Aby Warburg. Una biografia intellettuale di Ernst Gombrich
Introduzione alla riedizione della Biografia di Gombrich (Feltrinelli, Milano 2003)
Katia Mazzucco
English abstract
Nel 1970 Ernst Gombrich pubblicava a Londra una celebre biografia dedicata ad Aby Warburg, destinata a divenire un imprescindibile punto di riferimento per gli studi warburghiani. Tradotta e pubblicata in Italia da Feltrinelli nel 1983, l’opera viene ora a distanza di venti anni riproposta dall’editore. Si presenta qui il saggio di introduzione a questa recente, attesa ristampa.
Il 13 giugno del 1966, in occasione del centenario della nascita di Aby Warburg, Ernst Gombrich pronunciava all’Università di Amburgo un discorso in onore del grande studioso, scomparso quasi trent’anni prima. Nello stesso anno Carlo Ginzburg pubblicava il suo saggio Da A. Warburg a E. H. Gombrich dedicato al problema del cosiddetto ‘metodo warburghiano’, tra le cui note definiva la commemorazione, che poté leggere in dattiloscritto: “a tutt’oggi, l’interpretazione più ricca e approfondita della figura di Warburg”.
Tra il 1965 e il 1966 uscivano in traduzione italiana il saggio Arte e illusione di Ernst Gombrich, una raccolta di conferenze di Fritz Saxl, La storia delle immagini, e alcuni dei più importanti saggi di Aby Warburg nel volume voluto da Delio Cantimori e curato da Gertrud Bing La Rinascita del Paganesimo antico.
In queste scelte editoriali, la cultura italiana manifestava un desiderio di aggiornamento degli indirizzi di studio che si rivolgeva proprio all’originalità delle ricerche legate al Warburg Institute. Ma, come Ginzburg notava prontamente, parlare di scoperta, a distanza di decenni dalle prime invenzioni di Warburg e dei suoi successori, appariva quanto meno imbarazzante, soprattutto “qui da noi – dove l’idea di aggiornamento sembrava essere ormai inscindibilmente legata a frivolezza e superficialità: “ci si aggiorna frettolosamente, e tutto resta come prima”.
Le precoci e puntuali parole di Carlo Ginzburg sembrano inquadrare l’andamento intermittente della fortuna dell’opera di Aby Warburg: dalla pubblicazione della prima raccolta nel 1932, a intervalli quasi regolari una voce – e si potrebbero fare i nomi, per esempio, di Giorgio Pasquali, Gertrud Bing, Edgar Wind – denuncia il destino di “famosissimo sconosciuto” toccato a Warburg.
La Biografia scritta da Ernst Gombrich s’inserisce come punto di snodo in questo corso.
A ridosso della pubblicazione del primo volume delle Gesammelte Schriften nel 1932, l’Istituto fondato da Warburg, e all’epoca diretto dal suo allievo e collaboratore Fritz Saxl, era stato costretto a trasferirsi da Amburgo a Londra dopo l’avvento al potere del partito nazionalsocialista; il progetto editoriale dell’opera completa venne di conseguenza interrotto e a quel primo volume degli scritti fu negata la debita risonanza.
Al giovane Ernst Gombrich, arrivato a Londra il 1 gennaio 1936, venne immediatamente affidato l’incarico di occuparsi dei materiali inediti di Warburg. A questo proposito Gombrich non mancherà di far notare come la vista degli sterminati appunti, raccolti in cartelle, cassettini, mescolati a fotografie e ritagli di giornale, gli avesse provocato una sorta di shock, lasciandolo al primo impatto letteralmente inorridito. Il suo lavoro consisteva nella presentazione della storia del pensiero di Warburg attraverso l’utilizzo degli appunti inediti, materiale che, secondo il progetto di Gertrud Bing, avrebbe accompagnato una vera e propria biografia alla quale lei stessa stava lavorando. Il trasferimento in Inghilterra, lo scoppio della seconda guerra mondiale e la scomparsa di Fritz Saxl (1948) poco dopo l’annessione dell’Istituto all’Università di Londra, avevano provocato un’inevitabile stagnazione del piano di pubblicazione delle opere di Warburg e rendevano impellente la necessità di creare un dialogo con il pubblico culturale anglosassone.
