Dolore e melanconia
Saggio interpretativo della Tavola fantasma De melancholia ex Mnemosyne Atlas, Tavola 53
a cura del Seminario Mnemosyne, coordinato da Monica Centanni e Katia Mazzucco, con la collaborazione di Sara Agnoletto, Maria Bergamo, Lorenzo Bonoldi, Giulia Bordignon, Claudia Daniotti, Giovanna Pasini, Alessandra Pedersoli, Linda Selmin, Daniela Sacco, Valentina Sinico
English abstract | English full version | Latina versio
Immagine Tavola ex novo De melancholia
La lettura della Tavola 53 dell’Atlante sulle Muse (pubblicata in Engramma n.13) e della Tavola tematica sulle figure di malinconici attraverso l’Atlante (Engramma n. 14) ha proiettato, come sviluppo delle suggestioni sorte dal lavoro di Warburg, questa tavola fantasma.
Le immagini qui raccolte sono unite da una convenzione posturale che però si propone come formula di un pathos non monocorde.
Figure della melanconia: ma quale melanconia? Le figure assemblate in questa tavola condividono una postura sintomatica di un difetto di temperanza – per eccesso – dell’umor nero, che però resta al di qua della soglia patologica, configurandosi come tratto caratteriale, appunto come ‘umore’.
I vari stadi e le diverse declinazioni dell’umor melanconico disegnano una mappatura complessa, che come si è detto non sfocia nello stato malato della depressione ma in qualche misura lo prevede nelle sue diverse manifestazioni sintomatiche.
Seguendo la traccia teorica indicata da Ludwig Binswanger, il carattere melanconico si configura come un rapporto disturbato con l’"essere nel mondo" rispetto al tempo: nel senso di una relazione squilibrata e insoddisfacente con la praesentatio (l’esserci nel presente) che inclina verso la protentio (il cui oggetto temporale è il futuro), o la retentio (il cui oggetto temporale è il passato).
Secondo Ludwig Binswanger e la sua teoria della Daseinpsychologie l’indagine sulla fenomenologia psichica si configura come un tentativo di comprendere i momenti strutturali costitutivi che regolano l’essere nel mondo di una data esistenza, nel tentativo di comprendere le loro deficienze, difetti, il mancato funzionamento dell’accadere del Dasein, l’“esserci nel mondo”.
La sua indagine prevede la Fenomenologia pura e trascendentale di Edmund Husserl, incrociata alla concezione dell’a priori dell’“esserci” di Martin Heidegger (la concezione dell’essere nel mondo) come base teorica per l’elaborazione di una teoria psicologica e di una metodologia psichiatrica.
I momenti strutturali costitutivi sono le strutture a priori trascendentali come matrici dei diversi mondi. Queste strutture costitutive del Dasein sono essenzialmente l’intenzionalità connessa alla temporalità, alla coscienza temporale soggettiva, e quindi: protentio (il cui oggetto temporale è il futuro); retentio (passato), praesentatio (presente). La psicosi consiste in un difetto nel governo di queste dimensioni.
In questo quadro la melanconia si definisce anche per opposizione all’altra forma di “difetto della concezione temporale”: la mania. Così Binswanger:
Entrambe [malinconia e mania] hanno un diverso difetto della costituzione temporale. Per la mania è un "allentamento" della costituzione temporale dell’ego che si rivela nel completo ritrarsi, scomparire, dei momenti trascendentali retentivi e protentivi e delle appresentazioni abituali a favore di una pura attualità, così come in un difetto dell’appresentazione nella costituzione dell’alter ego e quindi in quella di un mondo comune; nella melanconia consiste invece in un "allentamento" della trama della costituzione intenzionale dell’obbiettività temporale, che si manifesta nell’intrecciarsi di momenti retentivi con momenti protentivi (autoaccusa melanconica) o di momenti protentivi con retentivi (delirio melanconico).
Malinconia, dunque, come stato di alterazione dolorosa (anche se non patologica) della percezione e della costituzione dell’orizzonte temporale. Ma anche una gradualità di slittamenti in un continuum definibile come depressione caratterologica: la costante umorale del malinconico può avere (o no) episodi di depressione maggiore, ma negli intervalli mantiene un’inclinazione – variamente declinata ed espressa – verso il pessimismo, anedonia e infelicità. Questa persistenza caratteriale del malinconico è un altro dato che differenza lo stato ‘umorale’ da una condizione patologica ben definita come la psicosi maniaco-depressiva caratterizzata da una marcata bipolarità con evidenti oscillazioni che virano tra depressione e euforia.
