“Dioniso e Ade sono lo stesso” (Eraclito, fr. DK A 123)
Una proposta di interpretazione della funzione delle mascherette teatrali di Lipari
Vittoria Majocchi
English abstract | Compendium
Le piccole maschere in terracotta, rinvenute a Lipari dagli inizi degli anni ’50 in scavi successivi ed esposte in un allestimento esemplare nel Museo Archeologico Eoliano, per la loro particolarità e peculiarità, sono state oggetto di numerose e approfondite analisi sia dal punto di vista tecnico che archeologico. Tutt’oggi però la critica non è ancora riuscita a fornire un’interpretazione convincente della loro funzione. Due dati finora trascurati e non tenuti nella dovuta considerazione hanno fornito la traccia di questa ricerca, la quale approda alla proposta di una nuova lettura ermeneutica, che ben si accorda con il contesto funerario, dove i reperti sono stati rinvenuti: il primo è la presenza di un piccolo foro sulla calotta occipitale di tutte le piccole maschere, il secondo è la lettura di un passo della Naturalis Historia di Plinio.
1. L’importanza del ritrovamento di Lipari per la storia del teatro greco classico-ellenistico
Nel Museo Archeologico Eoliano di Lipari è esposta, in un allestimento esemplare e suggestivo, una vastissima collezione di mascherette in terracotta di piccole dimensioni (databili tra la prima metà del IV e la metà del III secolo a.C., ovvero al 252 a.C., anno della conquista e della conseguente distruzione romana), rinvenute nell’area della necropoli in Contrada Diana agli inizi degli anni ’50. Le maschere di Lipari costituiscono una serie unica per caratteristiche e tecnica di esecuzione, interessantissima sia sotto il profilo archeologico, sia per lo studio del mondo teatrale greco ed ellenistico.
Fin dal loro rinvenimento le originali mascherette sono state sottoposte ad approfondite analisi tecnico-artistiche e, a partire dagli studi degli archeologi autori del ritrovamento Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, è stato eseguito anche un accurato confronto con le fonti. In particolare le caratteristiche fisiognomiche delle maschere sono state rapportate alle descrizioni dei personaggi dei testi teatrali greci del V-III secolo a.C., in primis le grandi tragedie del V secolo a.C., pervenuteci in forma completa e frammentaria.
Sono state riconosciute le maschere di Deianira e di Acheloo relative alle Trachinie di Sofocle;
le maschere di Edipo e Giocasta dell’Edipo Re;
quelle di Ecuba e dell’araldo Taltibio, personaggi delle Troiane di Euripide.
Tra le fisionomie delle figure relative a tragedie non pervenute sono riemersi i volti di Filottete e Paride del Filottete a Troia di Sofocle.
Le piccole maschere di Lipari sono state anche proficuamente messe a confronto con il testo contenuto nel prezioso IV libro dell’Onomastikòn di Polluce, che fornisce un catalogo completo dei ‘tipi’ della commedia nuova (IV-III secolo a.C.), suddividendoli in ben 44 tipologie diverse.
Una prima partizione tipologica riguarda personaggi maschili e femminili, a loro volta divisi secondo: età, posizione sociale, qualità caratteriali, mestiere; per quasi tutti i ‘tipi’ descritti da Polluce è stato trovato un riscontro puntuale proprio nelle mascherette di Lipari. Si vedano i seguenti esempi:
Il lenone [pornoboskòs] per tutto il resto assomiglia al lycomédeios [con barba grande e arricciata, e aria intrigante], ma storce le labbra, riunisce le sopracciglia, è calvo e rapato a zero.
Il giovane perfetto [pánchrestos neanìskos] è di colorito rossiccio, sportivo, abbastanza abbronzato; ha poche rughe sulla fronte, ha una corona di capelli e innalza le sopracciglia.
Il giovane bruno [mèlas neanìskos] è più giovane, con le sopracciglia abbassate e simile a colui che è ben educato e ama la ginnastica.
