Nachleben e vittorie postume della Venus Victrix di Brescia*
Lorenzo Bonoldi
English abstract
"Bella nel peplo dorico, la parma
poggiata contro la sinistra coscia,
la gran Nike incidea la sua parola".
(Gabriele d'Annunzio, Ode alla Vittoria)
Il tipo iconografico della Vittoria con clipeo iscritto viene comunemente definito 'Vittoria tipo Brescia' (cfr. Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, ad vocem 'Victoria'): questa denominazione dipende dalla consuetudine, propria del gergo archeologico, di raggruppare sotto il nome dell’esemplare più antico e/o più noto diversi reperti afferenti a un medesimo schema iconografico.
Come è noto, la Vittoria di Brescia è molto probabilmente il risultato di una manipolazione, databile all'età di Vespasiano (69-79 d.C.), di una preesistente statua di Afrodite: un'Afrodite vincitrice su Ares, che esibiva come trofeo le armi dell'amante (sulla vicenda della metamorfosi di Venus Victrix in una Venusta Victoria si rimanda al saggio citato). Comunque la Vittoria di Brescia rappresenta con ogni probabilità, se non l’archetipo in senso assoluto, certamente una delle primissime attestazioni del tipo iconografico 'Vittoria con scudo' che godette poi di un'ampia diffusione nell'età imperiale romana.
Copia della Vittoria di Brescia fusa da Eck e Durand nel 1861, donata a Napoleone III dopo la vittoria nella battaglia di Solferino (1859). Parigi, Louvre (sono visibili i restauri integrativi)
Ritrovamento della Vittoria di Brescia e suo riconoscimento quale Victoria in clipeo scribens
Posta sul fronte del Tempio di Vespasiano a Brescia nell'anno 75 d.C., la Vittoria venne successivamente interrata, probabilmente durante le invasioni barbariche del V secolo. Dalla tarda antichità, comunque, la statua rimase certamente invisibile fino al 20 luglio 1826, quando fu ritrovata nel corso degli scavi nell'area archeologica del Capitolium di Brescia.
La Vittoria di Brescia fu rinvenuta priva dello scudo e dell'elmo posto sotto il piede; poiché invece vennero ritrovati accanto ad essa alcuni frammenti di una biga, alcuni studiosi avanzarono al tempo un'ipotesi di ricostruzione secondo la quale la Vittoria sarebbe stata rappresentata nell'atto di salire su di un cocchio, con le braccia distese a reggere le briglie dei cavalli. Tuttavia, ben presto si arrivò alla conclusione che la Vittoria appartenesse alla tipologia che d'ora in poi definiremo della Victoria in clipeo scribens e venne conseguentemente restaurata con l'integrazione dello scudo poggiato sulla coscia sinistra e sorretto dalla mano corrispondente, e di un elmo posto sotto il piede sollevato.
Meccanismi di sopravvivenza dell'iconografia della 'Vittoria tipo Brescia'
La possibilità di riconoscere e ricostruire l'aspetto 'originario' della scultura in bronzo appena ritrovata venne offerta dalla conoscenza del tipo iconografico in questione – più tardi ribattezzato 'tipo Brescia' – largamente attestato nella produzione artistica dell'antichità, soprattutto nell'ambito della glittica e della produzione numismatica. Così si legge nel Museo bresciano illustrato, a cura di Giuseppe Nicolini, Rodolfo Vantini, Giovanni Labus (Brescia 1838):
"Il giorno 20 luglio del 1826, scavandosi il lato verso ponente di quella viottola, che disgiunge il colle dalla fabbrica, sotto un mucchio di terra commista a carbone, fu scoperto un cumulo di svariati oggetti di bronzo e i più fra essi dorati. Tiene il primo luogo di questi una statua maggiore del vero, che rende immagine della Vittoria, atteggiata a un dipresso come vedesi sulla colonna trajana, dallo scudo in fuori, che in questa pure dovea esservi, ma non venne trovato. […] Fa stupore l'inganno di chi ravvisò in questa statua la Fama. Vero è che alla Fama eziandio assegna Omero le ale, perché messaggera di Giove, e che pennuta e volante è descritta da Nonno, da Virgilio, da Ovidio; ma l'attributo che qualifica la Fama non è la palma, né la corona, né il clipeo, né l’elmo o il globo sotto il manco piede, bensì la tromba. […] Si chiese che cosa potesse mai scrivere [sullo scudo]: e si ignorarono i nummi pressoché innumerabili ove la Dea sta scrivendo sul clipeo Victoria Caesaris, Victoria Dacica, Victoria Germanica, Victoria Parthica e simili".
