"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

La Menade sotto la Croce [1937]

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Edgar Wind, Frederik Antal. Testo originale e traduzione italiana a cura di Giulia Bordignon

Una versione rivista e aggiornata di questa traduzione è pubblicato in Engramma n. 132

§ Traduzione italiana, a cura di Giulia Bordignon
§ Testo originale 1937

Nei seguenti articoli pubblicati nel 1937 nel Journal of Warburg and Courtland Institutes, e qui proposti per la prima volta in traduzione italiana, Edgard Wind e Frederik Antal elaborano un’intuizione di Aby Warburg riguardo la riemersione engrammatica dell’antico pathos della menade e l’interpretatio christiana di questa formula espressiva in età rinascimentale fiorentina che ha la sua epifania nella figura di una delle Marie ai piedi della croce.

I. Commenti su un’osservazione di Reynolds

Edgar Wind

Il consiglio più acuto dato da Sir Joshua Reynolds ai suoi studenti fu forse quello di cogliere i suggerimenti degli antichi maestri e di utilizzarli “in una situazione totalmente diversa da quella in cui erano stati originariamente impiegati”:

Nello spiegare questa norma Reynolds tocca, apparentemente en passant, una legge fondamentale dell’espressività umana. C’è una figura di Baccante con il corpo piegato all’indietro e con la testa rivolta anch’essa completamente all’indietro, che sembra essere una soluzione figurativa prediletta, dal momento che è ripetuta così di frequente in bassorilievi, cammei e intagli; essa intende esprimere un tipo di gioia frenetica ed entusiastica. Baccio Bandinelli, in un disegno di questo Maestro della Deposizione dalla Croce in mio possesso, ha adottato questa figura (ed egli sapeva molto bene cosa valesse la pena di prendere in prestito) per una delle Marie, per esprimere la frenetica angoscia del dolore. È curioso osservare, ed è certamente vero, che gli estremi di passioni contrarie sono espressi con poca variazione dalla medesima azione1.

Un disegno in uno degli album di schizzi di Reynolds mostra quale uso egli stesso intendesse fare di questa lezione.

Tempo fa il compianto Aby Warburg, senza conoscere questo passaggio dei Discorsi di Reynolds o il disegno nei suoi album raccolse materiali che miravano a dimostrare che gesti simili possono assumere significati opposti. La figura pagana della menade danzante era il tema centrale di questi studi, e il loro capitolo più intenso conteneva la storia di come Bertoldo di Giovanni, scultore del primo Rinascimento, avesse trasformato la Menade in una Maria Maddalena piangente sotto la croce.

   

Il Dott. Antal ha scoperto che i rilievi fiorentini di questo primo periodo erano in effetti tra i modelli da cui Bandinelli trasse le proprie opere2; cosicché Reynolds, confessando di essersi ispirato a Bandinelli, continua una tradizione che risale al quindicesimo secolo. Anche oggi la formula non ha perduto la sua forza, come si può vedere in un recente libro su Grünewald scritto da quell’esperto fisionomo che è Wilhelm Fraenger3. Sarebbe difficile immaginare qualcosa di più lontano dall’antichità classica delle figure dipinte da Grünewald per l’altare di Isenheim. Tuttavia, quando Fraenger cerca di trovare parole adeguate per descrivere Maria Maddalena sotto la Croce, la memoria dell’antico simbolo si fa sentire, ed egli la chiama eine Schmerzmänade, citando un inno latino che potrebbe essere stato presente nella mente di molti artisti rinascimentali che dipinsero la santa nell’attitudine di una baccante:

Fac me cruce inebriari / Et cruore filii.

Sarebbe interessante trovare tracce di questa figura nella storia dell’immaginazione poetica. Nel periodo romantico la menade sotto la Croce assunse il significato di un simbolo filosofico. Nel racconto di Eichendorff Ahnung und Gegenwart essa fa la sua più straordinaria apparizione in un tableau teatrale4, non nel personaggio di Maria Maddalena, ma come immagine allegorica astratta. Al centro della scena compare una bianca figura radiosa che tiene una croce ritta verso il Cielo.