Il giovane ricciuto [oùlos neanìskos] è ancor più giovane e di colorito rossiccio. I suoi capelli sono come il nome indica. Innalza le sopracciglia e di rughe sopra la fronte ne ha una sola.
La finta vergine [pseudokóre] è più bianca nel colorito [rispetto alla kóre], lega le chiome intorno al capo e somiglia a una sposa novella.
L’etera perfetta [téleion etairikòn] ha un colorito più rosato rispetto alla finta vergine e ha riccioli intorno alle orecchie.
Il confronto con i testi letterari e l’opera del lessicografo Polluce conferma che il ritrovamento di Lipari – costituito da più di 2500 oggetti, risalenti al periodo della colonizzazione greca dell’isola (580-252 a.C.) – rappresenta per vastità, completezza e organicità, il maggior corpus figurativo esistente e una preziosissima documentazione per la ricostruzione della storia del mondo teatrale greco: un repertorio che non ha riscontri né in madrepatria, né nelle altre colonie della Magna Grecia.
2. Alcuni dati tecnici sulle piccole maschere
Tutti gli esemplari sono stati ritrovati nell’area della necropoli greca di Lipari.
La zona archeologica di nostro interesse coincide con l’area denominata Contrada Diana – posizionata ai margini dell’attuale area urbana – che occupava allora una fascia di terreno della larghezza di circa 400 metri in senso N-S e della lunghezza media di 250 metri in senso E-O, estendendosi al di fuori del perimetro delle mura urbane, comprendendo tutta la piana antistante a esse.
Il primo nucleo della necropoli sembra essersi formato nell’estremità N della contrada.
Il fatto che le tombe si addensino su più strati in alcune zone, mentre in altre non se ne riscontri traccia, induce a ritenere che le disposizioni fossero disciplinate da norme e consuetudini protrattesi lungo i secoli della fiorente colonia greca (dal VI al III a.C.).
È possibile che si fossero formati sodalizi o confraternite di carattere funerario aventi il compito di provvedere alla disposizione, alla cura delle tombe e delle varie aree sepolcrali. Il rito della necropoli di Lipari in età greca è di prevalenza quello dell’inumazione supina, costantemente orientata in senso N-S, col capo rivolto a meridione. Le tombe hanno il corredo funerario posizionato esternamente, deposto presso la testata, e cioè nell’angolo S-E (Brea 1958). Le sepolture sono comunemente affiancate in filari più o meno regolari e frequentemente si sovrappongono in più ordini: su filari di tombe più antiche ne sono venute a sovrapporsi altre in momenti più recenti. Le incinerazioni entro anfore o pithoi erano invece piuttosto rare.
Il formato si presenta abbastanza omogeneo e standardizzato per le maschere tragiche più antiche che misurano in altezza dai 5 ai 6 cm, mentre le dimensioni delle maschere comiche, reperti riferibili all’ultima fase della produzione, variano notevolmente; i limiti per l’asse orizzontale rimangono comunque per tutte contenuti fra i 5 e i 7 cm. Composte di argilla molto fine, importata sull’isola dalle vicine coste della Sicilia settentrionale fin dal Neolitico (traffico che ancora oggi alimenta fiorenti industrie locali), le mascherette sono per la maggior parte tratte da matrici a due valve, una corrispondente al volto, l’altra alla calotta occipitale. Un minor numero di esemplari segue invece un’altra tecnica a matrice univalve, che permetteva di ottenere più esemplari uguali di un singolo soggetto ma andava a detrimento degli ultimi prodotti, il cui calco risultava meno netto e preciso rispetto ai primi, più freschi e meglio incisi. Le piccole maschere erano inoltre sottoposte alle diverse fasi di cottura, ingessatura e coloritura, elemento questo tutt’altro che trascurabile e non solo decorativo, poiché risultava essenziale nel delineare i tratti caratteristici del personaggio rappresentato nonché per sottolinearne i tratti fisionomici (età, incarnato ed espressione).
