Combinazioni segrete e figure di parole.
La "Metametrica" di Caramuel e l'impossibile storia dell'enigmistica1
Stefano Bartezzaghi
English abstract
Potentior lingua calamus
Juan Caramuel y Lobkowitz, Metametrica, 1663
Premessa (sui giochi di parole)
Ma, forse, il legislatore, indagando i fenomeni celesti denominò Era l'aer in modo nascosto, ponendo l'inizio alla fine: lo comprenderesti, se ripetessi più volte il nome di Era (Cratilo, 404 C).
L'equivalenza Era = aer è arcaica, precede Platone, ed è forse l'esempio più antico di ricombinazione di lettere. Il suo carattere ciclico gli consente di generare aer dalla ripetizione continua di Era (e-r-A-e-r-A-e-r-A-e-r), e viceversa: appartiene dunque a una mitologia del nome del dio, scaturigine combinatoria, causa ed effetto. Il nome divino e il nome dell'elemento sembrano dare vita l'uno all'altro, come succede al giorno e alla notte in un indovinello pure arcaico:
Sono due sorelle: la prima genera l'altra ma,
pur avendola generata, è a sua volta generata da questa,
così che, pur essendo sorelle consanguinee,
sono contemporaneamente sorelle e madri2.
Il semplice esempio Era = aer, che Platone riprendeva dalla più antica tradizione sapienziale, sostanzia uno schema di mutamento linguistico che verrà dopo qualche secolo chiamato "anagramma" (in questo caso, anagramma moderato: spostamento di lettera, o metatesi), e dopo due millenni considerato parte di un settore minore, la subcultura detta "enigmistica".
Le motivazioni, nel passaggio dalla creazione alla ricreazione, non potevano variare maggiormente: la riflessione linguistico-filosofica che si spinge all'interno della sfera del sacro (e che almeno nel caso della mistica cabalistica ne è parte fondativa) ha visto i suoi strumenti tramutarsi negli attrezzi di un bricolage, di un hobby novecentesco di moderate virtù umoristiche.
Quelli che chiamiamo giochi di parole sono in realtà forme e schemi di mutamento linguistico, alcuni dei quali (come le metafonie, le metatesi, le crasi) si riscontrano comunemente nell'evoluzione delle lingue (non a caso l'esempio platonico appare all'interno di una speculazione di tipo etimologico, o paraetimologico): parrebbe corretto pensarle come potenzialità contenute nella lingua, che giungono all'atto per via entropica, per esempio nel contatto fra parlanti di lingue differenti. Quando simili dispositivi sono impiegati con consapevolezza allora la creatività passa a caratterizzare non più il linguaggio come struttura ma direttamente, in funzione soggettiva, il suo utente: abbiamo l'onomaturgia (invenzione di parole), la glossolalia (invenzione di lingue), il gioco di parole (invenzione di combinazioni di parole).
Tali schemi di mutamento, articolati e perfezionati a partire da quelli che la lingua mette in opera da sé nella sua evoluzione, sono:
l'anagramma (permutazione moderata o caotica delle lettere di un sintagma: Era = aer; Marco Antonio = antico romano);
il palindromo (rilettura invariante da destra verso sinistra: In girum imus nocte et consumimur igni);
la sciarada (saldatura di due sintagmi in un terzo: amo / re = amore);
il rebus (illustrazione visiva degli elementi nominati nella risegmentazione di un sintagma standard: AU da C esce netta = audace scenetta);
l'acrostico (parola formata dalle sole lettere iniziali delle parole di un sintagma: Iesus Nazarenus Rex Iudeorum, I.N.R.I.),
per non menzionarne che i più noti ed euristicamente fecondi3.
L'antichità ha conosciuto e frequentato molti di questi schemi. Il loro carattere trasmutativo – in linea di principio, peraltro, semanticamente immotivato (e dunque irrazionale) – li ha costantemente messi in relazione alle potenziali funzioni criptiche del linguaggio, e questo spiega perché li si incontri perlopiù all'interno del discorso mistico, dell'oracolare, del magico, del misteriosofico fino all'alchimistico e al cabalistico (la prima attestazione di anagramma si ha nell'onirocritica di Artemidoro): di volta in volta sono stati considerati come espedienti semiotici per mettersi in comunicazione con un altrove opaco (la divinità, l'inconscio) ovvero arguzie e artifici volti a ottenere lo stupore dell'uditorio.