All’altro lato stava una bella figura femminile in abiti greci, come l’immagine di una dea antica. Con entrambe le braccia levate, portava un cembalo come qualcuno che danza, e lo teneva in alto, mostrando tutto il misurato splendore delle sue membra. Con il volto distolto dalla scena, come sopraffatto dalla gloria, la sua figura si trovava soltanto in penombra, tuttavia era quella più perfetta e distinta. Sembrava come se la gioiosa bellezza terrena, toccata dallo splendore di quella celeste, si fossero improvvisamente pietrificate nella sua postura bacchica.

Per il poeta romantico la menade, trasformata in pietra alla vista della croce, simboleggia il fato del paganesimo:

Die vor dem Glanze des Christentums zu Stein gewordene Religion der Phantasie.

II. Alcuni esempi del ruolo della menade nell’arte fiorentina del tardo Quindicesimo e primo Sedicesimo secolo

Frederik Antal

Il disegno di Bandinelli della Deposizione dalla Croce, menzionato da Reynolds, è con tutta probabilità il foglio conservato all’Ecole des Beaux Arts, qui riprodotto6. La descrizione di Reynolds si riferisce alla figura femminile vicina al margine destro, che viene vista, per così dire, pietrificata nell’atto della corsa, un ginocchio piegato, la testa gettata all’indietro, e la mano del braccio destro alzato che afferra i capelli. La figura rappresenta una delle Marie ed è evidentemente esemplata sul modello di una menade danzante neoattica.

 

L’intera scena della sepoltura di Cristo, in cui questa donna gioca una parte preminente, scena che ha come punto focale l’impressionante presentazione del Salvatore morto, tenuto diritto e con la testa che cade in avanti, assume in una certa misura il carattere di una processione bacchica.

Questo esempio prova – e dunque qui sta il suo significato storico – che il delirio bacchico dell’antichità romana o tardo greca (abbiamo a che fare con sculture dell’ultimo secolo a.C. e del primo secolo d.C., la maggior parte delle quali sono copie di opere del quarto secolo, caratterizzate in senso emotivo, spesso patetico) poteva essere trasposto dagli artisti del primo Manierismo in una espressione di estasi religiosa.

La figura di Bandinelli ha tuttavia anche un’altra fonte. Deriva anche da una delle Marie che partecipano alla Deposizione dalla Croce sul pulpito di Donatello in San Lorenzo. La figura sta eretta, in direzione della Croce, la testa gettata all’indietro, la mano alzata che afferra un ciuffo di capelli; ma il suo corpo, nella rigidità del dolore, manca dell’estremo movimento ritmico che Bandinelli prende invece in prestito per la propria figura dalla menade neoattica più che dalla varie Maddalene nelle scene di compianto di Donatello.

La confluenza di queste due fonti è caratteristica tanto di Bandinelli quanto della complessa mentalità di altri artisti del primo Manierismo. Essi prendevano in prestito l’espressione dell’eccitazione ovunque trovassero un modello a loro congeniale: il ritmo dei rilievi neoattici era utile quanto la sfrenata estasi delle ultime opere di Donatello.

Bandinelli rappresenta solo un aspetto di questo primo stadio del Manierismo. Firenze, negli ultimi anni dieci e i primi venti del sedicesimo secolo, sperimentò un profondo sconvolgimento religioso, simile alla Riforma tedesca, e in parte da essa influenzato. In questa fase l’influsso religioso nell’arte manierista è particolarmente evidente soprattutto in Pontormo. Egli cerca ispirazione nelle rappresentazioni grafiche di soggetti sacri di Dürer, e gli accenti emotivi dei suoi affreschi della Passione nella Certosa sono così affini in spirito alle ultime opere di Donatello da sembrare una ri-creazione manierista dei rilievi sul pulpito di San Lorenzo. Dall’altro lato, è un aspetto caratteristico di Bandinelli, più interessato ai risultati formali dell’arte manierista, il fatto di trarre con particolare frequenza disegni dai rilievi neoattici, soprattutto nelle sue rappresentazioni della Passione. Tuttavia, per dimostrare l’enfasi religiosa della sua arte bisogna allo stesso tempo sottolineare che nessun altro artista dell’epoca si volse tanto spesso alle ultime scene di Passione di Donatello, specialmente alle sue folli Maddalene.