Risulta comunque chiaro ed evidente che gli esemplari di Lipari non erano altro che veri e propri modellini in terracotta di maschere di maggiori dimensioni: quelle effettivamente utilizzate per gli spettacoli teatrali.
3. Il problema della funzione: indagini critiche
Tutte le piccole maschere, tratte sia dal repertorio tragico sia comico, presentano caratteristiche comuni dal punto di vista della fattura. Ma se le fasi della loro esecuzione sono state ricostruite dagli archeologi con notevole precisione e attendibilità (Brea 1958, Brea 1981, Brea e Cavalier 1965), non si è invece ancora giunti a un’ipotesi altrettanto soddisfacente riguardo a una questione fondamentale: la loro funzione.
Il primo dato da prendere in considerazione è che tutte facevano parte di corredi tombali: è evidente per altro che non si tratta di ritratti dei defunti, bensì di vere e proprie riproduzioni di maschere teatrali. Partendo da questo presupposto gli studi critici hanno avanzato alcune teorie che si possono riassumere schematicamente in tre gruppi interpretativi.
La prima ipotesi formulata dagli studiosi presupponeva una massiccia diffusione delle attività teatrali sull’isola. Ma i dati archeologici non forniscono alcun riscontro in questo senso: né a Lipari né nelle isole dell’arcipelago si sono trovati resti di edifici teatrali. Per altro non abbiamo neppure conferme nelle fonti scritte epigrafiche, storiche o letterarie di una particolare passione degli abitanti di Lipari per il teatro. Ammesso dunque che, come in tutte le città greche di età classica ed ellenistica, un teatro ci fosse, non doveva essere così significativo per dimensioni e importanza da lasciare tracce materiali rilevabili in archeologia o testimoniate dagli scrittori antichi.
La seconda teoria, collegata comunque all’ipotesi di un’eccezionale pervasività di attività teatrali nell’isola, vedeva nelle piccole maschere modellini di esemplari di maggiori dimensioni importati da Atene. Assieme ai testi delle tragedie e delle commedie, sarebbero arrivati sull’isola dalla madrepatria anche i prototipi delle maschere usate per le rappresentazioni divenute ormai ‘classiche’; dai modelli originali, abili artigiani locali avrebbero poi potuto ricreare esemplari da utilizzare nelle riprese nella colonia delle opere dei grandi tragediografi e commediografi ateniesi.
Secondo questa ipotesi la presenza sull’isola di modellini fittili e non di originali in uso agli attori sarebbe motivata dalla difficoltà del loro trasporto: ingombranti e troppo delicati, i materiali utilizzati erano per lo più lino, sughero o legno, le maschere erano inadatte ai lunghi viaggi per mare.
Le mascherette liparesi sarebbero dunque copie o imitazioni di prototipi ateniesi. Ma se così fosse si sarebbero dovuti trovare esemplari di simili modellini nelle altre località del mondo greco in cui esistevano edifici teatrali, ovvero in quasi tutte le colonie. Inoltre almeno qualcuno dei prototipi ridotti si sarebbe dovuto rinvenire anche nella stessa Atene, in cui avrebbe dovuto essere attiva una copiosa produzione artigianale per soddisfare le richieste e le esigenze di tutti i teatri dell’area ellenizzata.
Così non è: l’assoluta mancanza di reperti assimilabili alle mascherette eoliane in tutta l’area influenzata dalla cultura greca ci conferma che gli esemplari trovati solo a Lipari rispondono evidentemente a un’esigenza originale e funzionale a un uso esclusivamente locale.
La terza ipotesi, sostenuta dagli archeologi con maggior convinzione fin dalle prime fasi dei ritrovamenti, considerava le terracottine creazioni originali a sé stanti, opere di skeupoíoi locali, o addirittura di un unico maestro o di un’unica scuola. Nell’intento di trovare una ragione che motivasse l’introduzione delle diverse personae all’interno dei singoli corredi tombali, si ritenne in un primo momento che fossero raggruppate a soggetto: ogni gruppo avrebbe raffigurato i protagonisti di una particolare scena o dell’intera rappresentazione teatrale, tragedia o commedia (Brea 1995).