Le figure che si incontrano nella composizione di questo pannello si lasciano dividere in tre gruppi che abbiamo così distinto categorialmente per disegnare uno schema possibile di articolazione del discorso: Malinconia 1) ex otio; 2) ex acedia; 3) ex maerore.
Malinconia ex otio
L’otium, il tempo liberato dagli affanni materiali e dalle cure contingenti, è uno spazio vuoto che si riempie di pensiero. Otium come motore di meditazione e di poesia.
Prima figura la Musa meditante che passa la sua postura per contagio al poeta ispirato: in primis Polinnia, la Musa degli Inni agli dei che è figura del ‘raccoglimento’, della concentrazione introspettiva “che a poesia conduce”. Da questa tipologia discende la melancholia per concentrazione meditante e ispirata del Santo Sapiente (v. San Girolamo), ma che poi, passando dall’eremitaggio della caverna nel deserto allo studiolo, diverrà figura archetipale dell’Umanista; quindi anche la malinconia – già tutta saturnina – da eccesso di sapere dell’Umanista (v. opere di Dürer e Giorgione); poi, recta via, l’autorappresentazione dell’ intellettuale (v. autoritratti di De Chirico e Duchamp, l’opera di Martini, la fotografia di Warburg) fino a diventare la postura ‘convenzionalizzata’ del pensatore (v. il fumetto con Charlie Brown), comunque di per sé eloquente.
Questa declinazione del tratto umorale malinconico può sublimarsi nella “sacra insoddisfazione” dello studioso (la definizione è di Gertrud Bing a proposito di Aby Warburg) che trasfigura la sua ansia, il suo ‘difetto originale’ in infinita ricerca di nuove vie del sapere. Sempre nella declinazione più feconda può essere il motore dell’inquietudine poietica del genio e dell’artista (una forma di “delirio melanconico protentivo” per dirla con Binswanger, proiettato infelicemente fuori della dimensione attuale nella figurazione di nuovi matrici del mondo). Queste forme di inquietudine melanconica ‘prevedono’ anche la deriva patologica in alcuni sintomati riconosciuti come caratterizzanti la depressione grave – abnorme indecisione; pensieri ricorrenti di morte; ideazione suicidiaria: nella psicolologia dell’intellettuale e dell’artista l’esito può essere l’empasse creativa autoreferenziale, la pulsione al suicidio simbolico (Nietzsche) o reale (Van Gogh).
L’otium meditativo, siglato dalla postura convenzionalmente melanconica, può produrre anche figure di illuminazione: l’estasi, la profezia ex somnio (v. Sant’Orsola, i soldati presso il sepolcro del Risorto). Ancora proiezioni di “delirio protentivo”, prefigurante il futuro.
Malinconia ex acedia
Tutt’altra declinazione ha la malinconia ex acedia: la carenza di interesse e di cura per il presente, spesso proiettata in un delirio ‘retentivo’, di rimpianto, di nostalgia o di rancore, anziché l’effetto della esplosione poietica provoca la ricaduta nell’abisso del vuoto dell’origine. I sintomi della deriva patologica sono: diminuzione di interesse per le attività, apatia, isolamento; faticabilità o mancanza di energia; sentimenti di autosvalutazione o di autodisistima o di colpa; il delirio autoaccusatorio.
Questa inclinazione della malinconia, non trovando forme di espressione e di sfogo (come nella poiesis ex otio) sedimenta in autoreferenzialità assoluta, che porta a un autoavvelenamento da umor nero. Paradossalmente, al contrario dell’intellettuale, l’“accidioso fummo”, porta come sintomi patologici a una ridotta capacità di pensiero e di concentrazione e, al limite, alla paralisi fisica e mentale.
Figura espressiva tipica di questa forma del pathos è l’immagine di Giuseppe ‘malinconico’, niente affatto libero dai suoi sospettti, e perciò autorelegato ai margini della scena della Natività, che con il suo atteggiamento cupo e appartato segna un contrappunto scuro rispetto alla luce reale e simbolica del teatro della natività divina. Un sentimento che diventa risentimento.