Cresciuta, forse più di chiunque altro collaboratore di Warburg, all’ombra del Maestro, Gertrud Bing, divenuta direttrice nel 1955 dopo Henri Frankfort, si era impegnata con tutte le sue energie nella causa del funzionamento dell’Istituto – nonché più o meno coscientemente votata, come leggiamo in filigrana nelle poche e lucidissime pagine della studiosa lasciateci su Warburg, a un processo di canonizzazione. Inizialmente Bing non apprezzò il distacco critico manifestato da Gombrich nei confronti del pensiero e dell’opera di Warburg. Non è casuale che, insoddisfatta del proprio lavoro, non seppe portarlo a termine e poco prima di morire (1966), come ci racconta Gombrich, “buttò via” una stesura della biografia sulla quale era impegnata da anni. Il lavoro di Gombrich, che nasceva per affiancare questa mancata biografia, venne così gravato anche della sua eredità e si caricò della tripla funzione di traccia biografica, pubblicazione di una selezione di frammenti inediti, commento dell’opera edita a un pubblico che non disponeva di una traduzione.
Consapevole di tale pesante responsabilità, Gombrich manifestò così le proprie perplessità all’auditorio amburghese di fronte al quale commemorava il centenario della nascita di Warburg:
”Non è facile, nell’ambito di un discorso commemorativo, indicare i problemi che impedirono, e tuttora impediscono, una simile pubblicazione. Gli appunti personali di uno studioso a cui piaceva mettere in carta le sue idee per elaborarle in sempre nuove permutazioni, e che si serviva, inoltre, di parole e simboli di sua creazione che sarebbero risultati incomprensibili senza un adeguato commento, pongono il devoto curatore dinnanzi a problemi insormontabili. Warburg sarebbe stata certamente l’ultima persona disposta ad affidare alla pubblicazione quei suoi foglietti. [...] Il fatto che la sorte abbia negato a Gertrud Bing, l’unica che conoscesse a fondo questi tesori, la possibilità di utilizzarli per una biografia di Aby Warburg costituisce una perdita irreparabile. Nel tentativo di dirne oggi qualcosa, mi rendo conto, con amara tristezza, che al mio posto dovrebbe esserci lei. Ma in un modo o nell’altro il contenuto di questo lascito dovrà essere reso noto, se si vorrà realmente comprendere la personalità di Warburg e il ruolo da essa svolto”.
In apertura dello stesso discorso, inoltre, lo studioso dichiarò la legittimità, e in un certo senso la necessità, di un distacco critico ed emotivo dalla carismatica figura di Aby Warburg:
”Sono onorato dell’invito che mi è stato rivolto di tenere oggi questa commemorazione, tanto più che non posso vantare nessuna conoscenza personale con il grande studioso. Non mi sono mai incontrato con Aby Warburg. Ad altri spetta dire quale impressione facesse la sua personalità, quali fossero la sua arguzia, le sue qualità di attore, le sue doti di conversatore, ma anche quale intransigente severità egli mostrasse verso se stesso e verso i suoi collaboratori. [...] Ma, tutto sommato, non mi sembra illegittimo che, nel centesimo anniversario della nascita di questo grande studioso, di lui vi parli qualcuno per il quale Aby Warburg è già entrato nella storia”.
Divenuto egli stesso direttore del Warburg Institute nel 1959 (incarico che mantenne fino al 1976), Gombrich si occupò attivamente di riformare i corsi che vi si tenevano. Nelle ricerche pubblicate in questi anni, mentre portava avanti l’impegno della Biografia, tornò molto spesso sul ruolo svolto dalle idee di Warburg nell’ambito della ricerca culturale: in questo senso, tentò a più riprese di denunciare la diffusa indeterminatezza del cosiddetto “metodo warburghiano”, associato genericamente a quelle ricerche iconologiche che dovevano invece essere ricondotte a un altro grande erede delle idee del maestro: Erwin Panofsky. Così Gombrich stesso in un articolo del 1966 pubblicato sulla “Neue Zürcher Zeitung”:
”[...] Fu la personalità di questo scienziato libero che indicò a Fritz Saxl, Gertrud Bing e Erwin Panofsky i problemi ai quali costoro dedicarono il lavoro di tutta la vita. Certamente nel corso di questa evoluzione molte risposte sono cambiate, ma le nuove domande che Warburg seppe porre esigono di venir sempre riproposte. [...] Invece di seguire la nuova routine di un presunto metodo di Warburg, impariamo a domandarci: “come in realtà si svolse?””.