Ma con l’avanzare della classificazione del materiale di scavo, gli studiosi stessi scartarono tale ipotesi interpretativa poiché si riscontrava un sempre più evidente disordine nell’associazione di maschere tragiche, comiche e satiresche anche all’interno della stessa tomba.
Si procedette dunque a una prima ricognizione interpretativa: si volevano comprendere il motivo delle ridotte dimensioni, il perché si trovassero all’interno di corredi tombali, il loro utilizzo e la simbologia che li legava fortemente a Dioniso, dio del teatro e delle beatitudini ultramondane. Successivamente si progettò di analizzarne gli accorpamenti e comprendere i diversi criteri di distribuzione nelle varie sepolture attraverso un attento studio dei particolari fisiognomici.
Ma, con il sommarsi dei dati, si comprovava che l’immissione delle mascherette nei diversi corredi funerari non seguisse un criterio di unitarietà di soggetto drammatico.
A conclusione di questa serie di ipotesi, due soltanto restano i punti fermi. Il primo è il dato, emerso già in seguito ai primi ritrovamenti, che tutti i reperti appartengono, senza eccezioni, alla sfera del teatro. Il secondo elemento, emerso nel corso degli anni dall’analisi della qualità dei reperti, è il fatto che tutte le maschere rappresentano le figure teatrali nel momento topico del loro ruolo e dramma.
Le mascherette riferibili alla commedia riflettono con esattezza le tipizzazioni indicate nell’Onomastikòn di Polluce, secondo la caratterizzazione riconoscibile nel repertorio dei personaggi della Commedia Nuova (e quindi con i tratti fisiognomici più accentuati). Tutte le mascherette relative alla tragedia invece fissano i protagonisti nell’acme del pathos vissuto nel loro dramma, restituendo con particolare intensità le espressioni esasperate della violenza dei sentimenti.
Questa particolare notazione comporta un importante corollario interpretativo sulla funzione degli oggetti: il fatto che siano così marcatamente tipizzati in una specifica e momentanea Pathosformel, porta ad estrapolarle dall’ambito teatrale vero e proprio. Giocasta non può fin da subito comparire sulla scena piangente, e anche Edipo non può essere rappresentato per l’intera durata della tragedia con un maschera dalle orbite occipitali vuote e insanguinate, e così per tutti gli altri personaggi tragici. Un possibile cambio di maschera nel finale può venire ipotizzato solo in casi eccezionali, e un esempio è proprio quello di Edipo.
Emerge dunque un dato certo: le mascherette di Lipari, soprattutto quelle riferite alle tragedie, fissano il personaggio nel momento più intenso del pathos del suo dramma.
4. Plinio, Naturalis Historia XXXV, 152: una nuova ipotesi interpretativa
Nel loro particolare contesto funerario si potrebbe pensare che le terracottine fossero destinate a intrattenere il defunto, adepto del dio, nel corso della vita ultraterrena. Ma come si giustifica il loro passaggio dalla bottega alla tomba, e qual è il motivo che spiega le piccole dimensioni delle mascherette, quando invece i corredi funerari erano costituiti da oggetti di grandezze svariate, e comunque sempre maggiori di queste?
Finora non è stata presa in considerazione né approfondita un’importante caratteristica: la presenza nella maggior parte di queste di un forellino aperto sulla calotta occipitale. Presso i Greci era consuetudine appendere le maschere a guisa di oscillum, anche se con diverse finalità e simbologie. Risulta però difficile immaginare che questi modellini venissero forati solo per essere posti all’interno di sepolcri: sarebbe stato un lavoro inutile e per di più pericoloso per l’integrità stessa dei piccoli oggetti.