Malinconia ex maerore
Terza declinazione dell’umore melanconico trova una definizione nella malinconia ex maerore: anche e soprattutto in questa tipologia si pone il problema del limite tra lo stato ‘normale’ – o per meglio dire ‘caratteriologico’ – e lo stato patologico. La malinconia ex maerore ha una causa scatenante oggettiva – il dolore, il lutto – che viene vissuta in modo consonante all’attitudine umorale del melanconico in forma di chiusura: una reazione contenitiva, anziché esplosiva, della sofferenza. In questo caso il gesto della mano al volto può indicare tanto la disperazione e l’angoscia che non trova sfogo nel pianto e nell’esagitazione gestuale, quanto la chiusura meditativa nel dolore e la riflessione sulla morte. È il caso della postura ricorrente di Giovanni nelle scene del compianto su Cristo morto (v. il mosaico di San Marco, il rilievo della Chiesa dei Carmini di Venezia, l’opera di Niccolò dall’Arca): la Pathosformel è conduttrice di un significato intensificato ma represso del sentimento di dolore e di perdita. La postura, all’interno del teatro del compianto (dalle figure meste e raccolte nei sarcofagi di Alcesti e Meleagro, fino ai compianti sul corpo di Cristo [cfr. Tavola 5 e Tavola 42) assume una valenza forte nella polarità sintattica tra l’attitudine maniacale e l’attitudine depressiva di fronte al lutto: nella dialettica compositiva che accosta figure di esagitazione di un dolore ‘urlato’ a figure di disperazione di un dolore ‘muto’, la Pathosformel della mano al volto ha una valenza antitetica rispetto all’espressione incontenibile delle passioni.
La precarietà e la feconda permeabilità tra queste tipizzazioni, si evidenzia negli incroci tra le tre inclinazioni – pensiero, accidia, dolore – presenti quasi in tutte le figure melanconiche, ma soprattutto in alcune figure 'liminari' rispetto alle categorie predefinite. Il montaggio del pannello, attraverso parentele e connessioni nervose, offre quindi possibili ulteriori articolazioni – per sovrapposizioni – dello schema tripartito.
Abbandono
Esemplare la figura di Arianna, caratterizzata dalla Pathosformel della mano al volto significante ‘malinconia’, ma anche dalla postura del braccio piegato dietro alla nuca che è stata felicemente definita del ‘doppio abbandono’ (Mosè Viero): languido abbandono erotico-estatico-contemplativo (ex otio), ma anche abbandono ripetutamente subìto da Teseo e da Dioniso (ex maerore). Una complessa Pathosformel, già presente nell’iconografia antica come una sorta di contrazione iconografica per habitum dell’intera storia di Arianna, che verrà recuperata nella pienezza di significato dalla Arianna-Malinconia di De Chirico. Ancora esemplare di queste contaminazioni sul confine dei fantasmi della malinconia è l’immagine malinconica del re-senex, Elisabetta I: sentimento di infirmitas che confina la vecchia regina a uno stato di coatta impotenza (malinconia ex acedia), ma anche meditazione tutta intellettuale sulla vanitas del potere e sulla sterilità della vita (malinconia ex otio).
Sogno/visione/premonizione
Un sospetto emerge per accostamento, un sospetto tutto da indagare che oscilla tra l’ovvia convenzione compositivo-posturale e la semantizzazione volontaria/involontaria di una o più figure. Sospetto suggerito – involontariamente? – dalla tavola 30 di Mnemosyne nella figura della guardia di Costantino (Dolore e meditazione. Figure del dolore e della malinconia dall’Atlante della Memoria, Engramma n. 14) è il ricorrere delle figure ‘pensose’, con il volto appoggiato alla mano, nei contesti miracolosi. Diversi sono i luoghi e i ruoli rivestiti da queste figure, in qualche modo accomunate dalla dimensione del sonno/sogno – non sempre a occhi chiusi; notturno o diurno. Sono i miracolati (miracolandi) o i ‘visionari’, coloro attraverso i quali la Grazia si compie o troverà compimento: è il caso di Sant’Orsola nell’opera di Carpaccio, colta nel sonno dal raggio della luce divina. Sono coloro che assistono al compiersi del miracolo: incuranti – colpevoli – inconsapevoli di ciò che sta per avvenire, sono gli apostoli addormentati (v. nuovamente Carpaccio, L’orazione nell’orto) nel momento del massimo dissidio interiore di Cristo, abbandonati nel sonno, ritratti in posture convenzionali ma eloquenti. Così per i soldati a guardia del Sepolcro (v. la miniatura e l’opera di Luca Della Robbia), irrispettosamente abbandonati al sonno, ma apparentemente colpiti, quasi annientati, dal miracolo della Resurrezione.
