"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

123 | gennaio 2015

9788898260683

Vers une consistance de notre histoire. Ce que m'évoque Alfredo Jaar

Ramuntcho Matta

English abstract

Presentazione di Silvia De Laude

Meno di un mese fa, mentre era in preparazione questo numero di “Engramma” sui memoriali e le architetture della memoria, ho incontrato il musicista e artista Ramuntcho Matta a Lizieres, il castello della Piccardia, a circa 80 chilometri da Parigi, dove Matta nel 2008 ha creato a sua immagine un Centro di Cultura e di Risorse che credo non abbia un eguale nel mondo: una piattaforma, o meglio un laboratorio sperimentale che ha l'obiettivo di rendere vitali le riflessioni sulle arti, le filosofie e le pratiche fisiche, senza distinzioni di genere e categorie, facendo uscire l'avanguardia dal suo isolamento, e dandole nuovi spazi di sperimentazione e condivisione. Un avamposto dell'Utopia in terra di Francia.

Sapevo Ramuntcho amico di Alfredo Jaar, e gli ho chiesto di scrivere qualcosa sullo straordinario memoriale delle vittime della dittatura di Santiago del Cile (2010), troppo recente nel tempo e ancora poco noto, anche se qualche immmagine se ne trova, per esempio, nel volume Alfredo Jaar. The way it is. An Aestetics of Resistance, che credo abbia avuto molta fortuna nell'edizione bilingue (Eine Ässthetik des Wiederstands, in occasione della retrospettiva di Berlino 2012). Il testo che ci ha mandato (Ce que m'évoque Alfredo Jaar) è molto di più. A partire dall'esperienza di Alfredo Jaar, un invito a riflettere sull'idea che la memoria non riguardi il passato ma un presente da rendere più ricco: obiettivo nel quale si sono cimentati variamente artisti con i quali quali ha incrociato la sua strada, come Chris Marker, Stephen Willats e Dennis Adams.

Matta, quindi, presenta nel testo offerto a “Engramma” la sua personalissima esperienza e insieme la testimonianza di una costellazione di esperienze artistiche che ruotano (al di là del canonico e a volte un po' retorico e ripetitivo esercizio architettonico del Memoriale) intorno al tema della memoria.

Il tempo, d'altra parte (o un certo o incerto uso del tempo) è il filo rosso di tutta la produzione di Matta, nel campo dei disegni, della musica, delle installazioni, e in qualunque altra forma si sia misurato questo artista multidisciplinare impossibile da liquidare in qualunque esclusiva etichetta di genere. (Non è in fondo anche il castello di Lizieres, con il recupero architettonico realizzato grazie all'instancabile e appassionata complicità di Ombra Bruno, un'opera vera e propria, con i suoi muri e con le idee che la sostengono? E i dischi? Certi disegni buttati giù di getto, e postati su Facebook? E le collaborazioni ad opere altrui?)

Proprio L'usage de temps è il titolo del suo ultimo libro, uscito a Parigi nel 2014, costruito intorno ad uno scambio di mail fra Matta e Philippe Ducat, il bravissimo grafico incaricato di confezionare il libro, e diventatone co-autore. Con il tempo e la memoria, d'altra parte, uno come Matta ha sempre avuto a che fare, portandone l'orgoglio e il peso.

Un soccorrevole sito personale aiuta a orientarsi nel lavoro labirintico di Ramuntcho Matta. Nato a Neully-sur-Seine nel 1960, figlio del grande pittore cileno Roberto (o Sebastian) Matta e di Malitte, intellettuale e grande amica amica degli scrittori surrealisti. La sua prima passione è la musica, coltivata da solo e all'interno di progetti condivisi con altri, come Don Cherry, Brion Gysin, John Cage, Chris Marker, Bob Wilson. Insieme alla musica, l'esercizio dello yoga è stata una sua personale alternativa alla scuola, abbracciata da ragazzino con il consenso e l'appoggio dei genitori. A metterlo in contatto con Brion Gynsin, quando aveva 15 anni, è stato Maurice Benchamou, che era suo insegnante. Con Gensyn, scopre la poesia sonora e il movimento della beat generation (William Burroughs, Allen Ginsberg...). Più tardi sono i contatti con Lou Reed e Laurie Anderson.