A questo punto dell’interpretazione soccorre un passo di Plinio della Naturalis Historia. in esso si racconta che il vasaio Butade, vissuto a Corinto agli inizi del VII secolo a.C., non solo avrebbe scoperto per primo la tecnica della coroplastica, ma avrebbe anche inventato i cosiddetti prostypa:
Primusque personas tegularum extremis imbricibus inposuit, quae inter initia prostypa vocavit [...]. Hinc et fastigia templorum orta (Plinio, N.H. XXXV, 152).
Egli fu il primo a collocare delle maschere sull’orlo esterno della copertura delle tegole; all’inizio chiamò queste prostypa [...]. Da qui hanno origine anche gli ornamenti sulle sommità dei templi.
Prostypa: questo hapax pliniano, coniato sul greco, traducibile letteralmente come “calchi posti di fronte”, verrebbe così a indicare delle maschere antefisse poste sui cornicioni dei templi, presumibilmente sulle cornici inferiori degli spioventi. Essendo il teatro l’ambito di riferimento esclusivo di tali terracotte, esse possono, con ogni probabilità, aver fatto parte degli elementi decorativi dei templi dedicati a Dioniso e non si esclude la loro presenza tra gli elementi architettonici dell’edificio teatrale stesso. I ceramisti nel plasmare i prostypa, raffiguranti teste umane o immagini vegetali, avranno tratto ispirazione proprio dalle rappresentazioni sceniche, e le maschere in un momento successivo sarebbero divenute le peculiari offerte locali al tempio di Dioniso, dio del teatro.
Create in terracotta a rilievo e dipinte, si può supporre fossero munite di appositi meccanismi per essere appese ad altezze abbastanza elevate senza correre il rischio di cadere a terra.
Tornando ai materiali di Lipari è quindi chiaro che il forellino sulla calotta occipitale offrirebbe la testimonianza di questi meccanismi a sospensione (forse semplici fili), e le mascherette, finalmente, potrebbero così spiegare la loro funzione: oggetti decorativi dal forte potere simbolico appesi sulle facciate dei templi di Dioniso. Successivamente, ricalcando funzione e schema decorativo, tali prostypa sarebbero stati posti anche sulle facciate ‘a tempietto’ delle tombe, oppure posti come oscilla all’interno delle stesse sepolture, uso comune presso i Greci.
Troverebbe spiegazione anche la loro dimensione ridotta, dovuta all’esigenza di non appesantire troppo le cornici sulle quali erano appese, onde evitare possibili cedimenti.
“Dioniso e Ade sono lo stesso”: in un noto frammento (DK A 123) Eraclito suggerisce l’assimilazione del dio del teatro con il dio della morte. Considerando le due sfere di influenza di Dioniso, il teatro e il mondo dell’oltretomba, si potrebbe giungere a un percorso interessante e suggestivo: la presenza delle maschere nelle tombe potrebbe rappresentare un’offerta al dio per il raggiungimento delle beatitudini in una vita post mortem. Il trasferimento d’uso delle terracotte risulterebbe così spiegabile proprio alla luce di questa nuova ipotesi: da semplici manufatti di ispirazione teatrale, sarebbero divenuti decorazione architettonica dei templi di Dioniso, fino a una loro traslazione funzionale e simbolica come elementi votivi all’interno delle tombe.
Dioniso attendeva il defunto, adepto ai suoi misteri, in una dimensione ultramondana. Altri reperti archeologici collocabili all’incirca nel corso del III secolo a.C. offrono un’ulteriore testimonianza dell’importanza del culto di questo dio nell’arcipelago eoliano: si tratta dei vasi del Pittore di Lipari, inventore della ceramica policroma. Le opere di questo Maestro, spesso associate nelle sepolture alle maschere della commedia di Menandro, raffigurano esclusivamente giovani donne colte nell’intimità del gineceo, occupate nella toilette, o, fatto interessante, porgenti un dolce sovente sormontato da uova di differenti colori, chiari simboli rispettivamente di festa nuziale ed eterna rinascita.