La Vittoria di Brescia come appare nel Museo bresciano illustrato, ancora priva dei restauri integrativi
La possibilità di ricostruire l'aspetto della Vittoria quale essa aveva all'epoca in cui svettava sul fronte del Tempio di Vespasiano a Brescia fu quindi offerta dalla conoscenza di un tipo iconografico che – nonostante l'invisibilità o l'assenza di quello che possiamo considerarne con buona approssimazione il prototipo – rimase disponibile, 'a portata di mano' per molti secoli: una grande Vittoria con scudo, le cui somiglianze con l'esemplare bresciano sono troppo strette per essere casuali, campeggia a metà del fregio della Colonna Traiana a Roma e numerosissime sono le monete romane che recano sul verso la rappresentazione allegorica di una Victoria in clipeo scribens (che nella produzione più tarda appare talvolta anche seduta anziché stante).
a sin. Vittoria di Brescia
al centro Vittoria sulla Colonna Traiana (calco del Victoria & Albert Museum di Londra)
a dex. Esempio di monetazione romana con Victoria in Clipeo Scribens (denario di Traiano)
Proprio ai conii imperiali, più che al rilievo traianeo – posto a un'altezza considerevole e quindi non agevolmente 'fruibile' – l'iconografia della Vittoria con scudo deve la sua sopravvivenza e la sua fortuna in epoca tardoantica prima e in età rinascimentale e moderna poi. Oggetti piccoli come cammei, gemme e monete sono infatti i primi testimoni dell'antichità a venire raccolti, studiati e catalogati nelle collezioni di dotti umanisti cultori dell'antico.
Entrata per questa via nel repertorio formale e nel catalogo delle diverse iconografie della Vittoria, la tipologia della Victoria in clipeo scribens riemerse nel Rinascimento dopo secoli di oblio, pronta a essere riutilizzata in nuovi contesti celebrativi e a ritrovare così una nuova stagione di vitalità e fortuna.
Riemersione dell'iconografia della Victoria in clipeo scribens in epoca rinascimentale
In un affresco della Sala delle Teste del Palazzo Ducale di Mantova, ascrivibile alla mano di Giulio Romano e databile agli anni trenta del XVI secolo, si riconosce una donna alata intenta a scrivere con una penna su uno scudo poggiato sulla coscia sinistra e sorretto con la mano sinistra: con la stessa mano la Vittoria regge anche un palmizio, attributo desunto da un'altra delle numerose iconografie della personificazione della Vittoria.
Interessante a questo punto è notare che l'affresco giuliesco non è una deduzione formale precisa, pedissequa e puntuale di un reperto antico: numerose sono infatti le varianti rispetto alla tipologia iconografica attestata nelle monete imperiali romane. L'opera del Romano è piuttosto l'applicazione di uno schema iconografico codificato, desunto sì dal repertorio figurativo dell'arte antica, ma piegato alle esigenze formali connesse alla destinazione d'uso della pittura. La postura della Vittoria giuliesca – non riferibile né alla tipologia stante né a quella seduta – è infatti dovuta alla necessità di riempire uno spazio triangolare al fianco della cappa di un camino. Pur nell’adattamento funzionale, tuttavia, l'utilizzo da parte di Giulio Romano di questa iconografia testimonia la conoscenza e la riconoscibilità del tipo Victoria in clipeo scribens, entrambe comprovate dall'esistenza di una derivazione puntuale da una moneta romana in un tondo a stucco, nella decorazione giuliesca dell'appartamento vedovile di Isabella d'Este ascrivibile allo stesso torno d'anni dell'affresco nella Sala delle Teste.