Non è il luogo questo per addentrarsi nella complessità delle scelte tematiche e formali del Manierismo, ma possiamo aggiungere qualche osservazione su alcune figure espressive, uno dei mezzi con i quali il tardo Quattrocento a Firenze – altamente agitato per quanto riguarda l’espressione sia dell’interiorità sia del movimento esterno – si rivela precursore del Manierismo, e sulle fonti che furono presumibilmente usate per queste figure.

Troviamo nel tardo Quattrocento – come più tardi nel Manierismo – un tipo di figura agitata e piangente simile a quella discussa qui, non solo in scene della Passione ma anche per altre rappresentazioni di intensa afflizione. Le ultime opere di Donatello quasi invariabilmente determinano tutti questi tipi, che generalmente sono tratti più o meno fedelmente anche dai movimenti della statuaria antica.

Nel rilievo che Verrocchio eseguì per la tomba di Francesca Tornabuoni in Santa Maria Novella, ora al Bargello, che è per altro modellato su un sarcofago di Alcesti7, la plorante che geme, strappandosi i capelli con un gesto violento e avvicinandosi al capezzale di Francesca morente, aggiunge una stridente nota di dolore alla composizione originale e deriva ancora da una baccante classica. Il ritmo lineare goticheggiante che riproduce così da vicino l’irrequietezza emotiva del tardo Quattrocento non è in contrasto con questi prestiti dai modelli classici: il tardo Gotico e l’Antichità sono vicendevolmente complementari nel produrre l’effetto della tensione emotiva.  Lo stesso ritmo, non ancora pienamente sviluppato nella figura di Verrocchio, è ulteriormente intensificato in una delle figure più appassionate di Filippino: Virginia morente per mano del padre, rappresentata in un dipinto su un cassone al Louvre.

 

La figura è trascinata violentemente per i capelli all’indietro e verso il basso; le braccia sono sollevate in alto, in modo che il corpo snello risulta piegato in una curva potente; la sua agonia non è dissimile dalla pantomima di una danzatrice. Anche qui possiamo supporre con ogni probabilità che un’antica figura bacchica sia servita da modello8.

Ciò è valido anche per la Maddalena sotto la Croce sul rilievo (Bargello) di un allievo di Donatello, Bertoldo9, scultore della corte di Lorenzo dei Medici dotato di una particolare sensibità estetica, interessandosi specialmente all’aspetto formale della sua arte, portò l’imitazione dell’arte classica molto lontano. In questo artista le ondeggianti pieghe parallele degli abiti delle menadi neoattiche enfatizzano le emozioni e i gesti della plorante, e gli svolazzi ornamentali assumono allo stesso tempo un carattere lievemente goticheggiante10.

Sono dunque necessarie analisi dettagliate, non solo dei monumenti, ma anche della concezione di vita da essi incarnata, per chiarire l’occorrenza delle diverse gradazioni di pathos ed estasi, il loro significato nelle diverse epoche, le loro differenze e somiglianze.

Note
  1.  Discorso n. 12.
  2.  Vedi il seguente articolo del Dott. Antal.
  3. Matthias Grünewald in seinen Werken, ein physiognomischer Versuch. Berlin, 1936, p. 92.
  4. Libro II, Capitolo 12.
  5. Queste osservazioni sparse saranno incorporate in un libro sull’arte fiorentina di questo periodo, che verrà pubblicato in seguito; la loro formulazione non è ancora quella definitiva, ed esse sono dunque soggette a revisione.
  6. Questo disegno si trovava in Inghilterra fino all’inizio del secolo scorso, quando Ottley lo riprodusse nel suo Italian School of Design, London, 1823, p. 13, attribuendolo a Donatello. Ovviamente egli fu il primo ad attribuirlo, insieme ad altri disegni di Bandinelli, al grande scultore del Quattrocento.
  7. Vedi F. Schottmüller, Zwei Grabmäler der Renaissance und ihre antiken Vorbilder, Repertorium der Kunstwissenschaft, XXV, 1902, pp. 401 sgg.
  8. Sia questa figura sia quella di Verrocchio richiamano immediatamente la Maddalena di Niccolò dell’Arca, nel suo gruppo scultoreo a Bologna (S. Maria della Vita), che è raffigurata mentre si spinge in avanti impetuosamente e grida di dolore; in questo pezzo dal realismo fortemente accentuato l’antichità è sentita come niente più che una debole eco.
  9. Menzionato nell’articolo precedente.
  10. Dal momento che questo articolo si occupa solamente della trasformazione della tipologia bacchica in quella della plorante, le altre numerose figure del Rinascimento copiate da modelli neoattici non sono discusse qui. Rilievi di questo ultimo tipo, specialmente la ben nota danza di fanciulle (prima a Roma, Villa Borghese, ora al Louvre) con i loro abiti sempre in movimento e fluttuanti, fornì un’inesauribile fonte di inspirazione a quegli artisti italiani del tardo Quindicesimo e primo Sedicesimo secolo che volevano dare un movimento ritmico pronunciato e pieno di grazia alla loro composizione o a singole figure. Esempi significativi sono costituiti dalle sculture di angeli di Agostino di Duccio, dai disegni di danzatori della scuola di Ghirlandaio, dal Parnaso di Mantegna, dalle Muse di Giulio Romano e addirittura da un esempio tardo quale l’Aurora di Guido Reni. Cfr. le numerose allusioni alle figure definite come “ninfe” nelle Gesammelte Schriften di Aby Warburg.