La Biografia intellettuale fu portata a termine e pubblicata due anni prima di Immagini simboliche, secondo libro della “trilogia” (con Norma e Forma [1966] e L’eredità di Apelle [1976]) dedicata da Gombrich al Rinascimento: significativamente, l’autore apriva l’introduzione intitolata “Aspirazioni e limiti dell’Iconologia” con la citazione di un celebre passo di Panofsky:
”Comunque non si può negare che ci sia il pericolo che l’iconologia si comporti non come l’etnologia rispetto all’etnografia, ma come l’astrologia rispetto all’astrografia”.
Proprio tra le pagine di queste e altre opere del periodo, è possibile rintracciare il nucleo di quella polemica contro il malcostume degli studi iconologici che Gombrich porterà avanti lungo il corso di tutta la propria carriera e identificato nella deriva dello storicismo hegeliano e del credo nello Zeitgeist, nel ragionamento circolare e vizioso, nel pericolo dell’iperinterpretazione, nel misticismo neoplatonico di una certa filosofia del simbolismo.
Queste le parole di Gombrich nell’articolo del 1966 apparso sulla “Neue Zürcher Zeitung”:
”Ancora poco tempo fa la concezione dello spazio e lo stile a pieghe erano i temi di routine della storia dell’arte, e già incombe addirittura un’inflazione di interpretazioni neoplatoniche dei simboli presunti e reali. Ma come Gertrud Bing [...] ha sottolineato [...] forse proprio questo successo esterno dell’iconologia ha contribuito a confondere l’essenziale della produzione personale di Warburg. Come Marx non fu marxista e Nietzsche non fu nietzschiano, così Warburg in fondo non fu warburghiano”.
L’identificazione di quelle che venivano riconosciute come sgrammaticature degli studi “warburghiani” finì per condizionare e intaccare anche il lavoro della Biografia: nonostante la convinzione che Warburg, in fondo, non fosse un “warburghiano”, Gombrich rintracciò nell’opera e nel pensiero del maestro questi stessi vizi.
Pubblicata a Londra nel 1970, la Biografia intellettuale fu immediatamente attaccata da Edgar Wind in una recensione che possiamo chiaramente leggere come risposta polemica da un fronte metodologico opposto.
La decisione di Gombrich – in realtà forzata – di seguire il doppio binario della narrazione biografica e dell’evoluzione del pensiero e delle ricerche utilizzando soprattutto gli inediti viene aspramente criticata da Wind, che inquadra lucidamente tre problemi strutturali di questa biografia: i criteri di selezione dei frammenti, ritenuti arbitrari, e l’inesattezza dei relativi riferimenti all’Archivio; il ritratto psicologico di Warburg, che emerge come personaggio irrisolto e tormentato; il quadro impreciso dei maestri e delle fonti del pensiero warburghiano.
Ancora una volta, anche se nei toni aspri della polemica, il problema si focalizza sulla mancata diffusione, nell’ambito della cultura di lingua inglese, dell’opera edita di Warburg:
”Una traduzione di quegli incomparabili scritti, lucidi, solidi e concisi, che Warburg stesso aveva dato alle stampe, avrebbe prodotto un volume, se non più leggero, certamente più breve di questo libro che stiamo recensendo. Sembrerebbe, tuttavia, che tra i seguaci di Warburg sia diventata una tradizione considerare le sue opere letterarie una sorta di arcano, un elisir di sapienza estremamente raffinato ma troppo concentrato, che non deve essere servito al consumatore inglese senza essere stato abbondantemente mescolato con acqua e orzo”.