Premessa seconda (sull'enigmistica)
Un ragguaglio ulteriore andrà fatto sull'enigmistica: almeno per intendersi sul significato di questa parola così fortunata da fare sembrare non solo la sua espressione linguistica ma anche il suo contenuto e il suo referente molto più antichi di quanto non siano.
Per non rischiare anacronismi andrà stabilito che l'enigmistica è nel suo complesso un fenomeno prettamente italiano e novecentesco. La parola è nata nell'ultimo decennio del XIX secolo, ed è entrata nel lessico italiano nel 1901: ancora nel 1897 il capolavoro dell'etnologia dell'indovinello italiano, composto da Giuseppe Pitrè, parla di "enigmatica"4. Questo riguardo all'espressione. Quanto al contenuto molte sono state le dilatazioni in senso cronologico, geografico e concettuale che la parola ha subito negli anni. Ma il suo senso proprio corrisponde a un fenomeno di costume: una disciplina, una sorta di sport dell'intelligenza, un'atletica della mente e del linguaggio, organizzata attorno a quattro famiglie di giochi – rebus, cruciverba, crittografie ed enigmi poetici – che a loro volta sono tributarie di un repertorio di schemi di metamorfosi verbale, come l'anagramma, la sciarada, il palindromo, l'incrocio di parole sugli assi orizzontale e verticale.
Di tutta questa materia, divertente per i suoi appassionati e insignificante per tutti gli altri, perfettamente o quasi perfettamente ignorata da ogni storia della cultura e persino da ogni storia del giornalismo italiano, merita inoltre evidenziare ciò che già il nome parrebbe suggerire: la presenza unitaria dell'enigma e delle sue articolazioni minute e direi quasi meccaniche che sembrano celarsi dietro alla desinenza -istica.
L'enigma impone la coesistenza di un testo esplicito e di un testo, o messaggio, occulto. L'enigma senza soluzione, ammesso che l'espressione non sia un paradosso autofago, è totalmente escluso dall'orizzonte enigmistico. Nei termini del quadrato della veridizione di Greimas5 abbiamo una menzogna (qualcosa che appare ma non è) che copre un segreto (qualcosa che è, ma non appare).
L'enigma enigmistico ha codificato – proprio a partire dal 1901 – le forme in cui può avvenire il nascondimento. Nel testo enigmistico i due piani del linguaggio si trovano entrambi organizzati secondo un regime di ambiguità sistematica: l'ambiguità semantica dell'enigma e l'ambiguità – per così dire – sintattica della combinatoria. Nessun elemento, di principio, nel testo enigmistico può avere un senso univoco: qualora non intervenga ambiguità semantica avremo una peculiare forma di ambivalenza che riguarda gli elementi alfabetici che compongono l'enunciato: questa ambivalenza si ottiene attraverso procedimenti combinatori che, come nell'anagramma, trasformano un enunciato in un altro enunciato. Dico l'anagramma, ma forse la tipologia più chiara è quella dell'acrostico, poi complicata nei quadrati e nei cruciverba: nell'acrostico ogni lettera appartiene a due letture, l'orizzontale e la verticale. Ecco dunque le due forme di ambiguità: quella semantica, che riguarda il senso associativo, che abbina contenuti a espressioni; e quella sintattica, che riguarda il senso direzionale, il percorrimento e alla fine l'organizzazione spaziale del testo.
Come già accennato, prima che questo sistema si fosse cristallizzato e venisse codificato e inteso incontestabilmente come gioco, le singole strutture da cui si è generato avevano già attraversato una storia nei casi più recenti plurisecolare, e nei casi più antichi plurimillenaria: avevano esercitato varie funzioni nella scrittura, nella letteratura, nella filosofia, nella magia, nell'alchimia, nell'arte, nel folklore: non sempre in forma di enigma e quasi mai sotto le vesti di gioco.