The Maenad under the Cross [1937]

Edgar Wind, Frederick Antal

I. Comments on an observation by Reynolds

Edgar Wind

Perhaps the shrewdest advice given by Sir Joshua Reynolds to his students was to take hints from the ancient masters and employ them “in a situation totally different from that in which they were originally employed”.

In expounding this rule, Reynolds hit, apparently en passant, upon a fundamental law of human expression:

There is a figure of a Bacchante leaning backward, her head thrown quite behind her, which seems to be a favourite invention, as it is so frequently repeated in bassorelievos, cameos, and intaglios; it is intended to express an enthusiastic frantic kind of joy. This figure Baccio Bandinelli, in a drawing that I have of that Master of the Descent from the Cross, has adopted (and he knew very well what was worth borrowing) for one of the Maries, to express frantic agony of grief. It is curious to observe, and it is certainly true, that the extremes of contrary passions are with little variation expressed by the same action1.

A drawing in one of Reynolds’ sketch books shows what use he himself intended to make of this lesson.

Some time ago the late A. Warburg, without knowing of this passage in Reynolds’ Discourses or of the drawing in Reynolds’ sketch book, collected material which tended to show that similar gestures can assume opposite meanings. The pagan figure of the dancing mænad was the central theme of these studies and their most poignant chapter contained the story of how Bertoldo di Giovanni, the early Renaissance sculptor, transformed the mænad into a Mary Magdalene moaning under the Cross.

Dr. Antal discovered that Florentine reliefs of this early period were actually among the models from which Bandinelli worked2; so that Reynolds, in confessing himself to be inspired by Bandinelli, continues a tradition which goes back to the fifteenth century.

Even to-day the formula has not lost its force, as can be seen in a recent book on Grünewald written by that experienced physiognomist, Wilhelm Fraenger3. It would be difficult to imagine anything further removed from classical antiquity than the figures painted by Grünewald for the Isenheim altar. Yet when Fraenger tries to find adequate words to describe Mary Magdalene under the Cross the memory of the old symbol makes itself felt and he calls her eine Schmerzmänade, quoting a Latin hymn which may have been present in the minds of many Renaissance artists who pictured the saint in the attitude of a Bacchante:

Fac me cruce inebriari / Et cruore filii.

It would be of interest to trace this figure in the history of poetic imagination. In the Romantic period the Mænad under the Cross assumed the meaning of a philosophic symbol. In Eichendorff’s novel Ahnung und Gegenwart she makes a most striking appearance in a staged tableau4, not in the character of Mary Magdalene, but as an abstract allegorical image.

A white radiant figure holding a cross to Heaven is seen in the centre of the stage. “At the other side stood a beautiful female figure in Greek garb, like an image of one of the ancient goddesses. With both arms raised, she carried a cymbal like somebody dancing, and held it high up, displaying all the measured splendour of her limbs. Her face turned away, as if overwhelmed by the glory, she was only in half light, yet it was the most distinct and perfect figure. It seemed as if the joyous earthly beauty, touched by the radiance of the heavenly one, were thus suddenly petrified in her bacchic posture”.