Compianto
Il gesto della mano al volto caratterizza anche le figure dolenti nel ‘teatro del compianto’: già nelle rappresentazioni funerarie antiche le ploranti – velate o meno – che partecipano alla scena della morte di Alcesti sono raffigurate in questa posa (v. pittura vascolare). Questa Pathosformel non è solo prerogativa femminile: l’afflizione si esplica col medesimo gesto anche in alcuni personaggi maschili. Nella raffigurazione vascolare, inoltre, è peculiare la figura del vecchio pedagogo, curvo sul bastone, appartato eppure partecipe – ricorrente nelle scene di cordoglio e lutto – che appoggia impotente il volto alle mani, anticipando la postura che in ambito cristiano sarà tipica di Giuseppe nelle scene di Natività. Dalle rappresentazioni antiche del lutto il gesto passa a caratterizzare la chiusura nel dolore di fronte alla morte nelle raffigurazioni della Passione di Cristo, e identifica in particolare Giovanni (v. San Marco, rilievo fine ’200, Francesco Di Giorgio, Squarcione, Niccolò dell’Arca), il cui atteggiamento depressivo – connotato secondo gradazioni di pathos più o meno intensificato – si contrappone al furore espressivo delle Marie.
Speculazione
La medesima marca posturale, con una minore accentuazione patetica, caratterizza anche l’atteggiamento meditativo e inerte del vecchio Giuseppe nelle scene di Natività (figg. mosaico, Beccafumi, Giulio Romano), nelle quali il ruolo di ‘secondo piano’ del santo è ribadito anche da un punto di vista compositivo (figg. Beccafumi, Giulio Romano). Nel Rinascimento anche S. Anna intenta ad osservare pensosamente San Giovannino o Cristo bambino è rappresentata con la mano al volto (figg. G. Romano, A. Gentileschi): il gesto sembra dunque caratterizzare una melancholia ex acedia attribuibile alla vecchiaia, tratto per altro tipico della tipologia saturnina. Oltre alla perplessità e alla riflessione suscitata dall’evento miracoloso, come nel caso della nascita di Cristo, la Pathosformel indica anche un atteggiamento meditativo ‘filosofico’ sulla transitorietà della vita e dei suoi aspetti mondani: exempla di questo stato emotivo sono le figure di San Girolamo e di San Giovanni, anch’essi raffigurati come uomini anziani (v. opere di Dürer e Bosch). In particolare Dürer utilizza per la figura di San Girolamo proprio un precedente Ritratto di un vecchio di novantatré anni. Questa postura, tratto caratteristico di uno stesso atteggiamento speculativo astratto nei confronti del passare del tempo, oscilla tra i poli del maschile e del femminile: il gesto semantizza infatti anche l’immagine della Maddalena penitente, fino a configurarla come una vera e propria vanitas (v. Maddalena di Artemisia Gentileschi, e Malinconia – appunto – di Fetti); sia il vecchio San Girolamo sia l’‘appassionata’ Maddalena sono infatti raffigurati con l’attributo del teschio. All’immagine di Maddalena si accosta, con una forte cesura cronologica, la riemersione dell’engramma ‘patetico’ nella scultura di Arturo Martini (la Puttana). All’incrocio tra meditazione sulla morte e riflessione puramente intellettuale sta il ritratto allegorico di Elisabetta I d’Inghilterra, destinata a lasciare legato il proprio nome non alla discendenza della stirpe ma alla produzione artistica della sua epoca.