Giulio Romano, Vittoria con scudo, decorazione ad affresco dalla Sala delle Teste del Palazzo Ducale di Mantova
Interessante a questo punto è notare che l'affresco giuliesco non è una deduzione formale precisa, pedissequa e puntuale di un reperto antico: numerose sono infatti le varianti rispetto alla tipologia iconografica attestata nelle monete imperiali romane. L'opera del Romano è piuttosto l'applicazione di uno schema iconografico codificato, desunto sì dal repertorio figurativo dell'arte antica, ma piegato alle esigenze formali connesse alla destinazione d'uso della pittura. La postura della Vittoria giuliesca – non riferibile né alla tipologia stante né a quella seduta – è infatti dovuta alla necessità di riempire uno spazio triangolare al fianco della cappa di un camino. Pur nell’adattamento funzionale, tuttavia, l'utilizzo da parte di Giulio Romano di questa iconografia testimonia la conoscenza e la riconoscibilità del tipo Victoria in clipeo scribens, entrambe comprovate dall'esistenza di una derivazione puntuale da una moneta romana in un tondo a stucco, nella decorazione giuliesca dell'appartamento vedovile di Isabella d'Este ascrivibile allo stesso torno d'anni dell'affresco nella Sala delle Teste.
Bottega di Giulio Romano, Vittoria con scudo, decorazione a stucco dall'appartamento di Isabella d'Este nel Palazzo Ducale di Mantova
Riemersa grazie alla caccia umanistica di motivi eruditi della tradizione classica e veicolata mediante i meccanismi di trasmissione e riuso, la figura della Vittoria 'tipo Brescia' restò quindi in auge e attraversò diverse epoche della storia moderna, fino ad arrivare al XIX secolo. Un caso interessante di tale sopravvivenza è rappresentato da una medaglia napoleonica coniata nel 1807, diciannove anni prima del ritrovamento della Vittoria di Brescia.
Nicholas Brenet, medaglia celebrativa delle vittorie napoleoniche del 14 giugno (1807)
Sul verso si riconosce una Vittoria stante, volta a destra, raffigurata nell'atto di tracciare su uno scudo sorretto dalla mano sinistra l’iscrizione XIV. Juin Maringo Friedland. In esergo si legge Brent F. Denon D. (Brenet Fecit, Denon Direxit). La medaglia celebra le vittorie napoleoniche nelle battaglie di Marengo (1800) e Friedland (1807), entrambe combattute il 14 giugno. La figurazione allegorica eseguita da Nicolas-Guy-Antoine Brenet sotto la direzione di Vivant Denon, direttore generale della Monnaie des Médailles, riprende in maniera puntuale la Victoria in clipeo scribens della Colonna Traiana: una riprova della puntualità della ripresa dal modello traianeo è la presenza del piedistallo su cui la Vittoria posa lo scudo.
Unica variante rispetto al modello traianeo, è l'eliminazione dell'elmo nemico posto sotto il piede. L'uso di un modello desunto dall'antichità rientra pienamente nei paradigmi dell'art officiel napoleonica, volta a legittimare 'per figure' il nuovo impero di Napoleone, ponendolo in continuità con l’impero romano.
La medaglia napoleonica coniata per le vittorie del 14 giugno 1800 e 1807 conferma quindi la persistenza e la riconoscibilità del tipo iconografico Victoria in clipeo scribens ancora nel XIX secolo: e proprio la persistenza della serie iconografica, che dai modelli di età imperiale romana riemerge a partire dal XVI secolo, al momento del ritrovamento di Brescia nel 1826 permise agli studiosi del tempo di identificare la statua come una Vittoria in clipeo scribens secondo il modello di età imperiale romana: "atteggiata a un dipresso come vedesi sulla colonna trajana" e secondo "i nummi pressoché innumerabili ove la Dea sta scrivendo sul clipeo".
La Vittoria di Brescia come immagine civica
Dopo il ritrovamento della Vittoria di Brescia, il suo riconoscimento e il conseguente restauro integrativo, l’immagine della dea conobbe una nuova stagione di vitalità e venne caricata di forti significati civici e politici, che ispirarono poeti quali Gabriele d’Annunzio e Giosuè Carducci.
Un esempio dell'uso dell’immagine della Vittoria di Brescia quale simbolo cittadino è offerta dal manifesto del Primo Circuito Aereo Internazionale, la prima manifestazione aviatoria italiana tenutasi a Brescia nel settembre del 1909. Nella affiche pubblicitaria la Vittoria di Brescia funge da testimonial della manifestazione e viene rappresentata fra le nuvole, senza scudo e nell'atto di tendere le braccia verso un velivolo in planata verso di lei.
