"AB OLYMPO": Mercurio e Amymone, dai modelli mantegneschi alla mondanizzazione del mito
a cura del Seminario del Centro studi classicA
English abstract
In una tavoletta proveniente dal Gabinetto disegni e stampe delle Gallerie degli Uffizi, è possibile ravvisare un'importante testimonianza del diffondersi nell'arte del primo Cinquecento delle forme inventate o re-inventate da Andrea Mantegna. L'opera è stata datata tra il 1515 e il 1520 ed è nota con i titoli di Scena allegorica, o Ninfa dormiente, o Mercurio e Amymone.
L'attribuzione del quadro, tradizionalmente assegnata al Leonbruno, resta ancora dibattuta, soprattutto negli ultimi tempi: recentemente essa è stata infatti spostata nell'ambito del giovane Antonio Allegri, detto il Correggio. Tanto Leonbruno quanto Correggio sono pittori che operano in stretto rapporto (anche fisico, non solo culturale) con le opere di Mantegna, ed è quindi riconoscibile in entrambi la presenza di 'prelievi' dal thesaurus delle forme mantegnesche.
Nell'opera, di piccole dimensioni, sono protagoniste due figure: una donna nuda sdraiata a occhi chiusi, solo parzialmente coperta da un panno giallo (in realtà il velo 'mostra' quanto dovrebbe coprire, come il velo della Venere-Isabella nel Parnaso di Mantegna); dormendo, la donna poggia il braccio che le sorregge la testa su una sfera; dietro di lei e in ginocchio, è un uomo rivestito di lorica, con un elmo alato sul capo; l'uomo tiene fra le mani un 'pastorale' e una foglia di palma. La critica non è ancora concorde nella lettura di questa scena allegorica, già interpretata come raffigurazione dei rapporti diplomatici fra Mantova e Stato della Chiesa (Chiara Perina, 1961) o allegoria di Virtus e Voluptas (Leandro Ventura, 1994).
Indipendentemente dalle questioni dell'interpretazione e attribuzione dell'opera, ciò che è certo, e da tempo noto, è la fortissima dipendenza di quest'opera da fonti mantegnesche. Fu Carlo Gamba, nel 1909, a riconoscere nella donna sdraiata un'eco di una composizione del Mantegna nota attraverso altre derivazioni: un'opera a monocromo in collezione privata milanese (oggi divisa in tre frammenti), attribuita allo stesso Leonbruno, e un'incisione di Girolamo Mocetto nota come Metamorfosi di Amymone. È peraltro interessante notare che molto probabilmente l'incisione del Mocetto venne incisa sull'altro lato della lastra realizzata dallo stesso autore sulla base del disegno di Mantegna sulla Calunnia di Apelle (sul tema iconografico della Calunnia di Apelle vedi la galleria pubblicata in engramma, numero 42).
Lo stesso Leonbruno - traendo da diverse opere del Maestro deduzioni iconografiche precise, veri e propri 'prelievi' - realizza un quadro in cui il soggetto principale è quello della Calunnia di Apelle, che diventa pero pretesto 'narrativo' per illustrare il tema del Governo della Fortuna.
Ancora, anche nel monocromo con la ninfa 'Amymone', le diverse figure sembrano tolte di peso da lavori di Mantegna: Poseidone dalla lunetta con Arione della 'Camera picta' del Palazzo Ducale di Mantova; la vecchia dietro la ninfa dall'analoga figura nell'incisione della Zuffa degli dei marini; Marte da un disegno che presenta il dio della guerra 'al bivio' tra Venere e Diana.
A queste due epifanie della 'ninfa dormiente' nel contesto mantovano, va aggiunta quella recentemente rinvenuta da Giovanni Agosti (1992) in un disegno conservato agli Uffizi, assai simile all'incisione del Mocetto nell'impostazione generale, ma di inferiori dimensioni e differente nei dettagli dello sfondo. La ricorrenza del soggetto in dipinti, disegni e incisioni lascia presupporre quindi l'esistenza di un prototipo mantegnesco, oggi perduto, alla base di questa prolifica genealogia di immagini, che costituiscono un vero e proprio "enigma mantovano", come lo ha recentemente definito Giovanni Agosti.
Anche il personaggio virile della tavola degli Uffizi attribuita al Leonbruno o al Correggio deriva da una fonte mantegnesca. Dobbiamo a Paul Kristeller (1909) l'identificazione di tale fonte nel Mercurio presente nell'incisione nota come Virtus Deserta. È questa un'incisione attribuita dalla critica a Giovanni Antonio da Brescia, facente parte, insieme alla cosiddetta Virtus Combusta, di una coppia di fogli entro i quali è divisa un'unica scena verticale, ideata con ogni probabilità dal Mantegna stesso.