Queste scene funerarie sono quindi ‘cerimonie nuziali’, concepite come unione mistica dell’adepto defunto con il dio: uno hieròs gamòs, le divine nozze in vista della felicità eterna, ultima iniziazione ai misteri di Dioniso.
Nelle mascherette teatrali di Lipari possiamo ritrovare quindi un simbolo di questa doppia timè di Dioniso: il teatro come luogo di spossessamento di sé, di perdita dell’identità nella rappresentazione, e il mondo delle beatitudini ultraterrene, orizzonte nel quale Dioniso si confonde con Ade.
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Compendium
Liparae, in Musaeo Archeologico Aeoliensi, plurimae parvulae personae fictiles, optima collocatione atque dispositione, spectandum expositae sunt. Personae, repertae ab archeologis in necropoli liparitana paulo post annum 1950 p.Ch.n., ex medio quarto usque ad medium tertium saeculum ante Christum natum videntur confectae: terminus ante quem est 252 a.Ch.n., quo in tempore graeca Lipara a Romanis capta atque deleta. In scientia archeologica ac exquisitionibus de theatro hellenistico, comico et tragico, hoc personarum corpus, unum et eximium, magno adiumento fuerunt; attamen perspicua interpretatio de earum usu munereque omnino deest. Nova interpretatio, hic proposita, ex singulis argumentis usque ad hoc tempus neglectis vel parum perspectis, pendit.
Primum, omnes parvulae personae in caelo occipitali perforationem ostendunt; deinde, quidam locus ex Plinii Naturalis Historiae libris, numquam ad personas liparitanas relatus, muneris explicationi subvenit. Comparatio contextualis inter argumentum formale (forum occipitale) et locum plinianum, novam explicationem comprobat: parvulae personae, comicae tragicaeque, in sepulcris, ut in templis dionysiacis, ex coronis – iuxta locum plinianum – suspensae, in scaena funebri collocandae sunt.
Nam Dionysus, thaeatri numen, et mystericus deus fit atque adeptos suos post mortem in Inferis recipit: propterea personae, in thesauro funerario suspensae, signa mysterica videntur. Mundo infero, ubi umbrae ac corporum phantasmata errant, theatrum, ubi deficit principium individuationis, assimulandum: nam Dionysus et Hades – Heraclitus dixit – sunt idem.
English Abstract
A vast collection of small terracotta masks is on show in an imaginative display in the Aeolian Archaeological Museum, Lipari, Sicily. They are dated between the first half of the fourth and the middle of the third century BC, or to be more precise, 252 BC, the year the area was conquered and destroyed by the Romans. Discovered in the area of the necropolis at Lipari in the early 50’s, these theatrical masks are associated with both tragedy and comedy, and are unique for their attributes and for the manner in which they were made. Not only are they interesting from an archaeological point of view; they offer the oportunity to examine the role of theater in the Hellenistic and Greek world. To this day, critical opinion has not been able to supply a convincing interpretation of their function. Two facts which have been neglected or not been sufficiently accounted for have formed the basis of this research, which aims to present a new interpretation. The first is the presence of a small hole on the occipital segment of all the small masks. The second is the interpretation of a passage in Pliny’s Natural History. A comparison between the technical information and the interpretation of the ancient source makes it possible to advance a new hermeneutical hypothesis that is consistent with the funerary context in which the objects were discovered. In the afterlife, Dionysus, the god of theatre, took care of the deceased who were followers of his mysteries. In the small theatre masks in Lipari, we have found a symbol of the double valence of Dionysus: the theatre as a place of dispossessing the self, of loss of identity in representation, and the realm of otherworldly delight, an arena in which the identity of Dionysus blends with that of Hades.
keywords | Terracotta Masks, Museum of Lipari; Dionysus.
Per citare questo articolo / To cite this article: V. Majocchi, “Dioniso e Ade sono lo stesso” (Eraclito, fr. DK A 123). Una proposta di interpretazione della funzione delle mascherette teatrali di Lipari, “La Rivista di Engramma” n. 3, novembre 2022, pp.1-13 | PDF