Ribaltando la posizione di Wind, possiamo dire però che l’opera di Gombrich si fece carico della responsabilità di dar voce a quegli scritti che ancora per 29 anni aspetteranno di essere tradotti e pubblicati in lingua inglese. Le taglienti osservazioni di Wind, purtroppo, lontane dall’aver aiutato a raddrizzare il tiro nei confronti della ricezione di un Warburg filtrato – o diluito – da Gombrich, sono diventate, per ironia, il solco nel quale sono germinate le pigre letture della Biografia.
Ecco che negli anni, grazie anche al successo di pubblico degli scritti di Gombrich, la sua opera su Warburg si è involontariamente trasformata in fonte unica, sorta di summa o filza di citazioni indirette, come se trattasse di un autore antico perduto e giunto sino a noi solo grazie alla fortuna dell’eccentrico “frammento del serpente”. Trasformazione – o deformazione – che ha alimentato un interesse legittimo, ma non scevro di un certo voyeurismo, verso le opere incompiute o solo abbozzate. Scriveva Bing nell’introduzione alla Rinascita del Paganesimo antico:
”Ci si sente indotti a concludere che l’opera del Warburg è diventata così feconda perché era rimasta frammento, con la potenza che ha il frammento di testimoniare dell’esistenza di un edificio più grande e di sfidare l’immaginazione a completarne i particolari”.
Non minore sono apparsi, nel tempo, l’attaccamento e il perpetrarsi del ritratto di un Warburg tormentato e sofferente, ancora in gran voga. La Musa Comica, che pochi seppero riconoscere come sua ispiratrice – e come sottolinea Gombrich stesso si tratta di coloro che ebbero l’opportunità di conoscerlo in vita – stenta a schiarire il ritratto warburghiano dall’ombra della falce saturnina: di questo carattere complesso continua a essere sacrificato il pur compresente aspetto di giovialità.
Se da un lato possiamo riscontrare una ricezione più o meno critica ma poco fruttuosa dell’opera di Gombrich dedicata a Warburg, va assolutamente segnalata l’accoglienza che le fu riservata in Italia subito dopo la traduzione del 1983 che Feltrinelli ora ripropone.
In una entusiastica recensione del gennaio 1984, Rossana Rossanda vedeva nel ritorno d’attenzione sulla figura di Warburg, in Italia ancora confuso con la fama e il nome dell’Istituto, un segno di felice liberazione dall’onda lunga del crocianesimo e dall’azzeramento culturale provocato dalla seconda guerra mondiale. Un’altra positiva recensione di Enrico Castelnuovo si chiudeva con un riferimento alla stroncatura di Wind e con il riconoscimento a Gombrich del merito di restituire all’arena del dibattito “questa grande figura [che] ha dunque ancora l’attualissima capacità di suscitare scontri e passioni”.
L’esempio forse più importante di ritorno allo studio di Warburg, anche per tramite di una attenta e critica lettura di Gombrich, è rappresentato dal numero monografico di “autaut” che uscì, sempre in Italia, nell’aprile del 1984. Questa pubblicazione si offriva come felice frutto di una ricerca di ricomposizione filologica del frammento e di commento a più voci del pensiero di Warburg, nella prospettiva degli studi filosofici. La rivista, aperta dall’articolo di Gombrich del 1966, pubblicava anche la prima traduzione italiana della conferenza divenuta nota con il titolo Il rituale del serpente – accompagnata da un importante contributo di Saxl sul viaggio in America di Warburg – e due testi appartenenti alla poco nota attività di ricerca svolta da Warburg dopo il ricovero in clinica psichiatrica (Il Déjeneur sur l’herbe di Manet e Burckhardt e Nietzsche).
Ciò che emergeva fortemente da questo lavoro era la necessità di una ramificazione delle indagini e di una suddivisione degli ambiti di approfondimento della complessa e poliedrica personalità di Warburg.