Siamo arrivati al paradosso storiografico dell'enigmistica, che è dovuto a un'alternativa: o si cercano i precedenti impieghi delle singole strutture – e allora si produrranno storie che sono collane di aneddoti, un rebus di Leonardo, un enigma di Galileo, una battuta di Voltaire, una leggenda su Sator Arepo Tenet Opera Rotas –; oppure si cerca di descrivere una mentalità metastorica da cui questi giochi discendono – e allora si farà la storia della letteratura combinatoria, o la storia dei manierismi formali: comunque sarà la storia di qualcosa di molto più ampio dell'enigmistica.
Caramuel
Prima che nel 1981 padre Giovanni Pozzi ne facesse uno degli eroi, se non il massimo eroe, del suo ampio repertorio sulla Parola dipinta6, le storie dell'enigmistica non mostravano di conoscere l'opera e neppure il nome di Juan Caramuel y Lobkowitz (1606-1682): e nemmeno dopo il 1981 Caramuel si è meritato molto più di qualche cenno distratto.
Naturalmente persino agli enigmisti non è sfuggito che il Seicento fra le altre cose è stato il secolo in cui, per usare la metafora di padre Pozzi, si è assistito alla "fioritura" delle forme combinatorie e ludiche i cui semi erano stati gettati nelle stagioni di quello che Ernst Robert Curtius ha chiamato "manierismo formale"7: in particolare nelle epoche in cui – come nell'Ellenismo e nel Rinascimento – il pensiero combinatorio ha incrociato la mistica, formando con ciò la base teorica di ogni possibile cabalismo. Della fioritura secentesca, secondo Pozzi, proprio il libro della Metametrica8 di Caramuel costituisce il punto culminante, per ampiezza e approfondimento, almeno riguardo alla sezione della poesia iconica.
Ma il silenzio degli enigmisti attorno a Caramuel non è dovuto solo alla mancata o all'insufficiente conoscenza dell'autore: silenzio e ignoranza dipendono entrambi da una ragione che li precede. Malgrado l'abilità tecnica, l'inventiva grafica, i meriti leggermente teratologici della forsennata ricerca di Caramuel, lo scoglio di un pregiudizio da cui gli enigmisti stessi non sono immuni ha impedito sinora che Caramuel venisse considerato, come indubbiamente meriterebbe, un precursore dei più modesti esercizi combinatori odierni.
La storiografia enigmistica tradizionale – orientata ad aumentare il prestigio culturale del suo oggetto – privilegia regolarmente le vicende legate allo sviluppo dell'enigma e dell'indovinello – visti come forme a modo loro poetiche –, rispetto alla parte sintattica e combinatoria, che più si apparenta alla dimensione del gioco di parole. In questo, gli enigmisti confermano una gerarchia già indagata da Sigmund Freud nella sua psicogenesi del motto di spirito, o nel tradizionale privilegio accordato dalla retorica ai tropi rispetto ai metaplasmi, che possiamo ritrovare anche nella trattatistica del concettismo, da Paolo Giovio a Emmanuele Tesauro o Balthasar Gracián e che possiamo congetturare corrisponda anche a un dato di senso comune.
È il primato del significato sul significante: o se preferiamo il primato che sul senso direzionale viene accordato al senso associativo, all'arguzia concettosa, al point, all'agudeza come meccanismo di moltiplicazione e concentrazione delle associazioni. Dobbiamo arrivare molto vicino ai nostri giorni perché il lavoro sul significante di Caramuel possa trovare una nuova considerazione: ed è illuminante il fatto che l'abbia trovata soprattutto nella parte iconica della sua produzione: "Accompagnando la disposizione grafica con opportune incasellature, l'autore ottiene effetti visivi notevoli e ci dà il seguito più bello di tavole poetiche dell'intiera produzione secentesca", scrive Pozzi. La peculiare bellezza visiva dell'opera di Caramuel testimonia della necessità che il pensiero combinatorio trovi una forma di presentazione che, prima ancora che gradevoli, renda accettabili le sue vertigini, tra l'infinito delle possibilità e il nulla del senso.
Anagrammi, palindromi, labirinti
La Metametrica è composta da trentadue libri, ognuno intitolato con un diverso riferimento ad Apollo e ognuno costituito da paragrafi detti Muse. È un repertorio vasto e disordinato di figure metriche e di artifici poetici, da cui non sono esclusi acrostici, anagrammi, palindromi, rebus, nella cui trattazione Caramuel sembra sempre oscillare fra arguzia concettosa e abilità combinatoria.