La Vittoria di Brescia come immagine patriottica
Accanto all'uso dell'immagine della Vittoria come icona civica, si aggiunse presto anche un utilizzo dell'immagine in funzione di celebrazione patriottica: il bronzo di Brescia venne scelto come soggetto per una serie di quattro francobolli emessa nel novembre del 1921 in occasione del terzo anniversario della battaglia di Vittorio Veneto.
Regno d’Italia, francobollo per il terzo anniversario della Vittoria di Vittorio Veneto
Due anni dopo, nel 1923, la Vittoria di Brescia veniva replicata dallo scultore Timo Bortolotti e posta sulla sommità del Monumento ai Caduti, realizzato presso il passo alpino del Tonale su progetto del Bortolotti stesso.
Timo Bortolotti, Monumento ai Caduti, passo alpino del Tonale. Sulla sommità copia della Vittoria di Brescia opera dello stesso
Sia nei francobolli che nella replica al Tonale, la Vittoria viene rappresentata munita di scudo fra le braccia e di elmo sotto il piede, ovvero come si presentava all'epoca nel Museo della città di Brescia e come viene mostrata in una immagine fotografica dei fratelli Alinari.
La Vittoria di Brescia in una riproduzione fotografica Alinari
Tuttavia, già da tempo gli archeologi andavano sospettando che l'aspetto originale della Vittoria di Brescia non fosse quello che il restauro integrativo aveva restituito. Come viene riportato nel Museo bresciano illustrato (1838), già al momento del ritrovamento "si dubitò persino che non le appartengano l'ale".
In seguito a un acceso dibattito sull'identificazione del reperto come Venus e/o Victoria la maggior parte degli archeologi, in base all'evidenza dell'attacco posticcio delle ali e dell'incerto appoggio dello scudo sulla gamba, giunse alla convinzione che dietro alla cosiddetta Vittoria di Brescia si celasse una precedente rappresentazione di Venus Victrix: dopo quasi due secoli di studi e ricerche, ancora aperto e molto acceso tra gli archeologi è il dibattito sulla datazione della 'prima' Afrodite e sulla cronologia dell'adattamento che portò alla metamorfosi dell'immagine da Venus Victrix a Victoria.
Da Vittoria a Venere: una commissione dannunziana
Significativa in questo contesto una testimonianza del 1934 legata alla commissione da parte di Gabriele d’Annunzio di una replica del bronzo allo scultore Renato Brozzi. In una lettera del Vate datata 16 novembre 1934 si legge:
"Carissimo Renato,
sono certo che un fremito giovanile percorre la forma della Venus Victrix. Ho scritto oggi a Gian Carlo in proposito delle ali, che sono false. Come sarei contento se stasera io sapessi che tu le hai tralasciate! Hai potuto ammirare la potente e delicata schiena?"
La replica del Brozzi venne effettivamente eseguita priva di ali, scudo ed elmo sotto il piede (ovvero senza tutte le 'aggiunte' ascrivibili alla manipolazione dell'età di Vespasiano) e venne collocata nel Tempietto della Vittoria al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, dove si trova tuttora.
Renato Brozzi, replica aptera della Vittoria di Brescia (come Venus Victrix), Gardone Riviera, Vittoriale degli Italiani
Una Vittoria-Venere di Duilio Cambellotti
Ma ancor più di questa commissione dannunziana – eccentrica ed erudita al contempo – la speculazione sull'aspetto originale della Vittoria di Brescia e sul suo rapporto con l'iconografia della Venus Victrix portò, nel medesimo torno d'anni, a una interessante contaminazione iconografica in un'opera di Duilio Cambellotti. Nel Trittico della Vittoria realizzato per il Palazzo della Prefettura di Ragusa nel 1933 l'artista, al solito oltremodo attento ai modelli archeologici, decise di inserire una rappresentazione allegorica della Vittoria di Vittorio Veneto, e raffigurò un corteo di uomini nell'atto di issare su un alto piedistallo una statua della Vittoria.