L'usage du temps, come dicevo, è costruito su uno scambio di mail fra l'artista, il grafico che doveva organizzare il volume, Philippe Ducat, e la gallerista-editrice parigina che lo avea sollecitato, Anne Barrault). Lì, La prima mail è dell'artista, che rispondendo evidentemente a una sollecitazione o a una richiesta d'aiuto del bravissimo grafico, Philippe Ducat, ha scritto:

Non so bene da dove partire, ho cercato un appiglio e alla fine mi sono reso conto che è proprio l'uso del tempo al centro del mio lavoro. Si tratti di musica, disegni, installazioni e altre cose, il filo rosso è un certo o incerto uso del tempo. Il punto vero, del resto, oggi, è la questione della verità, delle verità. E uno degli assi liberarori, è la questione del tempo. Il tempo non è costante. Esistono orologi emozionali, fisiologici, contestuali... e ognuno ha la sua logica.

Anch'io ho chiesto a Ramuntcho il suggerimento di un 'filo' per presentare la sua opera ai lettori di “Engramma”. Anch'io ho ricevuto una mail che semplifica le cose e rivela insieme doppifondi che le complicano:

Cet avion qui traverse le ciel:
qu'est ce qu'il évoque ?
qu'est-ce qu'il invoque ?

La gestion de la mémoire induit notre présent.
Nous sommes tous des monuments a la mémoire.

L'architecture est par conscience ou par omission ancré dans ce devoir.
Certains artistes ont, dans leur démarche, posé des jalons sur ces questions.
Espaces publiques = publicité pour quoi ?

L'autopresentazione contenuta nel testo email riprodotto qui sopra si può intendere come ulteriore premessa o introduzione alla lettura. La speranza è che il testo inedito di Ramuntchco Matta che presentiamo in “Engramma” sia uno spunto per approfondire alcuni dei temi trattati, e conoscere se non lo si è fatto prima un rappresentante tra i più spiazzanti e fascinosi della commistione contemporanea fra i linguaggi.

Ramuntchco Matta
Vers une consistance de notre histoire. Ce que m'évoque Alfredo Jaar

A partir de 1993 Chris Marker m'avait demandé de l'accompagner dans la réalisation du projet Immemory.

L'accompagnement consistait à apporter mon savoir faire technologique et à tester la navigation proposée par Chris Marker avec le logiciel Hyperstudio.

Le projet se voulait être un ouvroir de comment notre mémoire peut se donner en partage.

Comment tisser une toile entre différents sujets qui peuvent paraître indépendant mais qui en fait sont indispensable au développent d'une pensée construite.

De quoi parle Immemory?

Immemory parle de cela aussi.

Cela parle aussi d'un des dernières des utopies: l'outil informatique pourrait être un vecteur de transmission extraordinaire.

Au lieu de cela il devient une école pour tireurs d'élites.

Le cinema de Chris Marker parle de cela aussi: il existe une lignée d'exigence qui met l’être humain au dessus de la barbarie.

Et il existe un autre cinema qui celui du divertissement et du colonialisme culturel et du terrorisme intellectuel.

Comment mettre en place un dispositif informatique qui propose de pause constructive?

Le temps nécessaire a notre propre édification se repose sur des fondations communes.

Ces quelques photos de son atelier nous montre “l'ordre“ par lequel Chris Marker trouvait ses cheminements.

Accepter qu'un certain chaos est nécessaire car il est des espaces où la rationalité n'a pas emprise.

Il est existe même des domaine où elle peut être castratrice, nocive, et empêcher a la constitution d'un individu.

Une démarche artistique nous montre qu'il existe une quantité infinie de possibilités d’être.

Quelque soit les démarches il existe un dénominateur commun.

La pause salutaire

Il ne reste plus beaucoup de bancs publics où se reposer, s'assoir, discuter, se repositionner. Pourtant c'est par l'échange que l'idée se construit.

C'est par les pauses que l'on peut avancer, se construire et édifier une société riche en complémentarités.

Malgré les tentations de soustraire l'espace public au débat public par la transformations des places en lieux de passages: la mémoire reste.

Les traces du passés subsistent sur les visages, les modalités de déplacements (les évitements, les précipitations, les collisions...).

Les amnésies collectives ont aussi des impacts dans les relations sociales, privées, sexuelles.

Il existe de multiples strates de pollutions qui perturbent nos agencements.

Il existe la pollution industrielle, la pollution sociale, la pollution relationnelle, la pollution économique... toutes ces pollutions sont interconnectée.

C'est par manque d'informations que les problématiques ne trouvent pas de dénouement salutaires.

Le nœud qui empêche la fluidification des informations découle d'une stratégie de la confusion.

Le monde technologique est avant tout un système de contrôle complexe.

Chris Marker en se l'appropriant apporte un nouvel outil au cinéma et aussi une proposition de fondations a un principe de responsabilité partagé.

Sur quoi se construit une mémoire?

Nous ne pouvons pas accepter qu'un siècle finisse pire que son commencement.