Dell'anagramma dice che se è arguto va lodato anche se ha uno o due difetti, e l'importante è che non ne abbia tre: i meriti dell'associazione arguta vanno a detrimento dell'esattezza della combinatoria. Del palindromo, invece, nell'Apollo retrogradus dice che è difficile al punto che spesso bisogna rinunciare alla velleità di dargli un senso: e qui la combinatoria prevale sul senso associativo. Del resto questa polarizzazione tra anagramma e palindromo è un vero e proprio evergreen dell'enigmistica. Si tratta di due forme di permutazione del medesimo patrimonio alfabetico, e ci sono tipi di palindromo che sono anche anagrammi: ma malgrado questo le due strutture si contrappongono sin dalle loro origini più o meno leggendarie.
Per quanto concerne le origini, l'anagramma sarebbe stato inventato dal poeta di corte Licofrone, in onore del re Tolomeo Filadelfo, e avrebbe confermato più volte, nel corso della storia delle sue reinvenzioni, il carattere encomiastico, religioso verso Dio e santi o profano verso re, potenti, donne amate. Il palindromo sarebbe stato pure inventato sotto Tolomeo Filadelfo, ma da Sotade, un poeta nient'affatto cortigiano, ma inviso al re fino alla sua condanna a morte, tacciato di perversione e omosessualità anche da Marziale e presunto inventore della pornografia.
In termini meccanici l'opposizione fra i due procedimenti va da un massimo a un minimo di libertà: l'anagramma consente al suo esecutore qualsiasi mossa di permutazione, mentre il palindromo è assolutamente vincolante, richiedendo una perfetta reversibilità.
In quanto all'ethos retorico, l'anagramma mira a un rapporto enciclopedico fra termine definito e termine definente: dal caos della permutazione delle lettere, l'anagrammista estrae un'equivalenza ben proporzionata e razionale fra i due termini; il palindromo invece perviene a una frase spesso di significazione vaga, di pertinenza dubbia, non correlata ad alcunché e che di conseguenza spesso risulta avere vaste potenzialità esoteriche.
L'anagramma è l'ordine estratto dal caos; il palindromo è la reversibilità in odore di perversione, il rovescio che pareggia il diritto, la coincidenza degli opposti9. Tradizionalmente, dunque, il palindromo è assegnato alle pertinenze diaboliche: gli stessi inferi sono un mondo rovesciato. Caramuel ne era conscio e aveva composto un'epistola sul tema: "I versi reversibili lettera per lettera sono inventati e composti dal Diavolo?". La sua risposta è negativa: dal momento che i palindromi esistono, allora possono essere composti anche dall'uomo.
La differenza fra anagramma e palindromo ripete quella fra senso associativo e senso direzionale: nell'anagramma abbiamo due enunciati composti dalle stesse lettere di cui uno tende a essere la definizione dell'altro, nel palindromo abbiamo due enunciati, perfettamente identici, che si ottengono mutando il senso della lettura. Il percorrimento sostituisce la pertinenza semantica.
Quando Caramuel sente indebolirsi la tenuta semantica si rivolge tipicamente alla metafora del labirinto: dice per esempio che i retori imitano gli architetti, costruendo labirinti verbali fatti con discorsi intricati, e dei palindromi senza senso dice: "Se non fosse oscuro ed esposto alle deviazioni, non sarebbe un labirinto; perciò hai bisogno di un filo, a meno che tu non ti sia proposto di andare errando per non tornare mai alla luce". Chiama proprio labirinti anche alcune delle sue composizioni.
Il gioco combinatorio sulle cui potenzialità Caramuel insiste finisce per esplicarsi in termini figurativi, bidimensionali quando non tridimensionali, dai labirinti alle poesie cubiche. La successione dei capitoli della Metametrica è preceduta da una serie di tavole che più attirano le attenzioni di padre Pozzi. Queste ultime, nella loro maggioranza, sono strutture combinatorie a disco che consentono di combinare diversi elementi della frase oppure labirinti verbali in cui un componimento vede evidenziate alcune lettere che si dispongono ordinatamente e simmetricamente in un riquadro e compongono un messaggio che è possibile leggere in diverse direzioni. Il più delle volte questo messaggio è un breve palindromo, come iure merui, ama fama, sua laus o – in parole singole – aerea, suus, il che raddoppia il numero delle sue letture.