Il senso di questa rinascita di interessi appare più chiaro nel quadro del dibattito europeo sugli studi iconologici. Intorno alla metà degli anni ’60 si inseriscono, infatti, alcuni importanti discorsi e commemorazioni sull’opera e il pensiero dello studioso. Con l’affermarsi nei primi anni ’70 della scuola di Francoforte e delle tematiche benjaminiane, si ha poi un fiorire di nuovi studi ispirati e dedicati a Warburg, supportati, come sottolinea Michael Diers, proprio dai materiali inediti pubblicati nella Biografia intellettuale (pubblicata in Gran Bretagna nel 1970 e nel 1986; in Germania nel 1981; in Italia nel 1983; negli Stati Uniti nel 1986; in Giappone nel 1986). In questa temperie culturale s’inserisce la pubblicazione delle Ausgewelteschriften und Wurdigungen del 1979, a cura di Dieter Wuttke: l’opera, sul modello della raccolta italiana curata da Bing, pubblica una più ampia selezione di scritti di Warburg, accompagnata da contributi allo studio del suo pensiero e dal primo nucleo di una fondamentale bibliografia warburghiana, in seguito ancora ampliata e aggiornata da Wuttke.
Una svolta decisiva è quindi segnata, sul finire degli anni ’90, dalla ripresa e continuazione del piano editoriale del 1932 per i tipi della Akademie Verlag, in collaborazione per l’edizione italiana con Nino Aragno Editore e, finalmente, dalla traduzione inglese della Erneuerung der heidnische Antike, pubblicata nel 1999 grazie al lavoro di Salvatore Settis, prima, e di Kurt Forster, dopo, alla direzione del Paul Getty Institute.
Proprio a questa edizione inglese, in una sorta di ideale passaggio di testimone, fa riferimento il testo della bella conferenza tenuta da Ernst Gombrich il 26 ottobre 1999 a Londra, ultimo tributo del grande studioso alla memoria di Warburg prima della morte (2001). Dedicata a una discussione di metodo attraverso il commento di un “dettaglio” della sua carriera, ovvero il famoso studio sugli affreschi di Palazzo Schifanoia, la “Anniversary Lecture” si apre con una considerazione sulla pratica della traduzione: nulla può sviscerare cosa intenda comunicare uno scrittore come il tentativo di trasmetterne il messaggio in una lingua altra. Esattamente a settant’anni dalla morte, l’opera di Warburg vedeva la luce in una traduzione inglese; Ernst Gombrich, che per la “sua” Intellectual Biography aveva lottato con quello che Warburg aveva chiamato il proprio Aalsuppenstil, sottolinea l’eccellente lavoro svolto dai traduttori dell’edizione americana.
Se questa Biografia intellettuale ha indubbiamente indotto al fraintendimento di alcuni aspetti della personalità di Aby Warburg, la panoramica offerta da Ernst Gombrich sulla carriera dello studioso rappresenta tutt’oggi l’unico repertorio da cui partire per ricostruire i suoi modi di scrittura, comunicazione, ricerca, e rimane una fonte di primaria importanza per illuminare un periodo ancora oscuro della carriera di Warburg, ossia tutta l’attività svolta dopo il rientro da Kreuzlingen.
Alla luce dei recenti sviluppi della ricerca, delle nuove edizioni, dell’attività del Warburg Institute – da segnalare particolarmente la nuova accessibilità dell’Archivio resa possibile dalla ricatalogazione avviata nel 1993 – la Biografia di Gombrich, storicizzata e pubblicata con gli apparati originali, può essere alleggerita della eccessiva responsabilità di cui l’autore era stato, suo malgrado, caricato. Possiamo quindi riformulare la questione di questa dibattuta opera facendo fruttare le polemiche nella direzione di un uso proficuo mediante interazione, precocemente auspicato da Giorgio Pasquali, dell’opera e del pensiero di Aby Warburg.
Riferimenti bibliografici
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English abstract
In 1970, Ernst Gombrich published a celebrated biography dedicated to Aby Warburg in London, destined to become an indispensable reference point for Warburg studies. Translated and published in Italy by Feltrinelli in 1983, the work is now republished by the publisher twenty years later. The introductory essay to this recent, long-awaited reprint is presented here.
keywords | Gombrich; Warburg; Biography.
Per citare questo articolo / To cite this article: Katia Mazzucco, Aby Warburg. Una biografia intellettuale di Ernst Gombrich. Introduzione alla riedizione della Biografia di Gombrich (Feltrinelli, Milano 2003), “La Rivista di Engramma” n. 24, aprile 2003, pp. 7-16 | PDF