Aby Warburg. La dialettica dell’immagine
Recensione del numero monografico:“aut aut” 321-322 (maggio / agosto 2004)
Monica Centanni
English abstract
Nel 1984 la rivista “aut aut” pubblicava un numero monografico dedicato ad Aby Warburg che intitolava: “Storie di fantasmi per adulti”. Il pathos delle immagini nelle ricerche di Aby Warburg sulla rinascita del paganesimo antico. Il fascicolo proponeva alcuni importanti testi warburghiani: il breve saggio sul Déjeuner di Manet; la prima traduzione italiana della celebre conferenza sul Rituale del Serpente; il prezioso frammento su Burckhardt e Nietzsche (di recente riedito da Maurizio Ghelardi, per i tipi della Aragno in: J. Burckhardt, F. Nietzsche, Carteggio, Torino 2002). Oltre ai titoli d’autore venivano anche proposti al pubblico italiano un saggio del filosofo italiano Tito Vignoli, letto e apprezzato da Warburg, e i contributi di due importanti studiosi debitori, in modi diversi e per certi versi contrastanti, della lezione warburghiana: Ernst Gombrich e Edgar Wind. Ma “aut aut” pubblicava anche i contributi critici importanti di alcuni giovani intellettuali italiani, che erano destinati ad aprire una nuova stagione di riflessione sul pensiero di Warburg: i saggi di Giorgio Agamben, Aby Warburg e la scienza senza nome; di Alessandro Dal Lago, L’arcaico e il suo doppio; di Gianni Carchia, Aby Warburg: simbolo e tragedia, sono a tutt’oggi un punto di riferimento imprescindibile nella bibliografia warburghiana. La redazione della rivista così presentava quel numero:
“Questo fascicolo speciale è dedicato ad Aby Warburg. Si tratta di una figura anomala ma molto significativa nel quadro delle modificazioni di pensiero tra Otto e Novecento. Non è un vero e proprio storico dell’arte, eppure si occupa soprattutto di pittura rinascimentale. Non è un vero e proprio filosofo, eppure la sua riflessione abbraccia la zona più delicata del pensiero contemporaneo, l’irrompere dell’irrazionalismo dopo Nietzsche. Ma si occupa anche di antropologia e di psicologia, di storia delle religioni e di astrologia, e il suo obiettivo è apertamente una nuova e mai scritta ‘scienza’ dell’uomo” (dalla Premessa in “aut aut” 1984).
Il tono della presentazione denuncia tutta la novità del rilancio del pensiero di Warburg nel panorama culturale non solo italiano.
A distanza di vent’anni, per il suo numero 321-322 “aut aut” propone un nuovo fascicolo monografico su Aby Warburg, con cui la rivista inaugura anche una nuova veste grafica e il suo approdo presso un nuovo editore (ora Il Saggiatore). Nell’arco di tempo tra il 1984 e il 2004 il nome e il metodo di Aby Warburg si sono progressivamente diffusi e affermati e non solo nell’ambito degli studi di storia dell’arte e dell’iconologia: anche se, come nota il curatore nella Premessa, la pubblicazione delle opere complete di Warburg è ancora in fieri (e si preannuncia annosa), gli studi e l’attenzione critica non solo sulle opere, ma soprattutto sul pensiero e sul metodo dello studioso a partire dagli anni novanta è cresciuta esponenzialmente. Una tappa importante della rinascita warburghiana è stata la riscoperta dell’opus magnum, l’Atlante Mnemosyne: le edizioni tedesche e italiana dei materiali fotografici conservati all’Archivio del Warburg Institute di Londra, gli studi critici, le mostre dei materiali che sono state organizzate nell’ultimo decennio, a Vienna, Siena, Firenze, Roma, e recentemente Venezia. Nel panorama degli studi warburghiani però – come si rileva anche dal sommario di questo numero – l’indagine sul Bilderatlas non ha guadagnato l’importanza che merita
Come dimostra comunque, una volta di più, questo ricco numero di “aut aut”, nonostante su Aby Warburg molto sia stato scritto e detto, molto c’è ancora da fare, da pubblicare, da studiare. Il fascicolo presenta ben nove testi di Warburg, alcuni dei quali inediti, di diversa estensione e importanza. Anche per la ricostruzione storica del ruolo dello studioso amburghese nel panorama culturale contemporaneo si segnalano le importanti testimonianze di Warburg su Max Weber, a proposito della pubblicazione dell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo, e la corrispondenza epistolare con il filologo Ulrich von Wilamowitz Moellendorff, il “nemico di Nietzsche” che nel 1924 – in assenza del maestro ancora lontanto per la malattia – era stato invitato da Fritz Saxl a tenere una conferenza presso la Biblioteca dell’Istituto. Del periodo del ricovero a Kreuzlingen vengono pubblicati due preziosi frammenti di diario provenienti dall’Archivio Binswanger: documenti che contribuiscono in modo significativo alla revisione dell’immagine di un Warburg in balia delle sue ossessioni, e rilanciano invece il profilo di un uomo armato di un’incredibile dose di tenacia e di consapevolezza e impegnato in una lotta attiva contro i suoi demoni. Nella sezione ‘Materiali’ vengono pubblicati inoltre: la commemorazione di Fritz Saxl del 1929, fonte primaria per ricostruire il clima e i progetti in cantiere nell’Istituto alla morte del maestro; un testo del figlio Max Adolf nel centenario della nascita, denso e interessante non solo dal punto di vista della ricostruzione biografica; alcune preziosissime pagine del linguista Hermann Osthoff la cui teoria sui paradigmi difettivi, o meglio “suppletivi” delle lingue indoeuropee – del tipo bonus/melior/optimus – fornì a Warburg uno spunto ermeneutico e uno schema metodologico per indagare le fluttuazioni di significato e i “suppletivismi” morfologico-semantici nell’evoluzione delle Pathosformeln.