Lo stesso principio è operante in un enigma figurato pubblicato all'inizio del XX secolo da Sam Loyd, un inventore di giochi americano: ispirato dalle avventure di Alice, il quiz proponeva una vignetta in cui, mentre il famoso gatto dello Cheshire sparisce sul suo ramo, Alice si chiede: "Era un gatto quello che ho visto?". La frase è ripetuta in un rombo, partendo dai bordi, e il quiz richiede al lettore di calcolare quante volte si possa leggere. Anche qui è presente un trabocchetto, perché in inglese la frase è palindroma: Was it a cat I saw? e ciò raddoppia il numero delle combinazioni possibili.
Il caso della vignetta di Sam Loyd può ispirare qualche riflessione sulla genesi di simili divertimenti. È altissimamente improbabile – anche se naturalmente non è dato escluderlo – che Sam Loyd conoscesse l'opera di Caramuel: si tratta peraltro di un'ipotesi abbastanza oziosa e superflua, perché l'idea di una simile combinatoria è disponibile nelle potenzialità del linguaggio. Segnalo che nella storia delle strutture enigmistiche non ve n'è una le cui origini non siano controverse: la storia dell'anagramma è la storia delle continue reinvenzioni dell'anagramma; la storia del rebus è la storia delle continue reinvenzioni del rebus. Quando si può individuare un caso prototipico, come per le parole crociate, è solo perché quello è l'esemplare da cui si può far risalire il successo del gioco: in nessun modo possiamo parlare di "prima idea delle parole crociate" ma piuttosto di "realizzazione da cui sono conseguite le altre". È un campo in cui la poligenesi è la regola: e Caramuel probabilmente apprezzerebbe la conclusione per cui le idee fondative di ogni combinatoria sono, a loro volta, parti di una meta-combinatoria, e perciò possono essere generate indipendentemente da eventuali precedenti, con rassomiglianze anche stupefacenti.
Ecco una tavola di Caramuel che raffigura un cilindro su cui possono scorrere quatto aggettivi, quattro sostantivi, quattro verbi e quattro altri sostantivi e che consente la composizione di duecentocinquantasei frasi corrette.
Non solo è la più semplice raffigurazione possibile della coppia saussuriana paradigma/sintagma. Cilindri del genere sono stati prodotti e messi in commercio, negli anni ottanta, e consentivano la formazione di frasi appartenenti a gerghi come il politichese o il linguaggio delle telecronache calcistiche (ricordo che ne fu prodotta anche una versione in braille). È possibile che li avesse progettati qualche lettore di Caramuel, o almeno di padre Pozzi: ma ancora una volta si tratta di un'ipotesi superflua. L'idea è insita nella combinatoria, o nella meta-combinatoria, delle idee sul linguaggio: la forma cilindrica ne consente la realizzazione più economica ed efficace, potremmo dire "elegante" con termine mutuato dalla matematica più che dalla moda.
Non è ancora venuto il momento di chiudere questa digressione, perché il cilindro di Caramuel ci ricorda inevitabilmente i Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau (Gallimard, Paris 1961). I punti di contatto fra i due autori sono – per quanto bizzarro ciò possa sembrare – più di uno: i saggi biografici su Caramuel ci dicono che fra le vie esperite da questo poligrafo c'era quella di applicare alla teologia leggi matematiche, come Queneau avrebbe poi tentato di fare con la storia; Caramuel inoltre si cimentò con il problema del moto perpetuo, come molti degli autori ottocenteschi recensiti da Queneau nella sua ricerca sui fous littéraires. Simultaneamente paragonabile a Queneau e a un personaggio queniano, Caramuel indulgeva proprio come il Queneau dei Cento mila miliardi di poesie a estenuanti conteggi del numero di permutazioni consentite da una certa combinatoria, nel numero di volumi necessario per trascriverle, nell'ampiezza della biblioteca necessaria per contenerle, nel numero di secoli necessario per leggerle, fino al costo di stampa di una simile edizione: ciò che nel caso di Caramuel Pozzi spiega come l'esigenza di rendere visibile la molteplicità vertiginosa degli esiti e:
Il concetto di infinità cosmica che vi è implicito, poco importa quale sia il tenore del messaggio linguistico; questo infatti è spesso puramente occasionale, usato tanto bene che male a fine encomiastico, sia religioso sia profano; e altrettanto spesso celebrativo di inezie, con enunciati che sfiorano il non-senso, certo a sottolineare che lo scopo vero del messaggio sta unicamente nella produttività del modulo.