Pensiero laico
Come Elisabetta I, liberati dal peccato capitale (medievale) dell’accidia, divenuti fiera bandiera dell’emancipazione dell’intellettuale dal pensiero mistico e religioso, possiamo riconoscere nella postura uno dei geni della parentela tra figure di pensatori ‘laici’. A livelli opposti – di qualità artistica e densità semantica – queste figure sono esemplificate nella celeberrima incisione di Dürer e nel ‘sunto visivo’ offerto dalla Meditatione del Ripa. Cronologicamente e geograficamente diffuse, le immagini di intellettuali si caratterizzano tutte grazie al vero e proprio marchio del volto appoggiato, o sorretto mentre legge, scrive, ‘semplicemente’ riflette. Così sono il giottesco Dante di Ravenna e il gentiluomo del ritratto attribuito a Giorgione, che esibisce l’oggetto simbolo e il nome della propria ‘afflizione’, il melangolo, appunto, ma anche l’autoritratto con ‘plagio’ dichiarato di De Chirico. Per contrasto semantico, e ovvio accostamento formale, la postura caratterizza anche i due giocatori (Daumier, Duchamp), in un richiamo – sempre per contrasto – alla vanitas (la partita a scacchi con la Morte). Convenzione posturale semantizzata, a volte, solo attraverso lo sguardo dello spettatore, il volto appoggiato alla mano diviene equazione fotografica (v. ritratto di Warburg = pensatore). Così è anche il Buon vecchio Charlie Brown, disegnato da Schultz, che ci fornisce chiaramente la spiegazione del suo atteggiamento – e che frequentemente cerca consolazione nello “psychiatric help” offerto a 5 cents da Lucy van Pelt.
Tabula phantasma de melancholia
latina versio a Giacomo Dalla Pietà confecta
Cum tabulam quinquagesimam tertiam ex Atlante “De musis” necnon et thematicam tabulam figuris per Atlantem de melancholicis legissemus, varia vi imaginativa a Warburg evocata, hanc tabulam phantasmaticam finximus. Omnibus quidem figuris quae huc collatae sunt unus est habitus, sed idem habitus alios affectus in alia figura significat. Omnes nempe Melancholiae imagines. Cuiusnam melancholiae? Quae figurae huic tabulae insunt, iis omnibus idem est habitus umoribus male temperatis allatus. Nam nimia tristitia est, quae tamen in pathologicam condicionem non prolabitur. Animi habitus est; quin iuxta Hippocraticam theoriam umorem dicere possumus.
Licet varii plerique tristitiae gradus artissime misceantur, tamen ipsi citra aegritudinem semper sunt quam in singulis gradibus diversisque modis praenuntiant.
Auctor vero est Ludwig Binswanger, si quis vitiata quadam ratione tempore hominibusque aetatis suae utatur, eum melancholia laborare. Homo quippe melancholicus - in Binswanger "Daseinpsychologie" - male se habet ad "praesentationem" (idest quae ad praesens tempus pertinet): nam in animo melancholico praesentatio ad "protentionem" (quae ad futurum spectat) aut ad "retentionem" (quae ad praeteritum pertinet) inclinat.
Melancholia, quae est dolorosa perturbatio (citra animi morbum), habetur, quotiens quis percipere et constituere rationem temporis vix potest. Praeterea melancholicus homo est qui gradatim sed sine intermissione affectuum mutationibus animo afficitur: pathos melancholicum modo augetur, modo minuitur. Quotiens tamen melancholia remittitur, ad desperationem de omnibus rebus, anedoniam, infelicitatem inclinatio permanet.
Semper animo adhaeret melancholia a qua hoc differt pathologica condicio, quod anceps est quippe cum vehementer aestuet et ferveat inter hypothymicum et maniacum animum. Omnes figurae in hac tabula compositae, per tria genera ad lineamenta tractationis nostrae fingenda descripsimus. Ergo de melancholia trina hic agitur: 1) melancholia ex otio 2) melancholia ex acedia 3) melancholia ex maerore.
Otium tempus est sollicitudinibus curisque cotidianis solutum; vacuum enim spatium est quod cogitationibus impletur. Inde otium contemplativum fit atque meditationem poesimque excitat. Musa Meditans prima est figura otiosa in habitu melancholico figurata, quae, quasi quadam contagione, poetae studio incenso habitum suum affert. Polynnia, cui deorum hymni conveniunt, maxime facit ut poeta secum carmina volvat .
