf 1994.
KURATORIUM 1956
Kuratorium für den Aufbau Nationaler Gedenkstätten in Buchenwald, Sachsenhausen, Ravensbrück (a cura di), Nationale Gedenkstätte Buchenwald auf dem Ettersberg bei Weimar, Reichenbach 1956.
KOMITEE 1962
Komitee der Antifaschistischen Widerstandskämpfer in der DDR (a cura di), Sachsenhausen, Berlin 1962.
MORSCH 1996
G. Morsch, Von der Erinnerung zum Monument, Berlin 1996.
NIEDERMAYR 2009
W. Niedermayr, Station Z – Sachsenhausen, Ostfildern 2009.
ULLMANN 1960
E. Ullmann, Sachsenhausen National Memorial, Berlin 1960.
ULLMANN 1961
E. Ullmann (a cura di) , Sachsenhausen : Nationale Mahn- und Gedenkstätte Sachsenhausen, Berlin 1961.
WEIHSMANN 1998
H. Weihsmann, Bauen unterm Hakenkreuz, Wien 1998.
WOLFF 1987
G. Wolff, Kalendarium der Geschichte des KZ Sachsenhausen - Strafverfolgung , Oranienburg 1987.
English abstract
Sachsenhausen concentration camp was built in the suburbs of Berlin in 1936. It was intended to be a model for later built camps, both for it was on the outskirts of Reich's capital and because it was becoming the nerve centre of the death camps system set up by the SS. Its shape was planned down to the last detail and is still readable: it is an equilateral triangle which takes 555 mt. on each side. The heart of the building is an access tower situated at the centre of the South East side. From the tower branched off in a radial arrangement the sheds set for the first internees: mostly political prisoners and opponents of the nazi regime.
The history of this suffering place, like that of the entire German capital, is characterized by different architectural projects superimposed one upon the other. This stratification made of this monument an essential episode to study memorial architecture, for many interpretation of this theme are here represented, which were conceived in different historical moments from totally opposite points of view.The first memorial was accomplished in the first half of the Fifties: it was meant to represent in a symbolic way a reality which was not to be shown in its material evidence (the camp had remained almost entirely unchanged up to 1955). The attempt was to arouse in the visitor a sense of unease, which was induced by the immeasurability of space and few calculated symbols, intended to testify what had happened there.
After the fall of the Wall, the camp was completely restored, emphasizing its museological and didactic value: the place was organized like a spread museum, that hurts visitor's sensitivity with the tactile evidence of objects and details of camp life.
An expository building and a shell to cover the rests of crematoriums have been built as a result of some project competitions: they represent, from an architectural point of view, a different way of expressing the theme of memory, from an historical point of view, the recovery to common memory of a period in the life of Sachsenhausen camp - the years between 1945 and 1950 - which was intentionally removed under German Democratical Republic.
keywords | Architecture; Memory; Memorial; Berlin; Sachsenhausen concentration camp.
Per citare questo articolo/ To cite this article: Giacomo Calandra di Roccolino, Berlino Sachsenhausen, la memoria ritrovata, in “La Rivista di Engramma” n.123, gennaio 2015, pp. 75-88 | PDF