Padre Pozzi e Caramuel
Padre Pozzi di enigmistica non sa e non vuole sapere: se ne disinteressa apertamente, e si distanzia platealmente anche dallo stesso oggetto del suo studio, quando lo ascrive – proprio sulla soglia introduttiva della Parola dipinta – alla "non brillante categoria dei giochi di pazienza, come li definisce il triste ossimoro", e parla di "immensa chincaglieria verbale".
Nel ritratto – sintetico e articolato al tempo stesso – che Pozzi rende di Caramuel il punto di partenza non è la capacità combinatoria, l'attitudine alla manipolazione verbale, il virtuosismo enigmistico: ma la sua mentalità e la sua cultura che, al pari di quella degli altri membri dell'"internazionale ecclesiastica" che percorrevano l'Europa del Seicento con "funzioni politiche, pastorali ed erudite", si fondava su:
Un complesso di conoscenze che, pur cedendo a preferenze settoriali (come nel caso di Caramuel la morale), si sostanziava di una specie di pansofia, tesaurizzante, nei limiti della convenienza, le novità del moderno naturalismo con le anticaglie del pitagorismo, della mnemotecnica, della cabala, dell'ermetismo e del lullismo. La dottrina legata a catena è uno dei tratti che li distinguono. Il Caramuel la possedette in modo spettacoloso. Il vantaggio ch'egli annetteva ("Chi si trova in possesso di un solo anello possiede tutta la catena") si fondava sulla persuasione che le unità di ogni disciplina fossero intercambiabili; e che perciò l'enciclopedia si potesse facilmente dominare mediante il controllo delle combinazioni.
Logica e matematica sono "concepite come arti della conversione", e lo stesso gioco di parole – con la sua capacità associativa e il suo dinamismo combinatorio – sembra uno strumento per collegare piani diversi del discorso, discipline diverse.
È un'idea proto-strutturalista del sapere, di cui metafora fondativa è il proteo, il verso in cui si possono permutare i membri: il sillogismo è il proteo della dialettica, le scienze sono "tutte analoghe e parallele, e differiscono fra loro solo per i contenuti".
L'operazione di Caramuel è perfettamente consapevole, in tutta la sua oltranza:
[...] Quella che chiamano potenza obbedenziale, fa sì che, Dio permettendo, da ogni creatura se ne possa trarre un'altra, e ogni creatura ne produca un'altra, come appare nei sacramenti della chiesa romana; infatti il pane si converte nel corpo e il vino nel sangue di nostro signore Gesù Cristo, e le parole, benché corporee, producono la grazia soprannaturale, il carattere e le altre qualità incorporee. Cercando io un esempio che potesse illuminare queste tre cose, mi è venuto in mente l'anagramma. Infatti la virtù insita nell'anagramma sa trarre da qualsiasi cosa non importa quale altra: dalla prosa trae poesia, e da una sentenza significante ne trae un'altra totalmente diversa10.
L'anagramma diventa addirittura esempio del principio di transmaterializzazione universale, sul modello della transustanziazione cristiana.
Questo è anche il principio che sta alla base della metametrica. La dimensione del gioco è quella del modello: contiene sempre un principio metalinguistico, una capacità di disporsi su livelli differenti, fornendo per esempio matrici logiche, simboliche, metaforiche di comportamento. Caramuel insiste sul carattere astratto della metametrica, in cui il valore dello schema prosodico – detto "idea" – è indipendente dal contenuto verbale – detto "esempio" – che di volta in volta lo può investire: "Chi confonde l'idea con l'esempio, dista assai dal palazzo della metametrica". Nel commento di Pozzi, Caramuel vede ogni verso non in sé, ma come realizzazione (in sé quasi indifferente e comunque provvisoria) dello schema, che è il vero nucleo dell'interesse comunicativo:
Il fatto che la metrica possa divenire il contenuto d'un messaggio verbale attraverso la visualizzazione delle sue permute, presuppone un processo di astrazione analogo a quello di certa pittura informale quando presenta come pittura il bianco della tela.