Ex hac typologia nimiam ob animi intentionem melancholia meditabunda exsistit, qua sapiens a deo inspiratus ac sanctus futurus (ut Hyeronimus) excitatur; quae primum Sancto in heremo et solitudine constituto, deinde humanistae cubiculo detento summopere consentanea est.
Humanista melancholia saepe laborat, quippe qui plura cognoscere cupiat quam ut ea recipere possit (vide opera a Dürer et Giorgione confecta et eorum pictores ipsa vita). Habitus vero melancholicus, humanistarum primitus proprius, deinde per saecula quemlibet doctum virum clarumque artificem decuit.
Praeterea vir studiosus numquam se suisque operibus contentus est (vide etiam quae Gertrud Bing de Aby Warburg “insatiabili atque sacra anxitudine” scripsit). Studiosus animi sui anxietatem ita vertit et mutat ut, eam quodammodo tollat de animo novasque cognoscendi rationes praefiguret et suscitet. Quod nisi doctus melancholiam partim summoveat ac in poesim transfiguraverit, in pathologicam condicionem, quae iuxta Binswanger “melancholicum delirium protentivum” nobis appellanda est, incidit. Unde cupido dissolvendi, studium mortis sibi consciscendae, doctum vel symbolice (ut Nietzsche) vel realiter (ut Van Gogh), invadit. Acediae capitali peccato – totum medievale peccatum! – liberati, melancholiam omnium humanistarum communem quendam habitum, quasi signum sit, esse cognovimus.
Eandem docti hominis imaginem per omnia tempora et loca diductam esse videmus. Cui vultus sustentus, sive legents sive scribentis sive denique cogitantis, communis est. Dicamus exempli gratia Dantem Ravennatem XIV saec. pictum et nobilis viri effigies Giorgioni attributa, qui suae tristitiae signum (idest melangolum) exhibet. Nec nos fugiat De Chirico qui, habitu melancholico se ipsum pinxit. Neque Chaerlie Brown omittamus qui qualis animi sui habitus sit gestu melancholico saepe ostendit et qui consolationem (psychiatric help) sibi a Lucy petit.
Idem habitus est binis hominibus quos Duchamp et Daurier schacchiorum ludo intentos ut certamen cum vanitate et morte institutum per contrariam significarent, induxerunt. Praetera ne Warburg photographicae effigis obliviscamur. Meditativum otium cui melancholicus habitus convenit, etiam gratia divina illuminatas figuras affert: exstasin, vaticinationem ex somnio acceptam, quae contigit vel Divae Orsolae vel satellitibus Sanctum Sepulchrum tuentibus. Quae omnia ad delirium protentivum, vel potius ad futurum praefiguratum, spectant. Cogitabundae figurae vultum manu sustinentes inducuntur. Aliae alio loco versantur, aliae aliud agunt. Omnibus tamen somnus (sive nocturnus sive diurnus sit, haud semper tamen clausis oculis) et somnium communia sunt.
In hac condicione versantur qui vel miraculis vel visionibus donantur; ei per quos gratia impletur vel implebitur (Sanctae Orsolae a Carpaccio pictae innuimus, quae per quietem divinae lucis radio ferita est); et qui de miraculo securi sunt, ignari quid eventurum sit, quales apostoli in tabula a Carpaccio picta apparent, qui eos dormitantes, Christo inter divinam et humanam naturam nutante, quiete vel potius exstasi gravatos ex usitata sed luculenta ratione fecit. Eadem fere finxit Lucas Della Robbia in eo opere quo Sancti Sepulchri satellites finxit.
Aliud genus melancholici animi est melancholia ex acedia: minima curae omnium quae ad praesens tempus spectant, deprecatio temporis, commiseratio sui vel odium occultum contra aliquem in vacuum desiderium usque ad “delirium retentivum” saepe proiectum, casum recidivum praecipitem in inanitatem provocat potius quam (ut evenit in melancholia ex otio) impetum poeticum excitet.
Pathologicae condicionis, in quam melancholica acedia proclinat, haec signa sunt: cura extenuata in negotiis cotidianis, torpor, solitudo, lenitudo aut vigoris defectio, culpae sensus atque sui continuata reprehensio. Quae melancholica inclinatio neque loquendo neque in animi eruptione exprimitur: nam umor niger intus morosum in veneficium se mutat. Acedia – pro facundis poeticisque effectis otiosa melanchonia susceptis – contractam cogitationis facultatem, contentam animi virtutem, tandem corporis atque mentis paralysim efficit. Sancti Iosephi imago, maestitia designata, huius Pathosformel exemplum est: in margine Sanctae Nativitatis reiectus, tenebrosus, tristis, suspicione affectus, Ioseph repugnat luci e scaena divina mananti. Ita et in Beccafumi et in Giulio Romano operibus de Nativitate Christi in quibus Ioseph imago reducta fingitur.