To the romantic poet the mænad, transformed into stone at the sight of the cross, symbolizes the fate of paganism:

Die vor dem Glanze des Christentums zu Stein gewordene Religion der Phantasie.

II. Some examples of the role of the mænad in Florentine art of the later Fifteenth and early Sixteenth Centuries

Frederik Antal

The Bandinelli drawing of the Descent from the Cross, mentioned by Reynolds, is in all probability the sheet in the Ecole des Beaux Arts, reproduced here6. Reynolds’ description refers to the female figure near the right-hand margin, who is seen, as it were, petrified in the act of running, one knee bent, her head thrown back and the hand of her raised right arm grasping her hair. It represents one of the Maries and is evidently formed after a neo-Attic dancing mænad.

The whole scene of Christ’s burial, in which this woman plays a prominent part, and which has as its focussing point the striking feature of the dead Saviour, held upright and with the head falling forward, receives in a certain measure the character of a Bacchic procession.

This example proves – and herein lies the historical significance – that the Bacchic frenzy of Roman or late Greek antiquity (we are concerned with sculptures of the last century B.C. and the first century A.D., most of them copies after fourth-century works of an emotional, often passionate, character) could be transposed by the early mannerist artists into an expression of religious ecstasy.

The Bandinelli figure has yet another source. It is derived also from one of the Maries witnessing the Descent from the Cross on Donatello’s pulpit in S. Lorenzo. She is standing erect, looking towards the Cross, her head thrown back, and her raised hand grasping her forelock; but her body, in the rigidity of grief, lacks the extreme rhythmical motion which Bandinelli borrowed for his figure from the neo-Attic mænad more than from the various Magdalens in Donatello’s mourning scenes.

These two confluent sources are as characteristic of Bandinelli as of the complex mentality of other early mannerist artists. They borrowed the expression of excitement from wherever they found a congenial model: the rhythm of neo-Attic reliefs served as well as the wild ecstasy of Donatello’s last works.

Bandinelli represents only one side of this early mannerist stage. Florence, in the late teens and early twenties of the sixteenth century, experienced a profound religious upheaval similar to, and partly influenced by, the German Reformation. The religious influence in mannerist art is, at this phase, specially strongly revealed in Pontormo.

He turns for inspiration to Dürer’s graphic representations of sacred subjects, and the emotional accents of his Passion frescoes in the Certosa are so kindred in spirit to Donatello’s last works that they seem like a mannerist re-creation of the reliefs on the San Lorenzo pulpit. On the other hand, it is characteristic of Bandinelli, who was more concerned with the formal achievements of mannerist art, that he draws intensively from neo-Attic reliefs, particularly in his representations of the Passion. Yet it must be stressed at the same time as demonstrating the religious emphasis of his art that no other artist of that epoch turned so often as Bandinelli to Donatello’s late Passion scenes, especially to his wild Magdalens.

This is not the place to enter fully into the manneristic complexity of subject-matter and formal qualities, but a few remarks may be added on some of the expressive figures, one of the means by which the late Quattrocento in Florence – highly excited both in its inner expression and its outer movement – reveals itself as a forerunner of mannerism; and on the sources which were presumably used for these figures.

We find in the late Quattrocento – as later in mannerism – a type of lamenting agitated figure similar to the one discussed here, not only in scenes of the Passion but also for other representations of intense distress. Donatello’s last works almost invariably determine all these types, which generally also draw more or less closely upon the movements of ancient statuary.

In the relief which Verrocchio made for the tomb of Francesca Tornabuoni in Santa Maria Novella, now in the Bargello, which is otherwise modelled on an Alkestis sarcophagus7, the wailing woman mourner, tearing her hair with a violent gesture and hastening to the bedside of the dying Francesca, adds a strident note of grief to the original composition, being again derived from a classic Bacchante. The gothicising linear rhythm which reproduces so closely the emotional unrest of the late Quattrocento, is not at variance with these borrowings from the classics: late Gothic and Antiquity are supplementary to one another in producing the effect of emotional tension.

The same rhythm, not yet fully developed in the Verrocchio figure, is carried much further in one of Filippino’s most passionate figures: Virginia dying by her father’s hand, represented in a Cassone picture in the Louvre. She is being dragged violently backwards and downwards by the hair; her arms are raised high, so that the slim body is bent in a powerful curve; and her agony is not unlike a dancer’s pantomime. Here again we may fairly surmise that an antique Bacchic figure served as model8.