Si può altrimenti dire che la pluralità delle voci degli esempi si somma fino a diventare un brusio, il rumore bianco della metametrica. La vastità dell'edificio metametrico ha una spiegazione interiore e una spiegazione esteriore. La spiegazione interiore, la causa efficiente è l'effetto che l'"idea" fa sull'autore: è l'impulso del giocatore ad accanirsi sul gioco, a non smettere di porre in opera il meccanismo che gli dà piacere all'interno della sua mania, traendo "esempi" sempre diversi e sempre indifferenti dalla stessa "idea". La spiegazione esteriore, la causa finale, è l'effetto testuale che la massa di esempi produce nei suoi lettori. La molteplicità dei suoi esiti li rende indifferenti, e rende noi indifferenti a essi: serve alla combinatoria per comunicare se stessa.
Scripta volant
Resta un ultimo punto di interesse, abbastanza stravagante, ed è la passione di Caramuel per l'idea del volo verbale. Se ne accorge anche Pozzi quando scrive:
I caratteri mobili veramente davano l'idea della mobilità del tessuto linguistico: un moto non solo progressivo secondo una direzione obbligata, come avviene nella recitazione e nella lettura normale, e non solo regressivo, come avviene nel palindromo, ma saltuario: mobile cioè nel senso più pieno della parola.
Nel prefisso meta è compresa l'idea dello spostamento, e questo si apprezza anche nel titolo completo dell'opera che parla dei diversi andamenti dei versi, che progrediscono, regrediscono, ascendono, discendono quando non volteggiano:
Caramuelis Joannis / Primus calamus / ob oculos ponens / metametricam / quae variis / correntium, recurrentium, ascendentium, descendentium / nec – non Circumvolantium versuum ductibus, / aut aeri incisos, aut buxo insculptos, aut plumbo infusos, / multiformes / Labirinthos / exornat, Romae, Fabius Falconius excudebat anno MDCLXIII superiorum consensu (voll. 2 in 4°).
La stessa idea dinamica del gioco di parole, del motto di spirito, dell'equivoco si ritrova in altri autori: in una pagina di Proust la firma di Gilberte, mal interpretata come quella di Albertine già morta, si anima nella stanza veneziana dove Proust legge un telegramma. Un motto di Cézanne interpretato da Derrida diviene una sorta di folletto che circola velocemente fra le sue diverse possibili interpretazioni. È l'altro senso di spirito: lo spiritello inafferrabile, che crea disordine e ci impone di seguire la sua logica impazzita, in cui la direzione lo definisce meglio della sua stessa identità.
La visione mutevole, metamorfica della poesia porta con sé un principio dinamico. Questo è un piccolo motivo della stilistica del gioco di parole: e ritorna ancora in Caramuel quando - nel capitolo Apollo Fulminans - descrive il procedimento retorico della rapportatio come una sorta di fuoco di artificio verbale, e lo riassume in una formula di grande bellezza:
Ergo praecedentis Apollinis impetu fluxerunt et refluxerunt carmina; modo surgunt, descendunt, volant, ruunt.
(Dunque con la spinta del precedente Apollo le poesie sono fluite e rifluite; di volta in volta salgono, scendono, volano, precipitano).
Conclusioni
Quest'ultimo punto testimonia delle possibilità almeno illusoriamente dinamiche che sono consentite alla lingua scritta quando viene separata dalla sua funzione più immediatamente referenziale, attraverso la polisemia di un motto (Cézanne), attraverso l'articolazione co-testuale che non consente di sciogliere l'equivoco dovuto a una casuale omonimia (Proust) o attraverso una ricerca accanita nei territori della combinatoria e della pluralità del senso direzionale (Caramuel)11. Quest'ultima ricerca, è ancora padre Pozzi che lo sottolinea, non ha generato alcun esito nella storia letteraria posteriore, e il suo sostanziale accantonamento è stato accompagnato da giudizi di vera e propria ripulsa. Come i manuali consigliano usi moderati per le ordinarie figure retoriche, così ne espurgano il catalogo da figure e schemi che platealmente eludono ogni funzione di complemento ornamentale alla comunicazione poetica, ma la rifondano senza preoccuparsi dei rischi del nonsenso.