Duilio Cambellotti, Trittico della Vittoria, particolare dello scomparto centrale, Ragusa, Palazzo della Prefettura
Nell'evocazione pittorica di Cambellotti la dea è colta nell'atteggiamento della Vittoria di Brescia, ovvero nell'atto di mostrare con uno stilo la data IV.NOV MCMXVIII tracciata su uno scudo poggiato sulla coscia sinistra. Ma, rispetto al modello bresciano, la Vittoria cambellottiana è presentata con il busto completamente scoperto: il modello da cui dipende questa colta variante altro non è che la celebre Venere di Milo del Louvre, che l'artista integra aggiungendo le braccia tese nell'atto di reggere lo scudo e due grandi ali spiegate.
a sin. Vittoria di Brescia
al centro Duilio Cambellotti, Trittico della Vittoria, particolare dello scomparto centrale, Ragusa, Palazzo della Prefettura
a dex. Venere di Milo
Duilio Cambellotti propone dunque un'immagine della Vittoria italica che ibrida i modelli 'Vittoria di Brescia' e 'Venere di Milo' e che si presenta come esito erudito del dibattito archeologico contemporaneo sui rapporti fra i due celebri reperti dell'arte greco-romana: la Vittoria di Brescia (ritrovata nel 1826) e la Venere di Milo (ritrovata nel 1820). Una serie iconografica che va completata con gli esemplari del tipo 'Venere di Capua', secondo il modello conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Duilio Cambellotti riproduce dunque, in forma artistica, il dibattito scientifico contemporaneo: in quegli stessi anni, infatti, gli studiosi, che come si è visto da sempre nutrivano gravi sospetti sull'originalità delle ali della Vittoria di Brescia, ipotizzavano una curiosa ricostruzione dell'aspetto 'originale' della Venere di Milo secondo cui la dea, anziché specchiarsi nello scudo di Ares, sarebbe stata intenta a scrivere qualcosa sullo stesso scudo. La certa familiarità tra i due esemplari e il tentativo di ricostruire una genealogia iconografica dei due tipi inducevano dunque a leggere la Vittoria di Brescia come una Venere travestita e, in parallelo, a ricostruire la Venere di Milo come un'Afrodite intenta a scrivere sullo scudo di Ares, quasi fosse una precoce (e anacronistica) Vittoria imperiale romana.
Nel 1981 sarebbe stato rinvenuto un altro elemento della serie: la cosiddetta 'Afrodite di Perge' che pur essendo un esemplare più tardo, di età adrianea, rappresenta il tassello mancante della serie: l'anello di congiunzione genealogica tra la Vittoria di Brescia, la Venere di Capua e la Venere di Milo.
Afrodite di Perge, Museo di Antalya, Turchia
Ma a Ragusa, cinquant'anni prima del ritrovamento dell'Afrodite di Perge, Duilio Cambellotti aveva già proposto una nuova, meticciata figura di Vittoria italica che di fatto re-inventa e pre-inventa il tipo 'Perge'. Si dimostra una volta di più che, nell'ambito della tradizione classica, lo sguardo ai modelli antichi induce l'artista al rispetto del modello e al gioco di citazione erudita, ma lo stimola anche all'esercizio di variazione rispetto al repertorio dato: un gioco che, in casi felici come questo cambellottiano, conduce alla reinvenzione di un modello già inventato millenni prima. Ancora una volta, nell'opera cambellottiana l’immortale Afrodite, messe le ali della Vittoria, vince trionfante e riafferma la sua potenza, ma senza dimenticare le sue origini. E la Venus-Victoria antica che riappare a dare forma alla Vittoria italiana di Cambellotti riafferma una volta di più la vis vitalis della tradizione classica, che si impone prepotente contro la cancellazione dell'oblio, ma anche contro la neutralizzazione della memoria, la sterile museificazione delle immagini.
*Questo contributo nasce come approfondimento del saggio Venus volubilis/venusta Victoria. Tradimenti, travestimenti, capricci, denudamenti dell’Afrodite di Brescia, pubblicato nel numero 25 de "La Rivista di Engramma".
English abstract
The iconographic type of Victory with an inscribed clypeus is commonly defined as 'Vittoria Brescia' (see Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, ad vocem 'Victoria'): this denomination depends on the custom, typical of archaeological jargon, of grouping under the name of the specimen more ancient and / or more well-known several finds related to the same iconographic scheme. This contribution aims to investigate the survival mechanisms of the iconography of the 'Vittoria tipo Brescia'.
keywords | Brescia; Victory; Venus.
Per citare questo articolo / To cite this article: L. Bonoldi, Nachleben e vittorie postume della Venus Victrix di Brescia, “La Rivista di Engramma” n. 41, maggio/giugno 2005, pp. 1-314 | PDF