In Rinascimentali iconographia et Anna suspiciens puerulum suum Iohannem vel Christum infantem habitu melancholico – vultum manu sustinens – fingitur. Habitus melancholicus invenitur etiam in figuris senectutis de vanitate vitae meditantibus.
Propterea haec Pathosformel animum ad maestam meditationem de fragilitate humanae vitae propensum figurat. Sic fingitur Ieronymus senex cum calva et ipse Iohannes ut senex (vide Dürer et Bosh, figg. XX); sed etiam Magdalena paenitens vanitatem significans (vide Gentileschi et Fetti, figg. XX). Eadem Pathosformel ex Magdalena melancholica in “Puttana” a Martini picta revocata videtur. Tertium genus est melancholia ex maerore: quo in genere difficile est discrimen inter animi habitum et animi morbum cernere.
Haec melancholia, quae e luctu oritur, vultum contractum et taciturnum facit: maeror non erumpit, sed cohibetur; gestus enim manus caput sustinentis simul desperationem et cogitationem de morte significat. Quae Pathosformel in scaena complorationis adest: hic taciturna persona melancholica figuris furore commotis opponitur, quae omnes maerorem significant. Ita fit sive in sarcophagis Alcestis vel Meleagri, sive in scaena Passionis Christi, ubi Johannes, ipsius melancholiae imago, adesse solet. Tria genera melancholiae - ex otio, ex acedia, ex maerore - in singulis figuris immixta sunt, et nexus ipsi in figuris liminaribus patent.
Velut in Ariadnis figura; quae duplici melancholia affecta videtur et una manu gestum caput sustinentis agit, altera animi dolorem ostendit: brachio sub cervice flexo Ariadnem non solum desiderio incensam (id est melanchonicam figuram ex otio), sed etiam amore desertam (id est melanchonicam ex maerore) declarat. His duobus gestibus tota Ariadnis fabula constat: nam ea relicta est, primum a Theseo deinde a Dionyso. Tandem De Chirico totam Ariadnis fabulam per ipsum habitum restituit et compositam Pathosformel per imagines de Arianna, sive de Malincholia ex antiquis vestigiis repperit et ad vitam revocat.
Item Elisabetta I quasi rex-senex, melancholiae imaginem liminarem designat: regalis figura cogitans, quantum pathos e senectute oriatur (melancholia ex acedia), quam vana et caduca imperii potestas sit (melancholia ex otio), quam infirma et infecunda vita (melancholia ex maerore).
English abstract
The images collated in Panel 53 have in common a postural convention that have different meanings. The figures share a posture that is symptomatic of a want of temperance that links to a pathological condition and manifests itself as a personality trait. There are various stages of manifestations of its symptoms. The constituent structural forces are the a priori transcendental forces that are like the matrices of different worlds. These are the intentionality connected to temporality, and therefore to the present, the past and the future. Psychosis confirms a defect in these dimensions which all occur simultaneously. Melancholia is so defined also by its opposition to other manifestation of a defect in temporal perception. There are different defects: there could be a slowing down of the temporal composition of the ego and of the habitual apprehension of pure actuality or in the apprehension of the alter ego and of the ordinary world. There could be also the loosening of the plot of the intentional composition of temporal objectivity and it manifests itself by melancholic self-accusation or melancholic delirium. Melancholia is therefore seen as a painful alteration of the perception and composition of a temporal horizon. It is also a gradual decline as a characterological depression.
keywords | Warburg; Mnemosyne Atlas’ Panel 53; Pathosformel; melancholia.
Per citare questo articolo / To cite this article: Seminario Mnemosyne, Dolore e melanconia. Saggio interpretativo della Tavola fantasma De melancholia ex Mnemosyne Atlas, Tavola 53, “La Rivista di Engramma” n. 15, marzo/aprile 2002, pp. 21-28 | PDF