L'enigmistica testuale e figurativa di Caramuel era troppo esplicita: di lì in poi la ricerca combinatoria sul linguaggio si sarebbe travestita da gioco di società (l'enigmistica), laboratorio di ricerca letteraria dissimulata da fumisterie e divertissement (Oulipo), materia narrativa in funzione allegorica – e non più strumento di narrazione – (Borges), matrice di racconto (Calvino).
Note
1 Questo testo rielabora il mio intervento su Metametrica ed enigmistica: Caramuel letto da Padre Pozzi al convegno internazionale di studi L'enciclopedismo e le sue architetture. Juan Caramuel y Lobkowitz (1606-1682), Vigevano 14-16 dicembre 2006 (atti in corso di pubblicazione).
2 Anthologia Graeca, libro XIV, 40; cfr.: Simone Beta, Poesia enigmistica della decadenza, in La decadenza. Un seminario, a cura di Silvia Ronchey, Sellerio, Palermo 2000.
3 Per un panorama più esauriente del catalogo dei giochi enigmistici attualmente praticati, Stefano Bartezzaghi, Lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino 2001; per un'esplorazione sulla loro archeologia, Id., Incontri con la Sfinge, Einaudi, Torino 2004.
4 Giuseppe Pitrè, Indovinelli, dubbi, scioglilingua del popolo siciliano, Arnaldo Forni, 1897.
5 Julien Algirdas Greimas e Joseph Courtés, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Hachette, Paris 1979 (tr. it. La Casa Usher, 1986).
6 Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Adelphi, Milano 1981. Quest'opera è un catalogo di poesia figurata a tutt'oggi unico, e ha riportato alla luce la figura di Caramuel, attorno a cui è organizzato tutto il vasto capitolo III.4 "La fioritura secentesca" (vedi in particolare il paragrafo E.: "Il Caramuel e la metrica artificiosa", pp. 242-259), da cui provengono le citazioni da Pozzi e le traduzioni di Pozzi da Caramuel citate nel presente lavoro. Di Pozzi vedi anche Poesia per gioco, Il Mulino, Bologna 1984.
7 Ernst Robert Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Francke Verlag, Bern 1948 (tr.it. La Nuova Italia, Firenze 1992); più specificamente dedicato alla letteratura combinatoria, ma anche assai più caotico, è il catalogo di Gustav René Hocke, Manierismus in der Literatur, Rowoholt Verlag, 1959 (tr. it. Il Saggiatore, Milano 1965).
8 Caramuel, Caramuelis Joannis / Primus calamus / ob oculos ponens / metametricam / quae variis / correntium, recurrentium, ascendentium, descendentium / nec – non Circumvolantium versuum ductibus, / aut aeri incisos, aut buxo insculptos, aut plumbo infusos, / multiformes / Labirinthos / exornat, Romae, Fabius Falconius excudebat anno MDCLXIII superiorum consensu (voll. 2 in 4°).
9 Cfr. Stefano Bartezzaghi, Incontri con la Sfinge, Einaudi, Torino 2004.
10 Da Metametrica, citato e tradotto da Giovanni Pozzi in La parola dipinta, Adelphi, Milano 1981, p. 255.
11 Con le loro peculiarità i tre casi rientrano rispettivamente nei domini del witz (Cézanne), del lapsus (Proust) e della glossolalia, o invenzione di lingue (Caramuel).
English abstract
The article discusses Juan Caramuel y Lobkowitz's Metametrica (Rome, 1663), a compendium that should be placed firmly in the history of word games (it. enigmistica). Following Giovanni Pozzi's analysis of Metametrica's visual richness in La parola dipinta (Adelphi, 1981) as the trace of the seventeenth-century interest for the formalistic poetry and experimental uses of language, the article notes that research in the combinatory potential of games and enigmas has been rejected by literary history thereafter.
keywords | Enigmistica; Juan Caramuel y Lobkowitz; Giovanni Pozzi; Metametrica