Nell'opera si riconoscono molti personaggi già presenti in altre opere del maestro e della sua cerchia. Molte delle figure presenti nella 'doppia' incisione sono infatti riconducibili ai personaggi che animano il dipinto dello Studiolo di Isabella d'Este Pallade che scaccia i Vizi dal giardino di Virtù, e alle personificazioni del disegno di Mantegna della Calunnia di Apelle, come per esempio Ignoranza. Nella parte superiore dell'incisione Ignoranza incoronata è effigiata seduta su una sfera tenuta stabile da sfingi alate, mentre tiene fra le mani il timone. Ignoranza ha usurpato gli attributi di Fortuna, che sta dietro a lei bendata e affiancata da Invidia. in fianco a queste tre figure si consumano fra le fiamme gli ultimi rimasugli di un albero, sotto il quale è la scritta 'VIRTUS COMBUSTA'. Nel frattempo un uomo con le orecchie d'asino e un satiro demoniaco accompagnano un uomo bendato e una donna verso un baratro.
Il racconto prosegue nella seconda incisione, che costituisce la scena inferiore: al centro si vede il fondo del baratro nel quale si affollano corpi umani ammassati uno sull'altro. In fianco a loro, fra rovine, rovi e macerie, cresce una pianta dalle fattezze femminili - forse Dafne - al collo della quale pende una tabula ansata con l'iscrizione 'VIRTUS DESERTA'. Sulla destra della composizione, si riconosce inginocchiato Mercurio, con ali ai piedi e caduceo, mentre aiuta gli uomini a rialzarsi e salvarsi dall'abisso. Un'ultima iscrizione compare nell'incisione, chiarendone il significato: 'VIRTUTI S.A.I.', interpretata come abbreviazione del motto latino 'VIRTUTI SEMPER ADVERSATUR IGNORANTIA', che ricorre nella corrispondenza fra Mantegna e Francesco Gonzaga, e che è forse leggibile anche nel cartiglio retto dalla vecchia che cavalca il tritone nella Zuffa degli dei marini.
Modificando i suoi attributi, la figura di Mercurio presente in questa complessa scena allegorica è stata ripresa dall'autore della tavola degli Uffizi. Il 'Mercurio' del dipinto attribuito a Leonbruno pare quasi ulteriormente 'moralizzato': rivestito di lorica, di elmo alato, di un caduceo divenuto 'pastorale', resta però perfettamente sovrapponibile nella postura al dio 'classicamente' nudo che aiuta gli uomini a sollevarsi dal baratro dell'ignoranza. Lo stesso è accaduto anche per la ninfa dormiente - spesso identificata come Amymone - presente, come s'è detto, in diverse opere legate allo stesso ambito culturale e alla medesima cerchia di maestranze: la casta ninfa della fonte è ora una 'malinconica' figura con sfera.
Nel creare una scena di nuovo significato, l'autore del dipinto degli Uffizi ha quindi estrapolato dal loro contesto due diversi elementi di due composizioni evidentemente assai diffuse e note in quegli anni e in quegli ambienti, unendole per creare una nuova scena allegorica. Lasciando il loro habitat, le due immagini si sono spogliate dei vecchi significati, dei vecchi contesti e dei vecchi attributi, assumendo identità nuove.
Mercurio e Amymone sono così diventati un uomo e una donna, come si evince da un inventario del 1680 della Collezione Farnese dove il quadro è descritto in questo modo: "Donna ignuda che dorme distesa sul suolo con panno giallo, viene adorata da un uomo armato, tiene il ginocchio diritto in terra, tiene nella destra una palma e nella sinistra un pastorale, in capo la berretta rossa con le ali di Mercurio, et pennacchio".
Nell'ecfrasi contenuta nell'inventario secentesco è andata oramai perduta la connotazione mitologica che improntava le figure mantegnesche, e pare sfumato anche il significato allegorico: la ninfa è divenuta, genericamente, una "donna ignuda che dorme", adorata da un "uomo armato" che veste, come in una mascherata, il copricapo di Mercurio con pennacchio. Proprio mediante le manipolazioni subite dai 'repertori' di forme dei grandi maestri, come notava Aby Warburg nella Tavola 55 di Mnemosyne, è venuto il tempo in cui gli dei sono caduti sulla terra a prestare le loro forme al narcisismo tutto mondano degli umani, e l'ambientazione en plein air è oramai il paesaggio sostitutivo dello scenario mitico. Come recita il motto che troviamo ripetuto più volte nella dimora mantovana di Andrea Mantegna: 'AB OLYMPO'.
The text describes a work of art preserved in the Uffizi, analyses its origin and attribution, and relates it to the artistic tradition of the early 16th century and, in particular, to the influence of Andrea Mantegna. The work, which has been given various titles such as "Allegorical Scene", "Sleeping Nymph" or "Mercury and Amymone", has been the subject of debate as to its author: initially attributed to Giovanni Francesco Caroto, known as Leonbruno, it has recently been attributed to the young Antonio Allegri, known as Correggio. The work depicts two main figures: a naked woman sleeping on a sphere, partially covered by a transparent veil, and an armed man kneeling with allegorical symbols such as a crosier and a palm tree. The text highlights how the work is clearly based on models by Mantegna, such as one of his monochrome compositions, now divided into three fragments, and an engraving by Girolamo Mocetto entitled 'Metamorphosis of Amymone'. Finally, the text explores how the engraving 'Virtus Deserta', attributed to Giovanni Antonio da Brescia but inspired by Mantegna, depicts Mercury in a context of helping fallen human beings, in line with a moral interpretation in which 'virtue is always hindered by ignorance'. The combination of these references creates a complex iconographic web known as the 'Mantuan enigma'.
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