This also holds good for the Magdalen under the Cross on the relief (Bargello) by Donatello’s pupil Bertoldo9, where it is obviously a neo-Attic Bacchante that is copied . Bertoldo, the æsthetically-minded court sculptor of Lorenzo Medici, carried the imitation of classic art very far, while concerning himself specially with the formal aspect of his craft. With him the undulating parallel folds of the neo-Attic mænads’ garments emphasize the emotions and gestures of the mourner, and the ornamental flourishes assume at the same time a slightly gothicising character10.

Detailed analyses, not only of the monuments, but also of the conception of life embodied in them, are needed to elucidate the different shades of pathos and ecstasy which occur, their meanings in different epochs, their dissimilarities and affinities.

Notes
  1. Discourse No. 12.
  2. See Dr. Antal’s article below.
  3. Matthias Grünewald in seinen Werken, ein physiognomischer Versuch. Berlin, 1936, p. 92.
  4.  Book II, Chapter 12.
  5. These detached observations are to be incorporated in a book on Florentine art of this period to be published later; their formulation is not yet the final one, and they are therefore subject to revision.
  6. This drawing was in England until the beginning of the last century, when Ottley reproduced it in his Italian School of Design, London, 1823, p. 13, attributing it to Donatello. Obviously he was the first to attribute it, along with other Bandinelli drawings, to the great Quattrocento sculptor.
  7. See F. Schottmüller, Zwei Grabmäler der Renaissance und ihre antiken Vorbilder, Repertorium der Kunstwissenschaft, XXV, 1902, p. 401 sq.
  8. Both this and the Verrocchio figure at once recall the Magdalen by Niccolo dell’Arca, in his sculptured group at Bologna (Sta. Maria della Vita), who is represented rushing forward tempestuously and crying aloud in grief; in this piece of highly stressed realism Antiquity is sensed as nothing more than a faint echo.
  9. Mentioned in the preceding paper.
  10. Since this paper is only concerned with the transformation of Bacchic into lamenting types, the numerous other Renaissance figures copied from neo-Attic models are not discussed here. Reliefs of this latter style, especially the well-known girls’ dance (formerly at Rome, Villa Borghese, now in the Louvre) with its ever-varying and fluttering garments furnished an inexhaustible source of inspiration for those Italian artists of the late fifteenth and early sixteenth centuries who wished to give a pronounced and graceful rhythmic motion to their composition or to single figures. Significant examples occur on sculptures of angels by Agostino di Duccio, drawings of dancers by the Ghirlandaio School, Mantegna’s Parnassus, with Giulio Romano’s Muses and even as late as in Guido Reni’s Aurora. Cf. the numerous allusions to the figures known as “ninfe” in A. Warburg’s Gesammelte Schriften.

Compendium

Anno 1937 - 38 in Journal of Warburg and Courtland Institutes Edgard Wind e Fredric Antal argumentum quoddam ab Aby Warburg propositum explicabant de antiqua maenadica Pathosformel quae in imaginibus Rinascimentalibus eminet: figura mulieris dolentis iuxta Crucem ut baccha christiano more interpretata.

English abstract

The drawn representing the Descent from the Cross by Bandinelli presents a figure, Mary Magdalene, that has maenad’s features, but it could come also from one of the Maries presented in Donatello’s pulpit in S. Lorence: we can say this watching the figure’s posture. We can see the conjunction of these two sources also in other artists from Mannerism, but Bandinelli represents only one side of this artistic current. Religion is particularly evident in Pontormo who searches inspiration from Dürer, Donatello and the Certosa. Nevertheless, Bandinelli’s intention is to take inspiration from Neo-Attic reliefs, particularly in the Passion. In general, in the late mannerism there is a type of lamenting figure similar to the one discussed also for other representations, for example in Verrocchio or in Bertoldo.

keywords | Descent from the Cross; maenad; Mary Magdalene; Bandinelli; Bacchante; mannerism.

Per citare questo articolo / To cite this article: E. Wind, F. Antal, The Maenad under the cross [1937], testo originale e traduzione italiana di G. Bordignon, “La Rivista di Engramma” n. 15, marzo/aprile 2002, pp. 7-20 | PDF