La politique de développement culturel peut autoriser un certain usage du temps a nos concitoyens. Le temps nécessaire aussi au débat public.

L'espace est là pour permettre le mouvement, la ventilation nécessaire qui donne de l'air a nos errements, convictions, asservissements.

Il ne faut pas nous réfugier dans nos convictions.

La culture n'est pas là pour nous divertir.

L'art est là pour enrichir notre être.

Une œuvre d'art est porteuse de multiples interprétations.

Elle ne porte pas la vérité: elle une machine a proposer des hypothèses.

Certains artistes ont su mettre en place des espaces où la stupeur et l’effroi nous rappelle a l'ordre.

L'ordre d'une hiérarchisation des priorités.

On ne peut pas être tranquille tant que un être humain sera dans la souffrance.

La question est comment agir.

Le comment commence par une guérilla intérieure.

Une vigilance envers ce que nous risquons de devenir si nous perdons conscience du risque.

Dennis Adams par l'architecture de l'amnésie

A partir de 1979, l'artiste Dennis Adams propose une prise de conscience par des dispositifs disposés dans l’espace public.

Cet espace public est porteur d'une charge plus ou moins masquée.

Tous les commerces ne peuvent pas faire perpétuellement “écran“.

Un jour où l'autre les besoins fondamentaux vont prendre le dessus.

L’être humain a besoin de relations avec la communauté.

Les arrêts d'autobus peuvent aussi être des espace de “consciences augmentées“.

Stephen Willats: mémoire vive

Qu'en est t'il de la fabrication du futur?

Comment aujourd'hui “comprendre“ les agencements qui construisent notre présent.

Stephen Willats montre les relations qui nous poussent a vivre de la façon que nous pensons être nos choix.

L'architecture modèle nos mouvements, la musique que l'on écoute est une métaphore de notre potentialité.

Nos habillements participent a nos théâtralités.

Alfredo Jaar: espace récent

Dans son œuvre “la géométrie de la conscience“ (2010) Alfredo Jaar met en place un dispositif qui non seulement effectue un travail de mémoire vis a vis des victimes de la torture mais ajoute par les silhouettes une évocation des responsables.

Ces responsables anonyme qui pourraient être vous, moi...

Car le devoir de mémoire est avant tout là pour ne pas endormir notre vigilance.

honorer les morts c'est bien, c'est important.

La conscience du risque de dérive est vital.

Passer du visage des victimes a notre propre reflet met en place une menace: le risque d’être, a nouveau, soi-même victimes.

Victime de la torture et victime de l'illusion qui pousserait a penser être du coté des justes.

Mais y a t'il un coté des justes?

Que se passait t'il dans la tête des bourreaux?

Comment un esprit peut se trouver modifié par son milieu afin de devenir un monstre.

Le juste ne se mesure pas seulement en notre capacité a réagir face au danger, car le danger peut être mal interprété, mais a notre puissance a produire des hypotheses.

Surtout dans une société en proie a la stratégie de la confusion.

Mais quel mécanisme mental un Pinochet, un Adolf Hitler, un Grégoire IX ou Innocent II ont t'il peut mettre en place l'effroi et la terreur?

Ce sont aussi ces visages là que je perçois dans les silhouettes mises en place par Alfredo Jaar.

Ce n'est donc pas face a une menace extérieure qu'il est important de se mesurer mais a la constitution de nos intériorités.

Les éventements récents en France montrent que l'humanité est en péril.

Les tendances radicales qui spéculent sur l'ignorance ne sont pas un monstre sorti de nulle part.

Ce sont les symptômes d'une société injuste, cruelle et barbare : la notre.

En séparant la culture de l'éducation le fossé se creuse entre connaître et comprendre.

L’être humain ne va pas devenir un ordinateur où tout est bien rangé.

L’être humain est un paradoxe ambulant où le meilleur côtoie le pire.

Et le pire de tout ce serait de ne pas se souvenir du pire, comme du meilleur.

D'où l'importance de construire une politique de développement culturelle courageuse et ambitieuse.

Ne serais ce que pour se prémunir contre le risque du retour de l'imbécillité.

English abstract

Memory is not about the past. Il is about how to make the present more dense. With the help of the work by Chris Marker, Alfredo Jaar, Stephen Wilats and Dennis Adams, Ramuntcho Matta (multimedium artist) proposes an optimisation of conscienceness.

keywords | Architecture; Memory; Contemporary art; Time; Matta.

Per citare questo articolo/ To cite this article: Silvia de Laude, Vers une consistance de notre histoire. Ce que m'évoque Alfredo Jaar. Ramuntcho Matta, in “La Rivista di Engramma” n. 123, gennaio 2015, pp.15-26 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2015.123.0008