Tra i contributi critici – di Giorgio Agamben, Andrea Cavalletti, Silvia Contarini e Maurizio Ghelardi, Mattia Vinco, Davide Zoletto – si segnala il saggio di Georges Didi-Huberman che, tornando sugli studi botticelliani, prende in esame non solo il famoso saggio sulla Primavera, ma anche i materiali critici ulteriori che da quel primo fondamentale saggio hanno preso l’avvio per la lettura dei testi pittorici di Botticelli; ma Didi-Huberman insiste soprattutto sull’importanza del metodo di ricerca di Warburg e, già dal titolo del suo contributo – Alla ricerca delle fonti perdute – dà risalto in particolare alla teoria dell’assenza di una “fonte originale” (più in generale, sull’abolizione necessaria di ogni “idolo delle origini”): la complessità delle relazioni fra le fonti letterarie e iconografiche, che porta Warburg a ipotizzare paradossalmente un essenziale “anacronismo delle fonti”, va indagata con strumenti ermeneutici adeguati, senza cedere alla tentazione della riduzione a uno stemma geometrico univoco.
Ma forse il contributo più importante per gli studi warburghiani viene dalle coordinate teoretiche date al volume dal curatore Davide Stimilli, già dal titolo stesso La dialettica dell’immagine (locuzione mutuata da uno dei sottotitoli pensati da Warburg per l’Atlante Mnemosyne): l’immagine è considerata come invenzione essenzialmente dialettica, inserita in un sistema di dinamogrammi forti e insieme instabili, in dialogo con altre immagini e costantemente in relazione attiva con l’espressione razionale e verbale, la lingua altra del logos. Un’impostazione forte, questa di Davide Stimilli, che mira a riscattare il pregiudizio (derivante da Gombrich, ma anche dall’evoluzione della disciplina in chiave panofskiana) di una matrice vagamente genericista e tendenzialmente irrazionalista che pesa sull’iconologia warburghiana. Aby Warburg, ricorda Stimilli, scriveva nel 1928 che “senza Hegel è impossibile comprendere la Biblioteca Warburg”, e iscriveva così la sua opera (la Biblioteca ma, metonimicamente, anche l’Istituto e l’Atlante) nella ricerca di un ordine, di punti di orientamento da disegnare sulla mappa dell’irriducibile complessità del mondo. In questo senso tutta l’opera ultima di Warburg, e in primis l’Atlante, si propone come pharmakon, rimedio allo stato di smarrimento che inquieta l’homo occidentalis. E proprio questo senso di smarrimento e questa fertile, ‘studiosa’ inquietudine Warburg esemplarmente incarna quando, da Kreuzlingen, scrive: “La mia malattia consiste in ciò, che io perdo la capacità di collegare le cose nei loro semplici rapporti causali”. Come sottolinea acutamente Giorgio Pasquali, una volta uscito vincitore dallo scontro con i suoi mostri, Warburg redux traduce nella ricerca dell’Atlante la sua intensa esperienza psichica, e compie così la sua impresa di uomo e di studioso con un atto da maestro.
Lo sguardo attento alle variegate corrispondenze, agli inestricabili nessi che agiscono come gangli nervosi nella tradizione occidentale, secondo una prospettiva platonica (o, più propriamente, neoplatonica) che conferisce un valore all’attività mimetica e vitale della poiesis imaginale, nei molteplici, mai semplificabili, raccordi che inaspettatamente producono senso e, infine, costruiscono impreviste armonie. Ma anche (e soprattutto, verrebbe da dire, assecondando lo spunto di Stimilli) il desiderio di razionalizzazione, di punti di orientamento, di schemi e di categorie. Un’artificiosa-artistica idea di ordine, questa warburghiana, ordine che pure si sa già preventivamente precario: idea che deve a una lezione decisamente aristotelica (ancora tutta da riscattare dalla gabbia scolastica) le sue coordinate teoretiche e di metodo.
English abstract
Review of the magazine “aut aut” no.321-322 (may 2004) published by Il Saggiatore. This no. is entirely dedicated to Warburg, with contributions by Ghelardi, Contarini, Agamben, Didi-Huberman, Cavalletti; Stimilli, Zoletto.
keywords | Review; Aut aut; Il Saggiatore; Warburg; Storie di fantasmi per adulti.
Per citare questo articolo: M. Centanni, Aby Warburg. La dialettica dell’immagine. Recensione del numero monografico:“aut aut” 321-322 (maggio / agosto 2004), “La Rivista di Engramma” n.34, giugno/luglio 2004, pp. 27-30 | PDF